Perché Darwin aveva ragione

Semplice, elegante, efficace. La teoria dell’evoluzione descrive come gli organismi di una popolazione si evolvono nel tempo ed in relazione alle condizioni dell’ambiente. Si tratta probabilmente di una fra le più importanie verità scientifiche raggiunte dall’uomo, in quanto in grado di metterne a nudo le origini, scuotendo in maniera profonda ogni visione antropocentrica della Natura. Attaccata e messa alla prova in diversi momenti e luoghi storici, ha ogni volta superato il vaglio del tempo, arricchendosi di evidenze sempre maggiori, chiare e nette, fino a rappresentare con la sintesi neodarwiniana le fondamenta del ragionamento scientifico biologico moderno.  

Il neodarwinismo integra le ipotesi di Darwin con le conoscenze della genetica moderna. È il modello accettato dell’evoluzione.

Eppure ancor oggi tale teoria è troppo spesso bersaglio di critiche, le quali possono essere frutto di incomprensioni. Si tratta di critiche fondate? Ricerchiamo chiarezza, discutendo che cos’è l’evoluzione, dei meccanismi che la guidano e delle evidenze scientifiche che corroborano la teoria. 

Che cos’è l’evoluzione?

Come detto, è la trasformazione degli organismi viventi che, nel corso delle generazioni, si adattano alle condizioni ambientali; in un’accezione più attuale, si potrebbe anche dire che è la variazione del numero di alleli in una popolazione.

Per comprendere la relazione tra queste due definizioni facciamo un passo indietro. Quando Darwin intuì i meccanismi evolutivi studiando alcune specie di uccelli dell’arcipelago delle Galapagos, mancava oltre un secolo alla scoperta del DNA. La molecola del DNA è un elemento cruciale in questa storia, costituendo la più importante conferma delle idee di Darwin. Il DNA infatti possiede alcune proprietà essenziali che rappresentano le basi molecolari affinché la teoria dell’evoluzione funzioni:  

  1. Contiene l’informazione genetica, responsabile della trasmissione dei caratteri dai genitori alla prole (un carattere è ad esempio il colore degli occhi);  
  2. Garantisce la variabilità di questa informazione attraverso le mutazioni dei geni (due forme alternative – mutate – dello stesso gene sono definite alleli). 

Queste due semplici proprietà sono fondamentali per spiegare i meccanismi coi quali l’evoluzione agisce. 

I meccanismi dell’evoluzione: mutazione e selezione naturale

Un organismo, i cui caratteri sono determinati dai suoi geni, è sottoposto a mutazioni random. Detta variabilità è un aspetto determinante. Quando una mutazione produce un nuovo allele che si associa ad un carattere vantaggioso, questo permette all’individuo una maggiore probabilità di sopravvivenza e di riprodursi nell’ambiente in cui vive. Ciò favorisce la diffusione di quell’allele e quindi la selezione del carattere ad esso associato. Mutazione e selezione naturale guidano dunque il processo evolutivo. 

Cosa significa questo? Con un esempio pratico, gli uccelli studiati da Darwin sulle isole Galapagos (i cosiddetti Darwin’s finches o fringuelli di Darwin), che originavano da un antenato comune, una volta separati da barriere geografiche (il mare) in isole diverse, hanno progressivamente sviluppato caratteri divergenti, che meglio ne permettevano la sopravvivenza. Così, dove le principali risorse alimentari erano rappresentate da semi, i fringuelli di Darwin mostravano becchi possenti in grado di rompere i semi per permettere il nutrimento; dove gli insetti erano la più abbondante fonte di cibo, gli uccelli avevano sviluppato lunghi artigli e becchi sottili che favorivano una più facile cattura delle prede, divergendo in tal modo dall’antenato comune.

Alla base delle modifiche che permettono l’adattamento all’ambiente vi è una variazione nei geni e in particolare nelle frequenze degli alleli. Gli alleli che contengono l’informazione per dei caratteri vantaggiosi saranno più facilmente trasmessi alla prole e quindi più diffusi. È in questo senso che l’evoluzione avviene quando cambia la frequenza degli alleli.

