Mulholland Drive: l’inquietante bellezza di un sogno spezzato

Mulholland Drive è uno dei più grandi capolavori del XXI secolo, dalla mente del maestro dell’onirico: David Lynch. Voto UVM: 5/5

Mulholland Drive è un film del 2001 diretto da David Lynch, da poco scomparso. I protagonisti sono interpretati da Naomi Watts, Laura Harring, Justin Theroux. La pellicola è accompagnata da una fantastica colonna sonora del maestro Angelo Badalamenti e dello stesso Lynch.

LA TRAMA DI MULHOLLAND DRIVE

Sulla Mulholland Drive, ad Hollywood, avviene un incidente che vede coinvolta la giovane Rita (Laura Harring), che perde la memoria. Betty (Naomi Watts), un’attrice australiana appena arrivata ad Hollywood in cerca del successo, tenta di aiutarla a riacquistare i suoi ricordi; questo farà in modo che le loro storie si intreccinno.

Naomi Watts e David Lynch sul set di Mulholland Drive
Naomi Watts e David Lynch sul set di Mulholland Drive. Produzione: StudioCanal

IL SOGNO HOLLYWOODIANO E LA CRITICA ALL’INDUSTRIA

Betty, apparentemente, arriva in California per cercare successo ad Hollywood. Tutto però viene messo in discussione quando conosce Rita, che si trova, a sua insaputa, dopo l’incidente, nella casa della zia di Betty (al momento in Canada), nella quale quest’ultima dovrebbe soggiornare per prepararsi a dei provini.

Nel frattempo, assistiamo anche alle vicende di Adam (Justin Theroux), un regista che sta per realizzare un film, ma che viene ostacolato da degli uomini “potenti” che gli porranno dei limiti. Primo tra questi quello di dover assegnare il ruolo di protagonista della pellicola ad una certa “Camilla”, dopo che Rita, che doveva essere la star del film, era scomparsa a seguito dell’incidente, che sembra adesso tutt’altro che casuale.

La prima parte del film, quella che chiamerò “del sogno”, è contraddistinta da una serie di fattori che rendono la vita di Betty simile a quella di una favola. Non a caso Naomi Watts recita in modo volutamente e palesemente falso e surreale. Inoltre la fotografia e le luci utilizzate sono molto candide e danno un aspetto onirico alle inquadrature. Al contempo però, tramite gli eventi del film, Lynch dipinge Hollywood come un luogo pericoloso, oscuro e alienante. L’industria è rappresentata come una macchina che distrugge i sogni, rendendo i suoi personaggi delle marionette guidate da un burattinaio al quale non ci si può ribellare.

il personaggio di Naomi Watts in Mulholland Drive
Naomi Watts nei panni di Betty. Produzione: StudioCanal

 

UNIVERSI PARALLELI E SIMBOLISMI

Mulholland Drive è un viaggio tra sogno ed incubo, tra realtà e finzione. È come se fosse tutto un mosaico in disordine, ed è lo spettatore a dover essere in grado di rimetterlo a posto tramite una propria interpretazione, avvicinandosi, tassello per tassello, ad una o a più conclusioni. Al fine di analizzare al meglio il tutto, va da sè che la recensione conterrà spoiler.

I simbolismi che vengono inseriti nella storia sono degli indizi per ulteriori chiavi di lettura del film. Sono un modo per collegare i diversi “universi paralleli” che troviamo nel film, tutti diversi tra loro, ma tutti coesistenti all’interno della pellicola. Il cubo, la chiave, il teatro, il cafè, il telefono: tanti elementi apparentemente innocui che nascondono però una motivazione ben precisa di trovarsi in un determinato luogo e di essere messi in evidenza in un determinato momento.

Lo spettatore, insieme alla protagonista, viene trasportato nel mondo “dell’incubo” tramite il simbolismo più importante del film: il club Silencio. In preda al panico le due protagoniste si recano nel mezzo della notte in questo piccolo teatro per assistere a uno spettacolo in cui si esibiscono una cantante e un “mago”, quest’ultimo fa capire che tutto ciò che sentiamo e vediamo non è altro che un’illusione, una proiezione del nostro cervello. Le protagoniste, come se sapessero che qualcosa stesse per andare terribilmente male, iniziano a piangere.

Rita e Betty in Mulholland Drive
Rita e Betty all’interno del Club Silencio. Produzione: StudioCanal

Ecco che, tramite una chiave trovata precedentemente, Rita riesce ad entrare all’interno di un cubo, ed è qui che cambia tutto, adesso siamo in un posto tutto nuovo, che descrive la psiche tormentata della protagonista, fatta di angosce, dolore e paura: un vero e proprio incubo, o forse, la realtà.

