San Sebastiano: il coraggioso Patrono di Barcellona P.G.

Il 20 gennaio di ogni anno, le strade aride e spoglie di Barcellona Pozzo di Gotto si riempiono di bancarelle offrenti giocattoli e dolciumi. È il giorno della festa del patrono della città, San Sebastiano Martire protettore da tutte le malattie contagiose. L’origine della festa si fa risalire al’500, quando nella contrada di Bassalona, venne eretta una Chiesa in suo onore per invocare la protezione dalla peste.

Tradizioni centenarie

Continuando la traversata di bancarelle si percepisce un odore di miele e zucchero proveniente da un dolce tipico barcellonese: la giaurrina o ciaurrina.

La giaurrina o ciaurrina. © Martina Buccheri.

Si tratta di una miscela di miele, olio d’oliva e zucchero che  viene fatta addensare sul fuoco e successivamente viene stesa su una lastra di marmo a riposare. Una volta ottenuto un composto morbido ed elastico, esso viene stirato, attorcigliato e abbattuto su un asse di ferro che rappresenta il chiodo di San Sebastiano.

Una vera goduria per il gusto e per l’olfatto.

La lavorazione della giaurrina o ciaurrina. © Martina Buccheri.

 

San Sebastiano: martire per amore di Cristo

I volti sorridenti dei bambini e di tutti colore che partecipano alla manifestazione non hanno nulla a che vedere con la triste storia del martire. Militare sotto il dominio di Diocleziano, San Sebastiano nascondeva la sua fede all’imperatore che perseguitava ogni credente. Accolse sotto la sua protezione innumerevoli fedeli continuando a diffondere la parola cristiana fino a quando Diocleziano non scoprì la verità condannandolo ad una morte atroce. Il Santo martire venne denudato e trafitto da frecce con l’unica colpa di credere in Dio.

Da allora divenne protettore dei martiri, dei militari e dei sofferenti.

Bancarelle di dolciumi. © Martina Buccheri.

La Passio racconta dei figli di un certo Tranquillino, Marco e Marcellino che furono arrestati e convinti da Sebastiano a perseverare nella fede e a non temere la morte. Mentre conversava con loro il viso del tribuno fu irradiato da una luce miracolosa che sconvolse i presenti tra cui Zoe, moglie del Capo della Cancelleria imperiale ormai muta da sei anni. La donna si prostrò a terra invocando la grazia divina per il ritorno della sua voce.

Inoltre il nome Sebastiano deriva dal greco e significa “colui degno d’onore, venerabile, imperiale”; per queste sue doti di fedeltà, lealtà e intelligenza era molto stimato dagli imperatori e grazie ai suoi incarichi assicurava una degna sepoltura ai cristiani.

La processione di San Sebastiano, come da tradizione, viene effettuata per la via Roma e nei dintorni della Basilica a lui dedicata. Durante l’omelia della messa vengono citate le sue gesta in nome della fede e viene messo in evidenza il suo coraggio.

San Sebastiano è un esempio di forza e perseveranza che va oltre i confini delle città che protegge.

Alessandra Cutrupia

 

Messina tra arte e indifferenza: la Palazzina Grill

Percorrendo la SS 114 verso l’Orientale Sicula, al confine tra la zona di Minissale e Contesse, possiamo ammirare la maestosa Palazzina Grill, ubicata a lato monte del grande giardino, prima zona di accesso all’immobile.

Il giovane rampollo Federico Grill

Un pezzo di storia ottocentesca, la Palazzina Grill  costruita dal giovane borghese Federico Grill nato a Augsburg di Baviera che negli anni della sua giovinezza decise di trasferirsi a Messina.

 

Messina a fine '800. Fonte: Pinterest
Bivio Corso Garibaldi e Porta Real Basso nella Messina di fine ‘800. Fonte: Pinterest

 

Catturato da così tanta magnificenza, che da sempre ha contraddistinto la nostra città ma che con il tempo è caduta nell’oblio della memoria cittadina, Federico Grill appena giunto in città viene accolto dal nobile ricco Giovanni Walser che lo nomina contabile e amministratore del suo patrimonio.

Alla morte di Walser, Federico scopre di essere l’erede universale di tutti i beni di appartenenza al Sir Walser.

Investito da una grande eredità, il giovane Grill inaugura una nuova stagione della propria vita; difatti in un primo momento si prodiga in affari economici e commerciali attenzionando i meno abbienti, per poi catapultarsi nell’arte ed eventi culturali messinesi.

L’origine del nome

Riconoscendo Messina città dalla grande capacità turistica, commerciale ed economica Federico Grill decide di intraprendere un inaspettato progetto architettonico, nasce così quella che fu battezzata Palazzina Grill, dal suo ideatore.

Eppure questo risulta essere un nome ingannevole per quella che fu tutto tranne che una Palazzina.

Costruita come rudere, impreziosito da facciate in stile barocco, pensata come dependance di un uomo nobile e adibita come un luogo di ritrovo, descritta dagli anziani della città come una Casa del tè, oggi approda nell’essere una grande pattumiera per i passanti dal poco senso civico.

 

L'elegante facciata. Fonte: GazzettadelSud
Dettaglio dell’elegante facciata di Palazzo Grill. Fonte: GazzettadelSud

 

Sopravvissuta al terremoto del 1908, che vide la distruzione di una grande percentuale del territorio messinese, la Palazzina Grill al suo esterno conserva lo stesso stile architettonico utilizzato da Falconieri per il Teatro Vittorio Emanuele e l’omonima fontana, mentre al suo interno troviamo ciò che rimane di preziose opere d’arte con le quali Grill impreziosì la sua tea house: dipinti scampati dalle mani vandaliche dei più feroci con l’obiettivo di depredare la città.

Tutto questo splendore, dopo la morte del nobile Grill, subisce un declino senza pari tanto che la stessa Palazzina finì con l’essere adattata come pollaio nel pieno centro cittadino.

Un disinteresse accentuato dalla funesta inciviltà di chi non sa valorizzare le bellezze del proprio territorio.

Messina ha bisogno di chi l’ama!

Ad un secolo e mezzo di distanza, troviamo affisso nella facciata della Palazzina Grill il cartello vendesi.

