La scrittrice Giorgia Spurio presenta: “Gli occhi degli orologi”

Martedì 16 aprile 2019. Ore 17:00. Messina. Alla Libreria Dedalus – via Camiciotti, di Roberto Cavallaro, è avvenuta la presentazione del romanzo premiato al salone del libro di Torino “Gli occhi degli orologi” di Giorgia Spurio. L’incontro organizzato in collaborazione con le ACLI – Associazioni Cristiane Lavoratori Italiane, GA – Giovani delle Acli e AAS – Acli Arte e Spettacolo- ha visto la partecipazione della stessa autrice Giorgia Spurio.

Il romanzo edito da Il Camaleonte Edizioni è un capolavoro della narrativa dove flashback commoventi e pensieri su temi attuali creano l’intreccio di una storia in bilico tra istanti poetici, desolazione e speranza. “Gli occhi degli orologi” è un’opera narrativa futuristica, ambientata nel 2048, dopo le Nuove Crociate contro il terrorismo e l’immigrazione, gli Orologi sono divenuti il Dio del tempo e lo strumento di controllo dei Governi.

Gli occhi ricordano la vista, un senso, mi piaceva donarlo ad un elemento inanimato come l’orologio, in quanto immagino un futuro senza specie animali e siccome, comunque, avremo bisogno della natura, ci mancherà, percepiremo la sua assenza, li inseriremo nella tecnologia.

In questo mondo post-apocalittico le persone sono diventate degli automi. Gli episodi, esplicitati con estrema durezza, sono dominati da atmosfere lente e progressive. Un libro che rischia di essere profetico. Come la stessa autrice ha dichiarato nel corso della presentazione.  L’opera è intrisa di riferimenti a Victor Hugo, Calvino, Dostoevskij, D’Annunzio, Pirandello ma è dal 1984 di Orwell che prende spunto per ricavarne il titolo e non solo. Un romanzo che, data la struttura stilistica, ricorda i romanzi di formazione ottocenteschi, Giorgia fa questa scelta volutamente e consapevolmente per coinvolgere maggiormente il lettore. Un libro che narra una storia nella storia, un romanzo distopico che parla di mondo devastato dalla Grande Guerra e di una generazione con poche speranze e alla deriva. Un testo che offre continui spunti di riflessione sull’attuale essere delle cose e sulle relazioni familiari.

Durante l’incontro, dopo i saluti del titolare, sono intervenuti: Ivan Azzara, coordinatore GA Messina, Selene Schirru, presidente AAS Messina, Mariachiara Villari, vice coordinatrice GA Messina, e Antonio Gallo, presidente provinciale ACLI Messina.

Il romanzo è disponibile in tutte le librerie d’Italia e su Amazon.

Gabriella Parasiliti Collazzo

RiDE – il drammatico leggero della sensibilità di Valerio Mastandrea

 

L’opera prima è sempre un’emozione grande. Molti non sanno descriverla, altri pensano di aver fatto una stronzata – passatemi il termine, bonariamente – e Valerio Mastandrea, uno degli attori di punta della recitazione italiana contemporanea, ha sentimenti ingarbugliati tra loro riguardo la sua opera prima da regista: RiDE (si legge con pronuncia italiana per chi avesse il dubbio). UniVersoMe ha avuto l’ opportunità di incontrarlo al Multisala Iris di Messina, durante una tappa del suo tour per i cinema italiani “Esco in tour”.

 

©LauraLaRosa Chiara Martegiani e Valerio Mastandrea, Multisala Iris – Messina, Aprile 2019

 

Il film è il perfetto equilibrio tra un desiderio di svegliare le coscienze ed alleggerirle con il sarcasmo che contraddistingue il regista nelle proprie performance. La denuncia è quella delle morti bianche sul posto di lavoro: una critica sottile sugli atteggiamenti che socialmente riteniamo obbligatori quando subiamo un lutto, ma che Carolina – interpretata egregiamente da Chiara Martegiani – non riesce a rispettare. Il marito è morto da una settimana, e da una settimana lei non riesce a piangere. Neanche il figlio di 12 anni ci riesce. Lei prova in tutti i modi, fino a quando…
No fino a quando niente, qui non faccio spoiler. Vi consiglio di vederlo!

©LauraLaRosa, Valerio Mastandrea – Multisala Iris, Messina Aprile 2019

Intanto come avevo anticipato, Mastandrea e Martegiani erano presenti in sala: c’è stato un dibattito interessante tra il pubblico e i due attori. La sala si è perfettamente prestata per le domande, le foto e per la mia occasione di scambiare con loro qualche parola.

Prima ho incrociato Chiara, tra un complimento e l’altro, mi ha spiegato che la recitazione in Italia, specie per le donne, è una carriera molto precaria: le porte in faccia sono tante ma più per un modo di fare che per concreta mancanza di talento. La domanda mi è sorta spontanea:

Cosa consigli ai giovani aspiranti attori?