Le prove dell’evoluzione

Esistono numerose evidenze che confermano l’evoluzione per selezione naturale.

  1. L’evoluzione osservabile, ovvero quei casi in cui abbiamo osservato la selezione naturale in maniera diretta. Ne sono un esempio i Darwin’s finches, come appena descritto. Un altro famoso caso riguarda la Biston betularia, una specie di falene bianco-screziate. Nelle regioni industriali della Manchester del ‘900 si assistette alla diffusione di una forma di falene totalmente nera. L’inquinamento aveva annerito i licheni sui quali le falene riposavano. Gli esemplari bianco-screziati diventarono quindi facile bersaglio di uccelli ed altri predatori; le falene nere invece ben si mimetizzavano. Il risultato fu che nel giro di alcune generazioni le falene nere, precedentemente rare, si erano diffuse notevolmente. Un esempio più vicino a noi è l’antibiotico-resistenza. Da quando Fleming scoprì l’azione battericida della penicillina, la pressione evolutiva dovuta all’esposizione a questa molecola, ha permesso la selezione e la diffusione di ceppi batterici antibiotico-resistenti.
  2. La comparazione di strutture anatomiche di specie differenti rivela un elevato grado di omologia se le due specie sono vicine nell’albero filogenetico, dimostrando come queste siano potute divergere da un antenato comune.
  3. I fossili rivestono da sempre un tema scottante. Va sottolineato che le prove precedentemente riportate sono da sole consistenti e valide a confermare la teoria dell’evoluzione. I reperti paleontologici sono solo un’ulteriore dimostrazione. Il cosiddetto “missing link” ovvero la mancanza di fossili che mostrano forme transizionali è discussione ormai superata e pseudoscientifica in quanto è assurdo pretendere che i reperti di ogni singola specie vissuta sulla Terra si siano conservati fino ad oggi. Anzi siamo già fortunati a poterne osservare numerosi, perché è quasi un caso che siano perdurati per milioni di anni giungendo a noi. Nonostante tutto ciò, abbiamo molteplici esempi di linee evolutive complete che costituiscono un’evidenza schiacciante.

    L’evoluzione delle balene è supportata da numerosi fossili di forme transizionali.

Macchine per la sopravvivenza dei geni

In conclusione, i geni contengono l’informazione che costruisce i caratteri di un organismo. Richard Dawkins ne Il gene egoista si spinge ad affermare che i geni, o meglio, l’informazione che contengono è potenzialmente immortale. Geni che producono strutture ed organismi efficaci nel procurarsi le risorse essenziali per la sopravvivenza e la riproduzione avranno una diffusione pressoché illimitata. L’organismo perirà, ma l’informazione contenuta nei suoi geni sarà trasmessa in maniera indefinita. In questo senso saremmo delle macchine per la sopravvivenza dei geni e solo i geni “migliori” perdureranno.

Nonostante questa visione possa apparire deprimente, è proprio grazie all’evoluzione per selezione naturale che le più varie e magnifiche forme in natura si sono potute sviluppare. In questo scenario, l’uomo, sebbene oggetto fra gli oggetti, con le sue straordinarie capacità di produrre arte, comporre sinfonie e comprendere le leggi che regolano l’universo, è il risultato più affascinante di questo processo evolutivo.

 

Fonti: 