L’immobile si estende per 60 metri quadri su più livelli, un terrazzino  di 18 metri quadri e un giardino di 35 metri quadri nei quali possiamo ammirare una facciata barocca nelle sue eleganti decorazioni.

 

Stato di abbandono della Palazzina Grill. Fonte: GazzettadelSud

 

A nulla è servito il vincolo della Soprintendenza dei Beni culturali nel salvaguardare il gioiello ottocentesco ormai destinato ad essere una  discarica che si estende per tutta l’area esterna alla quale si aggiunge anche il devastamento e il saccheggio delle opere che costellavano l’interno; scomparse finestre e addirittura i prestigiosi dipinti di Giacomo Conti.

Un bene culturale, un opera architettonica, un gioiello ottocentesco ignorato dai cittadini e dimenticato anche dal suo erede in successione residente a Milano, ha confermato ancora una volta che non è necessario progettare nuove opere per risanare Messina, ciò che serve è avere un cuore che batte di passione per la propria città.

 

Elena Zappia

 

 

 

Fonti:

https://www.letteraemme.it/perche-i-luoghi-di-messina-si-chiamano-cosi-minissale/

https://www.tremedia.it/la-palazzina-grill-gioiello-ottocentesco-scampato-al-terremoto-trasformato-in-discarica-video/

https://www.immobiliare.it/annunci/74217170/

Il messinese sotto le feste

Ogni anno, nel mese di Dicembre, ci si ritrova a festeggiare due tra le feste più importanti e attese: Il Natale e il Capodanno. La prima è legata a una sfera religiosa e familiare, la seconda è un’importante tradizione per accogliere con entusiasmo il nuovo anno. In tutto il mondo, i diversi paesi ricorrono annualmente alle loro tradizioni. Così è anche per la città di Messina, sebbene rispetto alla Lapponia sia più carente di nevicate, essendo una città di mare. Dunque, come affronta le feste un messinese? Ci siamo posti dei quesiti, e abbiamo fatto delle interviste, immergendoci nel clima natalizio messinese.

© Valeria Vella – decorazioni di Piazza Cairoli, 2022

 

Tra le luci e gli addobbi di piazza Cairoli, la prima domanda che abbiamo posto è stata sulle delle decorazioni di Natale di quest’anno. 

A risponderci tre giovanissimi universitari, fra i 18 e i 19 anni, che ci hanno presentato un siparietto da far ridere a crepapelle:

Domenico: Io non mi posso esprimere. Sono nel plesso di Ex Farmacia, perché sono del DiCAM. Lo vedete com’è quel plesso, quindi… C’è un alberello; l’ho visto oggi… Della città? Belline, belline. L’albero è stato sistemato, fortunatamente, perché prima era un po’ bruttino.

Giulia – L’hanno sistemato?

Giulia – Veramente?

Domenico – Sì! Prima sembrava un po’… una supposta. Penso che sia un pensiero comune.

© Valeria Vella – mercatini di Natale, 2022

 

Addentrandoci ancor di più nella folla di passanti, riflettevamo sul problema parcheggi e viabilità della nostra amata Messina, problema storico tanto quanto la città. Si narra che già gli antichi abitanti della nobile Zancle lasciassero i cavalli in doppia fila, per la mancanza di parcheggi. Tale dubbio ci è stato confermato dal signor Giuseppe, di 70 anni:

Dove ha parcheggiato la macchina?

Dove c’è la finanza… a pagamento, perché posti non se ne trovano e per parcheggiare la macchina devi pagare sempre.  Qua lo hanno bloccato, ché non si può parcheggiare. Non si può parcheggiare in nessun posto!

E dell’innovativa isola pedonale attualmente in atto?

Ecco la risposta di due gentili e giovani mamme, che hanno replicato con un occhio sempre attento alla movimentata prole:

Isa – L’isola pedonale a tratti? Frazionata? Ti rispondo come ti risponderebbe mia figlia: bah.

Daniela – No comment!

© Corinne Marika Rianò – dettaglio dei mercatini di Natale, 2022

 

Successivamente ci siamo posti il quesito: cosa mangia il messinese a Natale?

Abbiamo trovato due scuole di pensiero contrastanti.

La prima, rappresentata dalla signora Domenica:

Vado fuori, dopo che lavoro tutto l’anno. Il giorno di Natale mi rilasso e non faccio cucinare i miei familiari. Ce ne andiamo fuori, ché è la cosa migliore. Tanto la spesa sempre quella è…

 La seconda, invece, della signora Rosa che, nonostante sia a dieta (proviamo dolore per lei), passa le sue giornate a cucinare per tutta la famiglia:

Io faccio i biscotti e tutte cose natalizie. Mangiamo perché ci è rimasto solo questo. Però io sono in dieta, quindi non posso mangiare.

 È sempre dalla saggezza della signora Rosa che arriva la risposta sul regalo natalizio peggiore mai ricevuto: Non mi piacciono i fiori e c’era una persona, una mia cognata, che mi regalava sempre quelli. Allora io li mettevo nel portafiori e li lasciavo fuori dalla finestra. Erano i lilium, che hanno quell’odore e quelle cosine che macchiano “tutte cose”.

Rimanendo sempre in tema di cibo, must del periodo natalizio, abbiamo chiesto ad Andrea, giovane buddace fuorisede nelle regioni nordiche, quale prodotto consiglierebbe ai turisti che vengono a Messina:  Ce ne sono troppi! Tutti i dolci sicuramente. Partiamo dai cannoli e andiamo a provare la granita, anche se è inverno. Diciamo che non se ne può fare a meno. E il bianco e nero.

© Valeria Vella – dettaglio dei mercatini di Natale, 2022

 

Ma oltre a questo, quali sono le tradizioni che si portano avanti sotto Natale?

A risponderci è Camilla, 21 anni, con la sua insolita tradizione famigliare:

Litigare ai cenoni vale? Conta? Ciao zia…

 E se tutto questo non vi è bastato, abbiamo raccolto per voi la risposta perfetta da dare ai parenti molesti alla domanda “Ma quando ti laurei?”.

 Emilia, napoletana verace, ci dice: quando il signore ce la manda buona! Siamo nelle mani di Dio.

