Un inno all’Amore da parte di Giuseppe Fiorello

Non un mero film storico ma una vera e propria testimonianza! – Voto UVM: 5/5

 

Sono tante le nuove perle che il mondo del cinema ci ha regalato e ci sta regalando nel corso di questo mese di aprile, tra le tante possiamo annoverare la sorprendente animazione di Super Mario Bros (qui la nostra recensione), l’avventura di stampo storico de I tre moschettieri – D’Artagnan, ma uno dei titoli più emozionanti ce lo regala senza alcun dubbio il cinema italiano con un meraviglioso Giuseppe Fiorello alla regia di Stranizza d’amuri.

Una storia vera

Uscito nelle sale il 23 marzo è tratto da una tragica storia vera e da un tremendo fatto di cronaca.

La pellicola racconta dell’amore che sboccia tra due ragazzini, Gianni Accordino (Samuele Segreto) e Nino Scalia (Gabriele Pizzurro) in una coloratissima e inebriante Sicilia dell’ ’82.

Una Sicilia che non può accettare, per motivi sacri legati all’onore e alla famiglia, che due ragazzini possano provare, l’uno per l’altro, un amore così profondo e puro, ma tuttavia i sentimenti più veri non conoscono limiti e in un atmosfera tanto folkloristica quanto pesante, i due giovani si ostinano ad andare avanti, seguendo il loro cuore, in barba a tutto il resto del loro mondo che si ostina a remargli contro, finché due spari, due secchi colpi di pistola, non mettono brutalmente la parola fine ad una semplice e meravigliosa storia d’amore così pura e delicata: la fine di due poveri ragazzi colpevoli solo di amarsi.

Nino e Gianni in una scena del film
Nino e Gianni in una scena del film. Fonte: Fenix Entertainment

Una lotta per l’amore, tra realtà e finzione

“Non è un film d’amore, è l’Amore”

Sono le parole di Giuseppe Fiorello che ha, con questo film, esordito nella sua prima esperienza alla regia. Un inizio si potrebbe dire “col botto” per l’esito schiacciante degli incassi e la risposta del pubblico che a distanza di tempo dall’uscita del film ancora riempie le sale!

L’intento è, innanzitutto, quello di riportare a galla un cupo delitto sul quale, ancora, a distanza di anni, aleggia il mistero più totale. Ma non si tratta di un delitto qualsiasi, si tratta dell’uccisione di Giorgio Agatino Giammona e di Antonio Gatalola detti “i ziti di Giarre” dai loro compaesani, trovati morti mano nella mano il 31 ottobre 1980, vale a dire il primo delitto omofobo della Storia.

Un delitto che ha fatto rumore, che ha fatto scalpore, turbando gli animi di molta gente tra cui un piccolo gruppo che il 9 dicembre di quell’anno fondò a Palermo la comunità Arcigay. La prima comunità che si sarebbe da allora battuta per i diritti LGBT è nata in Sicilia.

Luci ed ombre di una Sicilia anni ‘80

È anche di questo che Fiorello ci vuole parlare in questo film, girato interamente nelle zone della sua infanzia da Marzamemi a Pachino.

Ci vuole raccontare la sua terra, la Sicilia com’era e invitarci ad un confronto su quanto è cambiato oggi, immergendoci, dunque, in un inebriante atmosfera piena di suoni e di colori che si riflettono negli sfiniti occhi di Gianni che insieme con Nino ha avuto per un attimo l’impressione di aver finalmente trovato un posto chiamato casa, un qualcuno da chiamare famiglia e qualcosa chiamata felicità.

È un attimo, però, che dal sentire la freschezza del mare e la torbida calura del sole, arriviamo a sentire anche le malelingue della gente del bar e dei paesani, lo sdegno e lo “sfottò” di tutti coloro che un “puppu cu bullu” non lo vogliono avere e non lo vogliono vedere, etichettandolo aspramente e segnandolo in eterno come diverso da loro.

È questa l’angosciante realtà che Nino ma soprattutto Gianni si trovano costretti a vivere in quel dorato angolo di Sicilia.

