Al via l’annuale concorso di poesia organizzato dal liceo “Galileo Galilei”

Oramai giunto alla sua 7^ edizione, anche per l’anno scolastico 2018/2019, il Liceo Scientifico-Linguistico “G. Galilei” di Spadafora bandisce l’annuale Concorso di Poesia intitolato all’omonimo istituto sul tema:

“un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.” (U. Saba, Trieste)

Il concorso è rivolto a tutti gli studenti universitari dell’Ateneo di Messina, agli studenti universitari presso Atenei nazionali diplomati presso un istituto di istruzione superiore di Messina e provincia, agli studenti iscritti a scuole medie o superiori di Messina e provincia.
I componimenti inediti dovranno essere presentati entro e non oltre le ore 12 del 31 gennaio 2019 secondo le seguenti modalità: tramite posta (racc. AR) all’indirizzo LICEO SCIENTIFICO-LINGUISTICO “Galileo Galilei” – concorso di poesia – Via Nuova Grangiara, 98048 Spadafora (ME) (farà fede il timbro postale), oppure consegnandoli fisicamente presso la Segreteria del Liceo Scientifico-Linguistico “G. Galilei”.

Ogni concorrente proclamato vincitore per la propria categoria riceverà un premio di € 200,00. Saranno inoltre assegnate pergamene con menzione di merito ai concorrenti autori di componimenti ritenuti particolarmente meritevoli dalla Commissione.
Il luogo e le modalità della premiazione saranno comunicati tramite missiva o telefonicamente ai vincitori del premio e alle scuole di appartenenza.

Per ulteriori informazioni è possibile consultare il regolamento presente nel bando: http://www.maurolicomessina.gov.it/wp-content/uploads/2018/12/Bando-concorso-di-poesia-Liceo-Galilei-2018-2019.pdf .

 

Claudia Di Mento

Pietro Castelli: il docente che fondò a Messina il più antico Orto Botanico in Sicilia

Pietro Castelli. Questo nome, riferito al contesto messinese, in un primo momento evoca nient’altro che il nome di una via o quello dell’Orto Botanico cittadino. Eppure, soprattutto noi studenti, dovremmo sapere che il signore in questione è stato uno dei più illustri Professori del nostro Ateneo.

http://www.ortobotanico.messina.it/home_page/storia_dell_orto/00000192_PIETRO_CASTELLI__1580_1661_.html

Romano, nato intorno al 1570, è stato un medico e un botanico. Studiò medicina nella sua città, sotto le direttive di Andrea Cesalpino, di cui fu discepolo. Presso la stessa università di Roma cominciò ad insegnare sul finire del secolo. In quegli stessi anni diresse, all’interno degli Orti farnesiani (considerati il più antico orto del mondo occidentale, che sorse per volere della famiglia Farnese sul Palatino), l’orto dei semplici, ossia quella superficie ove venivano coltivate le piante medicinali per la preparazione dei farmaci. A quel periodo, precisamente al 1625, risale Hortus Farnesianus, una descrizione delle piante presenti in quell’orto, corredata da realistici disegni. Tale opera fu stampata sotto il nome del medico e direttore degli Orti farnesiani Tobia Aldini, ma in realtà secondo molti studiosi fu scritta interamente da Castelli.

Al 1631 risale il suo trasferimento nella città dello Stretto; qui, nel ruolo di Professore dell’Università, fin da subito sollecitò la realizzazione di un orto in cui fossero presenti le varie tipologie di piante medicinali. Scrisse egli stesso: «Arrivato che qui fui, considerando quanto era necessario l’Horto de’ semplici [] ne feci più volte istanza all’Ill.mo Senato; finalmente fui inteso nell’anno 1638 [] E mi fu consegnato il fosso fuori delle mura, tra i due ponti, lungo canne 72 et largo 24 et oltre il ponte canne 200…». Nacque così a Messina, nel 1638, il primo Orto Botanico della Sicilia, che successivamente verrà intitolato proprio al suo fondatore. In esso, cominciarono ad essere coltivate tantissime specie vegetali, provenienti da tutta Italia, dalla Sicilia (specialmente dalla zona dell’Etna) e anche dai vicini paesi africani. Innovativo fu anche il modo in cui Castelli procedette a dividere le varie specie, attraverso dei criteri che riflettevano le sue idee in merito alla classificazione degli organismi vegetali. In poche parole, la suddivisione da egli operata si basava sulla parentela tra le piante, che era dedotta paragonando le caratteristiche dei fiori e dei frutti di ognuna di esse. Un metodo sistemico-filogenetico, insomma, che diventò poi il punto di partenza per l’organizzazione degli orti botanici moderni.

Nel 1640 Castelli volle mettere nero su bianco quanto aveva creato e così pubblicò un’opera, dal titolo “Hortus Messanensis”, in cui descrisse minuziosamente l’orto e in particolare la suddivisione che ivi aveva attuato, in quattordici sezioni (“hortuli”) in base appunto al suo metodo di classificazione delle piante. Ognuno di questi hortuli portava il nome di un Santo e a sua volta era diviso al suo interno in numerose aiuole.

http://www.ortobotanico.messina.it/home_page/storia_dell_orto/00000030_Primo_periodo__L_antico_Orto_Botanico.html

 

Pietro Castelli avrebbe vissuto a Messina ancora per oltre un ventennio, finché la morte non lo colse proprio nella città dello stretto nel 1661, non prima però che venisse nominato Nobile della città di Messina dal Senato cittadino che riconobbe certamente i suoi grandi meriti. Dopo la sua morte, l’Orto botanico fu intitolato alla sua memoria e venne affidato alle cure e alla direzione di un altro eminente medico e botanico, Marcello Malpighi.