Il più grande spettacolo della Terra – Richard Dawkins 

Il gene egoista – Richard Dawkins 

Mattia Porcino 

Evoluzione, oltre Darwin in risonanza

La fisica e la biologia. Non potrebbero esserci scienze più diverse, penserete. L’una, si occupa sostanzialmente di soggetti inanimati dagli atomi, ai metalli, alle galassie, mentre l’altra studia per definizione tutto ciò che vive, cioè nasce, si sviluppa, si riproduce ed infine muore. La fisica, ancora, ricorre in modo massiccio alla matematica, ma cerca sempre la semplicità di calcolo; per quanto non si possa essere d’accordo con questa affermazione, rimane un fatto che l’ambizione di tutti i fisici sia sempre stata quella di descrivere i diversi fenomeni che ci circondano attraverso poche, concise formule matematiche. Invece la biologia si occupa di sistemi complessi, perché anche la forma di vita più semplice che conosciamo, la cellula, ha una struttura ed organizzazione estremamente intrigata.Chi avrebbe mai potuto pensare che scienze tanto di verse, potessero felicemente incontrarsi ed allearsi per concepire un’alternativa – seppur ancora solo teoretica, sicuramente interessante- all’intoccabile darwinismo, o come viene anche definito, evoluzionismo?

Si tratta della TRE, simpatico acronimo per Teoria delle Risonanze Evolutive, scelto consapevolmente dal suo ideatore perché – ci rivela in un’intervista- rappresenta una terza via alternativa sia al lamarckismo, sia al darwinismo. Ma di che cosa stiamo parlando?

Nel panorama scientifico, il primo evoluzionista dichiarato fu il naturalista francese Jean-Baptiste de Lamarck (1744-1829). Nella sua Filosofia zoologica (1809) affermava che la natura è soggetta a leggi proprie ed autonome che determinano il cambiamento delle specie nel tempo. Lamarck sosteneva l’ereditarietà dei caratteri acquisiti, per cui secondo la sua idea, le modifiche che un organismo subisce nel corso della sua vita potrebbero in qualche modo essere trasmesse alla progenie. Oggi questa affermazione può sembrare ingenua, specie alla luce degli straordinari studi sulla trasmissione dei caratteri inaugurati dal monaco ceco-austriaco Gregor Mendel (1822-1884), ma nell’ottocento quasi tutti i naturalisti condividevano questa opinione, anche lo stesso Darwin.

Quest’ultimo, il britannico Charles Darwin (1809-1882) fu l’altro noto personaggio a proporre una diversa teoria dell’evoluzione che curioso, ma non poi così tanto, – considerando un certo tipo di mentalità che pretende troppo dalla scienza- è venuta spesso assunta a verità incontrovertibile, nonostante manchi dei due pilastri fondamentali necessari a provare la scientificità di un’ipotesi, ovvero la riproducibilità ed il rigore. Così siamo stati tutti riciclati nella solita affermazione per cui l’essere umano deriverebbe dalla scimmia, in seguito alla famigerata selezione naturale per cui solo i più forti sarebbero riusciti a sopravvivere all’ambiente impervio. Inoltre il caso, una sorta di divinità alternativa, avrebbe determinato in un tempo lungo, al limite dell’umana comprensione, piccole mutazioni nel corredo genetico del nostro presunto progenitore. Così dunque la speciazione successiva, ovvero l’apparizione di nuove specie viventi prodotte da mutazioni genetiche intervenute nelle vecchie, avrebbe trovato la sua giusta via d’uscita al termine di un percorso irto di ostacoli e false partenze, errori e prove abortive, fallimenti ed insuccessi.

Ecco, questa descrizione sommaria nei suoi termini generali, ma non superficiale nel criterio complessivo è ciò che sostengono i darwinisti sulla base di quanto si trova scritto ne “L’origine della specie per mezzo della selezione naturale o la preservazione delle razze favorite nella lotta per la vita” (1859) e anche ne “L’origine dell’uomo e la selezione sessuale” (1871).

A smuovere nuovamente le acque in questo panorama di stallo è stato proprio un ragazzo napoletano di appena 26 anni, Achille Damasco. E’ questo il nome collegato alla TRE che è stata pubblicata nel Gennaio 2017 sulla prestigiosa rivista scientifica Physica A, prima ancora che il giovane conseguisse la laurea Magistrale in Fisica della Materia presso l’Università Federico II di Napoli. Tutto comincia con una passione personale per l’evoluzione che si traduce in uno studio da autodidatta in parallelo con il percorso accademico. Così dopo una prima bozza, Achille riesce ad entrare in contatto con Alessandro Giuliani, biologo con trent’anni di esperienza alle spalle e ricercatore all’Istituto Superiore di Sanità di Roma, che entusiasta gli ha dato una mano per scrivere il paper.

