Daniela Bonanzinga “Io ormai sono una realtà un po’ rara”

Fonte: La Scatola Lilla, ©2015

Martedì 16 Aprile intervisto Daniela Bonanzinga, nonché libraia più rinomata in città, attiva nel promuovere la lettura fra i giovani con il progetto “La libreria incontra la scuola”. E’ quasi ora di pranzo e spero che il mio stomaco non cominci a brontolare proprio adesso. Guardo l’ingresso della Libreria Bonanzinga con un misto di suggestione e adrenalina, ed entro. Il locale è quasi vuoto, dato l’orario. La proprietaria ci saluta e finisce un discorso con alcune clienti. Aspettandola, mi aggiro fra le mensole, pochi libri sono rimasti; il trasloco dei locali è in atto. Lei termina il suo da fare e invita me e la mia collega fotografa a salire per l’intervista. Ha una stretta di mano veloce ma incisiva, ricorda quasi quella di un uomo. Io ne resto affascinata. Prendiamo posto; Daniela si accomoda come una vera e propria padrona di casa, poggiando un braccio con il gomito sull’altra sedia. Io la scruto, per un secondo, e penso quel tipico, timido e puerile “Voglio essere come lei da grande”. Poi, do il via alla mia incalzante serie di domande.

Allora, ha iniziato a lavorare a diciotto anni, ho letto, affiancando i suoi genitori. Ha mai avuto dubbi, anche il minimo dubbio, che potesse non essere la sua strada?

Tantissimi. Le certezze si costruiscono sui dubbi, miliardi di dubbi. Anche perché a diciotto anni una persona si deve ancora formare e la sua vita deve ancora svolgersi. Quindi sì, ho avuto tantissimi dubbi, fin dalle prime battute.

Lavorare, per così tanti anni, nel mondo dei libri in cosa l’ha umanamente migliorata?

Mi ha migliorata a livello umano perché sicuramente i libri hanno aperto la mia mente e il mio spirito al percorso della ricerca esistenziale, personale e lavorativa. Quindi sicuramente il libro come oggetto nella sua varietà, profondità, nella sua declinazione ha fatto sviluppare in me l’anima della ricercatrice. E non esiste differenza, chi ricerca, ricerca in tutti i campi.

E in cosa, invece, l’ha stressata magari a tal punto da dire “potevo fare un lavoro statale, un lavoro diverso”?

Che cosa mi ha stressata di più? Certamente la crisi, micidiale, che ha colpito l’economia, il comparto dei libri e della comunicazione tutta legata alla carta stampata. E’ iniziata la ricerca del cliente perché tutte le attività commerciali, legate anche alla cultura, sono aziende, non dimentichiamolo; vivono di bilanci, profitti,  ricavi, perdite. Questo è l’aspetto che maggiormente mi ha stressata anche perché io ho una formazione umanistica, sono laureata in lettere moderne. Tutti i miei studi sono stati orientati alla comunicazione. Io ho la visione umanistica del numero, per dirla ridendo, cioè tutto ciò che è gestione, numeri, finanza mi ha stressata molto nella mia carriera e mi continua a stressare. ( risate)

Ilaria: e lo farà a questo punto. (risate)

 

©SofiaCampagna, Ilaria intervista la dott.ssa Bonanzinga- Libreria Bonanzinga, Messina 16 Aprile 2019.

Sarebbe errato dire che vede il mestiere del libraio più come una missione che come un lavoro?

Allora, generalmente chi vede le attività come missioni opera nell’ambito del no-profit; invece io tengo sempre a bada i numeri, perché io non sono, come hai detto tu, un’impiegata statale. Di questo lavoro devo vivere, ho una famiglia e, come ho sempre detto, mio padre mi ha donato un’azienda, non 500 milioni sul conto corrente. Mi ha donato un’azienda con le sue problematicità. Si può dire, invece, che io ho una visione sociale del mio mestiere, cioè, che per me è molto importante far leggere quante più persone è possibile, motivo per il quale mi sono dedicata al mondo della scuola, dei ragazzi, da sempre. Che questo poi abbia una ricaduta di tipo commerciale è certamente secondario, la cosa più importante è far aumentare questi numeri della lettura, far leggere uno a chi legge zero, non tanto far leggere due a chi legge uno perché quello è già più facile. Ma la cosa più bella, ripeto, è far leggere uno a chi legge zero.

