Frozen – Cuore di ghiaccio conquista il Palacultura

Il 31 gennaio il Palacultura ha ospitato la prima del musical “Frozen – Cuore di ghiaccio“, ispirato al celebre film d’animazione Disney. Si è rivelato un successo quello della Compagnia dei Balocchi, sotto la direzione di Sasà Neri e prodotto da Taomai Managment, con la direzione artistica di Andrea Bernava Morante e la direzione esecutiva di Antonio Ramires.

Frozen racconta la storia di Anna ed Elsa, due sorelle del regno di Arendelle. Elsa ha poteri magici legati al ghiaccio, ma li tiene nascosti per paura di ferire gli altri. Quando perde il controllo e congela il regno, fugge tra le montagne. Anna parte per trovarla, accompagnata da Kristoff, Sven e il buffo pupazzo di neve Olaf. Dopo avventure e pericoli, l’amore tra le due sorelle scioglie l’incantesimo e riporta la pace ad Arendelle.

Un cast ricco di talenti

Musiche, coreografie e sceneggiatura curate nei minimi dettagli. Tutto in armonia tra di loro.

Le voci emozionanti delle protagoniste Giulia Tringali (la messinese performer del tour A tutto cuore di Claudio Baglioni), nel ruolo di Elsa, e Giulia De Domenico, nel ruolo di Anna, hanno trasportato il pubblico direttamente nel magico mondo di Arendelle. Un cast tutto giovanile quello di Frozen, che ha saputo ricreare con passione e dedizione un classico Disney amato da grandi e soprattutto dai più piccoli.

Fondamentale il ruolo della musica, curata grazie alla direzione musicale e corale di Giulio Decembrini, musicista e compositore messinese scelto come tastierista di “Fame, Saranno Famosi“, lo straordinario musical di Luciano Cannito che sta facendo il giro dei teatri nazionali.

Sceneggiatura ed effetti speciali

Interessante l’adattamento teatrale di Frozen – Cuore di ghiaccio, che ha saputo rispettare lo spirito del film originale, aggiungendo un tocco di originalità grazie alla professionalità degli artisti.

Un dialogo ricco di applausi, risate e meraviglia quello con il pubblico.

Suggestive e di grande impatto le scenografie in 3D, che hanno ricreato il castello ghiacciato di Elsa, il regno di Arendelle e l’iconica scena di Elsa sulle note di “All’alba sorgerò“, che ha incantato il teatro, creando un’atmosfera surreale.

Tra luci, colori e un mondo fiabesco è stato come essere all’interno di un mondo ghiacciato.

Una serata ricca di divertimento e suggestione per i più piccoli, travestiti chi da Elsa o Anna, che hanno animato il teatro con le loro voci sulle note delle famose musiche del film. Uno spettacolo fatto di leggerezza, divertimento e di continuo coinvolgimento che, nonostante il gelo magico del musical, ha saputo trasmettere il calore e l’emozione degli artisti.

 

La mostra”1908 CittàMuseoCittà” al Museo regionale di Messina

“1908 CittàMuseoCittà”: l’esposizione più significativa che il Museo regionale di Messina accoglie ormai da un anno. Si tratta di  un percorso che celebra la memoria e la resilienza della città di Messina, dopo il tragico terremoto che l’ha messa in ginocchio 116 anni fa, stravolgendo completamente il volto dello stretto. Per l’esposizione sono stati sfruttati gli spazi dell’ex Filanda Mellinghoff (ex sede del Museo nazionale).

C’era una volta a Messina: prima del 1908

Chiese maestose, patrimonio architettonico unico, vivacità culturale e scenario di numerosi scambi commerciali. Ecco Messina, città fiorente e cosmopolita, disintegrata dalla furia della natura. Il 28 dicembre 1908 segna l’inizio della fine per i messinesi: una scossa di magnitudo 7,1 provoca quasi 80.000 vittime, ben oltre la metà della popolazione. Insomma, Messina diventa una città fantasma, sommersa da macerie e travolta anche dal maremoto che sommerge non solo la città messinese, ma anche i villaggi nella Calabria.

Il popolo messinese guarda in faccia la morte e, i sopravvissuti, cercano di sfidarla. Messina sarà una città nuova.

 

 

Terremoto di Messina
Testimonianze fotografiche del terremoto di Messina. © Elisa Guarnera

 

IL PERCORSO DELLA MOSTRA 

È attraverso la fotografia e le moderne ricostruzioni che è possibile osservare la ripresa e l’evoluzione di una società completamente disintegrata. Non si tratta solo resti di maestosi monumenti: è la tecnologia ad avere un ruolo importante che, grazie all’utilizzo di innovativi e sofisticati strumenti, ci permettono di percorre in modo interattivo le vecchie strade di Messina.

All’ingresso della mostra vengono consegnati degli smart glasses che, attraverso l’intelligenza artificiale, consentono di vivere la città di Messina antecedente al terremoto. La prima sezione della mostra permette ai visitatori di camminare tra i reperti dei monumenti messinesi, di visionare documenti storici e filmati d’epoca. Colonne, capitelli, decorazioni scultore e la ricostruzione della famosa Palazzata trovano spazio in questo percorso. Tra i pezzi più significativi che allestiscono la mostra spiccano i resti della Chiesa della Santissima Annunziata dei Catalani e del Duomo, simboli della città che ancora oggi raccontano la sua ricchezza culturale.