L’INCONSCIO E IL TEMA DEL DOPPIO

Fin dalla prima sequenza di questa seconda parte notiamo una Betty e una Rita completamente diverse nell’aspetto, che adesso si chiamano Diane e Camilla, e notiamo subito come l’appartamento della protagonista sia lo stesso in cui prima avevamo visto un corpo putrefatto. I ruoli e i nomi si scambieranno ancora e ancora, fino a che, nel caos, forse riusciremo a darci delle risposte.

È Diane che ha pianificato tutto nell’universo parallelo “del sogno” per fare in modo che potesse essere lei la protagonista e di potere passare ancora del tempo con Rita, la Camilla che Diane ha come amante alle spalle di Adam, ma che si sta per sposare con quest’ultimo. Adesso, per esempio, si riesce a dare una spiegazione sul perché succedano tutti quei problemi al regista. È proprio qui che si vede perché David Lynch è considerato il maestro dell’onirico: tramite la sua rappresentazione degli impedimenti ai personaggi, fa in modo di mettere in scena una critica sociale al mondo reale, renderla fittizia e fare in modo che ritorni plausibile oniricamente poiché viene considerata come un azione inconscia di Betty/Diane provocata dalla sua gelosia e invidia nei loro confronti.

Laura Harring e Justin Theroux in Mulholland Drive
Laura Harring e Justin Theroux in Mulholland Drive. Produzione: StudioCanal

LA TRISTE CONCLUSIONE DI LYNCH

In preda al panico dovuto dalle pressioni e dalla sua condizione mentale, Diane estrae una pistola da un cassetto e si uccide sul suo letto in posizione fetale, la stessa in cui Betty e Rita avevano trovato tempo prima il corpo putrefatto. Alla fine del film riusciamo solo ad avere una vaga comprensione degli eventi, tutto ci sembra perturbante e confuso. D’altronde è proprio così che avvengono i sogni, tramite una ricostruzione inconscia degli eventi appartenenti alla realtà.

È questo che Lynch vuole farci provare ed è ciò a cui vuole metterci davanti, in modo da confonderci e far sì che ognuno di noi collezioni i tasselli del mosaico confuso in modo diverso per darne una propria interpretazione. Personalmente credo che tutto ciò che sia successo sia frutto di una sorta di “esperienza ai confini della morte”, metaforica o meno, e di un’immaginazione del corso degli eventi volutamente ricostruito in modo più addolcito dalla protagonista, ma che, a un certo punto non può fare altro che scendere a patti con la realtà ed accettarla per ciò che è.

La magistrale regia di David Lynch, che gli varrà anche il premio come miglior regista al Festival di Cannes, ci fa sentire intrappolati in un sogno che ha ogni caratteristica di un incubo, ma che forse non è altro che la cruda realtà.

Alessio Bombaci

Il mondo perde David Lynch, ma la sua arte rimarrà immortale

 

Ci lascia a 78 anni David Lynch, una delle menti più geniali del panorama artistico degli ultimi 50 anni. Era malato di enfisema polmonare.

Una personalità riservata ma al contempo ribelle e immensamente creativa. Nell’arco della sua vita è stato regista, pittore, attore, sceneggiatore, montatore, produttore, scenografo, cantante, compositore, designer. Lascia 5 figli e la moglie Emily Stofle.

David Lynch nel 2006. Immagine Brunopress.

Il sogno dell’artista

Nasce a Missoula, in Montana, nel 1946. Fin da giovane sogna di diventare un’artista, ed inizia, infatti, la sua carriera lavorativa come pittore. Dopo essere stato licenziato da un negozio di cornici presso cui lavorava decide di viaggiare in Europa per studiare. Il viaggio però dura soli 15 giorni, dopo i quali Lynch torna negli Stati Uniti e da lì comincia la sua carriera da regista con la realizzazione di alcuni cortometraggi sperimentali, tra cui il fantastico The Alphabet (1968).

Gli albori del cinema di David Lynch

Il regista comincia a lavorare al suo primo lungometraggio nel 1971, ma, per mancanza di budget, la pellicola viene portata a termine solo nel 1977: l’indimenticabile Eraserhead – La mente che cancella, che, tra l’altro, fu definito da Stanley Kubrick come il suo film preferito.

Già dal suo primo film Lynch scandisce bene quelle che sarebbero state le caratteristiche del suo stile che diverrà inconfondibile: l’atmosfera cupa, il disagio, il sogno che si interseca con la realtà, l’inconscio.

La sua carriera prosegue nel 1980 con The Elephant Man, un drammatico ritratto di un “rigetto” della società, che lo rende acclamato e popolare tra critica e pubblico.

Dopo il fallimento, per via della produzione, del suo primo ed ultimo progetto ad alto budget, Dune (1984), darà vita allo splendido Velluto Blu (1986) in cui prenderà parte anche la sua musa dell’epoca, Isabella Rossellini.