Eh… è una passione che si doma difficilmente, il lavoro è sempre una scoperta, bella o brutta che sia. Il mio consiglio è di puntate sui progetti, non bisogna smettere di creare, di informarsi e di continuare a crederci. Non è facile, queste cose non le dicono spesso, non sempre è questa realtà che traspare.

E distrutto dalla giornata becco Mastandrea, lo raggiungo con in mano un taccuino minaccioso che a mezzanotte – ammetto – avrebbe terrorizzato chiunque. Ma, come un cavaliere senza macchia e senza paura si è sorbito le mie domande con tanta gentilezza.

©LauraLaRosa Mastandrea e Giulia con il minaccioso taccuino – Multisala Iris, Aprile 2019

Il tuo debutto da regista esplode con un film ricco di ribellione e presa di coscienza, il cinema riesce a comunicare nella nostra società? Cioè quanto può influire, quanto è forte la sua risonanza?

Dovrebbe essere il compito del cinema raccontare la società e non solo, soprattutto le persone, mostrare la realtà attraverso le persone. Questo non significa che debbano essere girati film gravi, “pesanti” , anche una commedia può raccontare un sacco di cose. I generi cinematografici aiutano molto.

Ridere si può definire un inno alla libertà di soffrire? In un’intervista avevi spiegato che questi sono tempi in cui è difficile soffrire…

Certo, forse più al diritto. Ma non proprio di soffrire, persino stare male, non solo essere felici… male visto il bombardamento che subiamo costantemente di modelli di felicità. Ce l’hai Instagram te? Vedi quanto è felice la gente? D’estate, d’inverno. Se uno sta un po’ giù e vede la foto di un posto in cui non potrà andare, come si sente? Potrebbe soffrire, quindi la libertà di stare come ti pare è compromessa, e anche quella di soffrire. Come racconta la storia, la protagonista è una persona non riesce ad avere un rapporto con il proprio dolore, non ce la fa perché sta sotto i riflettori, perchè è tirata da una parte e dall’altra.

 

Foto del backstage di RiDE

 

Da un punto di vista tecnico la fotografia del film appare curata nei dettagli, a volte pecca nell’identità della stessa, ma sfrutta le inquadrature e i movimenti che accompagnano attori in campo. Quando hai iniziato a girare avevi già in mente le scene o si sono sviluppate durante?

Solo i grandi registi hanno in mente il film. Io, infatti, non avevo idea di nulla. Tante scene ed inquadrature sono venute naturali, nel cinema comunque ci sono delle immagini che se vogliono trasmettere un determinato significato, una specifica sensazione, vanno sincronizzate al movimento e all’ambiente in cui vengono girate. Io ho avuto una bella squadra con cui mi sono potuto confrontare, e menomale perché è stato il campo su cui mi sono soffermato di meno e mi dispiace adesso, riguardandolo ogni volta spunta qualcosa che avrei potuto fare diversamente, migliorare ecco. 

 

©LauraLaRosa, Multisala Iris – Messina, Aprile 2019

 

Anche se breve è stata un’intensa e divertente intervista – tra risate e sano sarcasmo non vedo l’ora di vedere cosa sfornerà di nuovo l’attore romano. Ha detto che ci vorrà tempo, si farà desiderare… ma per le domande rimaste in sospeso, caro Valerio, se ribeccamo.

 

 

Giulia Greco

 

 

 

SCIPOG e COSPECS celebrano la notte Europea della geografia!

Venerdì 5 aprile 2019. I Dipartimenti SCIPOG – Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche e COSPECS – Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli Studi sociali sono stati i protagonisti di una serie di eventi nell’ambito della “Notte Europea della Geografia”. Le attività si sono susseguite a partire dalle ore 10.30 sino alla ore 20.00.

L’iniziativa ideata nel 2016 dal Comitato Francese di Geografia che ha ricevuto il supporto, in Italia, del Comitato Italiano dell’Unione Geografica Internazionale, del Coordinamento SOGEIsocietà di Information and Communication Technology del Ministero dell’Economia e delle Finanze , della Rete LabGeoNet – Rete dei Laboratori Geografici Scientifici Italiani e dell’ Associazione Italiana di Geografia fisica e Geomorfologia.

La Notte Europea della Geografia si è prefissata l’obiettivo  di migliorare e accrescere la conoscenza del sistema Terra, dare consapevolezza della ricchezza comune derivante dalla ricerca geografica, sensibilizzare l’uomo verso le discipline geografiche per costruire una spazializzazione sostenibile e percorsi di  cittadinanza attiva, essenziali per una corretta educazione ambientale.