Sala immersiva
Proiezione del teatro nella sala immersiva ©Elisa Guarnera

La realtà aumentata e la sala immersiva

Percorrendo la sala, si arriva al momento della realtà aumentata. Con gli occhiali immersivi, consegnati in precedenza, i visitatori possono camminare per le strade della Messina pre-terremoto, osservare edifici ormai scomparsi e vivere un viaggio nel tempo che culmina con la tragica notte del terremoto. Il percorso di conclude nella sala immersiva, che propone una ricostruzione visiva e sonora degli eventi antecedenti la distruzione: la sera del 27 dicembre 1908, a pochi giorni dalla fine dell’anno, al Teatro Vittorio Emanuele l’Aida di Giuseppe Verdi incanta la città per vivere ancora la magia delle feste. Una magia che, alle 5:20 del mattino del 28 dicembre, lascia spazio alla disperazione. La sala immersiva, che suscita grande emozione e commozione nel cuore dei visitatori, termina con la proiezione di alcune testimonianze raccolte dai sopravvissuti alla tragedia.

La mostra rappresenta non solo un modo per mantenere sempre accesa la memoria collettiva , ma anche l’esaltazione di una comunità che è riuscita a rinascere dalle macerie.

Un appuntamento imperdibile, soprattutto in questi ultimi giorni di festa. Numerose le novità aggiunte alla mostra, tra cui una guida LIS per visitatori audiolesi e sordi, pannelli tattili per ipovedenti e una guida cartacea dedicata alle diverse abilità cognitive.

Inoltre, è stata applicata una scontistica speciale per i messinesi residenti, che dal 20 dicembre scorso al 6 gennaio 2025  potranno accedere alla mostra acquistando il biglietto a soli 2 euro anziché 7 euro.

Un’esposizione che invita a riflettere sulla fragilità del nostro patrimonio culturale e sull’importanza di preservarlo, offrendo un’opportunità unica per immergersi in una vicenda umana senza precedenti, che ha modificato la nostra Porta della Sicilia.

 

Lipari e le Eolie: un Patrimonio di leggende e tradizioni

Entrare a Lipari non è solo un arrivo. È un’immersione nella cultura.

A chi movendo per nave da Messina, si allontani un poco dalla punta del Faro, nell’ora del Tramonto, si presentano subito, sopra un mare, che ha tutti i colori della Sera, le divine Ombre delle Isole Eolie: Ombre grandi, dalle linee così belle, come di madri, palpitanti di amore, dall’ansia d’una vita diversa dall’umana, ed Ombre piccole, come di una prole molteplice, timida e mansueta, accanto alle grandi.

Avvicinarsi ad esse vuol dire entrare della landa della Bellezza, dove si è soggetti ad una specie d’incanto divino, che dà allo spirito un sentimento del tutto nuovo della Natura.

Libro dei canti

 

Un ricco intreccio di leggende e credenze 

La leggenda narra che Lipari prenda il nome da Liparo, un re esiliato dall’Italia centrale che, stabilitosi sull’isola, fondò qui una colonia.

Secondo questa storia, Liparo governò pacificamente l’isola, che divenne prospera grazie alle sue risorse naturali. In seguito, abdicò e consegnò il potere a Eolo.

Le Eolie devono il loro nome proprio a Eolo, il dio dei venti.

Nell’Odissea di Omero, Eolo dona a Ulisse un otre contenente tutti i venti, per aiutarlo a tornare a casa. Tuttavia, i compagni di Ulisse, curiosi, aprirono l’otre, causando una tempesta che li fece naufragare. Questo mito ha fortemente legato le Eolie all’immaginario mitologico greco come il “regno dei venti”.

Un altro culto rilevante nelle isole, soprattutto a Vulcano e Lipari, è quello di Efesto, il dio del fuoco e della metallurgia. Si riteneva che i vulcani attivi fossero le sue fucine, dove lavorava instancabilmente il metallo per fabbricare armi e gioielli per gli dèi. I fenomeni vulcanici osservati sull’isola di Vulcano, con i suoi fumi e la lava, sembravano confermare questa credenza.

Lipari era anche legata al culto di Adranos, divinità siciliana del fuoco e della guerra, che sembra avere molte affinità con Efesto. Gli antichi credevano che i cani sacri del dio difendessero i suoi templi e il territorio. Un culto che sottolinea ancora una volta l’importanza del fuoco e dei vulcani per la cultura locale.

 

“Navigare necesse est”

Come in altre civiltà antiche, anche nelle Isole Eolie, e in particolare a Lipari, si svilupparono culti legati alla fertilità e alla natura. Le popolazioni isolane avevano un legame profondo con la terra e il mare, e si ritiene che adorassero divinità associate alla fertilità della terra e alla pesca.

Durante gli scavi archeologici a Lipari, sono state rinvenute alcune statuette che confermano l’esistenza di riti dedicati alla fecondità e al culto della Grande Madre, una divinità primordiale venerata in molte altre culture del Mediterraneo.

Le Isole Eolie rivestivano un’importanza strategica per il commercio, la pesca e i collegamenti con altre città del Sud. Per gli abitanti di Lipari, la navigazione rappresentava quindi una necessità vitale per il sostentamento economico e la sopravvivenza.

Inoltre, l’arcipelago era rinomato per la produzione di ossidiana, una risorsa che veniva esportata in tutta l’area mediterranea, rendendo la navigazione un’attività fondamentale per gli scambi commerciali.

 

Cantori popolari di Lipari, la voce antica delle Isole Eolie 

I Cantori popolari delle isole EolieFonte: Profilo Facebook dei Cantori popolari delle Isole Eolie
I Cantori popolari delle isole Eolie

Le Isole Eolie vantano l’esistenza di numerosi usi, costumi e tradizioni.

Da questi è nata una scuola di canti e danze popolari, riconosciuta in tutto il mondo grazie alla partecipazione a diversi raduni folklorici internazionali, come quelli in Olanda, in Portogallo, in Russia, in Turchia, in Australia e in Messico.

Si tratta dei Cantori Popolari, un gruppo folklorico fondato nel 1972 da alcuni studenti di Lipari. Questi giovani, amanti delle tradizioni, decisero di creare un vasto repertorio basato su ricerche minuziose ed approfondite, condotte su testi specialistici, e sugli stessi racconti degli anziani, una fonte preziosa.

