Paradiso, Contemplazione e Pace

Il declivio della catena montagnosa, dolcemente digradante verso il Faro, è popolato da villini deliziosi, mentre occhieggiano, tra il verde smeraldino dei vigneti e quello cupo degli agrumeti, le piccole case coloniche. E si traversa una serie di villaggetti, poveri ma gai e pittoreschi, dai nomi curiosi, taluno d’origine germanica che rimonta ad un’età cavalleresca come il Ringo, altri che riportano le tracce della dominazione araba come Ganzirri, alcuni di origine greca come Rodia e tanti altri di carattere soavemente religioso come Paradiso, Pace, Contemplazione…             

La Civiltà Cattolica, Volume 63, Edizione 1

È questo il panorama che si apre agli occhi degli osservatori, una volta superato il confine immaginario fra la parte più urbana di Messina e la riviera.

Collocate esattamente dopo le “colonne d’Ercole” ed estese fino al torrente Sant’Agata, si susseguono lungo tutta la costa, fra spiagge, barche di pescatori e i luoghi che accolgono la movida estiva messinese, le frazioni “ultraterrene” di Paradiso, Contemplazione e Pace.

Ma cosa si cela dietro questa artistica e particolare scelta di toponomastica?

Paradiso

 

Villaggio Paradiso
Villaggio Paradiso negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/73oDjmx

 

Ebbene, la questione è molto più semplice di ciò che ci viene suggerito. Nessun intervento dantesco, né tantomeno divino, ha collaborato nell’attribuzione di queste denominazioni. L’edenica Paradiso, secondo un’ipotesi dell’erudito gesuita Placido Samperi, deve il suo nome a Villa Paradiso.

Una villa sontuosa, con tanta dovizia di copiose fontane, artificiose spalliere di mortine, gelsomini, limoni, arance e per l’abbondanza di ottimi frutti da meritare un tale nome.

Il cavaliere Raimondo Marquett fece edificare la magione su di un podere che aveva acquistato alle pendici dei monti Peloritani, nella contrada di Belviso.

Qui, dal 1648 fino alla sua morte, ne fu il duca per volere del re Filippo IV di Spagna. La residenza godette di un notevole prestigio: i viceré e altri ospiti illustri vi si recavano e vi soggiornavano con piacere prima dell’ingresso in città.

Al suo interno, Villa Paradiso nascondeva diverse meraviglie storiche, naturalistiche e artistiche: oggetti rari e bizzarri, come fossili, strumenti astronomici e apparati liturgici

Himera, romanzo dello scrittore locale Nando Romano, prende proprio spunto da questa sorta di wunderkammer, ruotando intorno alla figura del Signor Paradiso, ispirato al proprietario Raimondo Marquett.

Un’altra interpretazione, invece, attribuisce l’origine del nome ad un oratorio esistente nella zona e dedicato alla Madonna del Paradiso, di cui oggi, sfortunatamente, non resta traccia.

Il Paradiso ai giorni nostri

Il villaggio ha perso da tempo la sua maestosità e le sontuose ville padronali affacciate sulla riviera che sono state sostituite e affogate da un mare di cemento.

La cementificazione iniziò poco dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando Villa Costarelli, detta anche Villa Luce, venne rasa al suolo per lasciar posto ad un esclusivo complesso residenziale.

Villa Costarelli ad inizio '900.Fonte: https://i.pinimg.com/736x/78/80/05/788005c92f4d1d8e81f1cef7584ee266.jpg
Villa Costarelli ad inizio ‘900.Fonte: https://i.pinimg.com/736x/78/80/05/788005c92f4d1d8e81f1cef7584ee266.jpg

 

Seguirono, poi, le costruzioni realizzate fra gli anni ’70 e gli anni ’80, e le lottizzazioni previste dalla variante al piano regolatore generale del 2002.

 

Il Paradis Hotel
Il Paradis Hotel negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/4Zvd7Tb

 

Della vera Paradiso, oggi, non resta che il quartiere delle cosiddette “Case Basse”, anch’esso minacciato dagli appetiti dei privati.

Contemplazione: ieri e oggi

Continuando lungo la via Consolare Pompea, un tempo attraversata da un tram a vapore che giungeva sino a Villafranca, incontriamo l’altrettanto celestiale Contemplazione.

Questa prende il nome dalla chiesa dedicata alla Madonna della Contemplazione.

 

Il Paradis Hotel
Chiesa della Madonna della Contemplazione  Fonte: https://www.ganzirri.it/IMG/arton63.jpg?1189606428

 

L’antica costruzione sorgeva nella salita di Fondelli e sorse nel secolo XVII, per volere di una famiglia privata che la mise a disposizione per l’esercizio del culto.

Nel 1908, venne danneggiata dal terremoto e successivamente restaurata dai Frati Minori di Portosalvo che, nei giorni festivi, continuarono ad officiarla.  Svolse le funzioni parrocchiali fino al 13 maggio 1960, quando la Chiesa Cuore Immacolato di Maria venne inaugurata.

Dopo la sua apertura, l’edificio venne abbandonato a se stesso e lasciato al degrado. Anche Contemplazione, come Paradiso, può vantare di un suntuoso trascorso.

Ne è testimonianza Villa Florio, attribuita a Ernesto Basile e rappresentante uno dei pochi esempi di liberty puro in città. Il villaggio è oggi meta di molti turisti e, con le sue spiagge dorate e un mare trasparente, rende giustizia al suo nome.

Riviera Contemplazione
La Riviera di Contemplazione vista dal terrazzino sulla spiaggia del Bar Gravino negli anni ’70. Fonte: https://pin.it/6p9hKzP

Pace

 

Pace
Uno scorcio di Pace e della Chiesa Santa Maria della Grotta
Fonte: https://www.parrocchiadipace.it/wp-content/uploads/2019/04/cropped-11985418294_24fe7bb5b2_k.jpg

 

Il lieto borgo è così denominato, proprio come la vicina Contemplazione, per la chiesa, ormai scomparsa, intitolata alla Madonna della Pace. Ancora presente, invece, è la simbolica Chiesa Santa Maria della Grotta o Santa Maria delle Grazie. Verosimilmente edificata sul tempio di Diana, sito sulla strada verso capo Peloro, la chiesa nacque come oratorio nel 1500.

Da qui, l’Ordine dei Frati Predicatori divulgò la devozione verso il dipinto miracoloso della Vergine, invocata con il titolo Madonna della grotta proprio in virtù della grotta in cui venne lasciato arenare per sua stessa volontàTrasformata in un tempio nella prima metà del 1600, con il trascorrere dei secoli, i vari proprietari la arricchirono e impreziosirono oltre lo sfarzo.

 

Chiesa di Santa Maria della Grotta
La Chiesa di Santa Maria delle Grazie alla Grotta in una fotografia di Ledru Mauro del 1890 circa
Fonte: https://www.pinterest.it/pin/782711610216687197/

 

L’edificio resistette al terremoto del 1783, ma non ebbe la stessa fortuna con quello del 1908. Venne, in seguito, fatto riedificare, ma solo nel 1931, sullo stesso modello del tempio originario.

 

Villa Pace
Villa Pace. Fonte: https://www.messinamedica.it/wpcontent/uploads/2019/11/VILLA-PACE-1024×547.png

Una preziosa eredità

La dimensione surreale della frazione di Pace è alimentata dalla maestosità dell’omonima villa. Villa Pace è stata, in passato, sede degli eventi e dei ricevimenti della facoltosa borghesia cittadina.