Cosa suggerisce a chi, piccolo o adulto, è restio a leggere? Purtroppo sono tanti, i numeri parlano.

Oggi è una domanda da 1 milione di dollari. Dunque, ci sono alcuni piccoli punti. Oggi la lettura è in competizione con un mondo molto accelerato e molto complesso che è quello della nuova comunicazione, dei social e della rete. Oggi la battaglia è serrata, la comunicazione tra ragazzi è diversa, i nuovi media sono molto aggressivi e i tempi dedicati ai social sono tanti. Ma io penso che una generazione che non legge potrebbe veramente esitare in un disastro cosmico e continuo quindi a fare, nel mio passaggio terreno, quello che sono chiamata a fare: creare per ragazzi occasioni di incontri alti, con personaggi importanti, con persone che qualcosa restituiscono. E continuare a scommettere che i ragazzi oggi, anche se in modo diverso, a loro volta restituiscono qualcosa. La lettura è una restituzione d’affetto, la lettura può cambiare la vita, la lettura ha dei sensi; bisogna insegnare ai ragazzi quali sono questi sensi.

Qual è la più grande soddisfazione personale e se sta per dire il Premio Mauri del 2010 ne scelga una seconda.

La più grande soddisfazione è certamente La libreria incontra la scuola, 150 scrittori e 400000 occasioni di lettura. Se tu mi chiedi in 40 anni di attività qual è stata la cosa più bella? La libreria incontra la scuola. Qual è la cosa che ripeteresti senza ombra di dubbio? La libreria incontra la scuola. Qual è stata la scommessa che hai vinto? La libreria incontra la scuola. Non ho mai trovato un progetto che potesse distrarre la mia attenzione dalla La libreria incontra la scuola. Il Premio Mauri è consequenziale a questa, senza questa, non c’è manco il premio. (risate). Questo lavoro nel mio territorio spesso diventa un po’ invisibile perché, avendo creato un format così vincente, è stato imitato da tutti e spesso si tende a dimenticare chi l’ha inventato. Io ne ho registrato il marchio, però siccome poi tutto funziona per personalismi, è stato molto semplice per i miei colleghi appropriarsi di questa invenzione ed era anche impensabile che non accadesse, se no non sarei stata docente alla scuola per librai e non l’avrei insegnato agli altri librai d’Italia. Chiaramente, nel mio territorio l’osservazione e l’imitazione sono state fisiologiche. Quello che è bello è che ogni tanto qualcuno si ricordi che questa cosa l’ho inventata io. E ogni tanto vedo che stenta ad arrivare questo riconoscimento, ho deciso di darmelo da sola, ma non ti dico come perché lo vedrete in questa nuova avventura di questa nuova location. Così, avrò messo un punto visibile, anche se gli altri non lo ricordano, me lo ricordo da sola.

 

©SofiaCampagna, Ilaria intervista la dott.ssa Bonanzinga – Libreria Bonanzinga, Messina 16 Aprile 2019

 

Chi è lo scrittore o la scrittrice che le ha lasciato un ricordo di impatto, un ricordo così commovente che le ha fatto pensare “ecco perché amo il mio lavoro!”.

Veramente posso dirti che ci sono tante, tante esperienze, di ogni ordine e grado, legate anche a grandissimi nomi della letteratura contemporanea. Una su tutte, l’esperienza fatta quest’anno col professore Galimberti, l’uomo più che lo studioso. Ma fare una classifica è molto difficile.

E qual è il consiglio, per chi come lei, ha il sogno di aprire una libreria indipendente?

Ci sono tante nuove realtà ed è forse una cosa che bisognerebbe chiedere a questa nuova generazione. Io ormai sono una realtà un po’ rara, cioè sono una libreria indipendente, storica, con 50 anni all’attivo che ha svoltato. Le nuove generazioni hanno davanti schemi diversi, confronti diversi, assente la storicità, alcuni elementi che per me sono stati fondanti.  Io potrei dare delle risposte che sono poco rincuoranti e invece credo che ognuno debba perseguire i propri sogni. Perché è facile creare una libreria senza uno storico di riferimento, perché tu ti concentri su quei consumi, indici di lettura. I dolori vengono quando questi indici vengono confrontati con 10 anni fa. Non voglio rispondere a chi ha un sogno nel cassetto; lo persegua! Studi, si faccia delle scuole, ce ne sono tante, si sperimenti. E’ una cosa molto faticosa, questo lo posso dire a chiare lettere.