«La nostra teoria parte da tre postulati di base – spiega Achille– il primo è che la selezione naturale di Darwin e le mutazioni genetiche casuali non riescono a modificare i caratteri al punto di passare ad una nuova specie, per cui la stabilità è la condizione di default della TRE; il secondo afferma che un passaggio importante da un certo valore di un fattore ambientale ad un altro avviene tramite un’oscillazione. Da qui si arriva al terzo postulato, nel quale vengono analizzati quei parametri ambientali oscillanti capaci di produrre variazioni epigenetiche relative al modo in cui si esprime un gene, cioè vengono cambiate biomolecole responsabili dell’attivazione, oppure no, di un certo gene».

 

 

Studiando i fossili già in passato si era capito che il percorso evolutivo fosse caratterizzato da lunghi periodi di stasi e brevi fasi di transizione in cui si verificano dei veri e propri salti evolutivi. Se all’epoca di Darwin questa evidente incongruenza veniva giustificata dall’idea che il processo di fossilizzazione non fosse costante, nella TRE stasi e periodi evolutivi sono definiti a partire dalla combinazione di condizioni esterne e caratteristiche interne alla specie.

«L’idea è che ogni specie non cambia in maniera definitiva nelle stasi perché ci sono tantissimi vincoli, ma quando la frequenza esterna oscillante (data da parametri ambientali come il clima o la temperatura, ndr) è uguale alla frequenza propria della specie, si verifica la condizione di risonanza che chiamo condizione di evoluzione, nella quale riescono a rompersi quei vincoli e avviene la transizione in una nuova specie». Un’esemplificazione di una risonanza di questo tipo può essere l’esempio del Tacoma Bridge, un ponte sospeso dello stato di Washington crollato a causa non dell’intensità del vento ma per la particolare frequenza in cui soffiava: «un ponte non si può evolvere, una specie vivente sì» chiarisce.

Adesso il team Damasco-Giuliani nutre il grande sogno di riportare anche in laboratorio quanto sviluppato a livello teoretico, partendo da alcuni corollari della nuova ipotesi evolutiva. Intanto l’entusiasmo con cui viene accolta la scoperta cresce sempre di più, anche grazie all’opera di divulgazione dello stesso Achille che rivela di riscontrare successo anche all’estero, soprattuto in Russia. Lui comunque è deciso a rimanere in Italia, non sarà uno dei tanti cervelli in fuga. Resterà a Scampia (quartiere alla periferia nord di Napoli), dove ha vissuto e vive occupandosi di supercondensatori, argomento della sua tesi di laurea, tra l’altro, per una nascente Start up. A questo proposito dice:                                                                                                                                                                                    «Né io sono speciale nel bene né Scampia è speciale nel male. Io non mi sento uno che ce l’ha fatta perché Scampia non è una zona di guerra, ma un quartiere di periferia che condivide le stesse criticità di un qualsiasi altro hinterland d’Europa. L’autostima funziona quando la tua città riesce a trasmettertela a priori, non dopo che hai raggiunto il risultato. Questo può avvenire (e sta già avvenendo) recuperando la propria cultura e scardinando quei pregiudizi che sono radicati in noi, come il fatto che i napoletani non sanno fare impresa. È la società che si deve responsabilizzare per far riscoprire il passato e le proprie radici, infondendo quell’autostima che ti permette di poter fare grandi cose».

Ho rimarcato alcuni passaggi perché mi sembrano molto significativi, sopratutto in risposta a tutti quelli del: “#AMessinaNonC’èNenti”. Non lasciatevi ingannare, non è vero! Ci siete voi che leggete, con tutta la voglia di scoprire, imparare e fare. Come? Semplicemente vivendo intensamente questa realtà, a partire da quello che gratuitamente abbiamo ricevuto, proprio come un dono.

 

Ivana Bringheli