Si rese celebre per l’ospitalità offerta a illustri personaggi, legati alla storia sociopolitica della città, come il Kaiser Guglielmo II e diversi esponenti di Casa Savoia. Acquistata e rivenduta da vari proprietari, nel 1922, l’Università, al fine di proteggere i beni custoditi e adibirla a centro convegni e mostre, ottenne la residenza a “costo 0”, direttamente dal Tribunale di Messina.

Il 28 giugno 2003, la famiglia Imbesi, l’Università e l’Ordine dei Farmacisti inaugurano a Villa Pace il Museo storico della Farmacia del Mediterraneo che, grazie ai numerosi cimeli e documenti donati dal luminare docente Antonio Imbesi, aumenta il suo valore storico-culturale.

Durante il suo soggiorno, un diplomatico tedesco descrisse Villa Pace come il luogo dell’anima. D’altronde, come poterlo contraddire?

Paradiso, Contemplazione e Pace in poesia

Paradiso, Contemplazione e Pace, con il loro ricco patrimonio paesaggistico, artistico e culturale, hanno influenzato non poche menti.

Qui di seguito, è riportato un estratto della poesia Fra contemplazione e paradiso, dello scrittore Vincenzo Consolo, che ne è la perfetta rappresentazione.

Ora mi pare d’essere, ridotto qui tra Pace e Paradiso, come trapassato, in Contemplazione, statico e affisso a un’eterna luce, o vagante, privo di peso, memoria e intento, sopra cieli, lungo viali interminati e vani, scale, fra mezzo a chiese, palazzi di nuvole e di raggi. Mi pare ora che ho l’agio e il tempo di lasciarmi andare al vizio antico, antico quanto la mia vita, di distaccarmi dal reale vero e di sognare. Mi pare forse per questi bei nomi dei villaggi, per cui mi muovo tra la mia e la casa dei miei figli. Forse pel mio alzarmi presto, estate e inverno, sereno o brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle, uscire, portarmi alla spiaggia, sedermi sopra un masso e aspettare l’alba, il sole che fuga infine l’ombre, i sogni, le illusioni, riscopre la verità del mondo, la terra, il mare, questo Stretto solcato d’ogni traghetto e nave, d’ogni barca e scafo, sfiorato d’ogni vento, uccello, fragoroso d’ogni rombo, sirena, urlo.

Valeria Vella

Fonti:

https://www.letteraemme.it/perche-i-luoghi-di-messina-si-chiamano-cosi-paradiso-contemplazione-e-pace/

https://www.messinamedica.it/2019/11/messina-nascosta-villa-pace/

https://www.wikiwand.com/it/Pace_(Messina)

https://www.wikiwand.com/it/Paradiso_(Messina)

Gaetano Salvemini: L’attività antifascista e il periodo di convivenza a Messina

Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini, che era allora a capo del Governo, fu destituito dal Gran Consiglio del Fascismo e arrestato. La liberazione completa dal regime fascista avvenne con il ritorno alla Democrazia il 2 Giugno 1946, con la proclamazione della Repubblica. Il 25 Aprile, viene ricordato come la liberazione dal regime fascista e riconosciuto come festa nazionale.

Ma il Fascismo è davvero scomparso? Tanti sono i dubbi a tal proposito.

Esso, al contrario di ciò che alcuni potrebbero pensare, non è stato opera di un uomo solo. Mussolini stesso affermò di non avere creato tale ideologia ma di averla estratta dall’inconscio degli italiani. Affermazione tanto tremenda quanto veritiera. Ancora oggi sono numerose le manifestazioni fasciste presenti in molte città, organizzate da Movimenti che si ispirano fortemente al pensiero mussoliniano, che non negano il loro legame con tale ideologia politica, non esitano a fare adunate esibendo il saluto romano e i vari simboli dell’ideologia fascista.

Una manifestazione del movimento CasaPound a Bolzano del 2011. Il movimento è nato del 2003. Fonte: Store Norske Leksikon.

Quindi, il Fascismo non è scomparso. Diventa molto importante avere delle figure chiave, che sappiano guidare gli italiani a saper riconoscere la propaganda e i segnali fascisti. Per fortuna questi personaggi non mancano: dal filosofo del’900 Benedetto Croce al più recente giornalista Roberto Saviano ma, l’intellettuale per eccellenza, colui che per primo è stato in grado di contrastare quest’ideologia, è considerato ancora oggi Gaetano Salvemini.

Vita di un ribelle

Gaetano Salvemini nacque a Molfetta, in provincia di Bari nel 1873, si laureò in Lettere a Firenze nel 1895 e inizialmente insegnò latino a Palermo in una scuola media.  In quegli anni aderì al P.S.I. mostrandosi favorevole al federalismo poiché lo vedeva come unica via per risolvere i problemi del Mezzogiorno. Paventava l’idea di un Socialismo democratico, un pensiero rivoluzionario all’epoca. Durante il periodo bellico, lavorò all’Unità, dove negli anni della I G.M., assunse posizioni interventiste tanto che fu eletto deputato nel 1919 in una lista combattente. Successivamente, cambiò idea e cominciò a pensare in ottica antifascista, in particolare dopo la marcia su Roma e l’avvento del Fascismo, schierandosi apertamente contro Mussolini. Nel 1925 fondò insieme ai i due Fratelli Rosselli e Nello Traquandi un giornale antifascista clandestino, il Non Mollare, sfidando il regime stesso (la stampa era posta sotto censura, e solo i giornali fascisti potevano essere pubblicati). Dal 1933 insegnò Storia della civiltà italiana all’università di Harvard, dove gli fu concessa la cittadinanza statunitense. Dal 1943 pubblicò Le lezioni di Harvard sulle Origini del Fascismo in Italia, uno dei suoi lavori migliori. Rientrato in Italia, morì nel 1957 a Sorrento.  Al giorno d’oggi è ricordato come l’intellettuale antifascista più famoso del ‘900.

IL PERIODO MESSINESE

Pochi sanno che Gaetano Salvemini ha vissuto una fase importante e allo stesso tempo tragica della sua esistenza proprio nella città di Messina. A ventotto anni ottenne la cattedra di Storia moderna all’Università di Messina, nel 1901. L’intellettuale, durante il periodo messinese, soggiornava con la famiglia in Piazza Cairoli, che poi verrà distrutta dal terremoto del 1908.

 

Soldati americani transitano da Piazza Cairoli nel 1943 e la piazza oggi. Ph: Marco Crupi Fonte:https://www.flickr.com/photos/marcocrupivisualartist/19313856899

IL TERREMOTO DEL 1908

Egli subì un’enorme tragedia durante la distruzione della città provocata dal terremoto del 1908, che gli portò via la moglie, i cinque figli e la sorella.

Un’immagine della Chiesa del Carmine a Messina, distrutta durante il terremoto del 1908, che oggi è stata ricostruita, ed è situata in via Antonio Martino. Fonte: Wikimedia Commons.

Salvemini riuscì a sopravvivere, ma non sarebbe stato più lo stesso per il resto dei suoi giorni.  In un’intervista rilasciata al quotidiano l’Avanti l’8 Gennaio 1909, ricordando non senza difficoltà quel triste episodio, affermò che fece appena in tempo a gettarsi dalla finestra della sua abitazione, situata al quarto piano. Si salvò così, rimanendo particolarmente illeso, poiché le macerie avevano già formato un cumulo tale da attutire la sua caduta. 

 L’ANTIFASCISMO OGGI

Sicuramente il suo pensiero ha influenzato milioni di persone; nonostante ciò, ancora oggi è presente l’ideologia fascista, quindi risulta sempre più attuale ed essenziale raccogliere l’eredità di Salvemini. Come non è finito il fascismo, anche l’antifascismo resiste ancora, e non ha intenzione di piegarsi. Di fondamentale importanza è il Sud Italia, purtroppo conosciuto solo per la sua diffusa cultura criminale che invece, non pecca di esempi di intellettualismo, cultura e di popolo con dignità onesta.