Quest’anno la libreria compirà 50 anni; è stato proprio per celebrare questa occasione che ha deciso di spostare i locali della libreria?

Non è stato per questa occasione, se vogliamo è stato il contrario. Festeggeremo i 50 anni nella nuova libreria. Io ho deciso di spostare la libreria per vivere meglio e per fare, a 57 anni, dopo essere stata vicina, da tutti i punti di vista, alla mia famiglia,  un mio progetto. Mi sono detta “te lo meriti”, uno spazio mio progettato sulle mie nuove esigenze, sui  miei sogni. Lo spazio è tutto, come una casa. Quindi dopo 40 anni di militanza in uno spazio progettato da altri, ho sentito l’esigenza di concludere tutto ciò che mi resta, lavorativamente parlando, in uno spazio progettato da me, sul presente.

 

©SofiaCampagna, Ilaria intervista la dott.ssa Bonanzinga – Libreria Bonanzinga, Messina 16 Aprile 2019

 

Infatti, cosa si  aspetta per questa nuova libreria? Per questa nuova avventura?

Mi aspetto di potere trasformare la mia libreria in un luogo dove gli aspetti della virtualità, cioè gli aspetti della rete, possano unirsi agli aspetti della realtà. Io mi aspetto un luogo dove le persone, entrando, mi stringano la mano e mi dicano “noi siamo amici su Facebook” e trovino un luogo fisico in cui poter scambiare sguardi, emozioni, esperienze.

Ci fa qualche spoiler sul 27? Ci saranno delle sorprese?

Te lo posso già anticipare. Sarà un pomeriggio d’autore perché si susseguiranno Cristina Cassar Scalia, Barbara Bellomo, Guglielmo Pispisa e Mario Falcone; converseranno tutto il pomeriggio, alternandosi nelle varie fasce orarie. Non ci saranno nastri da tagliare, ci sarà un bicchiere per brindare e la città che decide di partecipare.

E sicuramente parteciperà; io la ringrazio molto per il suo tempo.

 

 

 

                                                                                                                        Ilaria Piscioneri

Apollo Spazio Cinema: la narrativa siciliana sul grande schermo

Una sequenza di capolavori restaurati, da Luchino Visconti a Elio Petri, ispirati ai romanzi dei grandi autori siciliani

La programmazione del cinema Multisala Apollo, dal 10 gennaio, ha avviato un ciclo di proiezioni che ha al centro il doppio filo tematico che unisce letteratura siciliana e trasposizione in chiave cinematografica. La rassegna, alla prima edizione, è intitolata “Apollo Spazio Cinema” e presenta, da gennaio a giugno, due appuntamenti fissi sul calendario, il primo e l’ultimo giovedì di ogni mese. I film introdotti da Marco Oliveri, giornalista e critico cinematografico, sono stati scelti su iniziativa dell’Associazione Apollo Spazio arte, con il patrocinio di Cineforum Don Orione, Dams di Messina, Messina Film Commission e UniversiTeatrali – Università di Messina.

Un’occasione imperdibile per vedere sul grande schermo alcune eccezionali pellicole che hanno fatto la storia del cinema italiano e internazionale. “Si tratta di una prima esperienza nel segno della proposta culturale, in vista di nuove edizioni, data la varietà di titoli legati al prolifico e variegato mondo letterario siciliano e non solo. Tutti possono contribuire ad arricchire il dibattito e il confronto prima e dopo il film in programmazione”, specificano il curatore Oliveri e Loredana Polizzi. Dopo La terra trema di Luchino Visconti (1948), proiettato il 10 gennaio, basato su I Malavoglia di Giovanni Verga e girato, non a caso, ad Aci Trezza, il prossimo appuntamento, giovedì 31, porterà nella Catania borghese di inizio anni ’60.