David Lynch e Anthony Hopkins sul set di The Elephant Man (1980). Produzione: Paramount Pictures.

Twin Peaks e la rivoluzione della serialità

Nel 1990 David Lynch, insieme a Mark Frost, rivoluziona per sempre il mondo della Serie TV, facendo in modo che queste diventassero un nuovo strumento per raccontare storie impegnate, andando contro a quelle che erano le mode di quegli anni e che facevano sottovalutare il potenziale della serialità. Adesso chiunque, dagli Stati Uniti all’Italia, conosceva il caso dell’omicidio di Laura Palmer, interpretata da Sheryl Lee, e tutti si sentivano degli investigatori insieme all’agente Cooper, interpretato da Kyle MacLachlan, probabilmente l’attore che fu più caro al regista.

Nel 1992 Lynch non accontenta i fan e mostra gli avvenimenti precedenti a quelli della serie, invece che quelli successivi al finale, nel film Twin Peaks – Fuoco cammina con me. La sua scelta, tanto criticata, dà vita ad un capolavoro. 

Laura Palmer (Sheryl Lee) in una scena di Twin Peaks. Produzione: Lynch/Frost Productions.

“Ci rivedremo tra 25 anni”

25 anni dopo l’uscita della prima serie, Lynch inizierà la produzione della terza ed ultima stagione di Twin Peaks, che è l’ultima grande opera realizzata dal regista.

La seconda parte della filmografia

Dopo il successo di Twin Peaks, nel 1990 vince la Palma d’Oro per il miglior film a Cannes grazie al suo cult Cuore Selvaggio.

Nel 1999 si discosterà dal suo stile per dare vita a Una storia vera, un drammatico road movie su un anziano in cerca del fratello malato.

 Il picco massimo della sua carriera dal punto di vista dei lungometraggi, però, arriva con la sua “Trilogia dell’Onirico”, tre film sconnessi tra di loro ma che hanno molte caratteristiche in comune: Strade Perdute (1997), Mulholland Drive (2001) e Inland Empire – L’impero della Mente (2006).

Tutti e tre i film ci fanno viaggiare tra il sogno (o l’incubo) e la realtà, basandosi sul tema del doppio e mostrando la parte più inconscia dei personaggi. Lynch mette in scena il suo stile onirico inconfondibile e sopraffino, rendendo i suoi capolavori inimitabili e dal valore artistico inestimabile.

David Lynch: un artista a 360 gradi

Ovviamente David Lynch è maggiormente conosciuto per la sua carriera da regista, tralasciando però come la vena artistica lo abbia portato a non fermarsi lì. Lynch, infatti, oltre ad aver realizzato 10 film, circa 60 cortometraggi e 3 stagioni di Serie TV si è occupato di molto altro: ha realizzato diversi quadri, che rimandano al suo stile cinematografico; in ambito musicale ha prodotto e cantato in 4 album, oltre ad aver collaborato ad alcune colonne sonore per i suoi film insieme al maestro Angelo Badalamenti. Ha poi scritto 5 libri e nell’ultima parte della sua vita si è dedicato anche all’interior design.

Scena tratta dal documentario David Lynch: The Art Life (2016). Produzione: Duck Diver Films.

Un ultimo addio al Maestro

É doveroso rendere omaggio a tutto ciò che David Lynch ha realizzato in ambito artistico, a tutte le parole spese nelle sue interviste e nei suoi interventi pubblici. Lynch ha sempre cercato di fare in modo che le sue parole fossero personali e allo stesso tempo potessero essere condivise da chi ne avesse bisogno.

Parlava spesso della ricerca delle idee, che definiva “grandi pesci” che dobbiamo cercare di pescare, per quanto difficile sia, e del processo creativo che ne deriva. Discuteva frequentemente del confronto di artisti e non con la salute mentale, di come il troppo stress e la demotivazione non faccia bene alla creatività e motivava i giovani sognatori a cercare di combattere e superare le proprie paure e insicurezze, di guardare sempre, come diceva lui, “la ciambella, non il buco”.

 In tutto il mondo tante persone, come me, l’hanno sempre visto come una sorta di mentore, come un idolo e un’ispirazione.

Ha rotto regole per crearne di nuove, è andato contro il mercato hollywoodiano provando a sbeffeggiarlo e criticarlo quando possibile. Ha sempre cercato di portare avanti ciò che lui stesso voleva davvero, mettendo in secondo piano i problemi di comprensibilità e digeribilità richiesti dall’industria e dallo spettatore, ed infine, ciò lo ha premiato in quanto artista.

Se ne va uno dei più grandi di tutti i tempi, che ha lasciato un patrimonio immortale al mondo. Un artista tanto importante che rimarrebbe indimenticabile anche se si bruciasse tutto ciò che ha mai realizzato.

 

Alessio Bombaci