 

Roberto Fortugno

Fonti:

Wikipedia

fondazionerossisalvemini.eu

https://universome.unime.it/2018/10/17/gaetano-salvemini-professore-storico-meridionalista-antifascista/

 

Ca’Food – L’eccellenza dello street food nebroideo

Nell’incantevole provincia di Messina, alle pendici dei Nebrodi, si trova lo splendido borgo di San Piero Patti, un paese ricco di storia, cultura e soprattutto di buon cibo.

San Piero Patti, con una commixtio tra l’antico e il moderno, ci racconta l’incessante scorrere dell’epoche e delle culture degli uomini: dalla dominazione araba del IX secolo con il suo suggestivo quartiere arabo, al barocco settecentesco delle chiese S.Maria Assunta e S.Pancrazio, dal rinascimentale convento e chiesa della Madonna del Carmelo fino all’arte contemporanea dei maestri locali; una miriade di tesori perscrutabili per le vie cittadine.

Ed è proprio qui, che da qualche anno, grazie all’ingegno di un gruppo di giovani amici, nasce una manifestazione che diventa una rappresentazione umana, storica, sociale, emotiva e artistica. Dove il cibo non è mai solo qualcosa con cui nutrirsi e sostenersi, ma è strumento di comunicazione sociale attraverso il quale la nostra vera natura si manifesta, spesso con lo stupore di chi la scopre per la prima volta.

L’evento di cui stiamo parlando è il “Ca Food”, che già dal nome ci rimanda all’espressione prettamente sicula del cafuddàre e che ci fa capire a cosa andiamo incontro, ovvero, al mangiare oltre la sazietà.

Una manifestazione lanciata nel 2017 e che quest’anno raggiunge la sua IV edizione, una sintesi di un’idea grande e complessa con un obiettivo ambizioso: comunicare il patrimonio culturale raccontandolo tramite i prodotti del territorio, il lavoro e la fantasia dei protagonisti dell’evento. Dopo la prima edizione Ca’Food si presenta come un marchio legalmente registrato e riconosciuto e dalla cui riuscita è nata l’Associazione Ca’Sud.

 

I ragazzi dell’Associazione Ca’Sud  (fonte: Associazione Ca’Sud) 

Lasciamo la parola a Valeria Cannizzo, Valeria Paolillo e a Marco Cannizzo in qualità di membri del direttivo dell’Associazione Ca’Sud, a nome di tutto il gruppo e ci racconteranno la storia e i retroscena della manifestazione più attesa di San Piero Patti.

 

Il Ca’Food fin dal nome ha qualcosa di particolare, qual è la storia della nascita di questo evento?

Ci hanno chiesto più volte come nasce Ca’Food e dietro a questa domanda c’è una storia molto simpatica. Qualche anno fa siamo andati a fare un giro ad un evento di street food in una grande città del nord Italia dove, tra le altre cose, c’erano prodotti siciliani. Presi dalla nostalgia abbiamo assaggiato un arancino: 5 euro per una palla di riso che ricordava vagamente un arancino.

Quindi noi di Ca’Food nati e cresciuti a San Piero Patti, in un contesto dove il cibo è abbastanza economico ma di qualità molto alta, ci siamo chiesti “perchè non sfruttare il potenziale del nostro paese e della zona dei Nebrodi con l’obbiettivo di esaltarlo agli occhi dei sanpietrini e farlo conoscere ai visitatori che vengono da fuori?”. Da questa consapevolezza, da questo piccolo accaduto e da una grande voglia di fare qualcosa per San Piero, di stare insieme e di creare con un gruppo di ragazzi che vivono tutto l’anno fuori dalla Sicilia, qualcosa di bello che unisca le persone nel cibo che è uno degli elementi di convivialità per antonomasia, che metta insieme l’amore per il proprio paese e le proprie radici culturali, sociali, linguistiche e gastronomiche; da questi punti fondamentali nasce il Ca’Food. 

Da qui poi il coinvolgimento dei commercianti e dei ristoratori; agli agriturismi e ai bar viene chiesta la loro specialità e ciò che cucinerebbero se avessero a cena degli invitati molto speciali, in pratica qualcosa che riesca a stupirli e lasciarli un bel ricordo, un sapore speciali che rappresenti appunto, la zona dei Nebrodi. E in aggiunta, le specialità locali, quali la ricotta infornata, i formaggi, i dolci alla nocciola, tutte le ricette che i nonni ci hanno tramandato sono da sempre i veri protagonisti del Ca’Food.

 

Scritta Ca’Food come decorazione urbana (fonte: Associazione Ca’Sud)

Sin dalla prima edizione avete fatto numeri da record, vi aspettavate tutto questo successo?

Come spesso succede quando un’iniziativa è appena iniziata, è difficile fare previsioni. Non ci aspettavamo questo successo, soprattutto il primo anno. Era del tutto a scatola chiusa e si prefiggeva l’obiettivo di coinvolgere prettamente ed esclusivamente le persone del paese di San Piero Patti. Anche qui c’è stata una situazione molto simpatica, perché al leggere il nome Ca’Food tutte le persone che vedevano all’inizio la locandina ci chiedevano “ma che significa questa parola Ca’Food?” (“cafuddare” in siciliano significa mangiare tanto oppure dare tanto di qualcosa) e abbiamo creato questo gioco di parole con Ca’ (che in siciliano significa “qui”) e “Food” (dall’ inglese che significa cibo) per dire “Qui c’è cibo e si mangia tanto”.  Quindi, il primo anno si è creata tutta questa hype, questa curiosità nei confronti dell’evento di cui non avevamo previsione di nulla, potevano venire 50 persone o 200, ma alla fine ne sono venute più di 1000. L’unico ricordo che abbiamo è di una piazza semideserta alle 7 del pomeriggio e di un paese saccheggiato alle 21:30 dove era finito anche il cibo; nessuno aveva previsto che più di 1000 persone avrebbero avuto voglia e desiderio di mangiare quello che avevamo preparato. Non ci aspettavamo il grande successo della prima edizione e neanche la grandissima crescita che ha avuto l’evento in sole tre edizioni. L’ultima edizione ha visto circa 8.000 presenze, un risultato straordinario che ci riempie di orgoglio e che ci spinge a fare sempre meglio

 

 

Intrattenimento musicale per le vie cittadine (fonte: Associazione Ca’Sud)

 

Se doveste riassumere in poche parole gli ingredienti essenziali che hanno reso il Ca’Food la manifestazione di successo quale è oggi, quali sarebbero?

Due elementi soprattutto; in primis le diverse professionalità e competenze che tutti quanti i soci hanno messo a disposizione dell’evento. Dagli allestitori, ai volontari, da chi si è occupato della comunicazione a chi sbriga l’enormità di pratiche burocratiche.

Ca’Food è un grande sforzo di organizzazione collettiva che proviamo costantemente a migliorare.

 Il secondo elemento è il grande impegno e l’amore che i volontari e i soci di Ca’sud, le attività commerciali e i cittadini di San Piero hanno messo perché Ca’Food fosse sempre migliore e sempre più bello per chi viene a scoprire San Piero. Ca’Food anche se esiste solo da pochi anni è diventato un punto di riferimento per tutta la Comunità sampietrina e questo è sicuramente il risultato di cui tutti noi andiamo più fieri. 

Varie decorazioni e attività presenti al Ca’Food (fonte: Associazione Ca’Sud)

 

Questa è la prima edizione dopo la pandemia, Cosa c’è da aspettarsi quest’anno?