La manifestazione si è svolta in simultanea in quasi tutte le sedi universitarie italiane ed europee, con il fine di aprire alla popolazione i principali Atenei italiani, facendo in modo che i partecipanti potessero scoprire il mondo attraverso gli occhi del geografo. I vari eventi, proprio per questo, erano tutti fruibili a titolo gratuito.

ll programma previsto presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, intitolato Notte Europea della Geografia tra “rema montante e rema scendente” ha avuto lo scopo di presentare la complessità territoriale nei suoi aspetti culturali e di sensibilizzare l’opinione pubblica all’educazione ambientale, presentando la disciplina, i geografi e il loro ‘mestiere’ per coinvolgere cittadine e cittadini di tutte le età nella sperimentazione le diverse forme e metodi di rappresentazione/documentazione del territorio. Dopo i saluti istituzionali del Magnifico Rettore, Prof. Salvatore Cuzzocrea, del Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, Prof. Mario Calogero e della Prof.ssa Elena Di Blasi, è stata eseguita la premiazione degli alunni delle scuole superiori che hanno aderito al concorso “GEOSELFIE, la tua idea di Geografia”. A questi alunni è stato richiesto di realizzare un selfie attraverso il quale rappresentare in modo originale la propria idea di Geografia e in particolare il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Map contest, cartografie, proiezioni, percorsi tematici ed espositivi hanno animato l’intera giornata.

Mentre, il programma previsto dal Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli Studi sociali portava il titolo di “Cinema e Paesaggio in Sicilia. Le attività sono state inaugurate alle ore 16.00, anch’esse dai saluti istituzionali, ed hanno annunciato un percorso sul racconto cinematografico del paesaggio siciliano, finalizzato alla sensibilizzazione nei confronti dei beni ambientali e culturali locali e isolani. Mostre fotografiche, proiezioni, recital, tavole rotonde ed incontri tematici sulla trasposizione fotografica della Messina storica, ed infine, la premiazione del Photo Contest hanno costituito l’intero itinerario della ricorrenza.

Gabriella Parasiliti Collazzo

AEGEE “Summer University”, scopri l’Europa imparando e divertendoti

 

AEGEE “Summer University”, scopri l’Europa imparando e divertendoti

Anche per l’estate 2019 AEGEE ha rinnovato il progetto “Summer University”, iniziativa che ogni anno permette a centinaia di giovani di scoprire a basso costo l’Europa. Ma di cosa si tratta più precisamente?

Cos’è AEGEE?
“AEGEE (Association des Etats Généraux des Etudiants de l’Europe) è una delle più grandi organizzazioni studentesche interdisciplinari d’Europa, aperta a tutti gli studenti e i giovani dai 18 ai 30 anni. È un’associazione non governativa e senza scopo di lucro che nasce dall’idea di un’Europa democratica, diversa e senza confini attraverso la partecipazione attiva dei giovani nella società, creando spazi di dialogo e occasioni di apprendimento, nonché training, workshop e viaggi low cost che permettono ai giovani di incontrarsi e respirare il vero spirito AEGEE”.

Cos’è la Summer University?
“La Summer University è un progetto di scambio culturale che dura circa due settimane, e dà la possibilità di visitare città straniere e scoprire la cultura del paese ospitante con soli 10/15 euro al giorno. Quest’anno è possibile scegliere tra 57 destinazioni, dalla Grecia alla Russia, Polonia, Turchia e tante altre”.
Ogni Summer University ha una tematica: integrazione europea, dialogo interculturale, cittadinanza attiva, democrazia, cultura locale, sport, educazione civica e sviluppo personale.

Quali sono le mete di quest’anno?
È possibile trovare tutte le mete di quest’anno all’indirizzo https://www.projects.aegee.org/suct/su2019/su_list.php.

Com’ è possibile partecipare a una Summer University?
È innanzitutto necessario diventare membro di AEGEE Messina. Lo step successivo è creare un account sulle reti intranet (https://www.intranet.aegee.org/login/signUp) e Online Membership System di AEGEE (https://my.aegee.eu/signup/default). A questo punto sarà possibile scegliere la Summer University alla quale ci si desidera iscrivere. Sarà poi necessario scrivere una lettera motivazionale sulla quale prestare molta attenzione: la selezione sarà principalmente basata su questa!
Ad ogni modo, è possibile trovare la procedura dettagliata qui: https://www.projects.aegee.org/suct/su2019/procedures.php

Fino a quando è possibile presentare la domanda di partecipazione?
È possibile presentare domanda fino al 15 aprile.

Per ulteriori informazioni è possibile contattare AEGEE Messina via:
Email: aegeemessina@hotmail.com
Facebook: https://www.facebook.com/aegeemessina/
Instagram: https://www.instagram.com/aegeemessina/?hl=it
oppure consultare le FAQ sul sito web di AEGEE: https://www.projects.aegee.org/suct/su2019/faq.php
Sarà anche possibile incontrare i ragazzi di AEGEE presso il Dipartimento di Giurisprudenza venerdì 5 aprile (https://www.facebook.com/events/323000841901540/) e presso il DICAM (data ancora da stabilire).