Francesca Giofrè

Falvetti ritorna a Messina: finisce una attesa durata oltre tre secoli

A volte ritornano. È davvero il caso di dirlo, perché spesso la memoria storica si comporta in modo strano: capita spesso di leggere di personaggi che ai loro tempi erano quasi degli sconosciuti che muoiono soli e dimenticati da tutti, ma dopo la morte ricevono la fama meritata.
Più raramente, capita anche di incontrare casi contrari: personaggi famosissimi ai loro tempi, celebrati ed acclamati come i più grandi della loro categoria, scivolare lentamente nell’oblio e restarci magari per secoli, dimenticati da tutti.
In realtà, non sappiamo a quale di queste due categorie fosse appartenuto Michelangelo Falvetti, compositore di origini calabresi che operò a Messina come maestro di cappella del Duomo, a partire dal 1682. Quello che è certo è che con lui la Storia è stata davvero impietosa: dimenticato per secoli; riemerso dalle sabbie del tempo una decina d’anni fa, con grande successo internazionale di pubblico e critica; ma ancora completamente ignoto nella sua città, la città che lo vide formarsi e scrivere alcuni dei suoi lavori più belli, Messina.
Aveva ragione il Poeta: nemo propheta in patria. Ma la ruota gira e con l’anno che viene, Messina potrebbe assistere al ritorno a casa di questo suo grande figlio dimenticato.
Noi di UniVersoMe vi avevamo già raccontato la sua storia in un nostro vecchio articolo sulla rubrica Personaggi e avevamo chiuso auspicandoci che in un futuro non troppo lontano le sue note potessero tornare a risuonare nella città dello Stretto. Adesso pare che questi auspici siano diventati realtà: domenica 6 gennaio, alle ore 18:00 al PalaCultura, nel contesto della programmazione concertistica della Filarmonica Laudamo, andrà in scena “Il Diluvio Universale”, oratorio in quattro atti considerato il capolavoro di Michelangelo Falvetti, da lui scritto in occasione del suo insediamento come Maestro della Real Cappella del duomo di Messina.
Sotto la bacchetta del Maestro Carmine Daniele Lisanti, contrabbassista, compositore e direttore ormai veterano nella scena musicale messinese, il coro polifonico “Luca Marenzio” si cimenterà nell’esecuzione di questo “dialogo a cinque”, accompagnato dagli strumentisti dell’Ensemble Orpheus, esperti in pratiche esecutive storiche, su strumenti d’epoca. Parteciperanno all’esecuzione anche il coro di voci bianche “Piccoli Cantori di Barcellona P.G.” diretti dal Maestro Salvina Miano e il coro “Note Colorate”, del Maestro Giovanni Mundo.
L’oratorio, piccola gemma del vasto repertorio di musica sacra tardo-seicentesca, si articola in quattro atti che parafrasano la vicenda biblica del Diluvio Universale, mettendola in scena senza rinunciare al gusto tutto barocco per il drammatismo e la spettacolarità. A dialogare col coro e l’orchestra, i solisti Santina Tomasello e Alessandra Foti (soprani), Caterina d’Angelo (contralto), Angelo Quartarone (tenore), Simone Lo Castro, (controtenore), e Daniele Muscolino (basso) impersoneranno i protagonisti dell’oratorio: i quattro elementi Aria, Acqua (soprani) Fuoco (tenore) e Terra (basso), la Giustizia Divina (contralto), Noè (tenore), Rad (soprano), Dio (basso), l’Humana Natura (soprano) e la Morte (contralto).
Sarà un evento di musica e cultura da non perdere, che si spera possa costituire uno dei tanti passi, per la città di Messina, verso il recupero della propria identità artistica e culturale, per secoli trascurata, ma sempre pronta a rifiorire in tutta la propria bellezza.

Gianpaolo Basile

Santi Pietro e Paolo: un monastero basiliano nell’antica valle fluviale d’Agrò

A poco più di 40 km da Messina, nella natura boschiva dei Monti Peloritani, sulla costa Jonica, sorge nella sua solitudine non ancora intaccata, una chiesa di impianto bizantino e arabo-normanno. Quasi senza dare alcun preavviso di sé appare in mezzo al verde, nei pressi di Casalvecchio Siculo, dopo avere percorso un itinerario che si inerpica su strade di campagna. La valle, abbracciata tutto intorno dal torrente Agrò, uno dei corsi d’acqua maggiori della costa, che deve il nome alla parola αγρός, terra coltivata, grazie alla presenza dei campi è stata frequentata dall’uomo fin dai tempi antichi. Ne sono una testimonianza i ritrovamenti risalenti al neolitico, ma nei secoli molti altri popoli tra cui fenici, greci, bizantini e arabi hanno coltivato e abitato le terre fertili attorno alle sue acque, disseminando nel territorio una serie di centri urbani. Dall’antica Phoinix, emporio dei fenici, al cui posto oggi sorgono i comuni di Savoca e Santa Teresa, furono prelevate anche sei colonne di granito utilizzate per riedificare la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo.

Esito della convergenza nel tempo diversi stili architettonici, il complesso si presenta oggi in discreto stato di conservazione. Dal profilo esterno, osservando la merlatura del tetto, è chiaro che ebbe un tempo il ruolo di fortezza: la sua particolare posizione permetteva ai monaci, fin dall’epoca normanna, di tenere d’occhio la valle che collegava il mar Tirreno allo Ionio. In base all’Atto di Donazione, scritto in greco nel 1116, che fu tradotto in latino da Agostino Lascaris, il conte Ruggero II D’Altavilla, durante un viaggio da Palermo a Messina, incontrò il monaco Gerasimo dell’ordine dei basiliani. Il frate chiese al sovrano normanno il consenso per edificare la chiesa e coltivare i campi nel territorio, ottenendo la facoltà anche di controllare un intero villaggio, dove oggi sorge il borgo di Forza D’Agrò. In seguito a un violento terremoto che colpì la Sicilia orientale nel 1169 la chiesa venne ristrutturata dall’architetto Gherardo il Franco, come si osserva dall’iscrizione in greco che appare nell’architrave del portale dell’edificio.

Le origini della costruzione risalgono però a epoche più remote. Il nucleo della chiesa è bizantino e può essere datato al 560 d.C. Il motivo a spina di pesce e l’alternanza del bianco e del nero delle pietre laviche dell’Etna nelle decorazioni esterne  sono alcuni degli elementi che si possono riconoscere di questo stile, evidente anche nella croce di tipo bizantino incisa nella porta di ingresso. All’elemento arabo, risalente alla fase di conquista islamica, è da ricondurre la forma caratteristica delle cupole e il disegno ad alveoli che sorregge quella che delle due copre il presbiterio. L’abside, rivolto verso est, assume all’esterno la forma di un torrione rettangolare, mentre ai lati dell’ingresso principale compaiono due torri, caratteristica, questa, delle grandi cattedrali normanne, come quelle di Cefalù e Monreale. All’interno invece la pianta si presenta a tre navate, con volta a crociera nelle navatelle e piana nella copertura centrale. Priva di elementi pittorici conservati, appare spoglia e raffinatamente decorata nella struttura in pietra. Pochi ruderi restano invece di quella che fu un tempo la biblioteca che costituiva parte dell’edifico annesso all’abbazia.