E la sua amica Sofia: a data da destinarsi, per quanto mi riguarda.

Chiedendo loro quale sia il regalo che più desiderano per questo Natale, Emilia ci delizia di un’altra risposta, quanto mai sentita da tutti noi studenti: gli esami superati…

Ci hanno salutato rivolgendo un caloroso saluto a tutti gli studenti.

© Valeria Vella – Viale S. Martino a Natale, 2022

 

Purtroppo, non abbiamo trovato la risposta alla seconda battaglia culinaria che da secoli affligge la nostra società, subito dopo quella tra arancino o arancina (ovviamente noi siamo team arancino sempre): è meglio il panettone o il pandoro?

 Kelly, un’altra giovane ragazza, di 23 anni, ha provato a risolverci il dubbio amletico, ma con scarsi risultati:  Team pandoro, ma panettone al pistacchio pro! Quindi nì, 50 e 50.

Però, ci ha dato un ottimo spunto su cosa fare e cosa proporre a chi ci chiede cosa faremo a Capodanno: Bella domanda… Penso che mi ubriacherò al Duomo!

Gli autori di questo articolo fra i mercatini di Natale

 

Vi vogliamo bene cari lettori di UVM, per questo ci lasciamo il piacere di rispondere, noi redattori di Cultura Locale personalmente, all’ultima domanda della giornata:

A Capodanno, indosseremo l’intimo rosso?

Ovviamente sì! Noi ci teniamo alle tradizioni!

 

Corinne Marika Rianò

Valeria Vella

Roberto Fortugno

Gaetano Aspa

Federico II: il sovrano che diede lustro alla Sicilia

Il sentire comune definisce la Sicilia terra di mare, buon cibo e arretratezza d’economia e di pensiero. Agli albori del 1200 un sovrano le regalò lo splendore che essa meritava. Sotto il dominio di Federico II di Svevia la Sicilia fiorì dal punto di vista economico e culturale trasformando la corte di Palermo nella sede di intellettuali, artisti e poeti più rinomati di tutto il regno.

Federico II di Svevia e il lustro di Sicilia

La corte era organizzata attorno ad una serie di funzionari regi che promuovevano la sua affermazione economica e culturale. Grazie all’ambiente costruito da Federico II nasce la prima esperienza letteraria in volgare ispirata alla lirica provenzale: la scuola poetica siciliana.

I temi più ricorrenti sono l’amore e la passione espressi attraverso la forma metrica del sonetto. La lingua utilizzata era quella siciliana dal punto di vista fonetico arricchita di latinismi e provenzalismi.

Federico II promosse una serie di iniziative artistiche che avrebbero dovuto abbellire il regno di Sicilia con la loro raffinatezza ed eleganza. Primo fra tutti il Castel del Monte, una costruzione iniziata nel 1240 dotata di una pianta i cui vertici di ogni lato possedevano una torre angolare. Risalta all’occhio l’ampio cortile centrale e l’arco acuto tipico dell’architettura gotica.

A continuazione il Castel Maniace, situato a Siracusa e realizzato nel 1234, presenta una pianta regolare con delle torri angolari nonostante il progetto originario fosse quello di realizzare un grande spazio voltato con delle campate quadrate. Da notare alcuni aspetti sofisticati come la compattezza planimetrica e i dettagli ornamentali.

Interno di Castel Maniace con veduta delle campate e dei capitelli “a crochet”. Fonte: stupormundi.it

Lo “Stupor Mundi” – l’uomo moderno del Medioevo

Le riforme di Federico II non si concentrarono unicamente sull’architettura e sull’arte bensì su tutto il territorio.

A cominciare dal progetto di unificazione del regno per poi passare al rafforzamento del potere monarchico e alla creazione di una legislazione universale. Il codice di leggi da lui adottato si rifaceva al diritto romano e a quello normanno; ciò conferì al regno un carattere autoritario e centralizzato.

Una centralità che giovò anche dal punto di vista socio-culturale e svolse il ruolo di compattezza e integrazione della popolazione che finalmente si sentì parte di un territorio non più frammentato.

Nonostante tali cambiamenti, nella scuola siciliana il tema politico è totalmente assente. Il tema dell’amore viene posto su un gradino superiore a causa del suo particolare prestigio. I poeti manifestano il desiderio di vivere l’amore con distacco dal contesto sociale facendo prevalere la sfera intima e privata.

L’uomo dell’inizio – Giacomo da Lentini

Nella scuola poetica siciliana di Federico II, sono numerosi gli illustri letterati che ne fanno parte ma, quello che può essere definito il capostipite di un’intera tradizione, è Giacomo da Lentini.

Incipit della canzone di Giacomo da Lentini “Madonna dir vo voglio”, Manuscript Palatino 418, (ora Banco Rari 217, c. 21v ). Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. Fonte: wikimediacommons.org

 

Egli, come suggerisce il nome, nacque a Lentini, una cittadina in provincia di Siracusa, fu notaio presso la corte di Federico II e questo gli valse l’appellativo di “notaro”, così citato anche da Dante nel XXIV canto della Divina Commedia.

“O frate, issa vegg’io”, diss’elli, “il nodo
che ’l Notaro e Guittone e me ritenne
di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!”

La poetica di Giacomo Lentini, espressa nel suo Canzoniere, riunisce tutti i temi e le soluzioni formali che ebbero diffusione tra tutti i poeti siciliani. In esso si trova il paradosso dell’incomunicabilità, secondo cui il poeta non può dichiarare il suo amore senza svilire sé stesso e la donna amata, riassunta mirabilmente nel verso:

 Amor non vole ch’io clami
merzede c’onn’omo clama,
né che io m’avanti c’ami,
c’ogn’omo s’avanta c’ama

(Amor non vole ch’io clami)

Ma anche il motivo che sarà cardine del “stilnovismo” dell’ineffabilità del sentimento espressa nella canzone Madonna, dir vo voglio:

Lo meo ’namoramento
non pò parire in detto

Al Notaro è attribuito anche il vanto d’essere l’iniziatore di una tradizione poetica complessa e definita “chiusa” (trobar clus, ripresa dalla tradizione provenzale) che avrà il suo culmine in Guittone d’Arezzo.