Gianni mentre viene importunato in una scena del film
Gianni mentre viene importunato in una scena del film. Fonte: Fenix Entertainment

Un dramma che persiste

È qui che parte inevitabilmente un altro tema che Fiorello ha voluto mettere in luce con questo film: la denuncia alla discriminazione degli omosessuali e in generale della comunità LGBT.

È, dunque, questo un film che vuole ricordarci che nonostante il tempo trascorso, l’omofobia è un grave dramma che persiste tutt’oggi.

Forse è proprio questo lo scopo principale del film: riuscire a scuotere il pubblico così come avvenne quando nei lontani anni ’80 vennero ritrovati i corpi senza vita di questi due poveri ragazzini.

Fiorello: una garanzia di sensibilità e un film testimonianza

Ambientato nella leggendaria atmosfera dell’82 anziché, come la storia vorrebbe, nell’80, Fiorello decide di inserire questo misterioso, e quasi sconosciuto, fatto di cronaca nell’atmosfera di un grande evento invece di rilevanza internazionale in quel periodo. Si parla dei mondiali dell’82 e della vittoria dell’Italia, evento che si incastra perfettamente con gli avvenimenti del film.

Il cast ci regala figure come Fabrizia Sacchi, Enrico Roccaforte, Simona Malato e tanti altri ma soprattutto degli straordinari Samuele Segreto (già noto per il ruolo di Sebastiano in In guerra per amore di Pif nel 2016 e recentemente come concorrente ad Amici) e Gabriele Pizzurro nel ruolo dei protagonisti.

Ruolo rilevante lo detiene anche la colonna sonora con le musiche dell’intramontabile Franco Battiato (a cui è dedicato il titolo del film) che accentuano maggiormente la poesia e l’inebriante atmosfera estiva che pervade tutto il film.

Cos’altro aggiungere? Ancora una volta Giuseppe Fiorello ci dà dimostrazione della purezza del suo animo e della profonda bontà del suo cuore regalandoci quello che a tutti gli effetti possiamo considerare, non un mero film storico, ma un film testimonianza; il racconto di una storia antica e moderna al tempo stesso che ha l’intento di svegliarci e farci aprire gli occhi, per fare in modo, una volta per tutte, che mai più saremo costretti ad ascoltare storie come questa: l’amore, in ogni sua forma, non dev’essere più considerato un difetto!

 

Marco Castiglia

Evasione fiscale da 15 milioni di euro. Maxi sequestro a un imprenditore messinese

C’è chi sceglie di intraprendere la via all’insegna della massima “pagare le tasse è immorale” di sgarbiana memoria,  e c’è chi invece percorre, non senza sacrificio, la via opposta e più onesta.

Che il messinese A. G. avesse già da tempo prediletto la prima, è stato scoperto dalla Guardia di Finanza di Messina la quale, dopo complesse verifiche fiscali, è riuscita a scovare un’evasione di circa 15 milioni di euro tra IVA, sanzioni e imposte sui redditi.

 

Maxi sequestro operato dalla Guardia di Finanza di Messina per oltre 2 milioni di euro di fatture false. Fonte: Gazzetta del Sud.

 

L’indagine

Fatture per operazioni inesistenti per oltre 2 milioni di euro è l’accusa rivolta all’imprenditore 52enne, occupato nel settore delle pulizie. La frode sarebbe stata commessa da tre società, tutte collocate in territorio messinese, che fanno capo allo stesso gruppo di sua proprietà.

Grazie a un intricato incrocio di flussi finanziari, sarebbe stato possibile trasferire ingenti somme di denaro dal conto corrente della società debitrice del fisco ai conti delle altre realtà societarie, sottraendosi così al doveroso pagamento delle imposte.

Secondo i finanzieri, le analisi della documentazione amministrativa e contabile della società di pulizie hanno fatto luce su “complesso schema ideato per evitare il pagamento dell’IVA dovuta e costituirsi un credito inesistente“. Immediata la confisca di circa 205mila euro su proposta della procura e secondo la disposizione del giudice del Tribunale di Messina.

