Francesco Galletti in mostra con “I quattro elementi”

©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019

Francesco Galletti, autore della mostra “I quattro elementi” è un artista cresciuto nelle vie messinesi dove tutt’oggi vive e lavora. Avendo da sempre nutrito e coltivato una forte passione, propensione e predisposizione per gli studi artistici, dopo il diploma conseguito al liceo artistico, continua con questo percorso laureandosi in pittura all’Accademia delle belle arti “Kandiskij” di Messina. Nell’agosto dello stesso anno partecipa al XXVII concorso di pittura nazionale del Castello di Spadafora (Me) ottenendo il secondo premio della critica. All’ottobre del 2018 risale la sua prima personale alla Villa Barone Alfieri di Pozzallo. L’1 Marzo Francesco Galletti invita i cittadini all’inaugurazione della sua prima mostra nella città in cui è nato, Messina, ospitata nella sala di esposizioni del cinema Apollo, dove fa sfoggio della bellezza artistica delle sue pitture astratte in tutte le sue sfaccettature. La mostra si è resa visitabile per due settimane, consentendo libero accesso all’arte e a tutto ciò che ne concerne, fra colori e forme di significato diverso. Le opere d’arte prendono il nome de “I quattro elementi” in quanto pitture realizzate con i colori dei quattro elementi della natura. L’evento si è concluso il 19 Marzo, con riscontro estremamente positivo da parte del pubblico, che si è mostrato interessato a una nuova entusiasmante e creativa esperienza artistica.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Dalila De Benedetto

Si riporta qui di seguito una galleria di foto della mostra:

©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019

Falvetti ritorna a Messina: finisce una attesa durata oltre tre secoli

A volte ritornano. È davvero il caso di dirlo, perché spesso la memoria storica si comporta in modo strano: capita spesso di leggere di personaggi che ai loro tempi erano quasi degli sconosciuti che muoiono soli e dimenticati da tutti, ma dopo la morte ricevono la fama meritata.
Più raramente, capita anche di incontrare casi contrari: personaggi famosissimi ai loro tempi, celebrati ed acclamati come i più grandi della loro categoria, scivolare lentamente nell’oblio e restarci magari per secoli, dimenticati da tutti.
In realtà, non sappiamo a quale di queste due categorie fosse appartenuto Michelangelo Falvetti, compositore di origini calabresi che operò a Messina come maestro di cappella del Duomo, a partire dal 1682. Quello che è certo è che con lui la Storia è stata davvero impietosa: dimenticato per secoli; riemerso dalle sabbie del tempo una decina d’anni fa, con grande successo internazionale di pubblico e critica; ma ancora completamente ignoto nella sua città, la città che lo vide formarsi e scrivere alcuni dei suoi lavori più belli, Messina.
Aveva ragione il Poeta: nemo propheta in patria. Ma la ruota gira e con l’anno che viene, Messina potrebbe assistere al ritorno a casa di questo suo grande figlio dimenticato.
Noi di UniVersoMe vi avevamo già raccontato la sua storia in un nostro vecchio articolo sulla rubrica Personaggi e avevamo chiuso auspicandoci che in un futuro non troppo lontano le sue note potessero tornare a risuonare nella città dello Stretto. Adesso pare che questi auspici siano diventati realtà: domenica 6 gennaio, alle ore 18:00 al PalaCultura, nel contesto della programmazione concertistica della Filarmonica Laudamo, andrà in scena “Il Diluvio Universale”, oratorio in quattro atti considerato il capolavoro di Michelangelo Falvetti, da lui scritto in occasione del suo insediamento come Maestro della Real Cappella del duomo di Messina.
Sotto la bacchetta del Maestro Carmine Daniele Lisanti, contrabbassista, compositore e direttore ormai veterano nella scena musicale messinese, il coro polifonico “Luca Marenzio” si cimenterà nell’esecuzione di questo “dialogo a cinque”, accompagnato dagli strumentisti dell’Ensemble Orpheus, esperti in pratiche esecutive storiche, su strumenti d’epoca. Parteciperanno all’esecuzione anche il coro di voci bianche “Piccoli Cantori di Barcellona P.G.” diretti dal Maestro Salvina Miano e il coro “Note Colorate”, del Maestro Giovanni Mundo.
L’oratorio, piccola gemma del vasto repertorio di musica sacra tardo-seicentesca, si articola in quattro atti che parafrasano la vicenda biblica del Diluvio Universale, mettendola in scena senza rinunciare al gusto tutto barocco per il drammatismo e la spettacolarità. A dialogare col coro e l’orchestra, i solisti Santina Tomasello e Alessandra Foti (soprani), Caterina d’Angelo (contralto), Angelo Quartarone (tenore), Simone Lo Castro, (controtenore), e Daniele Muscolino (basso) impersoneranno i protagonisti dell’oratorio: i quattro elementi Aria, Acqua (soprani) Fuoco (tenore) e Terra (basso), la Giustizia Divina (contralto), Noè (tenore), Rad (soprano), Dio (basso), l’Humana Natura (soprano) e la Morte (contralto).
Sarà un evento di musica e cultura da non perdere, che si spera possa costituire uno dei tanti passi, per la città di Messina, verso il recupero della propria identità artistica e culturale, per secoli trascurata, ma sempre pronta a rifiorire in tutta la propria bellezza.