Quest’anno ci aspettiamo probabilmente ancora di più, il fatto che ci sia più voglia di uscire di incontrarsi e di stare insieme ci spinge a fare meglio, per questo stiamo lavorando a un evento che nello spirito del Ca’Food punti a comunicare il territorio attraverso la cucina siciliana, i prodotti del territorio e lo spirito di accoglienza della comunità sampietrina. Saranno tante le novità che riguardano sia il culinario con le nuove specialità in vendita, sia logistiche con la prenotazione su event-bride dei tokens per l’acquisto dei piatti, sia artistiche con ancora più musica e installazioni nelle vie del circuito delle specialità.

Novità che si vanno ad aggiungere alla struttura del Ca’Food che, come al solito, prevede laboratori per bambini, performance artistiche e musicali che animeranno la Piazza Duomo e le vie del centro. Sarà presente un itinerario gastronomico a più tappe presenziate da ristoratori, pasticceri e commercianti locali, che prepareranno per l’occasione il miglior cibo da strada che il nostro territorio offre, con particolare riguardo all’utilizzo di prodotti biologici e a km zero.

I ragazzi del Ca’Food nel salutare tutti voi lettori di UniversoMe, vi lanciano il loro invito:

Dopo due anni di pandemia e di stop agli eventi, siamo tutti impazienti di rivederci in piazza e di accogliervi nel nostro piccolo mondo Ca’Food, fatto di cibo, musica, allegria e stare insieme a cuor leggero e a pancia piena! Vi aspettiamo!

 Gaetano Aspa

Ca’Food sui social

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Ig: https://www.instagram.com/cafood_streetfood

Padron ‘Ntoni: un papà siciliano

“Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo deve far da dito piccolo.”

Così Padron ‘Ntoni, emblematico personaggio nato dalla fantasia di Giovanni Verga, spiega il suo ideale di famiglia nella sua celebre opera I Malavoglia”.           

Sacra, unita e indivisibile, la famiglia Toscano, sempre conosciuta da che mondo era mondo col soprannome antitetico de “I Malavoglia”, incarna alla perfezione i valori della famiglia tradizionale siciliana.         

Un ritratto della famiglia Toscano all’opera – Fonte: studentville.it

La “famigliuola di padron ‘Ntoni”

Umile, laboriosa, ospitale e vittima di innumerevoli disgrazie, che nel corso del romanzo determineranno la disgregazione dei vari componenti.

“E la famigliuola di padron ’Ntoni era realmente disposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso, che comandava le feste e le quarant’ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perchè era grande e grosso quanto il San Cristoforo che c’era dipinto sotto l’arco della pescheria della città; e così grande e grosso com’era filava diritto alla manovra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «sóffiati il naso» tanto che s’era tolta in moglie la Longa quando gli avevano detto «pigliatela». Poi veniva la Longa, una piccina che badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: ’Ntoni il maggiore, un bighellone di vent’anni, che si buscava tutt’ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata più giù per rimettere l’equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant’Agata» perchè stava sempre al telaio, e si suol dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce.”

I lettori più appassionati la conoscono come “l’etica del pugno chiuso“, concetto secondo cui ogni membro della famiglia è assimilato alle dita di una mano e pertanto ha una sua posizione fissa e altamente gerarchizzata.

Ognuno è tenuto a rispettare il proprio posto e ad accontentarsi della propria condizione sociale ed economica al fine di non essere travolto dalla fiumana del progresso che solo i vincitori sono in grado di cavalcare.

Il nipote ‘Ntoni, che un giorno avrebbe dovuto rivestire la figura del capofamiglia, viene descritto come un vinto che avendo cercato di migliorare la propria condizione è stato sopraffatto dalla fiumana.

“Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai.”

Il segreto per vivere serenamente? Accontentarsi.                                                                                       

Ma ‘Ntoni avrebbe mai potuto accontentarsi di essere un padre distaccato, freddo, emotivamente assente e poco aperto al dialogo come lo era stato suo nonno per il padre Bastianazzo?

Avrebbe mai potuto mostrare indifferenza di fronte all’esigenza della nuora di avere un caldo abbraccio di consolazione per la partenza del figlio? O di fronte alla frustrazione di un nipote che sin dalla nascita porta il peso di un ruolo che forse non ha desiderio di assumere? 

Illustrazione della famiglia Toscano, i “Malavoglia” – Fonte: scuolissima.com

Padron ‘Ntoni: un uomo tutto d’un pezzo

Sicuramente ben lontano dall’ideale di padre affettuoso, comprensivo, inclusivo, giocoso che conosciamo oggi, Padron ‘Ntoni è un uomo che non può permettersi di piangere, perché egli è la colonna portante della famiglia. Se egli crolla, di conseguenza crolla ogni componente della famiglia.                

“Il nonno, da uomo, non diceva nulla; ma si sentiva un gruppo nella gola anch’esso, ed evitava di guardare in faccia la nuora, quasi ce l’avesse con lei.”

Padron ‘Ntoni è un uomo che non può permettersi di mostrarsi debole, vulnerabile. Se avesse incrociato lo sguardo della nuora probabilmente si sarebbe commosso.  Ma un vero uomo non piange. Cosa allora lo rende uomo se non la sofferenza? Cosa è più umano del dolore? E soprattutto, che senso ha fare parte di una famiglia così unita come Verga stesso la descrive, per poi non poter condividere tale dolore?

Determinato, irremovibile, responsabile, impassibile. Il capofamiglia non ha neppure la possibilità di rilassarsi perché chi ha carico di casa non può dormire quando vuole. E non può assolutamente abbandonare il suo ruolo poiché senza pilota barca non cammina.

Eppure, nonostante il suo modo di dimostrare affetto sia apparentemente inesistente, un attento osservatore può comprendere l’amore che lo lega alla sua famiglia tramite un’azione semplice come quella di offrire un bicchier d’acqua alla nuora.                                                                    

Un’azione che intende comunicare vicinanza, supporto. Diversa, ma pur sempre una dimostrazione d’affetto.  Un attento osservatore vedrebbe, nel tentativo di corrompere i “pezzi grossi” del paese per evitare al nipote di prestare servizio militare obbligatorio, un atto di amore. 

Enrico Guarnieri, interprete di Padron ‘Ntoni nella rappresentazione teatrale de “I Malavoglia” di Guglielmo Ferro – Fonte: ilbuonsenso.net

Chi è allora Padron ‘Ntoni?

Chi è allora Padron ‘Ntoni? Semplicemente un papà.

Un papà che non ha goduto a pieno del suo ruolo di padre perché lo ha confuso e assimilato più del dovuto a quello di capofamiglia. 

Un nonno che ha visto nei suoi nipoti, i futuri discendenti che avrebbero sorretto la casa costruita con tanta fatica dai suoi avi.   

Un uomo che ha vissuto credendo che mostrare la sua sfera più intima ed emotiva lo rendesse meno uomo.                                     

A volte, per essere un bravo papà, è sufficiente saper essere umano.

 

Alessandra Cutrupia

 

Fonti:

Giovanni Verga, I Malavoglia, Milano, Treves, 1881

Immagine in evidenza:

Giovanni Verga, autore de “I Malavoglia” – Fonte: michelegrillo.it

La galleria Vittorio Emanuele III, tra degrado, riqualificazione e questioni sull’intitolazione

Continua il nostro percorso alla (ri)scoperta delle meraviglie di Messina; oggi “visiteremo” la prestigiosa e imponente Galleria Vittorio Emanuele III, celebre luogo di ritrovo, attualmente al centro di questioni aperte sulla sua riqualificazione ed eventuale reintitolazione.