31 gennaio (ore 20.00): Il bell’Antonio (1960)Mauro Bolognini (105 minuti)

Antonio Magnano (Marcello Mastroianni) è un giovane dall’aspetto piacevole ed elegante. Per qualche tempo ha vissuto a Roma e, dopo gli studi, è tornato nella casa di famiglia a Catania. Le ragazze molto sovente sono attratte da lui e una più di tutte, Barbara (Claudia Cardinale), attira la sua attenzione. I due presto, con il consenso dei genitori, si sposano, ma il matrimonio non viene consumato e l’onore della famiglia di Antonio sarà messo in discussione agli occhi della società, pettegola e avvinta al mito del Don Giovanni. Tratto dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati, scrittore originario di Pachino, dal quale si discosta in alcuni punti della trama, il film riprende gli ambienti corali del libro, echi di una Sicilia che nasconde sotto il valore della virilità e della potenza sessuale la propria meschinità e arretratezza.

PROGRAMMA:

Giovedì 10 Gennaio: La terra trema (1948) di Luchino Visconti, da I Malavoglia di Giovanni Verga.

Giovedì 31 gennaio: Il Bell’Antonio (1960) di Mauro Bolognini, dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati.

Giovedì 7 febbraio: Don Giovanni in Sicilia (1967) di Alberto Lattuada, dal romanzo omonimo di Vitaliano Brancati.

Giovedì 28 febbraio: A ciascuno il suo (1967) di Elio Petri, dal romanzo omonimo di Leonardo Sciascia.

Giovedì 7 marzo: Enrico IV (1984) di Marco Bellocchio, dall’omonimo dramma di Luigi Pirandello.

Giovedì 28 marzo: Cadaveri eccellenti (1976) di Francesco Rosi, dal romanzo Il contesto di Leonardo Sciascia, preceduto dal documentario Il cineasta e il labirinto (Italia, 2002, 55’) di Roberto Andò (inizio proiezione alle 19.30).

Giovedì 4 aprile: Todo Modo (1976) di Elio Petri, dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia.

Giovedì 18 aprile: Porte aperte (1990) di Gianni Amelio, dall’omonimo romanzo di Leonardo Sciascia.

Giovedì 2 maggio: Kaos (1984) di Paolo e Vittorio Taviani, da Novelle per un anno di Luigi Pirandello.

Giovedì 30 maggio: Il gattopardo (1963) di Luchino Visconti, dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Giovedì 6 giugno: Il manoscritto del principe, sceneggiatura originale da testi di Francesco Orlando e Gioacchino Lanza Tomasi.

 

Eulalia Cambria

Messina e le Eolie catturate nei diari dei viaggiatori del Grand Tour

Gaspare Vanvitelli,  Veduta di Messina

C’è stato un tempo in cui quella macro realtà politica unitaria che porta il nome d’Europa non era disegnata in nessuna delle carte geografiche del vecchio continente. Quando non circolavano nemmeno i treni a vapore e il turismo in senso moderno era destinato a una èlite ristrettissima, l’educazione di un giovane rampollo dell’aristocrazia intellettuale passava per un grande viaggio di formazione e di scoperta delle radici classiche. Potremmo definire questa esperienza un’antenata lontana dell’Erasmus: al termine degli studi le conoscenze umanistiche, artistiche e letterarie, venivano rafforzate da un itinerario che ripercorreva le tracce storiche della cultura occidentale. In realtà il tour, in auge non soltanto nell’700, ma almeno un secolo prima e più tardi, poteva durare da pochi mesi fino ad alcuni anni e raggiungeva il fulcro, la meta ideale e obbligatoria, nelle destinazioni in Italia. Il mediterraneo, naturalmente, era una tappa prediletta; da Pompei a Napoli fino alle falde Etna e a Palermo. Tanti entusiasti viaggiatori non potevano però tralasciare Taormina e l’approdo incantato alle Eolie e sullo Stretto.

Tra le personalità illustri che dimorarono in Sicilia all’epoca del Grand Tour, J. W. Goethe ha lasciato una delle testimonianze più consistenti. “Il più grande capolavoro dell’arte e della natura”: così lo scrittore tedesco definiva Taormina, dove trascorse alcune settimane tra l’aprile e il maggio del 1787. L’ultima tappa del suo viaggio, prima di lasciare l’amata Sicilia, nella quale dovette affrontare le difficoltà degli spostamenti dovute alla scarsa manutenzione stradale, e imbarcarsi per Napoli, fu Messina. Qui tuttavia non era rimasto molto: il terremoto del 1783 aveva esercitato la sua forza devastatrice lasciando “l’orripilante visione di una città distrutta”.