Gianpaolo Basile

Il Natale a Messina: tradizione, arte e storia in una prospettiva di rinascita

@GIULIAGRECO2018

L’aspetto religioso è per Messina, oltre che un elemento culturale di identità, un’immagine di rinascita. Il culto mariano nei momenti critici che hanno coinvolto la città, dalle terribili ondate di pestilenza ai terremoti, fino ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ha fornito un sostegno per risollevare gli animi in una storia, quella di Messina appunto, caratterizzata da profondi traumi, ma anche da slanci e riprese vitali. Più che un’esteriore forma di devozione il richiamo ai valori della fede è quindi per i messinesi un elemento di attaccamento alle proprie radici cittadine. E’inevitabile che le celebrazioni del Natale si leghino fortemente alle usanze e al folclore. Una relazione espressa sotto aspetti diversi e che tocca anche l’arte e la musica: sono moltissime le modalità e le usanze, radicate nella tradizione della città, di festeggiare e raffigurare il momento della Natività.

Bambinello Gesù, Francesco Juvarra http://www.messinareligiosa.it

A partire dal simbolo per eccellenza: il presepe. Fino agli anni ’40 – ’50 l’albero di Natale era percepito con indifferenza, se non con aperta ostilità per via delle sue origini slegate dalla religione cattolica; Giuseppe Arena lo definì una “scimmiottagine”, un oggetto di una moda passeggera destinata negli anni a scomparire. Nelle case si preferiva mettere le statuine dei personaggi, spesso realizzate a mano dalle botteghe degli artigiani. Una tradizione, quella del presepe, che risale a moltissimo tempo prima. Qualche volta si trattava persino di opere monumentali ed eccentriche, come il presepe nella casa del cavaliere Calamarà che, come riportano le testimonianze, si snodava per sette stanze o quello di Salvatore Bensaia che conteneva all’interno addirittura i pali del telegrafo. Connessa al presepe, sotto il profilo del manufatto artistico, è anche la tradizione molto antica, presente già nel ’600-‘700, dei bambiniddari: statue del bambin Gesù in cera d’api. La produzione era estremamente diffusa, in Sicilia e a Messina, tanto da ottenere una grande popolarità ed essere richiesta nei salons di Parigi. Uno dei bambinelli si trova oggi nella chiesa di Gesù e Maria delle Trombe; è un’opera molto venerata, realizzata da Francesco Juvarra, fratello dell’architetto Filippo, a cui il popolo attribuì poteri miracolosi.

In campo artistico massima espressione della Navità a Messina è naturalmente la tela dell’Adorazione dei Pastori di Caravaggio del 1609 contenuta nel Museo Regionale. L’opera, che venne commissionata dal senato della città, fu fatta dall’artista durante il passaggio in Sicilia dopo essere fuggito dal carcere de La Valletta dove venne rinchiuso in seguito a una violenta rissa. L’incarico prevedeva la realizzazione di una pala d’altare destinata alla chiesa di Santa Maria della Concezione, distrutta dal terremoto. La scena rappresenta Maria in atteggiamento realistico e umile insieme a San Giuseppe e i pastori, avvolti da un fascio di luce che rischiara la scena e mette sullo sfondo il resto, compresi il bue e l’asino. Stesso tema ebbe l’opera trafugata a Palermo, la Natività con i Santi Lorenzo e Francesco D’Assisi. Per Caravaggio il Natale, come ha scritto il Professore Tomaso Montanari “è la festa della dignità del corpo umano: non importa quanto indifeso, stanco, piccolo, umile, povero, migrante. Anzi, proprio per questo, divino”.

@GIULIAGRECO2018

 

“Diciamo d’un remoto Natale in un paese ai piedi dei Nebrodi, nella piana fitta d’ulivi e d’aranci, il mare di fronte con le Eolie fantasmatiche all’orizzonte e le boscose colline alle spalle, l’immenso Etna in fondo di nevi e caligini (…) In questo tempo, dopo il rito liturgico, c’era la notte l’attesa di un’altra novena, quella cantata sotto il balcone dai ciaramiddari, cantata dal cieco (…)” (Vincenzo Consolo, Un remoto e un recente presepe)

http://www.strettoweb.com/foto/2018/12/natale-a-messina-tradizioni-storia-usanze/785451/

Ma soprattutto era la musica della zampogna a rendere gioiose e allegre le notti di Natale, in particolare prima del terremoto. C’erano allora i cosiddetti ciaramiddari, i zampognari di Camaro che intonavano le loro tipiche ninne nanne della Novena e i vecchi cechi, chiamati i “sonaturi orbi”, accompagnati da chitarra e violino e da un picciotto che suonava l’azzarino (il triangolo). Giovanni Pascoli, che a Messina abitò dal 1898 al 1902 per insegnare all’Università, scrisse proprio in quel periodo la poesia Le ciaramelle: “udii tra il sonno le ciaramelle/ho udito un suono di ninne nanne/ci sono in cielo tutte le stelle/ ci sono i lumi delle capanne”. Viva ancora oggi è invece la tradizionale processione che la notte del 24, dopo la messa di Natale, parte dalla chiesa di S. Francesco all’Immacolata trasportando tra musiche e fuochi d’artificio un bambinello in cartapesta del XVIII secolo.