L’insieme di più stili, elemento che richiama la storia dei popoli che hanno colonizzato la Sicilia e la sua ambientazione silenziosa, oltre all’atmosfera sacrale che l’avvolge, fanno della Chiesa di San Pietro e Paolo D’Agrò un gioiello dell’architettura siciliana. Dopo che anche una richiesta ufficiale è stata avanzata per l’inserimento tra i siti UNESCO c’è da sperare che si prosegua nell’operazione di valorizzazione e promozione turistica dell’abbazia e del suo comprensorio. Attualmente la chiesa è accessibile al pubblico ed è possibile visitarla negli orari di apertura.

@FOTO DI Salvatore Cambria

Eulalia Cambria

Le opere di Antonello in una grande mostra a Palermo. Il parere contrario degli esperti

Sarà uno degli appuntamenti più attesi nell’ambito delle iniziative conclusive promosse da Palermo capitale della cultura 2018. Nel capoluogo sta per essere infatti inaugurata una mostra dedicata al famoso artista quattrocentesco. L’esposizione, dal 14 dicembre al 10 febbraio, si svolgerà a Palazzo Abatellis, dove già si trova il celebre dipinto dell’Annunciata.

La rassegna intende celebrare in un unico spazio espositivo la personalità di Antonello da Messina riunendo un percorso inedito tra tavole provenienti da diverse collezioni. Il curatore, Giovanni Carlo Federico Villa aveva promosso nel 2006 di un’iniziativa simile alle Scuderie del Quirinale a Roma.

L’idea di questa mostra antologica non è stata però accolta con eccessivo entusiasmo da parte degli esperti in Storia dell’Arte e Beni Culturali. Dopo Palermo le opere di Antonello contenute nel Museo Regionale di Messina dovrebbero essere spostate anche al Palazzo Reale di Milano; il Polittico di San Gregorio e la Tavoletta bifronte per alcuni mesi verranno quindi trasferite altrove e non saranno più disponibili ai visitatori del rinnovato plesso museale di viale Libertà.

Così un gruppo di docenti e operatori culturali ha redatto e firmato un documento per esporre le ragioni della presa di posizione avversa all’iniziativa. Secondo il parere degli esperti spostare il Polittico rappresenterebbe un rischio per lo stato di conservazione della tavola, sensibile ai cambiamenti di umidità e temperatura. Inoltre privare delle opere di Antonello il Museo Regionale di Messina non porterebbe un ritorno di immagine favorevole all’offerta culturale e turistica della città dello Stretto.

Il Prof. Roberto Cobianchi, docente di Storia dell’Arte al DICAM, si è espresso con queste parole:

Se si tratta di un’occasione di studio nuova va bene, altrimenti non ha senso spostare un’opera semplicemente perché è di un autore di grande notorietà. Mi pare che nella bibliografia recente non ci siano delle novità documentali o attributive che giustifichino una nuova mostra su Antonello. Sarebbe auspicabile che il pubblico andasse a vedere le opere nel contesto in cui si trovano e che si abituasse ad andare con regolarità al museo. Non ritengo corretto privare i visitatori del Museo di Messina di quest’opera chiave, se non a fronte di una seria operazione culturale. Purtroppo oggi il pubblico è spinto, a volte con dei sotterfugi pubblicitari, ad andare a vedere le mostre, ma non sempre le mostre danno un vero contributo alla conoscenza dei problemi intono ai quali vengono costruite. Troppo spesso propongono una sequenza di ‘capolavori’ di autori dai nomi molto noti, ma non insegnano nulla. (L’Eco del sud)

Eulalia Cambria

Messina e le sue dolci tradizioni

Siamo a Messina, terra di antiche dominazioni e influenze straniere. Terra di passaggio, grazie alla sua posizione di favore sul Mediterraneo che ne ha fatto punto di approdo per numerosi popoli, alcuni dei quali si soffermarono più a lungo di altri lasciando un po’ delle loro tradizioni anche sulle nostre tavole che ritroviamo ancora oggi, soprattutto in alcuni dolci della tradizione messinese.

A differenza del resto della Sicilia presenta influenze arabe molto minori, il che rende i suoi dolci molto meno zuccherati e melensi. Si sa, la città dello Stretto è famosa in fatto di dolci, con i quali contribuisce notevolmente al buon nome di tutta la Sicilia con cui condivide molte delle sue specialità, forte della sua antichissima storia, interessata soprattutto dall’influenza greca e spagnola.

La tradizione vuole che, a seguito della dominazione spagnola del 1600, allorquando la città stava passando un periodo di grande depressione, le monache di un convento di clausura – esistente ancora oggi – in occasione di feste popolari cominciarono a fare dolci da offrire alla popolazione, spesso da loro inventati come: Nzuddi, un biscotto mandorlato all’uovo, immancabile nella pasticceria panaria messinese. I Sospiri di Monaca, anch’essi immancabili nella piccola pasticceria delle domeniche messinesi. Si tratta di soffici savoiardi ripieni di ricotta dolce, il quale nome sembra proprio provenire dalle loro creatrici che si dice sospirassero di gioia ogni volta ne mangiassero uno.  Si racconta, inoltre, che in occasione del Carnevale offrissero quelli che risultano essere i diretti antenati della famosissima Pignolata. Si trattava, inizialmente, di mucchietti di pinoli fritti e amalgamati col miele che avevano la forma di una pigna, da cui il nome di pinolo del biscotto e pignolata dell’intero dolce. Successivamente si cominciò a mischiare insieme al frutto della pasta all’uovo; l’esperimento ebbe degli ottimi risultati e col passare del tempo la pasta all’uovo sostituì in toto i pinoli, fino a renderlo il dolce gustoso e ricoperto di glassa –  nella versione cioccolato e limone –  che ben conosciamo oggi.

Nel periodo pasquale l’aria dello stretto si profuma di cannella e semi di sesamo, e dai forni di tutto il messinese l’aroma dolce e pungente attira i cittadini in cerca dei morbidissimi Panini di cena, le cui origini si perdono nella tradizione della città. Questi dolci rappresentano il pane che Gesù condivise con gli Apostoli durante l’ultima cena e per questo tradizione vuole che si facciano il Giovedì Santo, anche se spesso ormai si trovano anche fuori periodo. Curiosa è la tradizione messinese circa la produzione di particolari dolcetti correlati alla festa dei defunti: le ossa di morto ( c.d morticini), proprio a ricordare, sia nel nome che nella forma, l’oggetto della celebrazione. Si tratta, infatti, di dolcetti composti dalla bicroma pasta garofalo bianca e nocciola. E i più allegri e colorati dolci in pasta reale che per via della loro forma, che riproduce fedelmente svariati frutti, sono comunemente conosciuti come frutta martorana.