 

Francesco D’Agostino

Francesco Galletti in mostra con “I quattro elementi”

©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019

Francesco Galletti, autore della mostra “I quattro elementi” è un artista cresciuto nelle vie messinesi dove tutt’oggi vive e lavora. Avendo da sempre nutrito e coltivato una forte passione, propensione e predisposizione per gli studi artistici, dopo il diploma conseguito al liceo artistico, continua con questo percorso laureandosi in pittura all’Accademia delle belle arti “Kandiskij” di Messina. Nell’agosto dello stesso anno partecipa al XXVII concorso di pittura nazionale del Castello di Spadafora (Me) ottenendo il secondo premio della critica. All’ottobre del 2018 risale la sua prima personale alla Villa Barone Alfieri di Pozzallo. L’1 Marzo Francesco Galletti invita i cittadini all’inaugurazione della sua prima mostra nella città in cui è nato, Messina, ospitata nella sala di esposizioni del cinema Apollo, dove fa sfoggio della bellezza artistica delle sue pitture astratte in tutte le sue sfaccettature. La mostra si è resa visitabile per due settimane, consentendo libero accesso all’arte e a tutto ciò che ne concerne, fra colori e forme di significato diverso. Le opere d’arte prendono il nome de “I quattro elementi” in quanto pitture realizzate con i colori dei quattro elementi della natura. L’evento si è concluso il 19 Marzo, con riscontro estremamente positivo da parte del pubblico, che si è mostrato interessato a una nuova entusiasmante e creativa esperienza artistica.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Dalila De Benedetto

Si riporta qui di seguito una galleria di foto della mostra:

©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019
©SofiaCampagna, Apollo spazio arte, Marzo 2019

“L’opera degli ulivi”: anni di piombo, lotte politiche e faide ‘ndranghetiste

L’autore Santo Gioffrè e i relatori – ©FernandoCorinto, Aula Magna “L. Campagna”, 13 marzo 2019

È stato presentato presso l’Aula Magna “L. Campagna” del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, il volume L’opera degli ulivi, di Santo Gioffrè, medico, appassionato di documenti antichi e del mondo ellenico, scrittore di romanzi storici. Hanno moderato l’incontro i professori: Mario Pio Calogero, Luigi Chiara e Giovanni Moschella.

Introduce il discorso Mario Pio Calogero:

“Il libro narra la tragica storia di uno studente universitario calabrese, ambientata a Messina, nel nostro Ateneo ed in un paese della Calabria, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80. Un periodo caratterizzato da un forte binarismo di ideali, presente soprattutto tra i giovani: studio e impegno politico. Ideali che caratterizzano lo stesso protagonista, Enzo Capoferro. Un romanzo a forte carica ideologica, giustificatorio, se non esaltativo, in contrapposizione all’estremismo di destra, delle violenze rivoluzionarie della sinistra estrema nel ’68 universitario messinese. Il testo è una vera e propria incursione, lucida e asciutta, nei retroscena sommersi di un mondo velato della Messina degli anni di piombo. Ѐ la storia di una Calabria amara, quella ‘ndranghetista, fatta di riti, di convenzioni, di catene che legano i protagonisti ad una società fondata sul vincolo dell’onore e sul patto di sangue, segnata da un destino già scritto, a cui sembrerebbe impossibile sottrarsi. Ove nemmeno l’amore per Giulia, la sua amata, potrà salvarlo.”

In un’atmosfera intima e raccolta il pubblico è sembrato molto attento alle descrizioni illuminanti dei vari relatori.

L’autore, Santo Gioffrè, ha ringraziato i presenti, dimostrandosi soddisfatto per l’organizzazione dell’incontro ed ha fornito ulteriori dettagli della trama, anche di tipo autobiografico.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Seminario articolo scientifico: processi di peer review

Relatori – ©GiuliaGreco, Aula Cannizzaro 2019

Grande opportunità, tenutasi il 26 febbraio, per gli studenti del sesto anno di medicina e psicologia e i dottorandi di ricerca, che hanno seguito il seminario sulla revisione dell’articolo scientifico, curato dal Prof. Salvatore Settineri (Editor in Chief della MJCP) e trasmesso in diretta streaming a livello nazionale.

Una ricchezza di contenuti e qualità, concentrati in pochissime ore.
Strumenti utili sono stati forniti ai giovani appassionati di ricerca scientifica, comunicando la bellezza di una scienza aperta, raccontando le diverse figure e i molteplici aspetti di una produzione scientifica e del ruolo del revisore.
Un incontro di eccellenza animato dall’entusiasmo di giovani ricercatori, l’esperienza di una rivista internazionale e Open Journal come la MJPC (Mediterranean Journal of Clinical Psychology), a cui partecipano anche i funzionari del sistema bibliotecario di ateneo. La Mediterranean Journal of Clinical Psycology è una delle poche riviste Open Journal. Numerosi sono gli spunti di riflessione forniti in relazione ai vari momenti e ai vari interventi dell’incontro, che verranno analizzati e illustrati di seguito.