Eulalia Cambria

Santi Pietro e Paolo: un monastero basiliano nell’antica valle fluviale d’Agrò

A poco più di 40 km da Messina, nella natura boschiva dei Monti Peloritani, sulla costa Jonica, sorge nella sua solitudine non ancora intaccata, una chiesa di impianto bizantino e arabo-normanno. Quasi senza dare alcun preavviso di sé appare in mezzo al verde, nei pressi di Casalvecchio Siculo, dopo avere percorso un itinerario che si inerpica su strade di campagna. La valle, abbracciata tutto intorno dal torrente Agrò, uno dei corsi d’acqua maggiori della costa, che deve il nome alla parola αγρός, terra coltivata, grazie alla presenza dei campi è stata frequentata dall’uomo fin dai tempi antichi. Ne sono una testimonianza i ritrovamenti risalenti al neolitico, ma nei secoli molti altri popoli tra cui fenici, greci, bizantini e arabi hanno coltivato e abitato le terre fertili attorno alle sue acque, disseminando nel territorio una serie di centri urbani. Dall’antica Phoinix, emporio dei fenici, al cui posto oggi sorgono i comuni di Savoca e Santa Teresa, furono prelevate anche sei colonne di granito utilizzate per riedificare la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

Esito della convergenza nel tempo diversi stili architettonici, il complesso si presenta oggi in discreto stato di conservazione. Dal profilo esterno, osservando la merlatura del tetto, è chiaro che ebbe un tempo il ruolo di fortezza: la sua particolare posizione permetteva ai monaci, fin dall’epoca normanna, di tenere d’occhio la valle che collegava il mar Tirreno allo Ionio. In base all’Atto di Donazione, scritto in greco nel 1116, che fu tradotto in latino da Agostino Lascaris, il conte Ruggero II D’Altavilla, durante un viaggio da Palermo a Messina, incontrò il monaco Gerasimo dell’ordine dei basiliani. Il frate chiese al sovrano normanno il consenso per edificare la chiesa e coltivare i campi nel territorio, ottenendo la facoltà anche di controllare un intero villaggio, dove oggi sorge il borgo di Forza D’Agrò. In seguito a un violento terremoto che colpì la Sicilia orientale nel 1169 la chiesa venne ristrutturata dall’architetto Gherardo il Franco, come si osserva dall’iscrizione in greco che appare nell’architrave del portale dell’edificio.

Le origini della costruzione risalgono però a epoche più remote. Il nucleo della chiesa è bizantino e può essere datato al 560 d.C. Il motivo a spina di pesce e l’alternanza del bianco e del nero delle pietre laviche dell’Etna nelle decorazioni esterne  sono alcuni degli elementi che si possono riconoscere di questo stile, evidente anche nella croce di tipo bizantino incisa nella porta di ingresso. All’elemento arabo, risalente alla fase di conquista islamica, è da ricondurre la forma caratteristica delle cupole e il disegno ad alveoli che sorregge quella che delle due copre il presbiterio. L’abside, rivolto verso est, assume all’esterno la forma di un torrione rettangolare, mentre ai lati dell’ingresso principale compaiono due torri, caratteristica, questa, delle grandi cattedrali normanne, come quelle di Cefalù e Monreale. All’interno invece la pianta si presenta a tre navate, con volta a crociera nelle navatelle e piana nella copertura centrale. Priva di elementi pittorici conservati, appare spoglia e raffinatamente decorata nella struttura in pietra. Pochi ruderi restano invece di quella che fu un tempo la biblioteca che costituiva parte dell’edifico annesso all’abbazia.

L’insieme di più stili, elemento che richiama la storia dei popoli che hanno colonizzato la Sicilia e la sua ambientazione silenziosa, oltre all’atmosfera sacrale che l’avvolge, fanno della Chiesa di San Pietro e Paolo D’Agrò un gioiello dell’architettura siciliana. Dopo che anche una richiesta ufficiale è stata avanzata per l’inserimento tra i siti UNESCO c’è da sperare che si prosegua nell’operazione di valorizzazione e promozione turistica dell’abbazia e del suo comprensorio. Attualmente la chiesa è accessibile al pubblico ed è possibile visitarla negli orari di apertura.

@FOTO DI Salvatore Cambria

Eulalia Cambria

… Messina 1949 è il nome di un asteroide?

Pochi sanno che di Messina come città ne esistono due, una nella ridente isola del Mediterraneo e l’altra in Sud Africa; ancora meno persone sono a conoscenza che addirittura nello spazio, nella fascia tra Marte e Giove (detta fascia principale degli asteroidi) vi è un corpo celeste, scoperto l’8 luglio del 1936 da Cyril V. Jackson, che venne chiamato proprio 1949 Messina. I motivi di tale denominazione sono probabilmente riferibili al soggiorno che lo scienziato stesso ebbe nella città sullo Stretto, e rimanendo affascinato dalla solarità dei cittadini e dalle bellezze del paesaggio pensò di dedicare la scoperta proprio alla nostra città.

Sebbene la vita degli asteroidi sia abbastanza breve a causa della loro conformazione che per materiali è molto simile a quella terrestre, per quel tanto che 1949 Messina rimarrà nello spazio ci sarà sicuramente da andarne fieri.

Paola Puleio

… l’opera di un messinese si trova nel centro di New York?

Ebbene sì, le abili mani di un messinese hanno dato forma al monumento che si trova in una delle principali piazze di New York: si tratta dell’opera dedicata a Cristoforo Colombo, al Columbus Circle. Di quest’ultima avrete sicuramente sentito parlare: in una posizione centrale nel distretto di Manhattan, ha forma circolare e fa da punto di intersezione tra alcune delle principali vie newyorkesi (la Broadway, la 59th Strada, 8th Avenue e Central Park West).