Infine, e non per ordine d’importanza, al poeta federiciano è attribuita l’invenzione di una forma metrica che sarà alla base di tutta la tradizione poetica italiana, il sonetto.

 

Alessandra Cutrupia

Gaetano Aspa

 

 

Il Fu Mattia Pascal: l’ombra d’un morto

Mattia Pascal è un bibliotecario, infelicemente sposato e colpevole di un delitto: aver ucciso la sua identità. Soffocato da una vita matrimoniale che non aveva scelto, parte per tentare la fortuna a  Montecarlo. Vince una considerevole somma alla roulette e durante il viaggio di ritorno verso il paese natio, si imbatte in un giornale su cui viene riportata la cronaca di un suicidio avvenuto a Miragno e scopre con stupore di essere stato identificato nel cadavere ormai in stato di putrefazione e quasi irriconoscibile. Mattia Pascal è di fronte ad un bivio: tornare a casa per smentire la sua morte oppure cogliere l’occasione per evadere dalla vita infelice che conduceva a Miragno. Non fu difficile abbandonare la vecchia identità per costruire quella nuova di Adriano Meis. Stabilizzatosi a Roma, Meis non ha documenti, non è riconosciuto dalla legge né tutelato da essa, perciò non può denunciare un furto di cui è vittima nè sposare una ragazza di cui si innamora durante il corso della storia.

 

“Mi guardai attorno; poi gli occhi mi s’affissarono su l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla; infine alzai un piede rabbiosamente su di essa. Ma io no, non potevo calpestarla, l’ombra mia. Chi era più ombra di noi due? Io o lei?” 

Il busto di Luigi Pirandello
Fonte:shutterstock.it

Adriano Meis prova nei confronti della sua stessa ombra odio e amore poiché essa è il riflesso del proprio sé. Essa è la proiezione di un identità che non esiste, che non ha alcuna consistenza nella società.

“L’ombra d’un morto: ecco la mia vita…”

Il protagonista si rende conto ben presto che anche la nuova identità è una trappola. La soluzione più ovvia allora sembra quella di riprendersi la vecchia; inscena il suicidio di Adriano Meis e torna a Miragno. Rientrato al paese natio, Mattia trova una situazione ben diversa da quella che aveva lasciato: sua moglie ha sposato un amico di vecchia data, Pomino: inoltre, i due hanno pure avuto una figlia.

“Mia moglie è moglie di Pomino, e io non saprei proprio d’ire ch’io mi sia.”

Adriano Meis è solo un nome, non ha una storia, non è iscritto all’anagrafe, è poco più che un fantasma e tutto ciò lo esclude dalla vita sociale. Si rende conto che è impossibile reinventarsi una vita diversa da quella che ci è toccata in sorte e che una volta usciti dalla propria “forma”, è impossibile tornare al posto che si occupava prima in società.

Uno schizzo di Pirandello
Fonte:shutterstock.it

“La realtà che io ho per voi è nella forma che voi mi date” afferma Pirandello. La forma che hanno dato a Mattia Pascal i suoi compaesani è quella d’un morto. Lui ha scelto di uccidere la sua stessa identità e adesso si trova in un bivio ancor peggiore di quello iniziale: essere morti senza esserlo. Non gli resta che ritirarsi in una vita condannata al senso di estraneità dal mondo, la cui unica distrazione è la visita saltuaria alla propria tomba. Qualche curioso gli domanda:

“Ma voi insomma, si può sapere chi siete?”

“E caro mio… Io sono il Fu Mattia Pascal.”

 

Alessandra Cutrupia

Elezioni Messina 2022: i risultati, Federico Basile è il nuovo sindaco

Nella nostra città si sta svolgendo lo spoglio delle elezioni amministrative 2022. La bassa affluenza alle urne si è tradotta in una partecipazione di appena il 55,64% dei messinesi aventi diritto al voto.

I primi risultati certi

Già alle 21 di ieri lunedì 13 giugno è stata confermata la vittoria di Federico Basile, candidato appoggiato dall’uscente Cateno de Luca, come nuovo sindaco di Messina con il 46,03% dei consensi. Con grande distacco, tradendo quel “testa a testa” previsto nei sondaggi, Maurizio Croce ha ottenuto il 26,77%.

Il candidato di centro-sinistra Franco De Domenico si posiziona subito dopo Maurizio Croce con il 23,24%.

Seguono Salvatore Totaro e Gigi Sturniolo con i rispettivi 2,03% e 1,63%.

Alcune dichiarazioni dei candidati

Durante i festeggiamenti a piazza duomo Basile dichiara: “Abbiamo portato avanti un progetto di continuità con quello che è stato fatto dalla precedente amministrazione e questo chi ha premiato”. “Questa era stata interpretata dai nostri avversari – aggiunge il leader di Sicilia Vera Cateno De Luca – come una competizione contro di me, hanno perso e noi abbiamo vinto al primo turno”

I compagni dell’avventura elettorale hanno accolto e salutato il candidato a sindaco del centrosinistra Franco De Domenico nella sua segreteria con un lungo applauso e un grazie commosso e sentito. “Ci aspettavamo di più, non pensavamo a una vittoria al primo turno, credevamo di poter arrivare al ballottaggio, sono contento del progetto politico che ha retto, ma i numeri potevano essere migliori, è stata scelta un’altra proposta politica, la nostra era seria e credibile, invece si è scelta la narrazione che dal punto di vista mediatico rende di più, ma rispettiamo le urne.”

Il candidato del centro destra Maurizio Croce alla conferma della sua sconfitta dichiara: “Voglio solo dire grazie ai messinesi che hanno creduto in me nonostante il poco tempo che abbiamo avuto a disposizione. Grazie al mio splendido staff e alla mia squadra, di cui sono e resterò sempre orgogliosissimo. Grazie anche ai miei competitor: Franco, Gino, Salvatore, con cui abbiamo condiviso tanti momenti piacevoli. Ovviamente grazie anche a te, Federico: la nostra città ha bisogno di tornare a sognare. Ti auguro di cuore di riuscire a lasciare il segno. Messina lo merita”.

UniVersoMe attende la fine ufficiale degli spogli di tutte le sezioni per poter aggiornare i propri lettori anche sul Consiglio Comunale.