All’apertura il professor Settineri ha invitato a riflettere sull’approccio in merito ai metodi con cui si svolge questo genere di lavoro.

Racconta che editare una rivista parte tutto da un sogno. Quando era giovane per lui le riviste importanti erano attaccate sulle pareti, era difficile reperirle, e cercare un articolo era come una caccia al tesoro, un gap colmato oggi tra le possibilità che si aprono davanti ai nostri occhi con la rete.
Spiega l’importanza della multidisciplinarità ringraziando la Sba (Sistema bibliotecario di Ateneo) che ha consentito lo streaming, e la docente di statistica, la prof.ssa Alibrandi, che segue il lavoro di più discipline all’interno della rivista, sottolineando l’importanza di un lavoro di gruppo in cui partecipano svariate figure, di diversi settori, varie discipline senza le quali non sarebbe possibile la realizzazione di un buon prodotto finale.

La collaborazione di tutti è necessaria ad individuare punti di forza e debolezza del lavoro. Anche noi studenti inconsciamente partecipiamo da spettatori passivi quando siamo lettori, e attivi quando effettuiamo tesi di Dottorato.
A seguire, l’interessante intervento della dottoressa Benedetta Alosi (SBA di Ateneo) sulla revisione parietaria con una prospettiva nuova di evoluzione e cambiamento per i giovani che abbraccia l’open science.
Fa una panoramica di modi alternativi di fare revisione scientifica oltre a quello tradizionale (revisione prima della pubblicazione). Il metodo di revisione tradizionale non tiene conto dell’apporto che la comunità può dare al dibattito su quei temi che tratta o sulla scienza.
L’open peer review invece è un processo di revisione aperta vissuto come dibattito e confronto. Lo scopo di una pubblicazione di una rivista, soprattutto online e open access, è la promozione della circolazione libera delle idee. Le riviste chiuse e a pagamento limitano la circolazione delle idee. Le riviste aperte la favoriscono, ovviamente con norme che la regolamentino e licenze di copyright.

Fare scienza è comunicarla. Si dice, appunto, che se un pittore fa un opera d’arte ma la tiene chiusa nella sua stanza, quest’ultima non è più arte, ma diventa arte nel momento in cui la si rende disponibile e fruibile a tutti .”

Aula Cannizzaro – ©GiuliaGreco 2019

Successivamente, si è passati alla rassegna delle varie tipologie di peer review.
L’open peer review è una sezione dell’open science che non vuole mettere a disposizione solo il prodotto finale, ma includere anche la condivisione di tutti i passaggi per dare solidità e trasparenza alla scrittura scientifica. In alcune piattaforme esiste proprio un continuum per la review.
La revisione dell’articolo scientifico è un momento dinamico, non chiuso.
Tra i vantaggi: un’opportunità per i giovani nelle tesi di dottorato con onori e oneri che aumento la qualità del prodotto. Evitare i pregiudizi e le faziosità tra chi scrive, salvaguardare l’integrità e trasparenza della scienza.
Attenzione però al rischio che si potrebbe correre. Occorre sempre distinguere tra scienza vera e falsa. La dottoressa Aloisi cita il caso della correlazione tra autismo e vaccini di Andrew Wakefield, rifiutato da un’importante rivista, polemica attuale che ancora persiste sui vaccini. Lo stesso British Medical Journal, autorità nel campo delle pubblicazioni mediche, afferma che è una grande bufala. L’impatto per la collettività e la grande responsabilità che ha il revisore verso numerose vite e sull’informazione pubblica, esiste anche in ambito farmacologico.

È intervenuto anche il dottor Nunzio Feminò (Sba di Ateneo), evidenziando “l’importanza della ricerca bibliometrica nelle fonti e delle fonti stesse come strumento rilevante per la revisione parietaria.” Ha affermato come la citazione sia come strumento di qualità, così come l’indice H (qualità e autore) e i valori citazionali facendo anche riferimento ai vantaggi e ai limiti delle più importanti banche dati: web of science, Scopus, Google scholar, Software publish or perish, Google books.

Il Professor Settineri ha ribadito che non è necessariamente vera il legame tra alto impact e qualità.
Ha condiviso e raccontato la sua esperienza di clinico, quando prima di editare il giornale si occupava di scienze nuove che anni fa non venivano prese in considerazione. La clinica è diversa dall’esattezza anche rispettando la statistica e la matematica. Il professore ha messo in guardia dalla presenza di regole da conoscere necessariamente nel mondo della ricerca scientifica, e nel mondo accademico. La mancanza di conoscenza di tali regole espone ad un grosso rischio, che è l’abbandono dell’amore per la scienza.