A pochi passi da Central Park e dalla Trump Tower, è davvero uno dei luoghi più noti nella metropoli statunitense, tant’è vero che proprio da qui vengono misurate tutte le distanze ufficiali da New York.

https://thebronxchronicle.com/2017/09/26/italian-american-orgs-ask-nyc-pols-for-stances-on-columbus-circle-monument/

La cosa che a noi qui più interessa è che questa piazza prende nome dal monumento a Cristoforo Colombo, posto in tal luogo nel 1892, e intorno al quale la piazza stessa è stata progettata nel 1905. L’iniziativa della costruzione del monumento, in occasione dei quattrocento anni dalla scoperta dell’America da parte di Colombo, fu presa dal giornale italo-americano Il Progresso. Il direttore e proprietario del giornale, cav. Carlo Barsotti, indisse una sorta di gara per individuare lo scultore che avrebbe dovuto realizzarlo, ammettendo però solo artisti di nascita italiana. La scelta alla fine ricadde su Gaetano Russo, messinese la cui fama era giunta oltreoceano. Nato nel 1847 sulla sponda sicula dello Stretto, poco più che ventenne ricevette un sussidio dal comune per continuare i suoi studi artistici a Roma. Ricevette numerose commesse sia nella capitale che a Messina, ma ciò per cui oggi viene ricordato è questa sua opera, realizzata a Roma e posta poi a campeggiare al centro di New York. Si tratta di una statua in marmo di Carrara, raffigurante il navigatore genovese in posizione fieramente eretta, la barra del timone stretta nella mano destra e lo sguardo orgoglioso e penetrante volto leggermente a sinistra. La statua poggia su un’altissima colonna (circa 21 metri) in granito rosso di Ravenna, sulla quale sono rappresentate le tre caravelle in bronzo. Ai piedi della colonna, un angelo (anch’esso in marmo di Carrara) che regge il globo. L’angelo e la colonna si ergono su un largo basamento rettangolare, ai cui lati troviamo due bassorilievi in bronzo che riproducono i momenti dello sbarco di Colombo e la sua flotta nelle Americhe. Sempre sul basamento, trova posto l’iscrizione:

 A
   Cristoforo Colombo
gli italiani residenti in America.
Irriso prima
minacciato durante il viaggio
incatenato dopo
sapendo esser generoso quanto oppresso
donava un mondo al mondo.

La gioia e la gloria
non ebbero mai piu solenne guido
di quello che risuono in vista
della prima isola americana
terra! terra!

Nel 12 ottobre 1892
quarto centenario
della scoperta d’america
a imperitura memoria.

 

Recentemente il monumento si è trovato al centro delle proteste del movimento “anti-Colombo”, il quale ritiene lo storico navigatore responsabile di aver dato il via, con la sua scoperta, al massacro degli Indios. Per questo, è stata chiesta la rimozione di vari monumenti e statue a lui dedicati, tra cui appunto anche quello di Columbus Circle. Alla fine, però, è stato raggiunto un compromesso: accanto all’opera di Russo sorgerà un monumento dedicato alle popolazioni indigene, cosicché, come ha dichiarato il sindaco di New York Bill De Blasio, «gli spazi pubblici riflettano la diversità e i valori della città».

Francesca Giofrè

L’Avventura nel viale San Martino: sulle tracce di Michelangelo Antonioni

Messina mi ha colpito di più, come ha colpito tutti gli altri: è una città che si differenzia radicalmente da tutte le altre dell’isola” (Michelangelo Antonioni, La tribuna del Mezzogiorno, 8 dicembre 1958)

Prima di trasformarsi in fotogrammi le immagini del cinema prendono forma nel canovaccio della sceneggiatura. Partendo da questo presupposto, e da un incrocio attraverso i generi dell’arte, cercheremo di Leggere Messina con le inquadrature della macchina da presa.

È 1960. L’anno della Dolce Vita. L’immaginario è popolato di starlet e paparazzi. L’avanguardia sperimentale e l’esplorazione degli stati mentali sono un territorio vivo nelle mani dei cineasti. Fa sfoggio di sè un’Italia benestante, economicamente sicura, ma non per questo libera da inquietiduini e incertezze. Dieci anni prima Roberto Rossellini (clicca quì per il link all’articolo) aveva portato alle Eolie una troupe cinematografica, scontrandosi con l’asprezza delle rocce a picco e arrivando a inserire il paesaggio sullo stesso piano della solitudine esistenziale dell’attrice protagonista. Le difficoltà, non soltanto a livello di produzione, incontrare durante la realizzazione dell’Avventura (di cui ha parlato anche Antonioni, ad esempio nell’articolo apparso sul Corriere della Sera, Le avventure dell’Avventura) in un certo senso creano un sodalizio di emozioni con lo scenario con cui si scontrano: il mare perennemente scosso, gli ostacoli negli spostamenti e i problemi materiali durante le riprese sono stati un fattore non da poco nella riuscita dell’opera. Il film è il primo di una trilogia di lungometraggi che ha al centro il tema dell’incomunicabilità, seguito dal più noto La Notte (1961) con Marcello Mastroianni e L’Eclisse (1962). A questi può essere avvicinato Deserto Rosso, il capolavoro del regista, realizzato a colori nel 1964. I rapporti umani, specialmente quelli di coppia, sono attraversati dal tarlo del dubbio, dall’instabilità e dall’impossibilità di esprimersi, di confrontarsi realmente con i sentimenti. A una dimensione razionale, tipica del neorealismo, si oppone l’ombra dello smarrimento e dell’angoscia.