Le rappresentazioni sono ispirate alla storia delle Isole Eolie o a particolari celebrazioni religiose. Ad esempio:

  • la Via Crucis, da Piazza Mazzini fin dentro la rocca del Castello, set della “Via della Croce”, dove gli eoliani ricoprono i ruoli tradizionali;
  • il Presepe Vivente, realizzato ogni 26 dicembre con location sempre differenti, come i vicoli del quartiere di Sant’Anna, la scalinata di San Bartolo o l’ingresso lato nord della zona medievale del Castello;
  • A Ruina, rievocazione storica del Sacco del Barbarossa che vede l’impiego di comparse, l’utilizzo del parco Diana e della Chiesa di Maria Santissima Immacolata per l’allestimento;
  • San Bartulu Prutitturi, una serie di eventi, canti, musiche e balli sulla storia di San Bartolo, tratti dalla memoria popolare;
  • la Ittata i lastricu. Quando si costruiva una nuova casa a Lipari, vi erano diverse tradizioni e rituali, che rispecchiavano la cultura e le credenze popolari locali, volti a proteggere la casa dagli spiriti maligni e a garantire prosperità e fortuna ai suoi abitanti.

Dopo il completamento della casa, era comune fare una grande festa con amici, parenti e vicini per celebrare l’evento. Questa festa serviva a condividere il momento di gioia e a rafforzare i legami con la comunità locale.

 

Fonte:https://www.guideturistichemessina.it/cantori-popolari-delle-isole-eolie/#:~:text=I%20Cantori%20Popolari%20delle%20Isole%20Eolie%20sono%20un%20gruppo%20folklorico,approfondite%20condotte%20su%20testi%20specialistici

 

Per amore di Carlotta

Vi racconto una storia, di quelle che vi metterà di buon umore o, meglio, di quelle che vi convincerà a una riflessione, generale e quanto mai profonda, sugli eclissati valori della bellezza, dell’amore familiare, della concordia incondizionata, della vita comunitaria.

Vi racconto la storia della piccola Carlotta e di sua madre Erika; che dal modesto e dolce paesino di Santa Lucia del Mela sono giunte alla ribalta nazionale, gettando il cuore puro e vivido oltre l’ostacolo, dove le telecamere di un’intera Nazione hanno potuto riprenderlo.

Carlotta ed Erika: chi sono? Ecco il loro percorso

Carlotta D’Amico è una bambina di appena otto anni che insieme alla madre Erika Colaianni ha partecipato e vinto l’ultima edizione di Io Canto Family – un popolare programma televisivo, trasmesso su canale 5, in cui delle famiglie si sfidano in una gara canora.

Le due hanno dimostrato di essere molto brave e affiatate, conquistando, esibizione dopo esibizione, la simpatia del grande pubblico Mediaset.

Carlotta è stata la concorrente più piccola in assoluto, ma anche la madre ha – per così dire – impressionato per la sua giovinezza. Erika, infatti, ha avuto la figlia quando era ancora diciassettenne.

Il loro percorso è stato straordinario, costellato da costanti successi. La vittoria finale, per questo, era anche stata prospettata con grande gioia, pur non essendo, naturalmente, né scontata né nettamente ritenuta probabile.

Quel che è stato messo in evidenza, e che sarà stato palese a tutti gli ascoltatori, è la grande sinergia e il totale agio con cui le due cantanti hanno dato spettacolo. Oltre la vittoria e l’invidiabile percorso individuale, però, c’è qualcos’altro che credo assolutamente degno di nota.

Il sentimento di amore per Carlotta in cui si è unita la piccola Santa Lucia del Mela è stato meraviglioso, insuperabile e, per certi versi, tipico di un altro tempo.

L’incredibile vicinanza di una città

Ciò che i giornali nazionali ignorano e non possono rendicontare – perché occupati a registrare la punta dell’iceberg visibile, il punto terminale di tutto – è lo straordinario atteggiamento che la comunità d’appartenenza della bambina ha a lei riservato.

Affetto, affetto e affetto via social e tra i bar della città – senza un’intrusione indiscreta di troppo – lungo tutto il percorso; un tifo per lei organizzato come quello che si raduna in vista della partita del secolo; un maxischermo, arrivati alla finale, per compattare tutti, nella piazza principale del paese, al seguito della sincera amichetta.

Proprio così, addirittura dal comune si sono premurati di allestire al meglio la serata finale, forse pure con la genuina convinzione che si sarebbe conclusa con dei festeggiamenti.

La cara Carlotta è diventata, per i fan di casa, una tenera idola. L’oggetto dell’ammirazione incondizionata e appassionata delle persone; in questo caso, unicamente dedite all’amor di patria e all’amore per la felicità della giovane concittadina.

Questo leggo nell’evoluzione della vicenda. Carlotta è stata (ed è) ammirata anzitutto in quanto simbolo di una piccola comunità – quella di Santa Lucia del Mela – non avvezza a palcoscenici nazionali. Ma è stata unanimemente accettata come rappresentante per la sua giovialità e il suo candore incontestabili.

Per amore di Carlotta unità assoluta

Santa Lucia del Mela, come accennato, è un piccolo paesino che conta meno di 5000 anime. Qui amministra un sindaco largamente amato dai cittadini e nell’aria si respira una tranquillità rara. Santa Lucia del Mela appartiene certamente al mondo moderno, di cui ne segue il progresso strutturale ed economico, ma ha la particolarità di far resistere ancora le buone tradizioni di qualche epoca fa.

Nel borgo in provincia di Messina tutti si conoscono e c’è poco spazio per feroci contese. Piuttosto, dacché tutti si conoscono, si preferisce la fratellanza alla guerra, che, spesso, scaturisce nella contentezza di tutti fuori dall’avidità di qualcuno.