Proseguendo nel calendario delle feste, Immacolata fa rima con Niputiddata, dolcetti dalla pronuncia tutta messinese e dalla classica forma a stella. Fatti di pasta frolla molto sottile, profumano l’aria in città nel periodo natalizio con il loro ripieno di frutta secca, fichi secchi, mandorle, canditi e cacao. Ma al di là dei periodi festivi, ci sono dei veri e propri must, che non possono mai mancare sulle tavole dei messinesi, che oltre ad essere delle delizie per il palato sono dei veri e propri momenti di sacra convivialità. E’ il caso del dolce messinese per eccellenza, quello che dopo una lunga e stressante settimana ti dice che finalmente è arrivata la domenica, quello per cui “uno spazietto libero lo trovo!” sempre, quello che non si conta in fette, pezzi o porzioni, ma “palle” è la sua unità di misura. Stiamo parlando del – rigorosamente chiamato – Bianco e Nero, il piramidale mucchietto di profitteroles ripieni di panna montata (il bianco), e ricoperti accuratamente da una crema al cioccolato (il nero), e con le immancabili scaglie di cioccolato, sottili da sciogliersi in bocca. Insomma, un vero e proprio classico immancabile. E’ la volta delle dolci salate sfinci messinesi, dolci fritti, ricoperti di zucchero semolato e tipicamente ripieni di uva passa. Il nome deriva dal latino spongia, spugna, a sua volta mutuato dal greco a indicare la loro consistenza morbida e irregolare come una spugna. Gli arabi le soprannominavano sfang.

Forse meno conosciuto a chi non è del posto, il Lulù alla messinese, un sorprendente dolce fatto di pasta choux (o pasta bignè) di solito abbastanza grande e dalla forma bizzarra e irregolare – quasi a ricordare un cavolo – ripieno di panna e talvolta anche di crema al cioccolato. A Messina, durante tutto l’anno, è possibile mangiare delle dolcissime pesche. Parliamo di un dolce dalla tipica forma ispirata fedelmente all’omonimo frutto. Si tratta di due mezze sfere di pasta brioches, tenute insieme al centro da uno spesso strato di crema chantilly e guarnite con ciliegie candite. Non sono tipiche di un momento o periodo precisi, ma vanno mangiate a sentimento, il momento giusto è esattamente quello in cui se ne ha voglia, che sia la colazione, la merenda o un qualsiasi momento della giornata.

Stilare una lista completa di tutti i dolci della tradizione messinese risulta impresa davvero ardua, ma un focus sulle specialità dedicate alla colazione è d’obbligo.
Decretata patrimonio dell’umanità direttamente dai messinesi, la Granita. Lei, l’unica e inimitabile, invidiata in tutto il mondo e oggetto di continue imitazioni che per i messinesi fa rima con profanazioni. Quella che per il resto del mondo non è altro che ghiaccio tritato guarnito con sciroppo, nella sua versione originale si tratta di una semplice miscela di acqua e purea o succo di frutta fresca di stagione o con caffè e cacao, addolcita a piacere e lasciata gelare in freezer per poi essere servita appena frullata e con aggiunta di panna appena montata nella sua versione “mezza con panna“, accompagnata dall’insostituibile brioche col tuppo, da intingere accuratamente. Anche la granita risale al periodo arabo della Sicilia e deriverebbe dal loro sherbet. In origine si usava la neve raccolta sui monti Nebrodi e la granita era chiamata rattata (grattata). Poi la neve passò da ingrediente a refrigerante. Insomma, una terra di tradizioni e storia non solo da raccontare ma anche da mangiare fatta di riti gelosamente custoditi, ma anche generosamente condivisi col resto del mondo, che hanno fatto della pasticceria siciliana una delle più famose al mondo.

 

Giusi Villa

Fiumara d’Arte, un percorso di bellezza e ostacoli tra storia e modernità

Labirinto di Arianna http://labirinti.altervista.org/italo-lanfredini-labirinto-arianna/?fbclid=IwAR2JCjxboAyoWKjWogVxJHaF1dChtUjt5-VXMpE5noZiGSAegs0wJwSpuwI

Nella parte settentrionale della Sicilia, a ridosso delle coste Tirreniche, si estende l’antica Valle dell’Halaesa, situata in quello che oggi è il Comune della città medievale di Tusa, in provincia di Messina. A fare gli “onori di casa” è Castel di Tusa, frazione marina della cittadina medievale che apre letteralmente le porte alla Valle, circondata dalle colline e attraversata dalla Fiumara di Tusa, in un paesaggio pieno di suggestioni artistiche, passate e presenti. Proprio in questo scenario, sospeso tra storia e modernità, natura e scultura, il torrente di Tusa – un tempo fiume che arrivava fino all’antica città di Halaesa – è diventato oggetto di un progetto artistico battezzato “Fiumara d’Arte”, iniziato nel 1982, ad opera di Antonio Presti, mecenate siciliano che decise di dedicare se stesso e il proprio patrimonio personale all’arte, celebrandola attraverso la creazione di una serie di imponenti sculture, commissionate di volta in volta a stuoli di artisti internazionali e dando vita a quello che, ad oggi, è il più grande museo all’aperto d’arte contemporanea d’Europa. Il progetto artistico nasce con l’intento del suo fautore di fare un regalo alla Sicilia, celebrando la bellezza attraverso la rappresentazione dell’impegno civile ed estetico dell’uomo, con la scelta, non casuale, di far nascere il progetto in terreno demaniale, proprio a far emergere lo spirito di condivisione di cui l’arte dovrebbe essere pervasa. Egli stesso spiega: ” Perché io non ho mai voluto possedere l’opera ma soltanto l’idea, in una società in cui tutto è al servizio del denaro ed è subordinato al possesso dei beni“, sottolineando la forte connotazione sociale ed etica di cui è pregna Fiumara d’Arte, pensata allo scopo di creare una coscienza legata alla cultura, attraverso un rapporto differente con la bellezza.