Ci toccò camminare per un buon quarto d’ora fra le rovine e le macerie, prima di arrivare alla locanda, unico edificio di questo quartiere rimasto in piedi; e difatti, dalle finestre del piano superiore, non si scorgeva altro che un campo cosparso di rovine. Fuori di questa casa non c’era traccia nè indizio di uomini, di animali; era notte fitta, e regnava un silenzio spaventevole. (Viaggio in Italia, J.W. Goethe)

Altro viandante, Alexandre Dumas, circa mezzo secolo dopo, affrontò le intemperie e le meraviglie di un viaggio in Sicilia. L’autore de I tre Moschettieri e del Conte di Montecristo scrisse delle memorie edite nel 2013 dalla casa editrice Pungitopo col titolo Messina la nobile e Taormina. Il racconto di Dumas raccoglie le impressioni suscitate dallo Stretto e dalle sue genti; i comportamenti dei messinesi, le bellezze femminili, i festeggiamenti per le ricorrenze religiose, l’oppressione dello scirocco e il rito della pesca del pesce spada a cui lui stesso prese parte.

Jean Pierre Houel, La pesca del tonno

Nello stretto di Messina, tra un vociare tutto latino, risuona la melodia di una ballata romantica. Proviene da una barca, dove una donna velata intona il disperato lamento amoroso della Margerita di Faust. (Dall’introduzione di Messina la nobile e Taormina, Alexandre Dumas)

Jean Pierre Houel, Lipari

L’elenco dei viaggiatori che scelsero la Sicilia e Messina come meta per il Grand Tour è lunghissimo e non sono mancate pubblicazioni recenti che fanno riaffiorare il racconto, visivo e per parole, delle suggestioni che l’isola presentava ai loro occhi. Immagini luminose e nitide che sono tanto più preziose se messe a confronto con le rovine che la furia della natura ha lasciato dietro di sé quel 28 dicembre 1908. Guy de Maupassant, romanziere francese di fine ‘800, uno tra i fondatori del racconto moderno, alla Sicilia ha dedicato un diario di viaggio ne La vie errante. E qui da un battello descrive l’attraversamento compiuto partendo da Messina alla volta delle Isole Eolie: “Si parte da Messina, a mezzanotte. Nessun alito di brezza; soltanto l’avanzare della nave turba l’aria calma addormentata sulle acque. Le rive della Sicilia e le coste della Calabria esalano un odore così intenso di aranci in fiore, che l’intero stretto ne è profumato”. Proprio le Eolie hanno esercitato un fascino senza eguali per moltissimi artisti che hanno catturato nei taccuini da viaggio e nelle tele usi e abitudini oggi in buona misura scomparse. Jean Pierre Houel nella seconda metà del ‘700 nel suo Voyage pittoresque des iles de Sicilie, de Lipari e de Malte consegna una ampia serie di illustrazioni che testimoniano l’ambiente e le attività umane della Sicilia e delle isole minori del messinese, interessandosi anche al fenomeno della Fata Morgana del quale propose una spiegazione di natura ottica. Persino la vita dell’Arciduca Luigi Salvatore d’Austria è stata molto legata alle Eolie: appassionato di scienze e del mediterraneo, ha riportato, al tempo del Grand Tour, studi e curiosità sulle isole dell’arcipelago di Lipari in ben otto volumi. Pasaggi di Messina ci ha lasciato Gaspare Vanvitelli (Gaspar Van Wittel), celebre vedutista olandese, padre di Luigi, architetto della Reggia di Caserta, operante nella prima metà del ‘700.

Il Grand Tour, una delle esperienze umane più intense della cultura moderna europea, è un viaggio che forse ancora oggi non smette di regalare emozioni con angolazioni e punti di vista sempre nuovi.

Eulalia Cambria

Messina 1908 – 2018. La storia di un grande evento, il nostro

Orologio fermo alle 5.20, ora esatta dello scatenarsi del sisma della mattina del 28 dicembre 1908 (foto scattata nel già 1909)

Cosa fu, chiese il figlio al padre, aspetta disse il padre al piccolo.

Queste, silenti, brevi e semplici parole alle 5.15 di quella fredda mattina.

Soltanto cinque minuti dopo, nel momento in cui il bimbo stava per riprendere sonno, ad un tratto un boato, eccola, l’ira funesta della madre terra, che sprigionò tutta la sua forza laddove niente fu come prima. 

Tutto diventò altro, un tutt’uno tra inferno e paradiso, tra cielo e terra, tra acqua e fuoco, tra vento e quiete.