La struttura

Importante non solo per la Sicilia ma per tutta il Meridione, la Galleria fu edificata a partire dal 1924 e inaugurata il 13 agosto 1929. Deve la sua progettazione a Camillo Puglisi Allegra (1884-1961), noto architetto e ingegnere messinese; è stata decorata invece dagli scultori Antonio Bonfiglio e Ettore Lovetti, in pieno stile libertyconsiderato eclettico-, tipico nella città ricostruita dopo il terremoto del 1908.

La struttura è contraddistinta da tre comparti edilizi e da tre ingressi; l’entrata principale affaccia su Piazza Antonello, diametralmente opposta a Palazzo Mariani (sede della segreteria, degli uffici e della nuova palestra dell’Università). Il portico è costituito da un arco monumentale, sorretto da robuste paraste.

Un particolare progettuale è dettato dalla forte differenza di quota fra le strade urbane: la soluzione è stata una scalinata interna a conclusione del ramo che conduce a via Oratorio della Pace, elemento tipologicamente inconsueto, ma non incomparabile, per una galleria monumentale.

Al centro, baricentro della costruzione di forma esagonale su cui è posta una cupola vetrata ancorata ad una struttura con telaio in cemento armato, si incontrano i tre bracci della galleria tratteggiando un percorso che prende così una forma di “Y”.

Le volte a botte sono caratterizzate da lucernai a vetri colorati; il pavimento è costituito da tesserine a mosaico.

Per la sua bellezza e il suo valore l’edificio è stato dichiarato nel 2000 bene d’interesse storico-artistico.

La cupola vetrata e le volte a botta – Fonte: strettoweb.com

Tra riqualificazione e degrado

La galleria Vittorio Emanuele III è uno dei principali luoghi d’incontro; l’edificio, infatti, ospita diverse attività, come la pizzeria “La Maiolica” e il cocktail bar “Le Roi”.

Vista l’importanza sociale dell’edificio, l’amministrazione comunale ha predisposto un intervento di ristrutturazione e riqualificazione, avviato i primi giorni di settembre.

Per rendere la struttura più accogliente e funzionale saranno eliminate le infiltrazioni, sistemata la pavimentazione, progettate nuove chiusure a vetri; si prevede inoltre l’istallazione della rete Wi-Fi accessibile alla cittadinanza.

Gli interventi dovrebbero terminare entro il prossimo periodo natalizio, ma la strada della riqualificazione è ancora lunga.

Non tanto per lo status dei lavori, quanto per il degrado in cui versa l’edificio. L’immondizia, che si concentra soprattutto nell’area della scalinata interna, è dovuta sia alla non curanza e alla superficialità dei cittadini sia all’assenza di un efficiente servizio di pulizia, di cui dovrebbe essere provvista una delle strutture più frequentate -sia della cittadinanza che dai turisti- della nostra città.

La questione sulla re-intitolazione

La maestosa galleria deve il suo nome al monarca Vittorio Emanuele III di Savoia (1869-1947), personaggio plumbeo nella storia d’Italia. Il re Savoiardo, infatti, è stato corresponsabile della costituzione dello Stato fascista: favorì l’ascesa al governo di Benito Mussolini e promulgò tutti atti posti in essere dal Fascismo, tra cui le terribili leggi razziali del 1938-39. Tra i tanti provvedimenti approvati dal re ricordiamo anche uno meno noto, ossia  il decreto del 9 aprile 1928 che ha portato all’abolizione delle organizzazioni scautistiche in Italia.

Negli ultimi decenni in tutta la penisola italiana sono state numerose le iniziative che hanno portato alla reintitolazione di vie, scuole, edifici a lui dedicati. Inoltre recentemente si sottolinea la richiesta della senatrice Liliana Segre per la reintitolazione di una scuola palermitana, proposta supportata dal sindaco Leoluca Orlando e dal conduttore Pif.

A Messina il movimento cittadino “Cambiamo Messina dal Basso“, dopo essersi già mosso in passato sulla questione, nello scorso mese di settembre ha inviato al sindaco e agli altri soggetti istituzionali una richiesta di reintitolazione della Galleria, con la proposta di dedicarla al settimo Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini, cittadino esemplare e uomo politico di grande spessore.

L’iniziativa è supportata da alcune delle personalità più note del panorama culturale messinese; tra i tanti menzioniamo Christian Bisceglia, Lelio Bonaccorso e Giampiero Cicciò.

In attesa di riscontro da parte delle autorità competenti, sarebbe auspicabile aprire un dibattito all’interno della comunità cittadina; una nuova intitolazione della Galleria dopo una processo di deliberazione consapevole e partecipato potrebbe solamente risvegliare e intensificare il sentimento di appartenenza della cittadinanza ad essa, fondamentale per porre un argine al degrado in cui versa attualmente.

La Galleria luogo d’incontro e condivisione – Fonte: normanno.com

 

Marika Costantino, Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Fonti:

https://www.vocedipopolo.it/2021/09/cmdb-cambiamo-nome-alla-galleria-vittorio-emanuele-iii-dedichiamola-a-sandro-pertini/

http://www.celeste-ots.it/file_plus/0605/copertina/galleria_vittorio_emanuele_1.htm

https://www.ilovemessina.it/la-galleria-vittorio-emanuele-iii-di-messina/

https://normanno.com/attualita/intitolare-la-galleria-vittorio-emanuele-di-messina-a-sandro-pertini-la-proposta-di-cmdb/

 

 

L’orologio astronomico del Duomo di Messina

Eventi naturali e bellici nei secoli tentarono di affondare il territorio messinese, riuscito nonostante tutto a sopravvivere e rinascere straordinariamente. Tra i capolavori della città, un posto privilegiato è dato all’imponente orologio astronomico, famoso in tutto il mondo. Esso, infatti, regala quotidianamente a mezzogiorno uno scenario senza paragoni.

Le fasi di realizzazione

Costruzione orologio – Fonte: www.messinaierieoggi.it

La costruzione, alta 60 metri (originariamente era di 90 metri) e fortemente voluta dall’arcivescovo Angelo Paino (1870-1967), risale agli anni ’30 del secolo scorso. Fu realizzata in soli tre anni dall’azienda di Theodore Ungerer, proveniente da Strasburgo; Frederic Klinghammer, noto ingegnere tedesco, si occupò della parte tecnica, mentre Francesco Valenti realizzò il progetto della torre campanaria.

L’elemento peculiare della possente torre del campanile è il complesso meccanismo dell’orologio astronomico che modula con fare maestoso lo scorrere delle ore e dei giorni.

L’orologio si concepì per offrire in sette scene la rappresentazione della storia civile e religiosa di Messina. L’inaugurazione, avvenuta il 13 agosto del 1933, è ricordata attraverso una lapide posta nel lato sud del campanile.

Le solenni rappresentazioni

©Alice Buggè – Il Leone, simbolo della città di Messina, particolare della torre Campanile, Messina 2021

Nei giorni successivi all’inaugurazione, fu permesso al popolo messinese di ammirare un grandioso spettacolo al quale mai avevano assistito.

Allo scoccare di ogni mezzogiorno, eleganti ed elaborati meccanismi danno vita a svariate scene.

La prima ritrae Dina e Clarenza scandire le ore e i quarti suonando le campane, in ricordo del loro eroico contributo durante i Vespri Siciliani; contemporaneamente alcune statue simboleggianti il ciclo della vita – infanzia, adolescenza, maturità e vecchiaia – si alternano sfilando davanti ad uno scheletro, simbolo della Morte ineluttabile.