I precedenti

A. G., in realtà, non è nuovo alle indagini finanziarie. Già tempo addietro è stato coinvolto, insieme al fratello, nella cosiddetta inchiesta “Tekno“. Ad operare insieme ai due, un 62enne, originario di Matera, V. L..

Alcuni mesi fa, l’imprenditore era stato nuovamente oggetto di un importante sequestro per una cifra pari a 6,5 milioni di euro.

L’indagine riguardava un nucleo di circa 13 società, dislocate sia a livello locale sia nazionale, e includente diversi settori: edilizia, alberghiero, ristorazione, trasporti, pulizie. Anche qui, tutte riferibili a un’unica società con al vertice l’imprenditore messinese.

Non finisce qui. All’epoca infatti, l’imprenditore inoltre titolare di un appalto ospedaliero nel Nord Italia, per il servizio di pulizia e sanificazione. Dopo poco tempo, però, tale appalto viene ceduto per l’esigua somma di 20mila euro a una società fittizia, sempre a lui riconducibile. Questa operazione non era nient’altro, infatti, che un passaggio di soldi, poi spariti, da una società sotto il suo nome, a un’altra, peraltro con nome quasi uguale, di V. L..

 

 

Alessia Vaccarella

Caso Vannini: con la sentenza d’Appello bis arriva la giustizia

(Flavia Scalambretti / AGF – Marco Vannini. fonte: agi.it)

Si assiste ad un nuovo risvolto per l’enigmatico ‘Caso Vannini’ a cinque anni dalla morte. E’ giunta ieri, 30 settembre 2020, la condanna, avvenuta per opera della Corte d’Assise d’Appello, a 14 anni per Antonio Ciontoli, ex sottufficiale della Marina Militare, per omicidio volontario con dolo eventuale e a 9 anni e 4 mesi per la moglie Maria Pezzillo e i figli Martina e Federico per concorso anomalo in omicidio volontario.

“Non c’è una condanna giusta, però dev’esserci un messaggio di giustizia”.

Queste le parole della madre Marina Conte pronunciate appena prima del processo d’Appello. Si tratta di un evento che fa presagire, forse, la fine di una triste storia della cronaca italiana. Tuttavia, i genitori di Marco non abbassano la guardia: ad aspettarli, il processo di Cassazione che deciderà definitivamente le sorti della vicenda.

Cosa accadde la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015

Marco Vannini, 20 anni si trovava nella villetta di Ladispoli (Roma) della fidanzata Martina quando venne raggiunto da un colpo d’arma da fuoco che gli trapassò il braccio bloccandosi nella schiena e provocando un’emorragia interna, avvenimento che risultò fatale solamente ore dopo. A spararlo, il padre della fidanzata Antonio Ciontoli. Secondo la versione di quest’ultimo, Marco si era dimostrato interessato alle armi che il soggetto aveva recuperato in bagno, ove si trovavano appunto la vittima con la fidanzata. Per errore sarebbe poi partito un colpo che, secondo l’imputato, avrebbe ferito Vannini al braccio.

La prima chiamata ai soccorsi avvenne una ventina di minuti dopo da parte di Federico Ciontoli e venne interrotta dalla madre Maria, solo per essere ripresa ancora una ventina di minuti dopo. Nel frattempo, la famiglia si adoperava ad estrarre il bossolo del proiettile dalla ferita e ripulire la scena del delitto con Marco ancora in vita ed agonizzante. Le sue urla verranno percepite ancora per un’ora. Sopraggiungerà infine l’elisoccorso per trasportare il ferito al Policlinico Gemelli: nulla da fare, Vannini muore alle ore 3 del 18 maggio.

(Marco Vannini con la famiglia Ciontoli – fonte: thesocialpost.it)

L’iter processuale

La sentenza di primo grado del 14 aprile 2018 aveva condannato Antonio Ciontoli a 14 anni per omicidio volontario con dolo eventuale e la famiglia (esclusa Viola, fidanzata del fratello Federico presente quella sera ed assolta) a 3 anni per omicidio colposo. La volontarietà dell’omicidio sarebbe dipesa dall’omissione dei soccorsi e dal tentativo di ritardarne l’intervento, con la coscienza di causare la morte del ragazzo. La sentenza venne poi revisionata in grado d’Appello, ove i giudici dichiararono l’omicidio come colposo e ridussero la pena a 5 anni per il principale imputato. Tra le proteste della famiglia e dei manifestanti, la Cassazione decise di annullare la sentenza d’Appello il 7 febbraio 2020 ed ordinò un nuovo giudizio.