Insomma, Santa Lucia non è un territorio alieno, assurdo e inimmaginabile. Possiede semplicemente alcuni degli apprezzabili caratteri di un altro tempo, che oramai di rado si possono notare nelle città super industrializzate, nei centri in cui i cittadini sono moltissimi ma tutti individui per i fatti propri.

Ovvio che in un paese tanto modesto sia più facile mantenersi solidali. Meno ovvio è che città di maggiori dimensioni debbano per forza essere prive dello stesso spirito.

Gabriele Nostro

La Zona falcata di Messina tra storia e leggenda

Situata sulla punta nordorientale della Sicilia, Messina, anticamente denominata “Zancle”, è una città caratterizzata da una storia dal grande fascino. Famosa per il suo porto a forma di falce, da cui il nome di “zona falcata”, vanta una tradizione marittima secolare.

Il mito di Crono che diede vita alla leggenda di Zancle

Secondo antiche leggende siciliane, quando gli dèi governavano la terra e il cielo, Messina fu teatro di una disputa divina. Crono, figlio di Urano, dio del cielo stellato, dopo aver tentato di evirare il padre con la sua stessa falce, la gettò in mare. La falce, impattando con la costa, si conficcò nella terraferma, dando vita al Porto e alla città di Zancle (nome derivante, secondo Tucidide, dal termine siculo Zanclon, “falce”).

La penisola di San Raineri

Raffigurata da Antonello da Messina come sfondo delle sue Crocifissioni, l’attuale penisola di San Raineri, sito dell’originaria Zancle, rappresenta un tratto distintivo della città di Messina.

Tuttavia, la penisola ha subito, nel corso del tempo, una serie di trasformazioni dal punto di vista fisico e funzionale.

Nel corso del XVI secolo la penisola di San Ranieri assume un ruolo di fondamentale importanza nelle strategie difensive contro gli attacchi turchi, diventando altresì nodo cruciale per la navigazione nello Stretto di Messina. Questo periodo segna un’epoca di trasformazioni significative per il promontorio: a partire dalla costruzione del Forte S. Salvatore, in sostituzione del monastero brasiliano di origine normanna, si denota la nascita di un nuovo sistema di fortificazioni, volto a garantire la sicurezza della città e dei commerci marittimi che attraversano lo Stretto.

La Lanterna del Montorsoli e il nuovo Arsenale

Nello stesso periodo viene costruita la Torre della Lanterna, progettata da Giovan Angelo Montorsoli (1556). Questo edificio turrito trae la sua origine da un doppio mandato della città portuale: comunicare il servizio di ricovero navale e, contemporaneamente, monitorare il transito sullo Stretto per segnalare eventuali situazioni di pericolo.

Contestualmente, nel periodo compreso tra il 1565 e il 1615, viene istituito un nuovo Arsenale, destinato alla costruzione e al raddobbo delle navi.

San Raineri, essendo isolato dalla città, è stato, per un lungo periodo, luogo di isolamento per i malati e sito di sepoltura per i morti causati da epidemie, come la peste del 1522 e del 1575.

Lanterna del Montorsoli
Lanterna del Montorsoli – Fonte: commons.wikimedia.org

Cittadella: da simbolo della repressione a sogno non realizzato

Un importante stravolgimento è dato dall’esito negativo della rivolta cittadina contro gli spagnoli del 1678: la repressione contro il governo spagnolo trova la sua massima rappresentazione nella costruzione della Cittadella, fortificazione nata con lo scopo di separare la penisola dalla città.

Facendo un salto temporale di qualche secolo, nel periodo immediatamente successivo all’Unità d’Italia, la città chiese al nuovo Stato l’abbattimento della Cittadella. Parallelamente l’architetto Giacomo Fiore sognava che San Raineri divenisse un vero e proprio giardino circondato dal mare. Sogno che, ad oggi, resta tale.

Madonna della Lettera - Zona Falcata di Messina ("Zancle")
© Giusy Lanzafame

La Madonnina del Porto

Nel 1934, nel punto più remoto della costa, nasce la maestosa stele della Madonnina del Porto. La Madonnina, simbolo della città di Messina, accoglie benedicente chiunque arrivi in Sicilia. Non è casuale, infatti, l’imponente scritta alla base del suo stele: «VOS ET IPSAM CIVITATEM BENEDICIMUS». Un augurio  tratto dal saluto finale presente all’interno di una lettera che la Madonna scrisse alla popolazione messinese. Da qui anche il nome di “Madonna della Lettera”.

Giusy Lanzafame

 

 

 

Fonti:

Lanterna del Montorsoli: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/0/08/Lanterna_Montorsoli_%28Messina%29_15_08_2019.jpg/800px-Lanterna_Montorsoli_%28Messina%29_15_08_2019.jpg

Castello di Milazzo: dall’antichità a oggi

Milazzo nell’antichità

La città di Milazzo ha origini antichissime: abitata fin dal Neolitico, come ci testimoniano i ritrovamenti di utensili, capanne e una necropoli, dall’VIII secolo a.C. diventa una colonia greca.

Nel 260 a.C. le acque di Milazzo sono teatro di una delle battaglie navali più importanti della prima guerra punica, la quale porterà la città sotto il dominio romano. Un ulteriore scontro in mare avverrà nel 36 a.C., quando i soldati di Ottaviano vinceranno sui pirati di Sesto Pompeo.