Sofia Ruello

 

Il “Castellaccio”: fra storia e misteri

A 150 metri sul livello del mare, a vegliare la città di Messina da un arcano nemico vi è il misterioso Castellaccio, una delle fortezze più antiche della città e luogo pregno di misteri e di storia.

La storia 

Di grande importanza strategica, in quanto punto di controllo e di avvistamento, il forte prende nome dalla sottostante vallata di Gravitelli, in passato zona impervia ed isolata.

Come racconta Giuseppe Buonfiglio Costanzo nella sua “Messina Città Nobilissima” (1606) il Castellaccio ha origini antichissime.

Per secoli fu diffusa la convinzione che fosse stato Orione in persona a edificarlo e non senza fondamento dati i reperti archeologici, risalenti all’età preellenica, ritrovati nel sito.

Il vicerè Giovanni De Vega, nel 1547, lo fece ricostruire in fascine e legname e, nello stesso secolo, l’architetto Antonio Ferramolino, autore anche del Castello del SS. Salvatore e del Forte Gonzaga, lo ridusse in forma quadrata.

Nel 1674, durante la rivolta antispagnola, il forte venne preso d’assalto dai messinesi e utilizzato come osservatorio. Da qui il suono di una cannonata preannunciava ai cittadini dei pericoli imminenti.

Durante i moti del ’48, i messinesi lo riconquistarono e mantennero fino al secolo successivo, quando anche il Castellaccio subì il terremoto che devastò Messina un ventennio dopo.

Il secondo conflitto mondiale lo danneggiò ulteriormente e i successivi interventi finirono per stravolgerne irreversibilmente l’iniziale natura architettonica.

È il caso del 1949, quando il Castellaccio divenne sede di Villa Pia e reinaugurato come “Città del Ragazzo”.

Padre Nino Trovato di fronte la Città del Ragazzo, fondata nel Forte Castellaccio – Fonte: gsud.cdn-immedia.net/2021/10/me_citta_ragazzo.jpg

Qui, “orfanelli”, ragazzi e giovani provenienti da famiglie e dai contesti più disagiati, ospitati dal responsabile del progetto, padre Nino Trovato, trovarono nel Castellaccio una casa e un lavoro.

L’edificio, come scrive l’architetto Nino Principato, fu ampiamente manomesso. Al suo interno, inoltre, venne edificata una palazzina con finestre in falso stile gotico, che mal si accordano con il carattere generale della struttura originaria, di cui, ormai, rimane ben poco.

Il castello degno di un horror

I messinesi non apprezzano particolarmente questo monumento e da decenni, complice il decadimento della struttura, credono che il luogo sia maledetto.

A conferma di ciò, il macabro scenario che fa da benvenuto ai visitatori: un pupazzo di Babbo Natale impiccato all’ingresso, simboli esoterici tracciati su porte e pavimenti e, sulla volta della cappella, un pentacolo.

Babbo Natale “appeso” all’ingresso dell’edificio – Fonte: letteraemme.it/wp-content/uploads/2017/03/castellacci012.jpg

Un inquietante presagio di attività paranormale, confermata dalle numerose segnalazioni di rituali occulti e di sconcertanti apparizioni.

Fra queste, quella del fantasma di una suora, di cui circola anche un video sul web, che ha attirato l’attenzione di un gruppo di ricercatori del paranormale, il MAP.

Ghostbusters in azione al Castellaccio – Fonte: messinatoday.it/attualita/nuove-presenze-castellaccio-indagini-map.html

Dalle loro indagini risulta una fitta documentazione, contenente registrazioni che riportano la voce disperata di una donna, sospiri e lamenti, risate e vagiti infantili.

Il 24 novembre 2020, l’emittente britannica BBC ha mandato in onda una puntata dal titolo One night in a ‘haunted’ Sicilian castle”, ambientata proprio al Forte Castellaccio.

Una serie di immagini, interviste e testimonianze raccontano del viaggio all’interno del castello, atto a decretare la veridicità della storia.

Il Castellaccio in poesia 

Il poeta, giornalista e storico messinese Pasquale Salvatore, le cui opere sono sconosciute ai più, enfatizza il valore culturale del luogo nella sua emblematica poesia “Castiddazzu”:

Cu’ carriò la petra e la quacina,

cu travagghiò pi gghisari sti mura,

facènnumi cchiù forti, d’ura in ura,

dormi, e non s’arrispigghia a la matina:

dormi, di trenta sèculi…

O Missina,

tu intantu addivintavi gran signura!

Ma poi ti vosi ‘nterra la svintura,

mentri, cu’ potti, ti mintìu ‘ncatina.

Lu foristeri ora cchiù non ti vanta;

l’aria libbera tò cchiù non cci coli.

Ed oramai di tia nuddu si scanta…

Ma, addritta e fermu, supra sta muntagna,

iò cci cantu, a cù voli e a cù non voli:

Missina cc’era, e Roma era campagna.

 

Panorama dal Castellaccio negli anni ’60 – Fonte: pinterest.it/pin/782711610222408061/

 

Valeria Vella

Fonti:

visitme.comune.messina.it/it/luoghi/castellaccio-di-messina

balarm.it/news/tra-sospiri-notturni-e-risate-di-bambini-a-messina-c-e-un-castello-degno-di-un-thriller-118998

letteraemme.it/lemittente-inglese-bbc-a-messina-in-cerca-di-fantasmi-al-forte-castellaccio/

curiosauro.it/2022/03/12/i-fantasmi-di-forte-castellaccio-a-messina/

Immagine in evidenza:

Il “Castellaccio” – Fonte: profilo facebook “Messina Attività Paranormali”

NextGenerationMe: Patrizia Ajello, la cantautrice “imperfetta”

Torna la rubrica #NextGeneretionMe con un’intervista a Patrizia Ajello, giovane cantautrice messinese emergente, con all’attivo due album -“Imperfetta” e “Favole senza olio di palma“-  e diversi singoli.

Copertina dell’album “Imperfetta” di Patrizia Ajello – Foto: Valentina Amato, 2020

Quando e come è iniziata la tua passione per la musica?