La sparizione di una ragazza appartenente alla borghesia benestante romana, Anna (Lea Massari), arrivata insieme a un gruppo di amici su uno yacht nell’isolotto di Lisca Bianca, vicino Panarea, è un espediente della trama che non incide sullo svolgimento complessivo del film, che si concentra tutto sull’amore tra Sandro (Gabriele Ferzetti) e Claudia (Monica Vitti),  infatuati l’uno dell’altra durante la ricerca, pretestuosa più che interessata, di Anna. Molte le riprese realizzate in Sicilia; dalle Eolie (a Lisca Bianca, Michelangelo Antonioni tornerà nel 1983, girando un corto in ricordo dell’Avventura), Noto, Bagheria, Milazzo, Taormina e Messina. Le scene riguarderanno esterni, come quelli a Noto e alla stazione di Milazzo, ma anche l’interno di un treno che va a Palermo e ferma a Castroreale. L’Hotel San Domenico di Taormina sarà al centro di una serata mondana dove si ritrovano gli altri protagonisti e dove si consumerà il tradimento di Gabriele (nella sceneggiatura con una ragazza messinese, poi sostituita da una escort straniera), mentre la scena finale sulla terrazza, in un certo senso il perno concettuale del film, girata nello stesso albergo, mostrerà alle spalle di Claudia l’Etna coperta di neve. La luce fredda e la desolazione delle ambientazioni, nonostante si aggirino sul fondo delle vicende psicologiche, sono un fattore preminente nel cinema di Antonioni, come lo stesso regista ha ammesso. Per Nino Genovese, che ha curato il volume Messina nella sua Avventura. Omaggio a Michelangelo Antonioni, i paesaggi non rappresentano un fondale scenografico, ma hanno una preminente funzione stilistico-espressiva.

Nella scena di quattro minuti girata a Messina appare un campo lungo sul viale San Martino. Le riprese iniziano il 9 dicembre 1959. La strada è affollata da centinaia di ragazzi elettrizzati dalla presenza di una bella donna in abiti succinti. Gabriele è andato lì per parlare con un giornalista de L’Ora e avere delle testimonianze sui diversi avvistamenti che hanno coinvolto la fidanzata Anna. La sequenza principale avviene nel bar Grotta Orione. Quì Gloria Perkins (Dorothy de Poliolo) viene accerchiata. Poco dopo, quando finalmente la ragazza riesce a liberarsi grazie all’intervento della polizia, l’inquadratura si sposta di nuovo sul viale San Martino, all’altezza del negozio Lisitano (ancora oggi esistente). Alla fine dell’inquaratura si vede in lontananza lo stretto e l’incrocio col Viale Europa (Quartiere Lombardo). Al posto del bar Grotta Orione – un ritrovo all’epoca – adesso c’è un palazzo moderno al cui piano terra si trova un altro bar. L’episodio girato a Messina si è realmente verificato a Palermo, tuttavia Antonioni preferì non ambientarlo nel capoluogo perché i palermitani erano considerati più irascibili dei messinesi, e si temeva potessero opporre una maggiore avversione alla troupe che alloggiava al Jolly Hotel. Tantissime le testimonianze dei giovani che per 3.000 lire vennero coinvolti come comparse. Tra queste è particolarmente curiosa quella di Francesco Cimino, riportata nel volume di Nino Genovese, che viveva nella Casa dello studente di Messina e parlò del film anche con il rettore Salvatore Pugliatti. Il giovane faceva allora parte del Senato goliardico Accademico dell’Ateneo ed entrò in contatto, nel bar Irrera di piazza Cairoli, con dei componenti della produzione che diedero appuntamento il giorno dopo per un colloquio con Antonioni per affidargli il ruolo di un farmacista nella scena a Casalvecchio Siculo. Cimino sarà in seguito anche uno degli organizzatori del Festival dello Spettacolo universitario messinese.

L’Avventura è il primo film importante di Monica Vitti che, dopo questa parte, accompagnerà Antonioni in alcune delle sue pellicole maggiori. L’attrice ha un filo più diretto che la lega a Messina, avendo vissuto l’infanzia in città fino all’età di 8 anni. L’opera trionferà al Festival di Cannes nello stesso anno, ottenendo il plauso della critica, nonostante i fischi da parte di alcuni spettatori presenti che non apprezzarono l’inchiesta del triller trasfornarsi in analisi dell’interiorità umana. A quasi 60 anni di distanza il bianco e nero delle increspature del mare e degli scogli dell’isola di Lisca Bianca, l’ambientazione urbana di Messina in un periodo di fervore sociale e culturale, il vacillare sottile dei sentimenti d’amore, sono ancora elementi intatti di un capolavoro che ha condizionato la storia del cinema e la carriera del regista. Per celebrare il passaggio di Michelangelo Antonioni e la sua Avventura messinese, tra viale San Martino e viale Europa nel 2007 è stata posizionata una targa.

Bibliografia:

Omaggio a Michelangelo Antonioni. Messina nella sua Avventura, a cura di Nino Genovese, 2007

L’Avventura ovvero l’isola che c’è, Edizioni del centro studi di Lipari, 2000

Eulalia Cambria

Fiumara d’Arte, un percorso di bellezza e ostacoli tra storia e modernità

Labirinto di Arianna http://labirinti.altervista.org/italo-lanfredini-labirinto-arianna/?fbclid=IwAR2JCjxboAyoWKjWogVxJHaF1dChtUjt5-VXMpE5noZiGSAegs0wJwSpuwI