Panoramica città di Milazzo dal castello
Panoramica città di Milazzo dal castello – Alessia Scarcella ©, 2022, Milazzo

Il Castello di Milazzo e la sua storia

Per la sua posizione strategica, Milazzo ha assunto nel corso dei secoli fondamentale importanza per il dominio sul mare; non a caso i greci  stabiliranno qui una base navale. Uno dei segni tangibili di questo dominio è sicuramente il castello, che si trova all’interno della “cittadella fortificata”, uno dei primi nuclei abitati della città. La sua posizione sul promontorio permette una visuale abbastanza ampia sul mare, rendendo facile l’avvistamento di nemici all’orizzonte.

Saranno i romani a dare vita alle prime basi fortificate sulla rocca. Da allora il castello si amplierà sempre di più, dando vita a un complesso di edifici che rappresenterà il centro politico e amministrativo della città. 

Il castello, come la città, dopo la dominazione romana, passerà ai bizantini e poi ai saraceni, i quali si occuperanno di costruire un’imponente torre a strapiombo sul mare, il Mastio. Sarà sotto la reggenza normanna e soprattutto con Federico II che il castello amplierà le sue funzioni e la sua estensione. Con i lavori all’interno della cittadella fortificata, diretti dall’architetto dell’imperatore, Riccardo da Lentini, il castello diventerà una delle dimore predilette di Federico II, in particolar modo nei momenti in cui vorrà allontanarsi dalla caotica vita palermitana. 

Dopo una breve parentesi angioina, un periodo di intensi lavori per la costruzione di nuovi edifici, ma soprattutto di una nuova cinta muraria, sarà quello della dominazione aragonese. Attorno al castello verranno edificate numerose costruzioni difensive che comprenderanno baluardi, cortine, gallerie, garitte di vedetta, torri di avvistamento, polveriere e ponti levatoi.

Torre aragonese
Torre aragonese – © Alessia Scarcella,2022,Milazzo

Da residenza reale a carcere

In epoca moderna Milazzo rappresenterà un’ importante base militare per gli aragonesi e successivamente per i Borbone. Non a caso durante la battaglia di Milazzo del 20 luglio 1860, i cittadini con l’aiuto delle truppe garibaldine, affronteranno la conquista della cittadella fortificata, ultimo centro borbonico ancora resistente della città.

Con l’Unita d’Italia, il castello subirà un declassamento, in quanto da piazzaforte reale diventerà un carcere giudiziario, e tale rimarrà durante la prima guerra mondiale e il periodo fascista. Dopo la chiusura del carcere, nel 1970, il castello non verrà curato fino al 1991, quando inizieranno i lavori di restauro.

Antico carcere giudiziario di Milazzo
Antico carcere giudiziario di Milazzo, Fonte: https://www.hitsicily.com/indi/_pics/4/4/particolare-corte-interna_24417_19216_t.jpg

Le iniziative attuali

Negli ultimi anni il castello ha ospitato numerosi eventi, tra cui mostre, spettacoli, festival musicali (come il Mish Mash Festival) e, nel periodo di Natale, la rappresentazione del presepe vivente. Al suo interno è presente il MuMa (Museo del Mare Milazzo), al cui interno è possibile osservare lo scheletro di un capodoglio, spiaggiatosi qualche anno fa sulle coste di Milazzo.

Scheletro del capodoglio Siso
Scheletro del capodoglio Siso, Fonte: http://lanostramilazzo.altervista.org/wp-content/uploads/2021/09/muma-museo-del-mare-siso.jpg

Gli occhi di Milazzo

Sulle mura di una delle tante torri normanne del Castello di Milazzo è presente una raffigurazione insolita: secondo la tradizione, si tratta di uno scarabeo, un insetto con due grandi occhi e due antenne, realizzato in pietra lavica, posto su un angolo che guarda verso la Baia del Tono. Attorno al suo significato e alla sua funzione rimangono ancora oggi numerosi interrogativi. C’è chi pensa che sia solamente una decorazione che simboleggia la sorveglianza e l’inespugnabilità della fortificazione, ma è anche probabile che abbia una funzione legata al susseguirsi delle stagioni. Infatti, il quadrante rivolto a Nord-Est risulta illuminato solo in alcuni periodi dell’anno (solstizio d’estate – 21 giugno) mentre quello rivolto a Sud-Est viene illuminato tutto l’anno.

Gli occhi di Milazzo
Gli occhi di Milazzo. Fonte: https://www.lettore.org/wp-content/uploads/2018/11/lo_scarabeo-1.jpg

 

Alessia Scarcella

 

Fonti:

https://it.wikipedia.org/wiki/Castello_di_Milazzo

https://www.lettore.org/2018/11/30/lo-scarabeo-gli-occhi-milazzo/

La tavuliata di San Giuseppe, origini e usanze

Il 25 Marzo a Malfa, un piccolo comune a Nord dell’isola di Salina, si svolge un corteo dedicato a San Giuseppe. In paese si respira aria di mare, musica e tradizione! Ma che festa siciliana sarebbe senza del buon cibo?

La tradizione prevede che venga allestita una grande Tavuliata in onore del Santo, arricchita da pietanze dolci e salate preparate e portate in dono dagli isolani. Dalle torte salate alle frittate, dalle cotolette agli arancini per poi concludere in bellezza con biscotti, sfinci e crostate!

Non si poteva sfuggire al richiamo di quell’enorme tavolata imbandita a festa e soprattutto non si poteva sfuggire alla tipica pasta coi ceci!

 

San Giuseppe
Preparazione della pasta con i ceci

 

Il piatto tipico in onore di San Giuseppe

La specialità di questa tradizione è la preparazione della classica pasta coi ceci all’interno di enormi pentole.

Una volta pronta la pietanza, le quaddare verranno issate sulle spalle dei cuochi e di alcuni volontari che le porteranno in cima fino al piazzale della chiesa parrocchiale.

Il corteo viene aperto da tre personaggi che raffigurano la Sacra Famiglia: San Giuseppe, Gesù Bambino e la Madonna vestiti con costumi tipici di un tempo.