Inoltre, si è dibattuto il tema del referaggio dell’articolo scientifico dal punto di vista statistico, curato dalla Professoressa Angela Alibrandi.

Relatori – ©GiuliaGreco, Aula Cannizzaro 2019

“Il bello della ricerca è il continuum in cui ognuno aggiunge un mattoncino”.

La dottoressa ha fornito ottimi consigli utili per gli autori delle riviste. Ha spiegato che il metodo statistico è basato su un obiettivo: ogni autore prima di scrivere deve avere un obiettivo e chiedersi qual è il contributo aggiuntivo che apporta ai precedenti studi. Ciò presuppone una maggiore rewiew e un ulteriore approfondimento del tema che si vuole trattare.

Ha sottolineato anche l’importanza della pianificazione e dei metodi, di un ordine, di orientare la scrittura verso un senso logico che predispone ad una chiarezza che verrà percepita dal lettore. Consiglia di scrivere meno e meglio, e di prefiggersi come scopo la qualità, non la quantità.

A seguire sono intervenuti il Dottor Emanuele Maria Merlo, in qualità di Journal Manager, Fabio Frisone, in veste di assistente Journal della rivista MJCP, che ci hanno riportato la loro esperienza in questo ambito.
Il dottor Merlo si è soffermato sull’analisi dei ruoli dei diversi membri della rivista, invitando a ragionare intorno alla parola chiave riassuntiva dell’incontro: openpoiché afferma che l’1/3 dei soldi destinati alla ricerca si spendono per contributi che il 90% della gente non legge.

In chiusura, ricco di spunti e stimoli di riflessione è stato l’intervento dal titolo “La rivista come strumento di cultura, recensioni e rubriche”, curato dall’assistente Journal Fabio Frisone, volto a far capire quanto sia interessante e al contempo impegnativo il ruolo del referee. Per garantire accuratezza, completezza e originalità al nuovo contributo bisogna interiorizzare e far proprio il contributo, per poi consegnarlo al pubblico di lettori. Non è sufficiente una sola lettura del lavoro. Fare il referee non è solo curare la forma e il suo contenuto, ma anche interiorizzare la cultura.
Il secondo aspetto su cui ha posto l’accento è la potenzialità divulgativa dell’Open Journal. La parte divulgativa non è indispensabile in una rivista, ma per la MJCP lo è. Vengono fatte una o più recensioni di un libro pertinenti al numero della rivista. Nel loro ultimo numero hanno recensito il libro “The bible as dream” di Murray SteinPresidente dell’International Association for Analytical Psychology (iaap), membro della Chicago Society of Jungian Analysts, e impegnato nella pratica clinica privata. Editore di Jungian Analysis. Hanno scritto inviando a questo autore la loro recensione, instaurato dunque una corrispondenza, ed è stato lo stesso autore che si è offerto di scrivere un pezzo per la loro rivista. Ecco la prova della divulgazione come amore per la scienza e la cultura, per lo scambio di idee, e per il confronto.

Anche l’illustre Professor Sergio Baldari, direttore del dipartimento BIOMORF Messina, professore ordinario, e direttore della scuola di specializzazione di medicina nucleare ha speso delle parole in merito a una questione molto controversa, eppure molto comune. Il professore ha spiegato che in clinica molti pazienti arrivano con informazioni talvolta scorrette rilevate dal web, ed entrano nel panico quando il medico dà un’opinione diversa da quella che ci si aspettava.

I poveri pazienti finiscono con il domandarsi: “qual è l’informazione giusta? Quella dei medici o quella diffusa senza criterio online?

Desk – ©GiuliaGreco, Aula Cannizzaro 2019

Il Professor Settineri infine saluta affettuosamente gli studenti presenti in aula, con un auspicio:

“Vi auguro tanto successo; successo non significa essere importanti, avere successo significa essere felici. Ed essere felici significa rendere felici gli altri con il vostro prodotto.”

Per tutti i giovani studenti di medicina ha rappresentato un’occasione costruttiva di dialogo per l’università, che dovrebbe essere sempre un ambiente in cui fioriscano idee, in cui le persone, come fossero tante molecole, interagiscano tra loro reagendo e scambiandosi energia, idee, contenuti e, una volta avvenuto questo contatto, non essere più quelli di prima, ma migliori. Si è trattato di un’esperienza per cui essere grati, grazie alla quale si può veramente dire di “essere stati seduti sulle spalle dei giganti”, come disse Newton.

Daniela Cannistrà

Il silenzio di chi ama

Il Silenzio di chi ama è un libro scritto nel gennaio 2018 da Davide Romagnoli, ragazzo di 19 anni studente di scienze della comunicazione all’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli.