Messina subiva quello che noi oggi conosciamo come l’evento sismico più potente della nostra storia recente, uno di quelli che raggiunse il 7° grado della scala Mercalli, uno di quelli che vorresti essere nato in altro luogo del pianeta al solo pensiero.

Carmelo, questo il nome del bambino, si trovò dalla sua cameretta, dove discuteva col padre, a venire estratto dalle macerie della loro casa, del loro plesso, del loro rione. Quelle voci, quelle grida e quei lamenti, Carmelo li sentiva come fossero un sogno vissuto realmente al quale non diede molto peso, tanto in fin dei conti da lì a poco si sarebbe svegliato, pensò in cuor suo, per cui perchè preoccuparsi più di tanto…

Si rese conto nemmeno pochi istanti dopo che non era un sogno ma una realtà viva, attuale, vera più che mai. Lì iniziò a vedere con gli occhi di un bambino, quale lui era, tutto il dramma della vita: corpi riversi sotto i solai, sotto le travi e mobilia, mobilia ovunque, specchi rotti, legna, pietre, tantissime pietre, tutte le pietre del mondo dirà negli anni seguenti nei suoi racconti monotoni per i quali sarà financo schernito dalle future generazioni. 

Particolare degli interni di un appartamento in via Fossata nel 1909

 

Correva l’anno del Signore 1908 in quel di Messina, gia sede di provincia e prima tra le quattro città di distretto configurate nell’ottica borbonica dal punto di vista amministrativo. In ordine di importanza queste le quattro città già demaniali e di distretto in un tempo precedente: Messina, Castroreale, Patti e Mistretta.

Carmelo era figlio di quel tempo, figlio di quella terra ovvero di questa nostra stessa terra, Messina, la Sicilia, la nostra isola.

Diranno alcuni, figlio delle terre al di là del faro.

Così venivano intese infatti tutte le zone della Sicilia che non si trovavano “al di qua del faro” in cui ricadevano, geograficamente parlando, i centri della Calabria. Una dicitura già presente all’epoca borbonica e riportata per abitudine descrittiva nei vari passaggi di regno e/o annessioni territoriali.

Come lui, altre piccole anime, le quali nulla chiedevano, se non vivere a casa loro, in quella che era la loro città, tra quella che era la loro gente. Le Regie Poste, gli uffici amministrativi, abitazioni, statue, rioni, caseggiati, strutture ecclesiastiche e chi più ne ha più ne metta, andarono sgretolati nel giro di soli 37 secondi, interminabili e da nessuno mai pensati.

E’ vero, dirà qualcuno anni dopo, nel corso dei secoli altri furono i terremoti gravi ancor prima del 1908, basti ricordare uno su tutti il cosiddetto “terremoto di Castroreale dell’inizio del secolo 700”, 5.4 della scala Richter che colpì per forza di cose anche la città di Messina o i vari terremoti di Calabria dove ancora e sempre Messina per la vicinanza geografica ne subiva gli effetti non di poco conto.

Tornando al ricordo limpido del piccolo Carmelo, durante i mesi a ridosso del tragico evento cominciò a carpire cosa si stesse facendo e come si stesse operando. Fu preso in carico da alcuni parenti rimasi miracolosamente illesi durante il sisma e con loro alla fine crebbe negli anni successivi, almeno fintanto che non raggiunse la maggiore età e decise di proseguire la sua giovane vita, da messinese, impegnandosi nel sociale e mettendosi al servizio della sua comunità. Altri ancora, che il piccolo Carmelo lo conoscevano bene, dissero che alla fine diventò un infermiere prestando la sua opera in quel che fu poi per tutti la culla della sanità messinese. Carmelo, cresciuto da questi parenti, passava i pomeriggi a guadare come pezzo per pezzo nasceva il già Regio Ospedale Piemonte, per molti inteso Ospedale Civico, che fu interamente finanziato dal comitato piemontese che con la ingente cifra per quel tempo di lire 600.000, contribuì alla costruzione di uno dei primi plessi presenti in città interamente pianificati in cemento armato.