Subito dopo è possibile ammirare il simbolo della città, un imponente leone incoronato. E’ posto al di sotto del quadrante dell’orologio mentre scuote la testa e la coda e sventola la bandiera messinese; termina il suo spettacolo con tre ruggiti, lasciando il posto al gallo che si palesa alla piazza aprendo le sue ali e stendendo il collo per poi cantare tre volte.

Successivamente, seguono le note musicali dell’“Ave Maria” di Schubert. Essa è accompagnata dall’apparizione di una colomba dorata, il cui volo richiama alla memoria la nascita del Santuario di Montalto.

È possibile, inoltre, assistere ad una diversa scena liturgica che varia a seconda della festività corrente.

Per ultimo, è messo in scena l’evento più importante della storia religiosa di Messina: San Paolo e gli ambasciatori messinesi mentre sfilano davanti alla Madonna che tende loro la lettera scritta nel 42 d.C. commemorandosi patrona della città.

Un evento che per ben dodici minuti tiene alti gli occhi di passanti che hanno il privilegio di assistere ad uno spettacolo così solenne.

©Alice Buggè– Dina e Clarenza e il Gallo, particolare del Campanile, Messina 2021

Le componenti strutturali

Quanto alla struttura, l’orologio si articola in due “caroselli”: in basso troviamo quello dei giorni, ognuno dei quali -da lunedì a domenica- è rappresentato allegoricamente da figure della mitologia greca; in alto, il carosello dell’età costituito da statue rappresentanti le quattro fasi della vita, con al centro la morte dotata di una falce, pronta a colpire.

La parte più complessa è certamente quella astronomica di cui fa parte un calendario perpetuo che indica giorni, mesi, anni e feste mobili, in grado di distinguere gli anni normali dagli anni bisestili. È presente persino un planetario che riproduce il sistema solare, i pianeti posti in modo corretto intorno al sole, ruotando in sincronia ai tempi di rivoluzione reali, con la luna che chiude il quadro scandendo le fasi lunari.

L’orologio astronomico sito accanto al Duomo di Messina non è solo tra le più alte e complesse opere della meccanica e delle conoscenze astronomiche e fisiche, ma la sua unicità deriva anche dalla sua ampia articolazione, vantando ben 54 statue mosse con precisione dagli ingranaggi.

©Alice Buggè – Il calendario perpetuo e l’angelo che indica i giorni, particolare della torre del Campanile, Messina 2021

 

Mario Cosenza, Marika Costantino

 

Fonti:

 Comune di Messina

colapisci.it

www.ilsicilia.it

http://discovermessina

 

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giuseppe Mazzini

Torna il filone legato ai Parlamentari d’Italia eletti a Messina con una personalità di grande spicco, uno dei Padri del Risorgimento italiano: stiamo parlando di Giuseppe Mazzini.

Primi anni di vita

Nato a Genova il 22 giugno del 1805, già da ragazzino manifesta un forte interesse per le tematiche politiche e sociali. Dopo essersi iscritto all’Università- prima alla facoltà di medicina e poi a quella di legge- nel 1827 pubblica il suo primo scritto, un saggio letterario dal titolo “Dell’amor patrio di Dante “.

Giuseppe Mazzini- Fonte: Cronologia.it

Il legame con la Carboneria

Poco dopo aver conseguito la laurea entra a far parte della Carboneria, un’ associazione segreta rivoluzionaria nata nella prima metà dell” ‘800 nel meridione italiano. Basandosi su ideali liberali, i Carbonari si battevano affinché i governi assoluti, in cui il potere del sovrano era privo di limiti, si trasformassero in governi costituzionali; negli anni ’30, con l’influenza politica del filosofo Filippo Buonarroti, si fecero strada all’interno della Carboneria anche ideali repubblicani, democratici – con il riconoscimento della sovranità popolare – e socialisti.

Esilio a Marsiglia e fondazione della “Giovine Italia

Il 13 novembre 1830 Mazzini  viene arrestato a Genova per la sua affiliazione alla Carboneria. Successivamente, per mancanza di prove, viene rilasciato, costretto, però, a scegliere tra il “confino” e l’esilio; Mazzini sceglie l’esilio e si trasferisce a Marsiglia, in Francia.

Nel 1831, con la collaborazione di altri esuli, dà vita ad una nuova formazione politica chiamata la “Giovine Italia”. Questa differiva per alcune caratteristiche dalla Carboneria : gli obiettivi politici erano pubblici, pur agendo in clandestinità; inoltre Mazzini voleva superare uno dei limiti della Carboneria ,ovvero la mancanza di un forte appoggio da parte della popolazione. Contestualmente al movimento politico infatti, nasce una rivista – anch’essa chiamata la Giovine Italia – con l’obiettivo di far avvicinare quante più persone agli ideali ed ai progetti mazziniani.

L’iniziativa ha buon successo e ben presto l’associazione si estende anche nell’ambito militare. Per la sua attività rivoluzionaria, Mazzini viene condannato a morte in contumacia il 26 ottobre 1833 dal Consiglio Divisionale di Guerra di Alessandria.

La Repubblica Romana

Sulla scia dei moti rivoluzionari del 1948 che coinvolsero tutta l’Europa, a seguito di una rivolta interna nei territori dello Stato Pontificio, Papa Pio IX  è costretto alla fuga. Il 9 febbraio 1849 nasce la Repubblica Romana. Il patriota Goffredo Mameli telegrafa a Mazzini: “Roma Repubblica, venite!”. Il 9 Marzo Mazzini entra a Roma e poco dopo entra a far parte del triumvirato che governerà la Repubblica Romana con Aurelio Saffi e Carlo Armellini. L’esperienza romana dura poco: il  4 luglio 1849 l’intervento militare di Napoleone III costringe i patrioti alla resa.

“Morte di Luciano Manara” di Filippo Vittori (Museo del risorgimento, Milano)- Fonte: beniculturali.it

L’elezione alla Camera nel collegio di Messina

Dopo aver contributo all’unificazione dell’Italia, osteggiando, però, i Savoia e la Monarchia, Mazzini va nuovamente in esilio a Londra.

Ma il 25 febbraio 1866 accade un evento inatteso: Giuseppe Mazzini viene eletto alla Camera dei deputati nel collegio elettorale Messina I con 476 voti al ballottaggio dell’elezione supplettiva della IX legisaltura (la II del Regno d’Italia). Ovviamente la notizia desta scalpore, soprattutto per le due condanne a morte sopracitate, che rendevano il patriota Genovese ineleggibile.

A Firenze – allora capitale del regno – la Giunta si trova in difficoltà nel decidere se convalidare o respingere l’elezione di Mazzini. L’opinione pubblica si spacca in due, nonostante il movimento repubblicano facesse sentire la propria voce inneggiando fortemente ad una amnistia e alla conseguente ratifica dell’elezione.

Il 2 marzo del medesimo anno è lo stesso Mazzini, tramite una lettera inviata e pubblicata su numerose testate giornalistiche italiane, ad esprimersi su quanto accaduto. Nella lettera l’esule ringraziava animosamente i cittadini messinesi, ma rifiutava la poltrona per non dover giurare fedeltà alla Monarchia italiana.

Nonostante la formale rinuncia di Mazzini, il governo italiano avrebbe dovuto comunque esprimersi ufficialmente sull’elezione messinese. Su un totale di 298 votanti ben 191 deputati si dichiaravano contrari annullando, di fatto, la volontà dell’elettorato della città dello Stretto.

Sessanta giorni dopo la città di Messina, chiamata alle urne per scegliere un nuovo deputato, rielegge, contro ogni previsione, Giuseppe Mazzini. Dopo una nuova discussione il 18 Giugno la Camera annulla nuovamente l’elezione, chiamando ancora una volta i cittadini messinesi alle urne.