La mia passione per la musica è nata sin da piccola: mi hanno iscritta a cinque anni a scuola di musica dove ho fatto prima propedeutica musicale, poi musica di insieme e poi pianoforte. Con l’adolescenza mi sono un po’ allontanata dal pianoforte e mi sono avvicinata alla chitarra da autodidatta, cominciando anche a scrivere racconti e poesie: mi è venuto poi naturale iniziare a scrivere canzoni, mettendo in musica le poesie che scrivevo. Per me è nata come una necessità di esprimere delle emozioni, delle sensazioni, e il modo che mi veniva più congeniale per farlo erano le canzoni. Da lì ho fatto anche un’esperienza all’interno del coro della mia scuola e dai miei 18 anni ho partecipato a concorsi canori nazionali, ottenendo ottimi risultati con i miei brani, in particolare il terzo posto al “Premio Mia Martini” nel 2010, che è stato il più importante.

A che genere musicale ti senti di appartenere?

Ho sempre un po’ di difficoltà a rispondere perché non amo moltissimo le etichette; penso che la musica sia bella tutta, e che inevitabilmente i generi si mescolino. Quindi se proprio dobbiamo andare a semplificare, parlerei di un misto tra pop e cantautorato, quindi “Pop cantautorale”, ovviamente indipendente perché mi sono sempre autoprodotta.

Dall’album “Imperfetta” – Foto: Valentina Amato, 2020

Che esperienza hai con i video su YouTube? Vuoi raccontarci qualche retroscena inedito?

Diciamo che mi è sempre piaciuto organizzare la regia, la ripresa e il montaggio di tutti i miei video musicali, perché questa è stata da sempre un’altra mia grande passione. Quindi, quando ho iniziato a pubblicare i miei primi brani ho anche organizzato la realizzazione dei video, e mi sono molto divertita nel farlo; spesso ho avuto anche degli amici accanto, che mi hanno comunque aiutato in maniera molto spontanea ed entusiasta.

Com’è vivere la tua carriera anche sui social? Che rapporto hai con i tuoi follower?

Beh, allora, i social secondo me sono un mondo che dà tante opportunità, ma che a volte può essere anche una trappola. Io infatti ogni tanto prendo le distanze dei social, per non farmi troppo travolgere; c’è anche una mia canzone che parla di questo, che è proprio “Canzone senza olio di palma“, una provocazione su come noi oggi viviamo i social, e soprattutto i rapporti, anche sentimentali, che si sono un po’ distorti. Quindi vado sempre alla ricerca dell’autenticità delle cose, anche nel rapporto con i fan, che preferisco magari incontrare di persona: sicuramente loro mi seguono molto sui social e mi manifestano grande affetto,  però poi la cosa più bella è quando ci sono occasioni di incontro.

Dallo spettacolo “Favole senza olio di palma” – Teatro dei 3 Mestieri di Messina – Foto: Guido Munafò, 2019

Ti sei esibita dal vivo, vorresti raccontarci qualcosa in merito?

In quest’ultimo periodo ovviamente è stato complicato, però prima della pandemia ho avuto un bell’anno: nel 2019 ho portato live in diversi locali “Favole senza olio di palma”. Ho fatto una cosa un po’ insolita: in genere si pubblica il disco e poi si fanno i live, io invece ho fatto il contrario. L’album è poi diventato uno spettacolo di “teatro-canzone” che ho portato in scena al Teatro dei 3 Mestieri di Messina; un’esperienza magnifica! La produzione di “Imperfetta”, purtroppo, è capitata in mezzo alla pandemia e quindi non è stato possibile fare parallelamente una promozione in live del disco; quindi, a tutti gli effetti, c’è stato un unico live, l’estate scorsa, in cui ho presentato le nuove canzoni. Poi mi sono fermata per un po’, perché sentivo l’esigenza di riprendere la mia vocazione primaria, cioè quella della scrittura, e prendermi del tempo per creare.

Sei stata ospitata diverse volte in radio e televisione, ci parli di queste esperienze?

Sì, sono state sicuramente delle bellissime esperienze. Devo dire che sono stata sempre accolta con grande affetto da diverse radio di Messina e non solo; questo è stato importantissimo nel periodo del Covid, perché non potendo portare live “Imperfetta” se non altro ho avuto l’occasione di cantare le canzoni in radio.

Dallo spettacolo “Com’è alto il sole” – Sala Laudamo di Messina – Foto: Salvatore Morabito, 2016

Cosa rappresenta Messina per te? E’ stata fonte di ispirazione?

Io sono molto legata a Messina, è comunque nel mio cuore sempre. Sapete meglio di me che è molto difficile restare al Sud, soprattutto se si fanno determinate professioni; quindi per me è stata una forma di affetto e di resistenza restare a Messina, perché appunto sono molto legata alle mie radici. Sicuramente è stata di grande ispirazione, non c’è dubbio, anche solo per il fatto che da adolescente, quando scrivevo le mie prime poesie, andavo magari in qualche angolo di Messina come la Passeggiata a mare o Cristo Re, luoghi particolarmente favorevoli all’ispirazione; è sicuramente questo il primo legame tra la mia creatività e la mia città. Poi devo dire che l’ambiente cittadino mi ha aiutata: i media messinesi -radio, Tv e giornali- e la popolazione mi hanno sostenuta molto, hanno sempre creduto nella mia musica, mi hanno permesso di portare avanti i miei progetti, sia musicali che teatrali. Ho intrapreso il percorso teatrale prima a livello formativo e poi sul piano professionale, e ho avuto l’opportunità, grazie a dei registi messinesi che hanno creduto in me, di partecipare dal 2015 al 2018 a una decina di spettacoli, non solo a Messina. Quindi sicuramente queste esperienze nate a Messina, e che poi si sono anche espanse, sono state molto importanti nel mio percorso.

Prospettive future sulla tua carriera?

Come dicevo prima in questo momento sono in una fase più creativa. A volte secondo me è importante, nel mondo artistico, o in generale, prendersi delle pause e del tempo per creare: di canzoni e di progetti nel cassetto ne ho tanti, però ovviamente si scontrano anche con la realtà, col fatto che è difficile portare avanti questi progetti e ci vogliono tante energie, tanto tempo, tanti fondi, e quindi è giusto fare le cose in maniera ponderata.