Ospedale Piemonte visto da sud ( il suo retro) anno 1911

 

E’ chiaro che tra le macerie e il legname che regnava in quel periodo, il cemento armato fu subito visto come soluzione risolutiva ai possibili futuri problemi sismici e quale azione lungimirante per un prosieguo di vita “normale” e ancor più vissuta in piena sicurezza. L’ospedale Piemonte, racconterà negli anni ancora il piccolo Carmelo, raccolse l’eredità del Grande Ospedale di Santa Maria della Pietà, edificato a partire dal 1542, sull’area dove oggi sorge il Palazzo di Giustizia.

Messina con difficoltà oggettive cercò fin da subito di risollevarsi come sempre nei secoli seppe fare, ma qui le cose andarono a rilento. Il Governo del tempo, visto e considerato che molti uffici amministrativi, sia comunali che provinciali andarono distrutti e venne persa molta documentazione pubblica, ordinò il trasferiemento a tempo indeterminato (e fino a revoca governativa) degli stessi in quel della Città Regia del Castro Regale (attuale Castroreale), al tempo rientrante già nella provincia messinese.

Fu così, Carmelo raccontava ai prorpi assistiti durante lo svolgimentio del proprio lavoro, che Castroreale venne designata quale sede di provincia, sostituendosi subito dopo il 1908, di fatto, alla vicina ed amica Messina, accogliendo moltissimi esuli messinesi con le loro famiglie al seguito.

Carmelo crebbe, e con lui, anche la sua passione per la storia, la storia della sua terra.

Pensa un po’ , in un giorno di ordinario suo lavoro disse ad collega, anch’egli appassionato di storia locale; sapevi che il pulpito del nostro duomo fu distrutto dal sisma del 1908? e ricostruito sulla copia esatta di quello presente nel duomo monumentale di Castroreale?” No! rispose il collega, sapevo che l’originale ancor prima era il nostro messinese e che sulla base del nostro fu copiato a Castroreale.. E sai bene”! aggiunse Carmelo, e fu fortuna che Castroreale precedentamente lo copiò esattamante dal nostro, perchè nel terremoto del 1908 qui da noi, il nostro andò distrutto e l’unica copia fedele esattamente uguale restò in originale proprio quello di Castroreale! Da questo fu ricopiato l’attuale presente nel nostro duomo ovvero nella Cattedrale di Messina.  Per bacco! rispose il collega; e aggiunse: ma tu tutte questa cose come fai a saperle? Sembri più uno storico che un infermiere! Curiosità, disse Carmelo, semplice curiosità e abbassando lo sguardo aggiunse: io ero piccolo, e la più piccola pietra che allora sentì sul mio corpo mi impose e mi portò alla conoscenza, a scoprire, ad essere interessato ad essa, perchè se non lo fossi stato, tu stesso saresti rimasto all’oscuro su ciò che fu ed è la tua storia e la tua storia caro collega è la tua vita, il tuo nettare, la linfa per dare un futuro alle nuove generazioni. Magari un dì in questa misera vita, visitando te, i tuoi tardi nipoti, verranno devoti dove spento e sepolto sarai, ma verranno consapevoli di aver appreso da te un pezzeto di storia in più sulla loro terra, sulla loro zona e sulle loro vicende. Non credi?

Facciata del duomo di Messina distrutta

Il collega rimase perplesso, non sapeva che Carmelo vide il padre e la famiglia morire sotte le macerie e non sapeva, non poteva carpire la forza che aveva avuto a risollevare i ricordi da quelle stesse macerie, anche soltanto la storia, una di quelle che umilmente rimase ad ascoltare, accettando però l’idea che “bisogna passarci per capire” e mai sottovalutare e schernire gli effetti di una tragedia altrui.

Questo il tributo per i 110 anni dal tragico terremoto che colpì la nostra città, la nostra gente e i nostri luoghi più cari.

La Redazione Cultura Locale coglie l’occasione dell’anniversario del terremoto per ricordare l’importanza della prevenzione e della cultura della sicurezza in ambito sismico ricordando a se stessa per prima che puntare sulla conosenza del rischio, sulla formazione della cittadinanza e quindi della società civile, rappresenta la differenza tra rischiare e rimanere illesi in caso di possibili futuri drammi, che noi tutti ci auguriamo mai più accadano, ma che certamante devono far riflettere sulle decisioni e progettazioni urbanistiche dei prossimi anni.

Auguri per un sereno e felice nuovo anno e arrivederci con nuove storie, vicende da quel ed in quel di Messina.

Fonte immagini: pagina Facebook Messina Antica

Filippo Celi