La materia poteva non esserci https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2015/05/Pietro-Consagra-La-materia-poteva-non-esserci.jpg

Il progetto si costituisce di una serie di sculture disseminate lungo il greto del fiume, che sfocia nel mare di Castel di Tusa, in un percorso esplorativo volto a creare una sorta di circuito d’arte, che attraversa le diverse città e i diversi comuni presenti nel territorio della Valle, da Castel di Tusa a Santo Stefano di Camastra.La storia dell’ Associazione Culturale Fiumara d’Arte inizia nel 1982, quando, a seguito della morte del padre, Presti commissiona a Pietro Consagra la creazione di una gigantesca scultura in cemento armato, alta 18 metri. L’opera, che dà il via al percorso d’arte, fu creata nel 1986 e intitolata ” La Materia Poteva non Esserci“. Nello stesso anno venne annunciata la creazione del museo a cielo aperto, su approvazione di tutti i sindaci dei comuni del comprensorio messinese. Di lì a poco il progetto Fiumara d’Arte si amplia, annoverando sempre nuove sculture al suo percorso.

Una curva gettata alle spalle del tempo https://www.artribune.com/wp-content/uploads/2015/05/Paolo-Schiavocampo-Una-curva-gettata-alle-spalle-del-tempo-1988-Fiumara-dArte.jpg

Lo stesso anno Presti contatta subito un altro scultore, Paolo Schiavocampo, al quale commissiona una scultura da porre al bivio tra la strada che porta a Castel di Lucio e una vecchia strada di campagna. L’opera, inaugurata il 30 gennaio 1988, dal nome suggestivo “Una curva gettata alle spalle del tempo” consiste in un monolite di cemento armato e ferro, collocato ai margini di una curva, che si avvolge su se stessa imitando il movimento di una vela battuta dal vento, situata tra la via antica e quella nuova, simboleggia un punto di unione tra passato e futuro. IL 24 giugno 1989 è la volta dell’opera di Tano Festa, inaugurata un anno dopo la morte dell’artista. L’opera “Monumento per un poeta morto“, dedicata al fratello di Festa, venne ribattezzata dai visitatori “Finestra sul mare” proprio per il suo impatto visivo. Situata sul lungo mare di Margi, una cornice alta 18 metri in cemento armato e ferro, che ricorda, appunto, una grande finestra che incornicia il mare. Colorata di un azzurro interrotto soltanto dalle nuvolette bianche, ricorrenti nei temi dell’artista, e un monolite nero che l’attraversa a ricordare la finitezza dell’essere umano.

Finestra sul mare https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/31080793585?fbclid=IwAR0sHJwm_aA9ZptrIUO_ymaKYnsfy3qweMEA91ar8oc48h208m7KCKeQvso

Consecutivamente vengono inaugurate le opere: “Stanza di barca d’oro” dell’artista giapponese Hidetoshi Nagasawa sul torrente Romei; un vano ipogeo, introdotto da un corridoio sotterraneo di 35 metri rivestito di lastre metalliche, nel quale si evidenzia la sagoma di una barca capovolta rivestita di foglie d’oro, raccordata al suolo dal suo albero maestro in marmo rosa. “Energia mediterranea” di Antonio Di Palma, un manto azzurro che sale e poi scende dolcemente, che idealmente lega la montagna al mare, una grande onda di cemento blu, posizionata sulle montagne di Motta d’Affermo, e “Labirinto di Arianna” di Italo Lanfredini. Il labirinto, è un percorso fisico, ma anche interiore: attraverso un varco naturale si entra nel labirinto e si esce dal labirinto, a simboleggiare il percorso dell’uomo che, nel tempo, entra ed esce dalla scena. Lo scopo dell’opera è quello di far intraprendere al visitatore un percorso spirituale oltre che fisico, spingendolo a porsi delle domande esistenziali in un posto ed in una dimensione a-temporale, in cui è impossibile interrogarsi. Il percorso continua con “Arethusa“realizzata da Piero Dorazio e Graziano Marini, costituita da una coloratissima decorazione in ceramica della caserma dei carabinieri di Castel di Lucio. Una spiacevole vicenda giudiziaria però, intralcia il progetto artistico, costringendolo ad un’importante battuta d’arresto, proprio il giorno in cui viene battezzato. Le numerose opere di Fiumara d’Arte vengono poste sotto sequestro, con l’accusa di abusivismo edilizio, e vengono avviati una serie di procedimenti giudiziari che danno il via all’intricata storia processuale che ne blocca il completamento e che durerà ben 25 anni. Nel frattempo Presti inaugura, nel 1991, L’atelier sul mare, un albergo-museo d’arte contemporanea a Castel di Tusa, destinato a diventare il punto di partenza del percorso Fiumara d’Arte. Le camere dell’Art Hotel sono delle vere e proprie opere d’arte, realizzate da artisti internazionali, proseguendo l’utopia artistica pensata da Presti.

Stanza-opera d’arte http://www.isolaeisole.com/wp-content/uploads/2016/07/unser-art-zimmer.jpg

La fiumara venne difesa da una serie di movimenti da parte di moltissimi artisti e intellettuali. Nel 1991, il mecenate organizza una manifestazione “un chilometro di tela“, che si svolgera nel paese di Pettineo, e convoglierà duecento artisti che dipingeranno la tela, per poi tagliarla in pezzi e darli in dono agli abitanti, le cui case diventeranno “museo domestico”. Nel ’93 Presti invita quaranta artisti ceramisti provenienti da tutta Europa a realizzare un’opera collettiva sul muro di contenimento di una delle strade della Fiumara, che diventa così “Il muro della vita“. Una nuova ondata di mobilitazione generale parte da Roma, un gruppo di artisti e intellettuali sollecita l’intervento del ministro dei Beni Culturali Alberto Ronchey, mentre una petizione firmata da 60 nomi della cultura italiana esorta il governo regionale ad agire per evitare la demolizione. Il 23 febbraio del 1994 la Corte di Cassazione chiude la vicenda annullando l’ordine di demolizione, i provvedimenti della Corte d’Appello e le richieste della Procura di Messina. All’albergo-museo si festeggia con l’apertura di otto nuove stanze d’artista. Quando la situazione si ribalta ed è Presti a denunciare tutti i sindaci e la Regione Siciliana per incolumità civile, interviene all’appello il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e finalmente, il 6 gennaio del 2006, dopo 25 anni di battaglie, viene riconosciuto il Parco di Fiumara d’arte, aiutato dal Governo regionale che ha approvato l’istituzione del percorso turistico culturale di Fiumara d’Arte.