Le tre figure vengono seguite da donne, uomini e bambini che recano tra le mani i loro doni e da una piccola banda che contribuisce ad abbellire la tradizione con la musica suonata dal vivo!

 

La Quaddara
La Quaddara

 

Origini e storia della Tavuliata

Pare che la tradizione ebbe inizio nel 1835, quando alcuni abitanti di Malfa erano in viaggio per portare a termine alcune attività commerciali.

Avvenuto il commercio con la terraferma in cui i malfitani scambiarono capperi, malvasia e vino, si ritrovarono in mezzo ad una forte tempesta in cui temettero di perdere la vita.

L’imbarcazione non avrebbe resistito alla potenza del mare se non fosse stato per l’aiuto di San Giuseppe.

Lo invocarono, pregando di poter rivedere ancora i propri cari e promisero che se fossero tornati sani e salvi all’isola avrebbero distribuito il carico che portavano ai più bisognosi.

Quando tornarono all’isola tutti interi diedero inizio a questa forma di ringraziamento verso il Santo.

 

La tavuliata
La Tavuliata

 

La celebrazione di San Giuseppe nel comune di Leni

Nel comune di Leni invece, la Tavuliata di San Giuseppe viene allestita l’1 Maggio, analoga a quella di Malfa in quanto a varietà di cibo!

Le origini della festa però differiscono. A Leni si dice che la tradizione abbia avuto inizio alla fine dell’800 attraverso un devoto del Santo: Giuseppe Pittorino.

Egli decise di preparare una tavolata per i poveri ricca di moltissimi cibi, tra cui soprattutto, legumi. Attorno ad essa siederanno, secondo la tradizione, dodici bambini con indosso vestiti multicolori che insieme ai componenti della Sacra Famiglia consumeranno il pranzo dopo la benedizione dei cibi da parte del sacerdote.

Nel pomeriggio poi si svolgerà la processione per le vie del paese, che si concluderà con la celebrazione liturgica e i fuochi d’artificio.

 

La processione
La processione

 

Concludo questo viaggio nella tradizione siciliana sottolineando che le Isole Eolie sono incantevoli d’Estate, dato che i paesaggi sono imparagonabili.

Eppure, non si può fare proprio a meno di vivere una giornata di festa come quella di San Giuseppe. Le nostre isole, infatti, non sono solo ricche di sole e salsedine, ma hanno tante tradizioni, usanze e miti da scoprire!

 

Alessandra Cutrupia

Occhio, malocchio… Le superstizioni messinesi

Su Tik Tok, è ora un trend imperdibile, da dover fare necessariamente se si vuole ottenere il massimo dei voti e, soprattutto, se si desidera superare un esame.

C’è chi, invece, si affida ai tradizionali santini per proteggersi e chi preferisce ripiegare su portafortuna fai da te: da calze stravaganti a slip particolari, da vestiari completamente nivei a pupazzetti d’infanzia nascosti dentro borse e tasche. La scelta di armamentario è ampia.

Oggi ha tanti nomi: macumba, seccia, gufata, ma qui, a Messina, ciò che più temiamo, soprattutto noi studenti, è noto come il malocchio.

Che cos’è il malocchio?

Quella del malocchio è una delle superstizioni popolari più radicate.

È inutile negarlo: noi siciliani siamo scaramantici e i messinesi non fanno eccezione.

Secondo la tradizione, il malocchio è la conseguenza di un’occhiata carica di intenzioni tutt’altro che benevole e positive, dal potere di scatenare nella persona interessata gli effetti più disparati.

Tra i sintomi più comuni troviamo: stanchezza, insonnia, agitazione, difficoltà a concentrarsi e malessere fisico non localizzato… I classici di una carenza di Sali minerali.

Non mancano, però, testimonianze di cecità improvvisa, impotenza e morte.

Il malocchio è figlio dell’invidia e dell’odio e per combatterlo, fin dall’antichità, si è ricorso a vari rituali di liberazione e di scongiura.

“[…] ma questi, appena egli faceva il nome del Chiàrchiaro, cioè di colui che aveva intentato il processo, si alteravano in viso e si ficcavano subito una mano in tasca a stringervi una chiave, o sotto sotto allungavano l’indice e il mignolo a far le corna, o s’afferravano sul panciotto i gobbetti d’argento, i chiodi, i corni di corallo pendenti dalla catena dell’orologio.”

Luigi Pirandello, La patente

 

Totò in "Questa è la vita", episodio "La patente"

Totò in “Questa è la vita“, episodio “La patente“. Fonte: storienapoli.it

Gesti, talismani, sali… L’uomo ha sempre trovato degli espedienti per ogni cosa.

A Messina, quello più diffuso contro il malocchio è la preghiera.

 

Nella notte di Natale

Manifestati i sintomi, è bene, da usanza, rivolgersi immediatamente a degli esperti e richiedere un’opportuna e attenta diagnosi.

Gli esperti in questione sono, solitamente, donne anziane e di fiducia, ereditarie di un potere mistico e posseditrici di formule segretissime. Queste preghiere, di derivazione cristiana e pagana, sono infatti trasmesse oralmente di generazione in generazione e, tradizionalmente, vengono insegnate nella notte di Natale.

In caso di esito positivo, la mavara si accinge nella sua liturgia, con un piatto d’acqua e dell’olio alla mano.

Le fasi del processo sono sconosciute a noi babbani e tali devono rimanere. Non possiamo toglierci il malocchio da soli, né tantomeno improvvisarci maghi e streghe!

Osservando il miscuglio di acqua ed olio, possiamo, però, ottenere alcune informazioni: ad esempio, la data approssimativa del malocchio, il sesso dell’autore e la relazione fra l’artefice e la vittima.