Il 18 novembre la caparbia città peloritana elegge per la terza volta Mazzini con la quasi totalità dei consensi, piegando definitivamente il governo italiano al suo volere. Tre giorni dopo, infatti, la Camera convalida l’elezione decretata dai messinesi.

Villa Mazzini di Messina- Fonte: picclick.it

Il rientro in Italia e la morte

Mazzini ovviamente non cambia la propria posizione in merito all’elezione avvenuta a Messina e non farà  mai parte del Parlamento italiano; tuttavia, grazie alla battaglia vinta dalla città, ottiene un salvacondotto per fini politici.

Nonostante questa deroga, quando il patriota genovese tenta di raggiungere la Sicilia, per abbracciare la popolazione che con fermezza ed orgoglio l’aveva eletto deputato, viene arrestato a Palermo, per via della condanna a morte che non era mai stata cancellata.

Dopo alcuni anni nuovamente in esilio, Mazzini muore sotto falsa identità a Pisa nel 1872.

La città di Messina ad imperitura memoria ha dedicato al Padre del Repubblicanesimo il parco centrale della città e una scuola, situata vicino Piazza Duomo.

Il busto di Mazzini, all’interno della Villa a lui deicata a Messina – Fonte: wikipedia.org

       

Emanuele Paleologo

 

Fonti:

sicilians.it

treccani.it

dati.camera.it/apps/elezioni

 

 

 

Una giornata con il FAI: il “restauro conservativo” dell’agriturismo Fontanelle

Ultimo appuntamento alla scoperta del nostro territorio con il FAI, nell’ambito delle giornate d’autunno: la visita del 24 ottobre all’Agriturismo Fontanelle di San Filippo del Mela (ME). Dopo il primo evento, anche questa volta non abbiamo perso l’occasione di recarci sul posto e far scoprire ai lettori luoghi spesso poco noti di Messina e provincia.

Perché un agriturismo?

Non siamo di fronte ad antiche rovine, palazzi o monumenti, ma ad un agriturismo – all’apparenza – come tanti, in cui si possono degustare prodotti tipici immersi nel verde della natura circostante. In realtà l’agriturismo Fontanelle è diretto erede di una tradizione agricola che affonda radici nella storia dei baroni Ryolo, famiglia nobiliare di origini palermitane trasferitasi nel messinese nel XVIII secolo in seguito alla concessione da parte del viceré delle due Sicilie del baronato di Fontanelle. Qui, tra Sette e Ottocento, approfittando della ricchezza del suolo (il nome Fontanelle deriva infatti dai tanti rivoli d’acqua che scorrevano nel territorio) i baroni Ryolo hanno dato vita a un’azienda fruttuosa famosa in tutta la Sicilia – e non solo – per l’olio e il vino pregiati (olio D.O.P. Valdemone, Mamertino D.O.P.). L’edificio centrale è stato infatti restaurato dalla proprietaria, l’architetto Giuseppina Marullo, seguendo il canone originale della villa settecentesca con l’intento di preservare la memoria di attività agricole cadute ormai in disuso.

Area sotterranea un tempo destinata a parte del processo di vinificazione – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

Proprio per questo motivo il FAI ha deciso di premiare il “restauro conservativo”  della struttura e l’impegno concettuale ed economico che l’hanno reso possibile, conducendoci – in una soleggiata mattina d’autunno – alla scoperta di tecniche perdute e memorie di vita contadina.

All’ingresso dell’agriturismo siamo accolti da Benedetta e Andrea, studentesse del Liceo Artistico Renato Guttuso di Milazzo e volontarie FAI: saranno loro a farci da cicerone durante la visita, in compagnia di un gruppetto di dieci persone, muniti di mascherine e alla dovuta distanza di sicurezza.

La stanza del vino

Iniziamo dalla prima grande stanza, la hall dell’intera struttura. Adibita un tempo alla produzione del vino, è oggi un ambiente ampio che – con i comuni comfort e arredi moderni – presenta ancora un torchio dell’epoca utilizzato per la spremitura, il processo più difficile e dispendioso dell’intera vinificazione. Ma fare il vino all’epoca dei nostri avi era anche un momento di festa e convivialità generale. Avete mai visto Il profumo del mosto selvatico con Antony Quinn, Keanu Reeves e Giancarlo Giannini? Contadini e baroni si radunavano e – dopo aver gettato tonnellate di uva raccolta a mano in grandi vasche – vi “ballavano” su a piedi nudi, un po’ come in quella bellissima danza dionisiaca che possiamo ammirare in una famosa scena del film. Ci viene svelato, infatti, che i comodi sedili ricoperti da cuscini sono in realtà i bordi rimasti intatti di una vasca di epoca ottocentesca usata proprio per la pigiatura.

Hall dell’agriturismo. Si possono osservare gli affreschi (non originali) e il muro (originale) dalla caratteristica tonalità violacea, oltre ai sedili – Cristina Lucà © San Filippo del Mela (ME) 2020

Il Frantoio

Entriamo nella seconda stanza, l’ambiente che un tempo costituiva il frantoio. Tra i tavoli in cui vengono serviti i clienti (ci viene spiegato che attualmente la struttura è chiusa per scelta della proprietaria, vista la complessa situazione epidemiologica), è infatti ancora conservata una macina in pietra originale con la quale veniva eseguita la spremitura delle olive, il primo step della lavorazione dell’olio. I nostri ciceroni ci raccontano che la macina veniva fatta girare per due ore grazie alla forza di un bue, fino all’ottenimento della pasta d’olive: questa veniva poi conservata in delle sacche dette bruscole, che troviamo appese alle pareti. Il nostro occhio attento ai piccoli dettagli non si lascia sfuggire u cafisu: una piccola tazza in alluminio utilizzata proprio come unità di misura dell’olio durante la lavorazione (corrisponde a 11,5 litri ca.) L’etimologia della parola risale a qafiz, misura di volume ancora oggi presente nel mondo arabo.

Antica macina nella moderna sala da pranzo – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

Proseguiamo nel giro e virtualmente anche nella storia dell’olio. Ultimo step della lavorazione: l’olio veniva versato in giare, poi interrate nel pavimento. È la volta quindi della stanza più piccola, un tempo la stanza delle giare, oggi anch’essa destinata alla ristorazione. Anche qui è possibile ammirare quella commistione particolare tra cimeli originali e arredi moderni, con parte del soffitto in legno originale e parte ristrutturato, a causa dello stato in cui riversava il tetto stesso. Discorso analogo per i muri, rifatti per rispettare le norme antisismiche.

Esempio di antica giara originale – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

La visita volge alla conclusione, ma la villa ha ancora le sue chicche da rivelarci: le nostre guide ci conducono negli ambienti minori, inquadrati un tempo come case coloniali. Ci viene mostrato un atto della camera di commercio del 1867 che testimonia come il vino dei baroni Ryolo approdò quell’anno all’esposizione universale di Parigi per rappresentare le delizie dell’Italia. Sorridiamo al pensiero che oggi preferiamo importare vini francesi e scopriamo il motivo dell’interesse nell’esportazione: dalla prima spremitura era ottenuto un vino dalla gradazione alcolica maggiore, spedito in Francia per “tagliare” i vini locali molto più leggeri; dalla seconda si ricavava l’acquerello, molto meno alcolico e veduto a basso prezzo in Sicilia.