Nella parte settentrionale della Sicilia, a ridosso delle coste Tirreniche, si estende l’antica Valle dell’Halaesa, situata in quello che oggi è il Comune della città medievale di Tusa, in provincia di Messina. A fare gli “onori di casa” è Castel di Tusa, frazione marina della cittadina medievale che apre letteralmente le porte alla Valle, circondata dalle colline e attraversata dalla Fiumara di Tusa, in un paesaggio pieno di suggestioni artistiche, passate e presenti. Proprio in questo scenario, sospeso tra storia e modernità, natura e scultura, il torrente di Tusa – un tempo fiume che arrivava fino all’antica città di Halaesa – è diventato oggetto di un progetto artistico battezzato “Fiumara d’Arte”, iniziato nel 1982, ad opera di Antonio Presti, mecenate siciliano che decise di dedicare se stesso e il proprio patrimonio personale all’arte, celebrandola attraverso la creazione di una serie di imponenti sculture, commissionate di volta in volta a stuoli di artisti internazionali e dando vita a quello che, ad oggi, è il più grande museo all’aperto d’arte contemporanea d’Europa. Il progetto artistico nasce con l’intento del suo fautore di fare un regalo alla Sicilia, celebrando la bellezza attraverso la rappresentazione dell’impegno civile ed estetico dell’uomo, con la scelta, non casuale, di far nascere il progetto in terreno demaniale, proprio a far emergere lo spirito di condivisione di cui l’arte dovrebbe essere pervasa. Egli stesso spiega: ” Perché io non ho mai voluto possedere l’opera ma soltanto l’idea, in una società in cui tutto è al servizio del denaro ed è subordinato al possesso dei beni“, sottolineando la forte connotazione sociale ed etica di cui è pregna Fiumara d’Arte, pensata allo scopo di creare una coscienza legata alla cultura, attraverso un rapporto differente con la bellezza.

La materia poteva non esserci https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2015/05/Pietro-Consagra-La-materia-poteva-non-esserci.jpg

Il progetto si costituisce di una serie di sculture disseminate lungo il greto del fiume, che sfocia nel mare di Castel di Tusa, in un percorso esplorativo volto a creare una sorta di circuito d’arte, che attraversa le diverse città e i diversi comuni presenti nel territorio della Valle, da Castel di Tusa a Santo Stefano di Camastra.La storia dell’ Associazione Culturale Fiumara d’Arte inizia nel 1982, quando, a seguito della morte del padre, Presti commissiona a Pietro Consagra la creazione di una gigantesca scultura in cemento armato, alta 18 metri. L’opera, che dà il via al percorso d’arte, fu creata nel 1986 e intitolata ” La Materia Poteva non Esserci“. Nello stesso anno venne annunciata la creazione del museo a cielo aperto, su approvazione di tutti i sindaci dei comuni del comprensorio messinese. Di lì a poco il progetto Fiumara d’Arte si amplia, annoverando sempre nuove sculture al suo percorso.

Una curva gettata alle spalle del tempo https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2015/05/Paolo-Schiavocampo-Una-curva-gettata-alle-spalle-del-tempo-1988-Fiumara-dArte.jpg

Lo stesso anno Presti contatta subito un altro scultore, Paolo Schiavocampo, al quale commissiona una scultura da porre al bivio tra la strada che porta a Castel di Lucio e una vecchia strada di campagna. L’opera, inaugurata il 30 gennaio 1988, dal nome suggestivo “Una curva gettata alle spalle del tempo” consiste in un monolite di cemento armato e ferro, collocato ai margini di una curva, che si avvolge su se stessa imitando il movimento di una vela battuta dal vento, situata tra la via antica e quella nuova, simboleggia un punto di unione tra passato e futuro. IL 24 giugno 1989 è la volta dell’opera di Tano Festa, inaugurata un anno dopo la morte dell’artista. L’opera “Monumento per un poeta morto“, dedicata al fratello di Festa, venne ribattezzata dai visitatori “Finestra sul mare” proprio per il suo impatto visivo. Situata sul lungo mare di Margi, una cornice alta 18 metri in cemento armato e ferro, che ricorda, appunto, una grande finestra che incornicia il mare. Colorata di un azzurro interrotto soltanto dalle nuvolette bianche, ricorrenti nei temi dell’artista, e un monolite nero che l’attraversa a ricordare la finitezza dell’essere umano.

Finestra sul mare https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/31080793585?fbclid=IwAR0sHJwm_aA9ZptrIUO_ymaKYnsfy3qweMEA91ar8oc48h208m7KCKeQvso

Consecutivamente vengono inaugurate le opere: “Stanza di barca d’oro” dell’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa sul torrente Romei; un vano ipogeo, introdotto da un corridoio sotterraneo di 35 metri rivestito di lastre metalliche, nel quale si evidenzia la sagoma di una barca capovolta rivestita di foglie d’oro, raccordata al suolo dal suo albero maestro in marmo rosa. “Energia mediterranea” di Antonio Di Palma, un manto azzurro che sale e poi scende dolcemente, che idealmente lega la montagna al mare, una grande onda di cemento blu, posizionata sulle montagne di Motta d’Affermo, e “Labirinto di Arianna” di Italo Lanfredini. Il labirinto, è un percorso fisico, ma anche interiore: attraverso un varco naturale si entra nel labirinto e si esce dal labirinto, a simboleggiare il percorso dell’uomo che, nel tempo, entra ed esce dalla scena. Lo scopo dell’opera è quello di far intraprendere al visitatore un percorso spirituale oltre che fisico, spingendolo a porsi delle domande esistenziali in un posto ed in una dimensione a-temporale, in cui è impossibile interrogarsi. Il percorso continua con “Arethusa“realizzata da Piero Dorazio e Graziano Marini, costituita da una coloratissima decorazione in ceramica della caserma dei carabinieri di Castel di Lucio. Una spiacevole vicenda giudiziaria però, intralcia il progetto artistico, costringendolo ad un’importante battuta d’arresto, proprio il giorno in cui viene battezzato. Le numerose opere di Fiumara d’Arte vengono poste sotto sequestro, con l’accusa di abusivismo edilizio, e vengono avviati una serie di procedimenti giudiziari che danno il via all’intricata storia processuale che ne blocca il completamento e che durerà ben 25 anni. Nel frattempo Presti inaugura, nel 1991, L’atelier sul mare, un albergo-museo d’arte contemporanea a Castel di Tusa, destinato a diventare il punto di partenza del percorso Fiumara d’Arte. Le camere dell’Art Hotel sono delle vere e proprie opere d’arte, realizzate da artisti internazionali, proseguendo l’utopia artistica pensata da Presti.