Alla fine, l’acqua deve essere gettata, preferibilmente lontano da casa, e il rituale dovrà essere ripetuto fino a quando le gocce d’olio che cadono nel piatto rimangano integre.

Rituale della segnatura, contro il malocchio
Rituale della segnatura, contro il malocchio. Fonte: www.quilianonline.it

Il malocchio nei casi di cronaca

Che esista il “male” o meno, riguardatevi dalle persone: sono loro i veri diavoli.

E Maria lo sa bene, signora messinese di sessantacinque anni che prometteva di togliere il malocchio e finiva per rubare nelle case.

O, ancora, un gruppo di criminali di Patti che, spacciandosi per veri e propri maghi e cartomanti, agganciavano le ignare vittime, inducendole a versare forti somme di denaro in cambio delle loro presunte prestazioni professionali. 

Oltre il danno, anche la beffa!

Valeria Vella

Fonti:

https://messina.gazzettadelsud.it/articoli/cronaca/2019/05/10/messina-promette-di-toglierle-il-malocchio-e-deruba-unanziana-fermata-ai-traghetti-86ef1d72-3772-499f-8d7c-3b16fdb84588/

http://www.strettoweb.com/foto/2020/05/arresti-messina-operazione-maghi/1015665/?fbclid=IwAR09uVHblk22UTQpXXqjhtyLnZ-5WrskWXHJwpYmXivZzbEwAMPnQsKX2Bg

https://www.siciliafan.it/superstizioni-siciliane/

Il Teatro Vittorio Emanuele: origini e storia

Le origini del progetto architettonico

Il Teatro Vittorio Emanuele, situato tra il Viale Garibaldi e il Corso Cavour, è il primo teatro siciliano in stile ottocentesco. Progettato dal napoletano Pietro Valente e inaugurato nel 1852. In origine fu chiamato Teatro Elisabetta in onore della madre del Re e dopo l’impresa di Garibaldi prese il nome del primo Re d’Italia.

Voluto da Ferdinando di Borbone tra il 1842 e il 1852, il primitivo progetto architettonico consisteva nella comunione di un apparato strutturale esterno e un apparato decorativo interno da far coincidere in perfetta simbiosi in maniera che l’uno diventasse diretta funzione dell’altro.

Nell’opera Lineamenti della storia artistica di Messina, l’autore Francesco Basile scrive:

“La decorazione interna del teatro secondava con felici tocchi, con fine misura ottocentesca, le forme architettoniche
degli ambienti, smorzando ogni crudezza di passaggi con lineari ricami, con sottili e sfumati chiaroscuri. Gli ambulacri i vestiboli i ridotti, avevano una grazia semplice, un calmo splendore.”

Al fine di realizzare il Teatro venne emessa un’ordinanza da Ferdinando II in cui si dichiara la necessità di  spostare i carcerati nel Castello di Roccaguelfonia, una fortezza oggi meglio conosciuta come Tempio del Cristo Re.

Alla presente affermazione ne consegue che il 2 ottobre 1838 il barone Don Nicola Santangelo, reggente il Ministero degli Affari Interni, comunica all’Intendente del Vallo di Messina Don Giuseppe De Liguoro, l’ordinanza di Ferdinando II re delle Due Sicilie. In un passo, si legge:

“[…] desiderando di veder soddisfatto il voto unanime della città di Messina per la pronta costruzione di un teatro, e volendo ad un tempo, che questa nuova opera contribuisca in particolar modo ad accrescere il decoro, ed il lustro di sì bella città, e che soddisfi ancora al bisogno della sua numerosa popolazione […] ha quindi S.M. risoluto, che il Teatro della città di Messina sia costruito nell’edifizio che attualmente è addetto ad uso di prigione centrale di cotesta provincia […]”.

 

Facciata antica del Teatro Vittorio Emanule, Messina. Fonte: teatrovittorioemanuele.it

 

Complessivamente le dimensioni progettate per il teatro erano di circa metri 38 di larghezza e di circa metri 67 di lunghezza con una capienza in platea di 342 poltrone e circa 600 posti nei palchi.

Nel 1857 vengono collocati, sulla facciata del Teatro, i due bassorilievi con scene della vita di Ercole e gli otto medaglioni in marmo con i profili di famosi musicisti e drammaturghi, scolpiti da Saro Zagari. I bassorilievi raffigurano “Ercole che aborrendo dalla voluttà seduttrice, appigliasi alla Virtù ch’è seguita delle Muse” ed “Ercole che per avere scelto la Virtù fatto immortale, è assunto all’olimpo ed ha in sposa Ebe dea della giovinezza”

La sala Laudamo

Nonostante il terremoto del 1908, il teatro rimane in piedi; presenta solo alcune lesioni sui muri perimetrali e il crollo di alcune pareti. Nel 1921 viene inaugurato un progetto di restaurazione con l’idea di ampliare il palcoscenico al fine di ricavarne una sala adibita ai concerti: la sala Laudamo.

La Filarmonica Laudamo è la più antica società di concerti siciliana da cui prende il nome la sala del teatro riservata ai concerti e che ha istituito nel 1948 la scuola di musica “A. Laudamo”, successivamente convertitasi in Liceo Musicale ed oggi definitivamente trasformata in Conservatorio “A. Corelli”.

Negli anni ’40 si è occupata dell’allestimento di stagioni liriche dovute alla mancata attività del teatro Vittorio Emanuele colpito dal sisma del 1908.

 

Il mito di Colapesce

Il soffitto, affrescato nel 1985 dal pittore Renato Guttuso con una rappresentazione del mito di Colapesce è ciò che rende unica l’esperienza visiva in teatro. Si tratta di una leggenda la cui versione più famosa è ambientata a Messina cui protagonista è Nicola, il figlio di un pescatore messinese. Essendo un amante del mare egli è solito raccontare i tesori presenti sul fondale marino. La sua fama giunge all’imperatore Federico II di Svevia che decide di metterlo alla prova. Il re, la sua corte e Nicola, saliti su un’imbarcazione verso il largo dello Stretto di Messina, assistono ad una prova delle abilità di Colapesce voluta dallo stesso Federico II che  gettò in acqua una coppa e chiese al ragazzo di recuperarla.