Vari oggetti nella stanza delle botti – Cristina Lucà © San Filippo del Mela 2020

Ma la meraviglia finale e forse più nascosta della villa è sicuramente la stanza delle botti, l’unico ambiente in cui il presente sembra quasi non essere ancora entrato. In questa sorta di piccolo museo agricolo dai toni grigi e marroni troviamo gli oggetti più disparati: aratri, bilance, bruscole perfino antichi infissi, ma anche del filo spinato, un tempo utilizzato per segnare i confini della tenuta. Le ragazze spiegano che è stato lasciato dai soldati – insieme ad armi e munizioni – durante la Seconda Guerra Mondiale e la proprietaria ha deciso di conservarlo proprio in memoria delle atrocità della guerra.

La nostra giornata d’autunno in compagnia del FAI volge al termine: scambiamo due parole con la proprietaria, con le organizzatrici e ci rendiamo conto di come le iniziative FAI rimangono forse una delle poche occasioni per scoprire la cultura del nostro territorio.

 

 Angelica Rocca, Emanuele Chiara

 

Immagine in evidenza: Agriturismo Fontanelle, Azienda Agricola Barone Ryolo dal 1824 – Cristina Lucà ©, San Filippo del Mela 2020

Planetario di Castroreale, per toccare il cielo con un dito

e Culturale ANDROMEDA

Fonte: AssociazioneCulturaleAndromeda.jpg

 

Visita a CASTROREALE(ME) e al Planetario Astronomico.

 

Nell’ambito degli interventi di promozione turistica del territorio, l’Associazione “ANDROMEDA” di Castroreale segnala che è operativo da oltre dieci anni un PLANETARIO ASTRONOMICO” digitale.

Una visita a Castroreale, uno dei Borghi più belli d’Italia, cittadina ubicata su una lussureggiante collina ai piedi dei Colli Peloritani, a pochi chilometri da Barcellona P.G., è l’occasione per conoscere uno dei paesi medievali meglio conservati della provincia tirrenica messinese.

E’ possibile visitare i musei e le chiese all’interno dei quali sono custodite opere d’arte di notevole pregio, godere di un impareggiabile panorama, conoscere la sua storia e il suo territorio, gustare i prodotti locali, apprezzare l’ospitalità dei cittadini.

Una delle unicità presenti nella provincia di Messina di cui vi vogliamo parlare oggi è la presenza a Castroreale di un Planetario Astronomico Digitale ubicato nel centro storico al n. 1 di via G. Siracusa, di proprietà dell’Associazione “ANDROMEDA”, associazione di astrofili per lo sviluppo turistico integrato del territorio, la divulgazione della scienza e dell’astronomia.

Fonte: ProLocoArtemisia.jpg

 

Il planetario è gestito dal suo presidente, e noto planetarista, ing. Paolo Faranda. L’ing. Paolo Faranda è progettista e costruttore a misura di cupole e sistemi di proiezione su superfici sferiche ed è il responsabile del settore “Astronomia” della APOLAB SCIENTIFIC S.r.l., società che si occupa della progettazione e distribuzione di apparecchiature per laboratori di Fisica, Chimica, Scienze ed Astronomia per scuole, università, INAF,CNR ecc. d’Italia.

Dunque, vi starete chiedendo cos’è di preciso un planetario e come funziona…

Il planetario è un simulatore della volta celeste. Ciò che si vede sull’intradosso della cupola non è reale ma ricostruito con immagini reali. E’ una struttura costituita da una cupola sotto la quale, attraverso opportuni proiettori, è possibile osservare i corpi celesti (circa 23.000). Aiutati dagli operatori, è possibile riconoscere le principali costellazioni, apprendere il nome delle stelle. E’ possibile osservare il cielo come si presentava migliaia d’anni fa e come si presenterà nel futuro, simulando il fenomeno noto come precessione degli Equinozi. Si può inoltre visionare, in tempo reale, il cielo a latitudini diverse, come si vedrebbe all’equatore, al polo nord o al polo sud o in qualsiasi altra località della Terra.

E’ possibile simulare il moto apparente del Sole e dei Pianeti, l’alternarsi delle stagioni, le eclissi di Sole o di Luna, osservare galassie, costellazioni, stelle doppie, stelle di neutroni, assistere alla nascita, vita e morte di una stella, il tutto corredato da spiegazioni ed illustrazioni che vi consentiranno di ottenere risposte ai vostri quesiti di natura scientifica, storica e filosofica, attraverso un viaggio tra la mitologia greca e romana. Insomma, una visita al planetario non solo non vi deluderà, ma arricchirà i visitatori di tutte le età dal punto di vista culturale.

Ma un planetario non è solo questo, è anche uno strumento spettacolare perché riesce a coinvolgere gli osservatori facendo loro dimenticare di essere nel chiuso di una stanza, sotto una cupola, creando l’impressione di essere dei navigatori nell’universo.

Ciò che differenzia il tipico, e più conosciuto, “telescopio” dal planetario è la possibilità, che ha quest’ultimo, di poter far osservare la volta celeste a più persone contemporaneamente e trasportarli quasi in una dimensione di sogno, in cui scienza e immaginazione si fondono, per un’esperienza unica e inimitabile.

Fonte: Filippo Celi- evento presso l’AssociazioneCulturaleAndroma

Filippo Celi

Villa Roberto: una perla liberty a Ganzirri

Messina è una città ricca di paesaggi mozzafiato, edifici religiosi che vantano secoli di storia alle spalle e ville nobiliari, mantenute ancora intatte nel tempo, seppur con le giuste riparazioni.

Oggi vi racconto di Villa Roberto, chiamata così dal nome del suo possessore Santi Roberto, le cui iniziali svettano imponenti, incise nel ferro del cancello ancora presente a ingresso, e difesa, della Villa situata in Via Consolare Pompea, precisamente nel quartiere di Ganzirri.

Fonte: trovaeventi.eu

 

Le prime notizie, e fotografie, immortalano la Villa nell’Ottocento, quando ancora era presente soltanto il pian terreno, ma già vantava di essere una costruzione di notevolissimo prestigio.

La villa ospiterà nel 1902 un gruppo di studiosi provenienti da Malta, la cui bandiera sventolerà sull’unica terrazza della casa.

Arriva il 1908 portando catastrofe, distruzione e cambiamenti contingenti.

Santi Roberto però è già invecchiato e tocca al figlio, Cav. Federico Fritz, rimettere in sesto la dimora di famiglia. Fritz opta per un miglioramento dei giardini, tant’è che il padre, poco vedente, si perde nella sua stessa casa non riconoscendosi più nelle novità apportate dal figlio.

Fonte: TrovaWeb

 

Datato al 1924 è un altro, e più imponente, cambiamento ed ampliamento della Villa, definita in stile liberty con le tipiche merlettature, portici e bugnato.

Nel 1949 l’ingegnere Allegra, a cui vien dato il merito di aver disegnato la Galleria Vittorio Emanuele, esaudisce un ultimo desiderio di Fritz, quello ovvero di ampliare la casa di modo che i figli, Ruggero e Manfredi, potessero crescervi le famiglie.

Villa Roberto acquisisce  dunque quei tipici mattoni rossi che tanto la caratterizzano e il secondo piano, insieme ad altre terrazze e vedette.

I saloni interni restano immutati nel loro antico splendore e i giardini trasportano, chi vi ci cammina in mezzo, in un’atmosfera da sogno; alte palme, un verde incontaminato e ponticelli.

Fonte: FotoShopping by TrovaWeb

 

Sembra difficile credere che un luogo di tale magnificenza disti così poco dal centro, ruggente e caotico, della città.

Ma la bellezza fa spesso così, si nasconde, modesta, dove non è facile individuarla; sta lì, aspettando che qualcuno vada a contemplarla.

 

Fonte: fotoshopping.eu

Ilaria Piscioneri