38° parallelo – piramide http://politano-national-geographic.blogautore.espresso.repubblica.it/files/2011/04/piramide480.jpg

Nel maggio del 2007 si assiste alla riapertura dell’opera “La finestra sul mare“, che due anni prima Presti aveva coperto con un tendone scrivendoci sopra “chiuso” in tutte le lingue, per opporre un rifiuto al rifiuto delle istituzioni. Così a distanza di 25 anni dall’inizio della storia travagliata di Fiumara d’Arte, per il progetto artistico comincia una nuova storia, quella “istituzionale”. Alle sculture viene finalmente riconosciuto il diritto di tutela. Nel 2010, Mauro Staccioli crea l’ultima opera destinata a completare la collezione, e così il percorso di Fiumara d’Arte. La scultura “38° parallelo – Piramide” sorge su una leggera altura del territorio di Motta d’Affermo, le cui coordinate geografiche centrano esattamente la consistenza matematica del trentottesimo parallelo. Nominando in tal modo l’opera, l’artista suggella l’intrinseco legame dell’opera alla geografia del luogo. Di forma piramidale cava realizzata in acciaio corten, parzialmente sprofondata nel territorio roccioso, cattura la luce solare attraverso la fessura, registrando nel proprio ventre geometrico i riverberi luminosi dallo zenit al tramonto.

 

Giusi Villa

 

… molti modi di dire messinesi nascondono delle storie assai curiose?

Ebbene sì, anche senza saperlo, il messinese porta dentro di sé la storia e la cultura della propria città. Sebbene ovviamente esistano delle testimonianze scritte, il dialetto e i modi di dire vengono appresi prevalentemente grazie alla tradizione orale. Tutti abbiamo un nonno che ci ha insegnato alcuni modi di dire e ci ha spiegato il loro significato, ma spesso l’origine di quei detti si è persa nella notte dei tempi. Di seguito si riporta qualche esempio. L’ espressione, ormai desueta, “fici cchiù dannu du cincu i frivaru” (ha fatto più danno del 5 febbraio), è legata al terremoto del 5 febbraio del 1783. La catastrofe ha distrutto interi centri abitati calabresi, come Palmi e Scilla e ha raso al suolo Messina, lasciando in piedi solo la Cittadella: viene considerato il più grande disastro del XVIII secolo nell’Italia meridionale. L’entità del fenomeno non è correlata all’elevato grado delle scosse, ma alla rapidità con cui si sono succedute (si parla di 5 scosse maggiori tra il 5 febbraio e il 28 marzo). A seguito dell’accaduto, nel maggio dello stesso anno, il regno borbonico emanò il primo governo antisismico d’Europa.

 

Il detto “Essiri cchiù di cani ‘i Brasi” (letteralmente “essere più dei cani di Biagio”), viene utilizzato molto spesso nel messinese per indicare ungrande numero di persone che creano una grande confusione. Vi sono diverse teorie riguardo l’origine di questa frase, ma sicuramente quella che segue è la più simpatica. Si dice che un Viceré spagnolo di nome Blas (Biagio) d’istanza a Messina, amante della caccia, abbia inviato una lettera al fratello in Spagna in cui gli chiedeva di mandargli 2 o 3 cani da caccia. La lettera è stata male interpretata dal fratello che ha letto la cifra di 203, scambiando la lettera o per il numero 0. Quando i 203 cani sono approdati a Messina a bordo di una nave, il loro baccano era talmente forte da essere udito per tutta Punta Faro.

 

Ad ogni modo una delle espressioni più amate dai messinesi è sicuramente “babbillumpa”, che letteralmente significa “scemo dell’UNPA”. Ma cos’è l’UNPA?L’Unione nazionale protezione antiaerea, in acronimo UNPA, era un’organizzazione della protezione civile istituita il 31 agosto 1934. Verso la fine del conflitto, lo stato di grave emergenza ha costretto al reclutamento di persone anziane e soggetti con deficit fisici o mentali esentati dal servizio militare. Nonostante il significato chiaramente denigratorio, bisogna ricordare che i cosiddetti “babbillumpa”, in tutta Italia, ma soprattutto a Messina (dove i bombardamenti sono stati moltissimi) hanno salvato parecchie vite, sia occupandosi dell’informazione preventiva in caso di attacco aereo, sia intervenendo alla fine del bombardamento per rimuovere le macerie e soccorrere i feriti. La tradizione messinese è piena di modi di dire il cui significato si è perso o sta per perdersi. Voi ne conoscete altri? Scriveteli nei commenti, saremo felici di conoscerli e pubblicarli.

Renata Cuzzola

1. Renato Guttuso, Giocatori di carte (amici all’osteria)

Eventi della settimana.

9 maggio

VI EDIZIONE PIAZZA DELL’ARTE SCALINATA DEL RETTORATO

Dove: Scalinata del Rettorato

Quando: dalle 16:00 di giorno 9 maggio alle 2:00 del 11 maggio

Cosa: Mercoledì 9 Maggio dalle ore 9:00
LABORATORI DI PITTURA e PERFORMANCE a cura del Liceo Artistico Statale ” E. Basile ” Messina?

Giovedì 10 Maggio dalle ore 16:00
LABORATORI DI SCRITTURA CREATIVA
CORSI DI DANZA A CURA DI Alma Libre “Gruppo Ufficiale”?
DJ SET
Giovedì 10 Maggio dalle ore 21:00
MUSICA | LIVE BAND | TEATRO | DANZA | ARTE
PREMIAZIONE CONCORSO FOTOGRAFICO Michelangelo Vizzini?

Durante la manifestazione saranno esposte:
– Opere pittoriche di giovani artisti messinesi
– Mostra Fotografica Vizzini

Le foto del Concorso Fotografico Vizzini verranno proiettate e mostrate durante la manifestazione.

ERASMUS IN RETRO – WELCOME TO THE JUNGLE

Dove: Retronouveau via Croce Rossa 33

Quando: ore 23:30

Cosa: “Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri” disse Orwell. Ma al retronouveau tutti gli animali sono uguali ma alcuni sono più alcolizzati degli altri, disse un grande saggio. Questo mercoledì vogliamo vedere il vostro Es schizzare fuori dalla vostra mente e dare vita allo spirito animale che é in voi. Vogliamo sentirvi abbaiare, miagolare, muggire, barrire, ruggire, squittire, sibilare, ragliare, belare, gracchiare, ragliare e trimbulare! (Eccovi svelato il misterioso verso del coccodrillo).