Un saluto ai lettori di UniVersoMe!

Ringrazio voi e chi legge. Seguite le vostre passioni!

 

Corinne Marika Rianò, Marta Cloe Scuderi

 

PATRIZIA SUI SOCIAL

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Le 5 località più belle della città metropolitana di Messina pt.2: la zona ionica

Torna con il secondo appuntamento il nostro carosello turistico messinese: dopo le località tirreniche, stavolta ci occuperemo della zona ionica. Tra noto e celato, passando da mari, distese verdi e piccole cittadine, eccola qui la sublime trinacria, sempre pronta ad accogliere, costantemente pronta a stupire, culla di semplicità e contemporaneamente di cultura.
Di seguito le 5 località ioniche più belle della città metropolitana di Messina, spalancate gli occhi e… buon viaggio!

Taormina: il comune più famoso della regione

Tutto il mondo conosce Taormina, ma siamo davvero sicuri, almeno noi isolàni, di conoscerla abbastanza? Ci siamo stati almeno una volta: Corso Umberto tappeto rosso del centro storico, il maestoso Duomo, piazza IX Aprile per godersi la vista panoramica. Ce ne sarebbero tanti di frammenti da elencare, se consideriamo i luoghi limitrofi anche l’isola Bella e Castelmola.
Eppure siete mai stati ai giardini pubblici a godervi, per esempio, un arieggiato pranzo al sacco? La villa comunale, in origine, era di proprietà di una facoltosa donna inglese appassionata di uccelli, la quale decise di costruire diverse strutture al suo interno, tra cui mangiatoie e cassette per i nidi. Un armonioso cinguettio vi accompagnerà lontano dalla folla del centro storico, all’ombra di fruscianti alberi verdi.
Fra le vostre memorie però non dimenticate il teatro greco di Taormina, seppur conosciuto da molti perfettamente, non finisce mai di spezzare il fiato, che sia per un concerto, una tragedia o una visita archeologica.

Villa Comunale di Taormina – Fonte: rivierazzurraolivieri.it

Giardini Naxos, le incantevoli spiagge e la Nike

A poca distanza da Taormina, un altro comune molto amato dai turisti e dai siculi stessi è senza dubbio Giardini Naxos. Fino al 1970 circa questo era un tranquillo comune di pescatori, mentre ora è un centro di movida e ritrovo giovanile, pur conservando importanti pezzi di storia.

Amatissima la spiaggia di Recanati, ma meritano senza dubbio una visita anche la meravigliosa spiaggia di Porticciolo di Saia e la spiaggia di Schisò.

A Capo Schisò è conservata la Nike. La scultura, opera di Carmelo Mendola nel 1965, è ispirata alla Nike di Samotracia ospitata dal Museo del Louvre e raffigura la dea messaggera della vittoria. Una seconda copia della statua è stata collocata nel 1980 a Calcide Eubea, a simboleggiarne il gemellaggio. Un assaggio di Grecia in questo paese che poco ha da invidiare ad altri.

Nike di Capo Schisò – Fonte: commons.wikimedia.org

Forza d’Agrò, il suo borgo e le testimonianze architettoniche

Secondo i dati sono meno di 900 gli abitanti di questo paese medievale, un incantevole borgo a 420 metri di quota, incastonato tra colli e mar Ionio. Fu fondato nel X secolo ed è casa di interessanti testimonianze architettoniche, quali la Chiesa Madre dedicata alla Santissima Annunziata, il Convento Agostiniano, lo spagnoleggiante Palazzo Miano e i ruderi del Castello Normanno.
Il castello divenne nella seconda metà del XIX secolo e per circa un secolo il cimitero del paese, che, essendo attualmente in via di smantellamento, rende la visita ancor più suggestiva, seppur potenzialmente pericolosa a causa della sua decadenza e della mancanza di manutenzione. Ci si accede tramite una lunga e ripida scalinata in pietra e all’interno della cinta muraria sono ancora visibili i resti della chiesa del S.S. Crocifisso e gli alloggi dei soldati.

Castello Normanno di Forza d’Agrò – Fonte: ttravelguy.wordpress.com

Sant’Alessio Siculo e il suo Castello

Sant’Alessio Siculo si erge ai piedi del monte Tauro ed è delimitato a nord del torrente Agrò e ad est dallo Ionio. La bellezza del paese è contornata principalmente dal castello di Capo Sant’Alessio, edificato dai saraceni appena conquistata la Sicilia, poi andato in rovina nella tarda epoca normanna, successivamente riqualificato in epoca aragonese. Del periodo saraceno rimangono alcune tracce nel quartiere vecchio, immediatamente sottostante al promontorio su cui sorge Forza d’Agrò.
Nel quartiere della Madonna del Carmelo, invece, si trova una chiesa risalente al periodo normanno. In più il paese ospita la Villa Genovesi. Un luogo insomma attraversato da molte culture, ognuna, a suo modo, da ricordare.

Castello di Capo Sant’Alessio Siculo – Fonte: bandw.it

La riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi

La Riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi è un’area naturale protetta istituita nel 1998 che si estende nei territori di Alì, Fiumedinisi, Italia, Monforte San Giorgio, Nizza di Sicilia, San Pier Niceto e Santa Lucia del Mela, comuni della provincia messinese sullo Ionio. È gestita dal Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali.

Bellissima riserva, pulita, dove la natura regna sovrana, purtroppo dai molti poco nota. Regala non poche sorprese all’appassionato naturalista: esemplari di erica arborea ai piedi di Monte Scuderi, boschi di tutte le specie di roverella conosciute in Sicilia, le fiumare e l’infinità di ciottoli di diversa origine minerale, sono solo alcuni dei punti di forza di quest’attrazione turistica Peloritana.
Percorrerla è senz’altro un ottimo modo di respirare aria verde di cui lo smog e il caos delle città spesso ci privano.