Stanza-opera d’arte http://www.isolaeisole.com/wp-content/uploads/2016/07/unser-art-zimmer.jpg

La fiumara venne difesa da una serie di movimenti da parte di moltissimi artisti e intellettuali. Nel 1991, il mecenate organizza una manifestazione “un chilometro di tela“, che si svolgera nel paese di Pettineo, e convoglierà duecento artisti che dipingeranno la tela, per poi tagliarla in pezzi e darli in dono agli abitanti, le cui case diventeranno “museo domestico”. Nel ’93 Presti invita quaranta artisti ceramisti provenienti da tutta Europa a realizzare un’opera collettiva sul muro di contenimento di una delle strade della Fiumara, che diventa così “Il muro della vita“. Una nuova ondata di mobilitazione generale parte da Roma, un gruppo di artisti e intellettuali sollecita l’intervento del ministro dei Beni Culturali Alberto Ronchey, mentre una petizione firmata da 60 nomi della cultura italiana esorta il governo regionale ad agire per evitare la demolizione. Il 23 febbraio del 1994 la Corte di Cassazione chiude la vicenda annullando l’ordine di demolizione, i provvedimenti della Corte d’Appello e le richieste della Procura di Messina. All’albergo-museo si festeggia con l’apertura di otto nuove stanze d’artista. Quando la situazione si ribalta ed è Presti a denunciare tutti i sindaci e la Regione Siciliana per incolumità civile, interviene all’appello il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e finalmente, il 6 gennaio del 2006, dopo 25 anni di battaglie, viene riconosciuto il Parco di Fiumara d’arte, aiutato dal Governo regionale che ha approvato l’istituzione del percorso turistico culturale di Fiumara d’Arte.

38° parallelo – piramide http://politano-national-geographic.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2011/04/piramide480.jpg

Nel maggio del 2007 si assiste alla riapertura dell’opera “La finestra sul mare“, che due anni prima Presti aveva coperto con un tendone scrivendoci sopra “chiuso” in tutte le lingue, per opporre un rifiuto al rifiuto delle istituzioni. Così a distanza di 25 anni dall’inizio della storia travagliata di Fiumara d’Arte, per il progetto artistico comincia una nuova storia, quella “istituzionale”. Alle sculture viene finalmente riconosciuto il diritto di tutela. Nel 2010, Mauro Staccioli crea l’ultima opera destinata a completare la collezione, e così il percorso di Fiumara d’Arte. La scultura “38° parallelo – Piramide” sorge su una leggera altura del territorio di Motta d’Affermo, le cui coordinate geografiche centrano esattamente la consistenza matematica del trentottesimo parallelo. Nominando in tal modo l’opera, l’artista suggella l’intrinseco legame dell’opera alla geografia del luogo. Di forma piramidale cava realizzata in acciaio corten, parzialmente sprofondata nel territorio roccioso, cattura la luce solare attraverso la fessura, registrando nel proprio ventre geometrico i riverberi luminosi dallo zenit al tramonto.

 

Giusi Villa

 

Gaetano Salvemini: professore, storico, meridionalista, antifascista

https://parentesistoriche.altervista.org/salvemini-luchaire-fantarella-donzelli/

Il nostro antico Ateneo ha vantato illustri Professori, tra di essi sicuramente da ricordare è Gaetano Salvemini. Importante storico e politico italiano, insegnò all’Università di Messina nei primissimi anni del Novecento.

Pugliese di nascita (nacque a Molfetta nel 1873), trascorse diversi anni in Sicilia. Dopo essersi laureato in lettere a Firenze a soli ventitré anni, lavorò infatti in una scuola media di Palermo come professore di latino. Era comunque chiara fin da allora la sua predilezione per gli studi storici: fin dagli anni universitari si era appassionato alla storia medievale, dimostrandosi uno dei migliori in tal campo. Ed infatti, dopo la parentesi palermitana, insegnò storia nei licei classici di Faenza e di Lodi.

Giungiamo dunque al 1901, quando, giovanissimo, ottenne la cattedra di Storia medievale e moderna presso l’Università di Messina. A questa città rimarrà, suo malgrado, legato per sempre… e non solo perché sede della sua prima esperienza da docente universitario, ma anche e soprattutto perché qui perse la sua famiglia nel terremoto del 28 dicembre del 1908. La moglie, la sorella e cinque figli perirono in quella terribile notte, mentre lui solo si salvò e per giorni vagò alla ricerca di qualcuno che lo aiutasse a scavare tra le macerie di quella che era la sua casa. Di quella notte scrisse: “Ero in letto allorquando sentii che tutto barcollava intorno a me e un rumore di sinistro che giungeva dal di fuori. In camicia, come ero, balzai dal letto e con uno slancio fui alla finestra per vedere cosa accadeva. Feci appena in tempo a spalancarla che la casa precipitò come un vortice, si inabissò, e tutto disparve in un nebbione denso, traversato come da rumori di valanga e da urla di gente che precipitando moriva”. Lui stesso fu creduto morto, finché non fece sapere della sua sorte attraverso una lettera all’ Avanti!, pubblicata l’8 gennaio 1909.