MODALITA’ DI INGRESSO
Solo per chi ha il nome in lista: 7 euro con consumazione entro mezzanotte, 10 euro con consumazione dopo mezzanotte.
Ingresso Gratuito per le donne in lista ENTRO 00.00! Dopo mezzanotte le donne pagano 7 con consumazione.

Vestitevi a tema e per voi una sorpresa in omaggio!

Music Selection by Alberto Russo & Roberto D’Emilio

La serata più internazionale di Messina è tornata con più carica ed energia di sempre!

 

10 maggio

QUATTRO PASSI A MESSINA : ECLETTISMO E LIBERTY

Dove: Discover Messina via primo settembre 110

Quando: ore 20:00

Cosa:   VISITA GUIDATA fra i palazzi del ‘900:
Via C. Battisti – Palazzo Magaudda
Via Cardines – Palazzo Api – Palazzetto Coppedé
Via Lepanto – Piazza Duomo – Palazzo dello Zodiaco
Galleria Vittorio Emanuele – Palazzo della Provincia
Palazzo delle Poste (oggi università) – Palazzo Zanca

ore 22,30: Degustazione DOLCI TIPICI
(Pasticceria Ragusa)

ore 23,00: CONCLUSIONE

PRENOTAZIONI:
DISCOVER MESSINA TOURIST INFO POINT
Via I Settembre 110 – Messina
090.2135672 – 370.1270545

€ 8,00 a persona
GRATIS bambini 0/10 anni
Le quote comprendono:
Degustazione Dolci Tipici + VISITA GUIDATA
a cura dell’arch. NINO PRINCIPATO

Le prenotazioni possono essere effettuate entro e non oltre il 02/05/2018.
Le quote di partecipazione dovranno essere corrisposte entro e non oltre l’inizio della visita.
Discover Messina si riserva il diritto di annullare l’evento, qualora non venga raggiunto il numero minimo di 25 partecipanti.

QUATTRO PASSI A MESSINA: ECLETTISMO E LIBERTY fra i Palazzi del ‘900.
Dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 per la ricostruzione della città moderna giunsero in riva allo stretto numerosi architetti e ingegneri. Molti di loro si presentarono con nuove idee e in un
decennio vennero edificati nuovi palazzi in un linguaggio eclettico, che bene si accomunò e integrò con le innovazioni moderne dei primi anni del novecento.
Fu così che a Messina sorsero i primi palazzi in stile eclettico e liberty, a conferma, ancora oggi, di un nuovo disegno urbano capace di dotare la città di un ricco patrimonio architettonico,
testimonianza straordinaria del liberty e dell’eclettismo in Sicilia e in Italia.

CONCERTO GLORIUS 4ET

Dove: Teatro Vittorio Emanuele

Quando: ore 18:00

Cosa: Quartetto vocale femminile: con i loro arrangiamenti originali spaziano dalle armonie del Jazz al ritmo del Funky e del Pop, alla malinconia del Blues. Si distinguono con la loro sonorità eclettica, colorata e complessa come la nostra Sicilia.
Tra Festival e concorsi in tutta (Lucca Jazz Donna; Solevoci Festival di Varese; TIM di Torino; Teatro pubblico pugliese…), conquistano il Premio d’Onore al Concours International Léopold Bellan di Parigi, categoria Gruppi vocali. E ancora il Primo Premio al Trofeo W.I. International Music Award “Alfredo Spataro” di Cosenza per la categoria ensemble vocali.
Varie le collaborazioni: vocalist per Montesano, supporter live di Paolo Belli & Big Band, vocalist di Mannarino nel singolo “Arca di Noè” tratto dall’album “Apriti cielo”.
Attualmente stanno registrando il loro primo album con la produzione artistica curata dal M° Tony Canto e con Esteban Alvarez special guest star al pianoforte.

Prossimi concerti: Cap Ferret Festival (Francia), il prossimo Luglio; Osaka (Giappone) e Vienna (Austria) in autunno; Texas (U.S.A.) a Natale…

Agnese Carrubba (voce/pf/percussioni) – Cecilia Foti (voce)
Federica D’Andrea – Mariachiara Millimaggi (voce/pf/percussioni)

MOLI BLU – INCONTRI DI MARE PER GIOVANI LETTORI

Dove: Libreria Doralice

Quando: ore 18:00

Cosa: Nel contesto della IV edizione di Me&Sea, patrocinata dall’ European Maritime Day 2018, è interamente dedicata al rapporto con l’insularità.
La libreria Doralice organizza MOLI BLU  un laboratorio di lettura per ragazzi che ha come tema il mare, quel mare nascosto nei romanzi che fa da sfondo alle nostre vite.
MOLI BLU rientra a far parte di Me&Sea, per la valorizzazione del mare siciliano: è un trampolino da e per la fantasia, verso le infinite sfide che il mare offre e un riparo sicuro per chi il mare lo guarda ma non lo naviga.
Un laboratorio per ragazzi che desiderano naufragare nelle storie di scrittori che nel mare hanno ambientato i loro racconti per riappropriarsi con la fantasia del mare sognato, sognante, mitico e leggendario.
Il mare, il protagonista indiscusso della nostra terra.
Il mare che la nostra terra la rende isola.
Che ammalia e che separa, che unisce e suggestiona.

Durante gli incontri saranno lette:
– “Fiabe di mare” raccolte da Italo Calvino,
– “Il mare racconta” di Paolo Ghirardi,
– “il Cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani” di Stefano
Malatesta,
– “Lisca bianca” di Carolina Lo Nero;
– “Cola pesce”
– “Tutt’attorno la Sicilia, un’avventura di mare”
-“Storie di mare” di Folco Quilici

(per maggiori informazioni sul calendario del festival https://www.facebook.com/events/162871297739063/ )

 

11 maggio

GREY GROOVE

Dove: Grey Goose cocktail bar via Cardines 8

Quando: ore 22:30

Cosa: Mercatino Messinese
Messina – Grey Goose Cocktail Bar
1€
A.A.A. Cercasi descrizione per l’evento di Venerdì 11 Maggio, no perditempo.