Racconta una delusione d’amore molto forte, il sentire di aver dentro un sentimento e di non poterlo esternare fuori.

Un ragazzo troppo giovane per parlare di delusioni? No, semplicemente un adolescente che ha vissuto a pieno le sue emozioni.

Ho avuto il piacere di intervistare lo scrittore di questo testo di poesie.

Dopo le svariate domande fatte a Davide, tra una risposta e l’altra, posso aggiungere che questo libro sicuramente è quello che lo rappresenta di più, ed ho avuto la conferma stessa dello scrittore, aggiungendo che per lui racchiude momenti forti della sua vita.

Un ragazzo pieno di sentimento, pieno di sogni, un amante dei viaggi, che vede come un modo per ritrovare se stessi lontano dalla routine quotidiana in cui l’unico rischio che riscontra è quello di perdersi; i viaggi invece ci permettono di vedere lontano dai nostri occhi e dalle solite cose che ci circondano, per permetterci di ritrovare ciò che perdiamo ogni giorno senza accorgercene.

Con il suo modo di vivere, che definisce a colori, Davide vive “Londra”.

Un giovane ragazzo che sa ciò che vuole veramente nonostante la sua giovane età. Un ragazzo di grande sentimento, ma soprattutto grande passione per quello che scrive.

Un “piccolo Giacomo Leopardi” del ventunesimo secolo, ricco di speranza ma anche di dolore e passione.

“Il silenzio di chi ama” è privo di trama ma ricco di susseguirsi di poesie che hanno lasciato qualcosa nel suo cuore e che ha voluto condividere con tutti coloro che ancora in fondo provano un sentimento, ed è così che la trama si snoda tra le pagine.

Davide, il ragazzo dai sentimenti forti, ci fa capire che bisogna guardare dentro noi stessi e non aver paura di esprimere ciò che si nasconde nel nostro cuore.

 

 

Dalila De Benedetto                                                                                                                                                                                                         

Alda Merini, la poetessa dei Navigli

Alda Merini, una poetessa dalla sensibilità elevata, simbolo, anche, del malessere degli individui; malessere che per lei aveva come paracadute soltanto la poesia.

Alda Merini nasce il 21 marzo del 1931 a Milano. Alda è la seconda di tre figli, ma della sua infanzia si conosce poco. Nelle brevi note biografiche si descrive come una ragazza sensibile e dal carattere malinconico, isolata e poco compresa dai genitori.

Esordisce come autrice giovanissima, a soli quindici anni, sotto la guida di Giacinto Spagnoletti che scoprì il suo talento artistico.

La storia della Merini è una storia molto particolare, la sua vita non è stata monotona, ma al contrario caratterizzata da emozioni fortissime. Il suo malessere inizia a farsi vivo con quelle che lei stessa definì nel 1947:

prime ombre della sua mente“.

Era già sposata e madre felice ma, come tutti noi esseri umani, aveva momenti di stanchezza e tristezza. Parlò di questi suoi piccoli problemi al marito che non solo non comprese nulla, ma fece ricoverare la moglie nella clinica Villa Turro di Milano.

Alda Merini soffriva di disturbo bipolare che all’epoca era considerato semplicemente un costante cambiamento d’umore. Questo problema era la “marcia” in più per lei: riusciva a vedere cose laddove gli altri non riuscivano a vedere e di conseguenza a creare poesie e aforismi impressionanti, capaci di colpire nel profondo il lettore. Il malessere di cui ha sofferto Alda Merini è stato logorante per lei. La sua vita è stata un mix di emozioni e gioie, legate però a perenni dolori. Questa sua condizione trovava sfogo, prima che sui fogli, sulle pareti delle sua camera da letto, tappezzata da frasi, aforismi e riflessioni sulla vita, sull’amore.

Scritte con il rossetto in ogni angolo, sugli specchi, vicino il letto, in ogni parte della casa.