Quella tragedia lo segnò inevitabilmente, anche sul piano professionale e politico: avvicinatosi al Psi fin dal periodo fiorentino, da quel momento portò avanti le sue battaglie con maggiore fervore, in particolare quelle relative alla piena realizzazione della democrazia italiana (si battè per l’introduzione del suffragio universale) e al riscatto del Sud, funzionale alla crescita economica e civile dell’Italia intera (a tal proposito tentò di saldare le rivendicazioni degli operai del Nord con quelle dei braccianti del Sud). Fu inoltre molto critico nei confronti di Giolitti, ad egli infatti dobbiamo la coniazione dell’epiteto “ministro della malavita” riferito proprio al politico piemontese.

In occasione dello scoppio della prima guerra mondiale, Salvemini si schierò sulle posizioni dell’interventismo democratico, tant’è che addirittura si arruolò volontario quando l’Italia entrò in guerra.

Eletto deputato nel 1919, all’avvento del fascismo si schierò subito contro Mussolini e lo fece con ancor più vigore dopo l’uccisione di Matteotti, nel 1924. L’anno dopo fu arrestato dalle milizie fasciste e messo in carcere, dove rimase qualche giorno. Una volta scarcerato, si dimise dall’Ateneo di Firenze dove insegnava e fuggì clandestinamente in Francia.  Da lì continuò la sua battaglia antifascista e con i fratelli Rosselli fondò il movimento Giustizia e libertà.

Nel 1934 il suo prestigio fu riconosciuto a livello internazionale: ottenne infatti la cattedra di Storia della Civiltà Italiana, creata appositamente per lui, all’Università di Harvard. Tornò definitivamente in Italia solo nel 1949, anno in cui gli fu restituita la cattedra all’Università di Firenze.

Trascorse i suoi ultimi anni a Sorrento, da dove continuò la sua battaglia politica, finché la morte non lo colse, nel 1957.

Ancora oggi la sua figura, dall’alta caratura morale, è ricordata in ambito politico come in quello storico. A Messina porta il suo nome l’Istituto di Studi Storici, fondato nel 1977 da un gruppo di docenti di materie storiche operanti nelle Università siciliane e calabresi.

Francesca Giofrè

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I mille volti della città incastonati nei luoghi della cultura: indagine per immagini e parole nel cuore di Messina

“A Messina la storia e l’arte non vanno “addosso” al visitatore; si lasciano inseguire, si fanno cercare, e si rivelano solo a chi sa dove trovarle”

Gianpaolo Basile

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2016

Che vi troviate soltanto di passaggio, arrivati da poco sulla banchina della stazione marittima o in viaggio sulle rotaie del tram, perduti nelle strade del centro tra la ricerca di una sede universitaria e un luogo dove riposarvi e osservare lo spettacolo del mare che si abbatte sulla Real Cittadella, oppure ci siate nati e cresciuti, avvezzi alla terra vicina e lontana che si offre al di là dello stretto, muoversi in uno spazio non è mai un’attività indifferente. Esplorare è il primo modo per conoscere a fondo ed è soprattutto la misura per rintracciare il senso profondo di un territorio e costruire gli itinerari di una propria geografia mentale. Ogni strada e ogni spostamento – anche nei dintorni – assume nella nostra memoria significati che dalla realtà vengono rielaborati e rapidamente trasferiti verso una dimensione fantastica. Di questa Messina introspettiva, raccontata dalle parole degli scrittori e dei letterati, abbiamo iniziato a tracciare le fila nella rubrica Messina da Leggere; ci siamo spinti alla ricerca dell’autore del Don Chisciotte nei giardini del Grande Ospedale, abbiamo ricordato una storia d’amore dal finale tragico contenuta dentro le novelle del Decameron, allacciato un legame tra Fabrizio De Andrè e il pirata Scipione Cicala, presentato le narrazioni di una raccolta di dieci racconti curata da un collettivo di autori contemporanei.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2017

Ma a indizio dei passaggi storici che il tragico terremoto di un secolo fa non ha cancellato rimane lo splendore dei monumenti e musei che raccolgono i reperti del passato; su Messina da Scoprire siamo partiti per un tour tra le fontane storiche, abbiamo visitato il Museo regionale interdiplinare con la sua collezione di opere di Antonello e di Caravaggio, descritto e mostrato attraverso le immagini la Badiazza, i Santuari della Madonna di Montalto e di Dinnamare fino ai luoghi della Street Art. Abbiamo tracciato le biografie di Personaggi di rilievo sul piano scientifico e artistico e, nella rubrica Messina in Pillole, rispondendo alla domanda “Lo sapevi che…?”, abbiamo trattato di curiosità e modi di dire, di imprese eccezionali, di fenomeni ottici, di lingua italiana e di viaggi sulla luna.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2016

Continueremo a farlo, ma non è finita qui. Il nostro invito a guardare attorno potrete viverlo da protagonisti grazie anche agli eventi e alle iniziative che di volta in volta segnaleremo. In tal senso le Vie dei Tesori, rassegna che sostiene il proposito di custodire la memoria e rafforzare l’identità tramite la scoperta di trenta presidi storico-artistici, insieme alla V edizione del SabirFest, festival di cultura e di cittadinanza mediterranea ospitato dall’Università degli Studi di Messina, hanno offerto un segnale destinato ad arricchire il calendario degli eventi che si spera possa essere, nei mesi a venire, sempre più attraente e più ricco di appuntamenti. Quest’anno una guida e un supporto valido, frutto di un sodalizio con UniVersoMe, arriverà da CASMOB, app sviluppata da Alma Digit, che fornirà un aiuto ad individuare i percorsi e i luoghi della cultura in città, favorendo una ”connessione” attiva con il territorio. Per saperne di più, di questa e altre novità che aggiungeremo nelle prossime uscite, non perdete l’appuntamento settimanale con Cultura Locale.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2017

                   

 Eulalia Cambria