Riserva naturale orientata Fiumedinisi e Monte Scuderi – Fonte: rivierazzurraolivieri.it

 

 

Corinne Marika Rianò

Sant’Eustochia Calafato

Il centro storico di Messina lodava tesori di varie epoche, molti dei quali erano istituti religiosi spazzati via dal terremoto del 1908 che ha ridotto drasticamente il patrimonio storico e architettonico che era possibile contemplare. Il sisma risparmiò però gran parte della chiesa dove è conservato il corpo incorrotto di Santa Eustochia, una venerata santa messinese, il cui culto viene celebrato annualmente nel Monastero di Montevergine .

 

NASCITA ED EDUCAZIONE

Suor Eustochia, nata col nome di Smeralda Calafato, nacque in una famiglia agiata. Figlia di Bernardo, un ricco mercante messinese, e di Mascalda Romano Colonna, venne al mondo il giovedì santo del 1434 nel villaggio Annunziata, a Messina. La madre, indotta da Matteo di Agrigento, si era affiliata al Terz’Ordine di S. Francesco e trascorreva una perfetta vita cristiana; così Smeralda fu indirizzata verso la pratica religiosa, alla quale lei si sentiva molto attratta. Ma di quest’opinione non era il padre che, all’età di undici anni, la fece fidanzare con un mercante molto più grande di lei; questo morì il giorno precedente della cerimonia nuziale. Il padre, irremovibile, dopo due anni la promise in sposa ad un altro giovane che trapassò ancor prima di conoscerla.

S. EUSTOCHIA SMERALDA CALAFATO COMPATRONA DI MESSINA  Fonte:www.odigitria.org

LA CONVERSIONE

All’età di quindici anni, la giovane Smeralda decise, contro la volontà del padre, di prendere i voti. Entrò in monastero di Basicò e vi rimase per dieci anni con il nome di Suor Eustochia. Una sua preghiera al Crocifisso dimostrava da quale desiderio di soffrire fosse animata: “O dolcissimo mio Signore, vorría morire per lo tuo santo amore, cosí come Tu moristi per me! Forami il cuore con la lancia e con i chiodi de la tua amarissima Passione; le piaghe che tu avesti nel tuo santo corpo, che io le abbia nel cuore. Ti domando piaghe, perché mi è grande vergogna e mancamento vedere Te, Signore mio, piagato, che io non sia piagata con Te”.

 

LA VITA MONASTICA

Decise allora di intraprendere il suo percorso in totale povertà e scelse un sottoscala come cella; viveva in penitenza, dormiva sul pavimento e portava il cilicio. Suor Eustochia era molto risoluta e supponeva che nel convento non si seguisse alla lettera il principio delle Clarisse. Questo la portò ad avere molte divergenze con le consorelle e la badessa; Eustochia decise quindi di progettare una riforma, accolta con un decreto da Papa Callisto III. Grazie agli aiuti economici della madre riuscì a trasferirsi nel nuovo convento di S. Maria Accomandata; insieme a lei si trasferirono la madre, la sorella Mita, la nipote Paola, suor Lisa Rizzo e suor Jacopa Pollicino. Anche in questo convento Suor Eustochia ebbe da ridire nei confronti della badessa e di tutto il clero, e solo Pio II riuscì ad obbligare i frati minori osservanti a seguire la vita spirituale delle suore del monastero.

Montastero di Monevergine  Fonte : www.metemitimeteoriti.myblog.it

 

UN NUOVO MONASTERO

Il numero delle suore si ampliava velocemente e i locali del monastero diventarono inadeguati; grazie così alla generosità di Bartolomeo Ansalone, nel 1463, le Clarisse Riformate si poterono stabilire a Montevergine, in un nuovo monastero tuttora esistente. La beata, per esortare le consorelle alla virtù e all’amore del Crocifisso, scrisse un libro sulla Passione che andò perduto e fu recuperato grazie ad appunti nella sua agenda. Il 20 gennaio 1485 suor Eustochia morì lasciando la sua ultima raccomandazione: “Prendete, figlie mie, il Crocifisso per Padre, ed Egli vi ammaestrerà in ogni cosa” Durante la vita, ed ancor più dopo la morte, si attribuirono alla suora vari miracoli. Il due luglio 1777 il senato della città promise di recarsi ogni anno a Montevergine. Il 20 gennaio e il 22 agosto, nel 1782, infine, la Calafato fu beatificata da Pio VI.

Il corpo della beata oggi Fonte: www.messinareligiosa.it

 

SANT’EUSTOCHIA NELLA CULTURA DI MASSA

L’arcivescovo di Messina, nel 1690, scriveva alla S. Congregazione dei Riti: “Il suo corpo, da me diligentemente veduto e osservato, è integro, intatto e incorrotto ed è tale che si può mettere in piedi, poggiando sulle piante di essi. Il naso è bellissimo, la bocca socchiusa, i denti bianchi e forti, gli occhi non sembra affatto che siano corrotti, perché sono alquanto prominenti e duri, anzi nell’occhio sinistro si vede quasi la pupilla trasparente. Inalterate le unghie delle mani e dei piedi. Il capo conserva dei capelli e, quello che reca maggiore meraviglia, si è che due dita della mano destra sono distese in atto di benedire, mentre le altre sono contratte verso la palma della mano -accenno ad una benedizione che la beata avrebbe dato con quella mano, dopo la sua morte, ad una suora-. Le braccia si piegano sia sollevandole che abbassandole. Tutto il corpo è ricoperto dalla pelle, ma la carne sotto di essa, si rileva al tatto disseccata”.

Ancora oggi si può vedere intatto il corpo della beata ed in piedi nell’abside della Chiesa di Montevergine, esposto alla venerazione del popolo, che in folla vi accorre il 20 gennaio. L’iconografia rappresenta la beata in ginocchio dinanzi al Sacramento e, più frequentemente, con la Croce nelle mani. Il culto per Santa Eustochia è celebrato annualmente nel Monastero di Montevergine il 22 agosto, durante il quale le autorità messinesi offrono 38 libbre di cera lavorata. Infine, secondo alcuni storici dell’arte, lo stesso Antonello da Messina scelse presumibilmente il volto della beata per dipingere la sua “Annunziata”.

Marika Costantino

 

Fonti:

http://wikipedia.org

https://www.facebook.com/SANTA-EUSTOCHIA-SMERALDA-CALAFATO-Clarissa-Messinese-1434-1485-118729339211/