Si giunge così all’Appello bis, davanti alla Corte d’Assise, che ripristina l’originale condanna per Ciontoli e stabilisce una pena di 9 anni e 4 mesi per la famiglia con l’aggiunta del concorso anomalo, così come richiesto dal procuratore generale Vincenzo Saveriano durante la requisitoria del 16 settembre scorso. Si aspetta, infine, il giudizio di Cassazione.

(Marco coi genitori Valerio e Marina – fonte: thesocialpost.it)

Le parole degli avvocati

La settimana precedente al processo d’Appello Bis, l’avvocato difensore di Ciontoli, Andrea Miroli, ha indicato le richieste della famiglia come un tentativo di vendetta, “Ciontoli deve essere condannato per quanto ha fatto come richiede la giustizia”, ha aggiunto.

La risposta di Franco Coppi, difensore della famiglia Vannini, è giunta immediata: “Nessuna vendetta, non sappiamo che farcene del denaro. Per la difesa staremmo a speculare sul cadavere di Marco, per fare soldi sta scritto nell’intervento dell’avvocato Miroli che saremmo qui per vendetta. Strana lezione che viene da chi ha svuotato i conti, chi ha mentito fino alla morte di Marco, ha mentito ai familiari, ai soccorritori, strana lezione per chi ha tentato di corrompere il medico del pronto soccorso, inducendolo a commettere un reato”.

Il giudizio si è poi chiuso con la richiesta di perdono da parte di Antonio Ciontoli, non accordato dalla madre della vittima Marina che ha affermato che il perdono dovrebbe chiederlo a sé stesso.

“La giustizia esiste e non dovete mai demordere, dovete sempre lottare.”

E’ l’ultima dichiarazione rilasciata da Marina Conte, tra le lacrime di commozione, all’uscita dal processo.

 

Valeria Bonaccorso

 

TORINO – CONNATURALE PAURA

Un match tanto atteso, trasmesso in diretta su un maxi schermo in una piazza storica; ci sono migliaia di persone in maglia bianconera, tutto condito da  un clima di festa ed unione.

Fra suoni e colori, però, il fine partita si perde nel caos.

Paura, urla, calca. Piazza San Carlo è sommersa da una processione di scarpe e di vetro, è macchiata di sangue e calpestata dal terrore.

Sembra quasi che ogni luce si spenga in mezzo alla folla che, disorientata e confusa, cerca di fuggire da una possibile strage di un verosimile attentato.

Si sentono dei rumori, un botto, una griglia che ha ceduto, o forse, qualcuno che urla ”bomba” e il panico predomina, mentre a Londra si materializza un altro vile attentato.

Adesso, restano responsabilità da accertare, circa di 1.527 feriti, fra cui un bimbo di 7 anni in gravi condizioni.

Il caso della piazza è la solida manifestazione della paura con cui conviviamo: è così che chi predica e pratica la morte ci impone di vivere.

Il regime dell’orrore di alcuni vigliacchi cerca di intimorirci dal profondo: colpisce nei locali, negli stadi, per le strade, attacca ciò che più di quotidiano possa esserci per dimostraci che può trafiggere in ogni momento. E’ un voler farci smarrire la voglia di vivere, un volersi insinuare silenziosamente nelle menti di ognuno di noi, portandoci a temere i nostri spazi.

Ma non dobbiamo piegarci: bisogna essere forti in questa lotta contro la paura, contro chi ci fa temere di viaggiare, di prendere la metro, di andare ad un concerto; dobbiamo combattere l’ombra del terrorismo, che, come in questa occasione, riesce a colpire anche quando non è presente.

Jessica Cardullo