 

13 maggio

UNA VIA PER UNA CULTURA CONDIVISA

Dove: via Antonio Laudamo

Quando: ore 10:00

Cosa: Lo spazio pedonale di via Laudamo al momento poco fruito e quattro domeniche animate con tanti libri, letture, presentazioni, visite guidate e animazione per i più piccoli.
“Una via per una Cultura condivisa” vuole essere un’occasione per promuovere la lettura e la cura del patrimonio attraverso la collaborazione con le diverse associazioni culturali che operano sul territorio, l’obiettivo è anche quello di far vivere ed animare uno spazio troppo spesso trascurato o poco conosciuto ai più

Il IlMaggioDeiLibri è la campagna nazionale di valorizzazione della lettura come elemento di crescita personale e collettiva. L’iniziativa, promossa dal Centro per il libro e la lettura del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, inizierà il 23 aprile, Giornata mondiale UNESCO del libro e del diritto d’autore, per protrarsi fino al 31 maggio

 

Arianna De Arcangelis

 

Il teatro del Mare: il lungomare di Messina e la Palazzata

É difficile descrivere lo spettacolo a cui si assiste quando si raggiunge Messina dal mare. Sicuramente familiare a molti studenti fuori sede (specialmente quelli che vengono dall’altro versante dello Stretto), la vista della baia del Porto con la Madonnina, Cristo Re in alto e il profilo delle coste siciliane a perdita d’occhio accoglie oggi in città le tantissime persone che vi si recano, per i più svariati motivi, dal mare.
Eppure c’è qualcosa che manca, qualcosa che rendeva, ai visitatori di 100 o 200 anni fa, l’arrivo a Messina ancora più suggestivo. Se infatti oggi, girando lo sguardo al lungomare di Messina, si vedono solo grandi palazzoni anonimi (molti dei qual figli della cementificazione selvaggia degli anni ‘70 e ‘80), in passato ad attirare l’attenzione dei visitatori era una ampia e uniforme distesa di palazzi di marmo, che abbracciava a perdita d’occhio l’intera cortina del porto: la Palazzata.

Questo enorme complesso architettonico affonda le sue radici nei secoli d’oro della città di Messina, quando il suo porto era uno dei più grandi e trafficati del Mediterraneo. Si può considerare, come primo nucleo di questa struttura, la Loggia dei Mercanti: un palazzo pubblico destinato ai commercianti, opera di Jacopo del Duca datata 1589, che si trovava all’altezza dell’attuale Municipio, in corrispondenza della via omonima. Accanto al palazzo si trovava una grande porta monumentale, la Porta della Loggia, di fronte a cui era originariamente situata, sul lungomare e con le spalle rivolte allo Stretto, la celebre Fontana del Nettuno di Giovanni Angelo Montorsoli.

Qualche decennio dopo, nel 1622, l’allora viceré Emanuele Filiberto di Savoia diede ordine ad uno dei suoi architetti di fiducia, Simone Gullì, esponente di punta del barocco messinese dell’epoca, di unire in un unico registro stilistico l’intera cortina del porto, attraverso la costruzione di ben 13 edifici con 4 ordini di finestre, intervallati da grandi porte monumentali che mettevano in comunicazione il porto con la città. Il risultato, così come ce lo testimoniano numerosi dipinti d’epoca, era spettacolare: l’intera baia del porto si trovava serrata in un fitto susseguirsi di finestre, archi e porte, che convergevano al centro sulla Loggia dei Mercanti, con la sua Porta e la Fontana di fronte; il tutto unito tanto da potersi considerare un enorme, unico palazzo, con 18 porte e ben 1064 finestre (un numero da Guinness World Record, diremmo oggi!).

Di questa prima Palazzata, purtroppo, nulla è rimasto: seriamente danneggiata dal terremoto del 1783, Goethe, illustre visitatore, la ricorda con parole amare nel suo “Viaggio in Sicilia”, orribilmente scempiata dal sisma.

Fu nel 1803 che si decise per la ricostruzione della Palazzata, stavolta in stile neoclassico, su progetto di Giacomo Minutoli. Il nuovo progetto, ancora più grande e monumentale del precedente, presentava un maestoto prospetto scandito da colonne in ordine gigante. Ebbe purtroppo vita breve; ultimato negli anni successivi, dovette presto confrontarsi con la furia distruttiva del Terremoto del 1908.

Benchè ancora parzialmente recuperabili, i pochi palazzi superstiti furono rasi al suolo a partire dal 1909 in vista di una nuova ricostruzione: il progetto, in stile eclettico-liberty a cura di Luigi Borzì, includeva uno spettacolare colonnato  che avrebbe dovuto chiudere l’attuale piazza del Municipio e un lungo terrazzo percorribile. Purtroppo non fu mai realizzato: per attendere l’inizio dei lavori bisognerà aspettare gli anni ’30 quando, in pieno regime fascista, un nuovo progetto verrà presentato.

É la cosiddetta Palazzata del Samonà, ultimo tentativo di ricostruzione, fedele ai canoni dello stile razionalista. Rimasta incompiuta, passeggiando oggi sul lungomare si può ammirare l’unico palazzo completato: il palazzo dell’INA, con la sua ampia porta sul mare.

Ricordata nelle memorie dei visitatori ed immortalata da innumerevoli dipinti e stampe, la Palazzata, in tempi in cui il porto di Messina contava sul serio ed era la principale fonte di ricchezza della città, rappresentava il biglietto da visita con cui una città fiera, ricca e orgogliosa faceva bella mostra di se agli occhi di chi la raggiungeva dal mare: la sua decadenza attuale rispecchia quindi quella dell’immagine che la Città offre ai suoi visitatori. Non resta che sperare che questa immagine possa tornare ad essere bellissima come è sempre stata, e che una nuova Palazzata possa un domani tornarsi a specchiare nelle acque dello Stretto.

 

Gianpaolo Basile

Image credits:

  1.  https://it.m.wikipedia.org/wiki/Palazzata_di_Simone_Gullì#/media/File%3AAbraham_Casembroot’s_View_of_Messina_Harbor_with_the_Palazzata%2C_designed_by_Simone_Gullì_in_1623.jpg
  2. https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Porta_della_Loggia_(Giacomo_del_Duca)1.jpg
  3. https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Louis_François_Cassas%27s_View_of_Messina_Harbor_with_the_Palazzata,_designed_by_Simone_Gullì_in_1623.jpg
  4. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Palazzata_di_Giacomo_Minutoli#/media/File%3AMessina%2C_palazzo_del_municipio_e_palazzata_dopo_del_terremoto_del_1908_(1).jpg
  5. https://commons.m.wikimedia.org/wiki/File:Messina_Palazzi1900.jpg#mw-jump-to-license
  6. https://it.m.wikipedia.org/wiki/Palazzata_di_Giuseppe_Samonà#/media/File%3AMessina_Other_Monument_34.jpg