La vita della poetessa dei Navigli non è stata molto facile in manicomio. Come disse spesso, lei non si riteneva pazza e ne era consapevole; si ribellava ai medici e alle cure a cui la sottoponevano. Il ricordo peggiore è quello dell’elettroshock. Alda ricordava la stanza dove lo “somministravano” come un luogo terribile, dove ti saliva l’ansia e la paura già nell’anticamera. Un luogo piccolo e sporco, dove la gente aspettava il proprio turno ascoltando inerme le pene patite nella stanza vicino. La Merini però può ritenersi relativamente fortunata perché la sua reclusione, malgrado tutto, non durò molto. Quando uscì, in ogni caso la sua persona ne risentì profondamente, tanto che la sua vita ruotò attorno all’incubo del manicomio. Luoghi di tortura legalizzati, dove i “matti“ non avevano nessun rapporto con l’esterno. Luoghi in cui ancora oggi si respira la crudeltà dell’uomo. La poetessa racconta, in una delle sue interviste, che prima dell’elettroshock facevano una pre morfina e poi davano del curaro. Dopo anni in manicomio la Merini ritrovò una pace interiore per qualche tempo, ma i ricordi del passato riemergevano spesso. Lei considerava la poesia un’espressione di dolore, un dolore intimo, esclusivo del poeta, che, in quanto tale, è per natura più incline alla sofferenza. Ma accettò il dolore indossandolo “come un vestito incandescente, trasformandolo in poesia”. In una nota intervista alla domanda ‘Lei è felice?’ Alda rispose ‘La mia felicità è la mia rassegnazione. Sì, sto bene da sola, quando se ne vanno tutti e posso cominciare a pensare anche in questa piccola casa che tutti denigrano e dicono che è disordinata, non curata, polverosa. Ma questa polvere è polvere di farfalle come sono i pensieri! E se la togli non volano più.’

Ecco qualche passo delle sue poesie più belle…

Ero matta in mezzo ai matti.
I matti erano matti nel profondo, alcuni molto intelligenti.
Sono nate lì le mie più belle amicizie.
I matti son simpatici, non così i dementi, che sono tutti fuori, nel mondo.
I dementi li ho incontrati dopo, quando sono uscita.

Io non ho bisogno di denaro.
Ho bisogno di sentimenti
Di parole, di parole scelte sapientemente, di fiori, detti pensieri,
di rose, dette presenze,
di sogni, che abitino gli alberi, di canzoni che faccian danzar le statue,
di stelle che mormorino all’orecchio degli amanti… Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia le pesantezza delle parole, che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

E poi fate l’amore
Niente sesso, solo amore.
E con questo intendo i baci lenti sulla bocca, sul collo, sulla pancia, sulla schiena,
i morsi sulle labbra, le mani intrecciate,
e occhi dentro occhi.
Intendo abbracci talmente stretti
da diventare una cosa sola,
corpi incastrati e anime in collisione,
carezze sui graffi, vestiti tolti insieme alle paure, baci sulle debolezze,
sui segni di una vita che fino a quel momento era stata un po’ sbagliata. Intendo dita sui corpi, creare costellazioni,
inalare profumi, cuori che battono insieme,
respiri che viaggiano allo stesso ritmo,
e poi sorrisi,
sinceri dopo un po’ che non lo erano più. Ecco, fate l’amore e non vergognatevene, perché l’amore è arte, e voi i capolavori.

Solitudine
S’anche ti lascerò per breve tempo, solitudine mia,
se mi trascina l’amore, tornerò,
stanne pur certa;
i sentimenti cedono, tu resti.

Alda Merini visse la solitudine del malato che non è solo fisica – essere chiusi tra le quattro mura di una clinica restando esclusi dalla vita fuori – ma anche psicologica: il malato è un diverso e per questo rimane isolato dalle persone ‘normali’. A proposito della solitudine in manicomio, in Diario di una diversa la poetessa scrive: “Si parla spesso di solitudine, fuori, perché si conosce solo un nostro tipo di solitudine. Ma nulla è così feroce come la solitudine del manicomio”. Ma la diversità di Alda Merini che la condanna all’isolamento non è solo quella del malato, ma anche quella dell’artista: “scrivere una poesia è un momento di grande solitudine”, disse la Merini in un’intervista a Loris Mazzetti, aggiungendo che “il timbro del manicomio che ti porti dietro per tutta la vita è un timbro di alienazione”.

Alda Merini ha avuto amori e figli, ma la solitudine – dell’artista e della reclusa – è stata la sua vera compagna di vita, che nella poesia ‘Piccoli canti’ infatti chiama ‘solitudine mia’, parlando di lei come di una vecchia amica che l’ha fatta soffrire ma di cui ormai non può fare più a meno, e a cui infine dice ‘tornerò, stanne pur certa’.

Concludo dicendo che questa grande poetessa dalla sensibilità elevata, con la sua voglia di essere una donna libera e diversa, cercò di cogliere la forza e il limite della parola nel silenzio di un’immagine. Era bella e unica perché non rassicurava nessuno, non stava da nessuna parte, non difendeva verità assolute! Viveva l’amore con semplicità, sapeva custodire e proteggere il senso della vita. Prediligeva la notte, sua compagna muta ma vicina, dove i suoi dubbi più belli, le sue fragilità e i suoi versi sbattevano e battevano come farfalle notturne contro i battiti nascosti della sua solitudine.

A tutti i giovani Alda lasciò un grande messaggio:

A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruirvi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.
Alda Merini , da < La vita facile>.

Con queste sue intense parole Alda ci spiega il senso della vita, invita ognuno di noi ad amarla, amare i poeti e i libri “per volare oltre questa triste realtà quotidiana”.

Gabriella Puccio