 

Renato Guttuso: Colapesce, 1985, pannelli dipinti ad olio, Teatro Vittorio Emanuele, Messina. Fonte: pinterest

 

Quando vide ritornare a galla Colapesce con l’oggetto, lanciò la sua corona in un punto ancora più profondo. Anche questa volta però Nicola non ebbe difficoltà a recuperarla. Il re allora fece spostare la barca in un punto ancora più profondo e lanciò il suo anello. Questa volta però Colapesce non tornò più in superficie. La leggenda racconta che Nicola si accorse che la Sicilia era retta su tre colonne. Una di queste però era fratturata e rischiava di rompersi, facendo così sprofondare l’intera isola. Per questo motivo decise di rimanere sott’acqua e reggere da solo il peso della Sicilia.

 

Alessandra Cutrupia

Il cinema è nato a Messina

Il cinema a Messina nacque in un epoca contemporanea alla prima proiezione cinematografica avvenuta a Parigi.

Dal febbraio del 1897 Messina fiorisce di locali cinematografici in pianta stabile e di conseguenza si fa strada un primordiale quanto efficace mezzo pubblicitario, la locandina cinematografica affissa nelle strade o nelle vetture delle imprese mobili, che raccoglieva tutte le informazioni utili per l’evento cinematografico così  affacciando la società messinese del tempo ad una nuova forma di arte.

Cinématographe Lumière. © Musèe des arts et mètiers-Cnam/photo studio Cnam.

 

Il primo cinema a pianta stabile si ha con l’apertura del Reale Cinematografo Lumière in Via S. Camillo, successivamente tra il 1905 e il 1908 si registrano la Sala Italia in Corso Vittorio Emanuele con trasferimento di sede nel periodo invernale in Piazza S. Giacomo, a seguire s’inaugura l’Edison Cinématographe  allo Chalet in Corso Vittorio Emanuele. Il Cinematografo imperiale” in via Cardines e il  Cinematografo Mignon ad opera di Ernesto Mastrojeni sino ad essere inaugurato il “Moderno” al palazzo Cianciafara e il “Cinematografo Iris”.

Nel periodo post terremoto sorgono diversi cinema tra cui: il cinema “Progresso”; l’indimenticabile cinema “Trinacria” e il cinema più frequentato da giovani e famiglie il cinema “Star” ad angolo tra la via Consolare Vecchia e via Bonino, trasformato in un supermercato. Infine l'”Eden cinema-concerto” nel quale il giovane Giovanni Rappazzo inventa il cinema sonoro.

 

Il Cinema Teatro EDEN-Messina. Fonte: Pinterest
Il Cinema Teatro EDEN-Messina. Fonte: Pinterest

 

Insomma, Messina zampilla di nuovi locali che racchiudono l’arte del cinema.

A seguire il cinema messinese è perfezionato dal Cinematografo Lumière che presenterà i suoi film in tre occasioni: al Teatro La Munizione nell’ottobre 1898, al Reale Cinematografo Lumière in Via S. Camillo nel 1898 e al Teatro di Villa Manzini nel 1905.

Preceduto dalla prima cassetta che proiettava delle immagini in movimento, il Kinetoscopio di Edison, il vero apparecchio cinematografico inaugurato a Messina fu il Kinefotografo di origine inglese registrato in una strada adiacente al Teatro Vittorio Emanuele, periodo coincidente con il Cinematografo dei fratelli Lentini. Sono questi gli anni in cui i registi utilizzano apparecchiature per riprendere scene dal vivo, come accadde per Lo sbarco dei passeggeri dal Ferry-Boat, Il convegno dei ciclisti messinesi allo Chalet.

Kinetoscopio di Edison. Fonte: occhiovolante.it

 

Fu altresì frequente la realizzazione di film a soggetto, all’indomani del terremoto del 1908,  come Dalla pietà all’amore (Il disastro di Messina). Negli anni dieci e quaranta del ‘900, Messina inaugura i film d’epoca in cui viene risaltato il magnifico paesaggio che divide lo Stretto dalla penisola e che ancora oggi incanta i cittadini e migliaia di turisti. Sono diversi i registi che includono scene dell’attraversamento dello stretto come al tempo fu la scelta di Giuseppe Tornatore in L’uomo delle stelle.

Il cinema a Messina introduce anche un’altra novità non ancora registrata sul territorio, la presenza di cinecircoli e associazioni culturali cinematografiche. Già a partire dagli anni ’30 esisteva un CineGUF interamente gestito e dedicato agli studenti universitari che diede vita anche alla produzione di documentari.

 

L’attrice Jayne Mansfield al Rassegna Internazionale del Cinema di Messina e Taormina nel ’62. Fonte: Taorminafilmfest

 

Infine, nel dopoguerra fu inaugurato il Circolo messinese del cinema che cambiò denominazione negli anni.

Ma il vero periodo aureo del cinema messinese del dopoguerra, si ebbe grazie alla vicinanza di Taormina protagonista di diverse edizioni cinematografiche con una fama che conserva ancora oggi.

Siamo così giunti ai giorni nostri in cui, grazie a questo excursus storico-cinematografico, possiamo vantare che il cinema è nato a Messina.

Sarebbe interessante organizzare una serie di eventi da “tuffo nel passato” da trascorrere nei cinema storici ancora presenti sul territorio messinese,  riproponendo un film di quegli anni.

 

Elena Zappia

Fonti:

Storia e civiltà Messina, Ed. GBM, 1997, Messina