La morale de La casa di carta

Fonte:luigitototo.it

Breve sinossi

Il 3 Aprile sulla piattaforma Netflix è uscita la quarta stagione de La casa di carta. La serie – come sappiamo – è spagnola, ideata da Alex Pina, trasmessa prima sul canale Antena 3 (emittente spagnola) ma dopo il grande successo è stata acquistata da Netflix.

Ha debuttato nel 2017 ed è composta da quattro stagioni al momento: ha vinto diversi premi tra cui un Emmy per la miglior serie drammatica nel 2018, e riscosso un enorme successo di pubblico, non senza qualche detrattore. La storia racconta di una rapina estremamente geniale guidata dal Professore, interpretato da Alvaro Morte, che guida nella prima stagione una banda per rapinare le zecca di Spagna: ma la loro non sarà una semplice rapina, sarà la rapina più grande della storia, un’impresa sublime.

La banda è stata selezionata non in modo casuale, ma in maniera dettagliata dal Professore: ogni singolo individuo con determinati talenti in grado di compiere questa impresa, personaggi completamente diversi fra di loro ma in che comune hanno il non avere niente da perdere. Ciascun componente della banda è vestito con una tuta rossa e una maschera del pittore Salvador Dalì ed ognuno di loro ha come nome un nome di città, per non svelare la vera identità.

Fonte: Il Post

Dalla terza alla quarta stagione

ALLARME SPOILER: terza stagione e prima puntata della quarta

Come già citato, la serie è composta da quattro stagioni, genere drammatico e azione. La quarta stagione si collega alla terza, nella quale la banda e il Professore ritornano in azione per aiutare Rio (interpretato da Anibal Cortes) organizzando una rapina presso La Banca Di Spagna per rubare l’oro. Questa estorsione era stata concepita da Berlino (interpretato da Pedro Alonso) cinque anni prima insieme a Martin/ Palermo (interpretato da Rodrigo De La Serna). Come sappiamo, Berlino muore nel finale della seconda stagione: lui stesso decise di lasciarsi alla morte, giacché era stato colpito da una grave malattia che gli avrebbe lasciato poco tempo.

Egli è il personaggio più enigmatico della serie: il Professore lo inserisce al comando della rapina alla zecca, dato che è dotato di una grandissima personalità e sangue freddo. Berlino rappresenta anche la sfortuna in amore, lui stesso dichiara “ ho avuto 5 matrimoni, vuol dire che ho creduto 5 volte all’amore” e nella 4×01 vediamo, con una serie di flash-back, Berlino al suo matrimonio svoltosi in Toscana presso un monastero. In questo episodio il personaggio canta – accompagnato dai monaci – la canzone “Ti  Amo” di Umberto Tozzi per la sua amata sposa, ennesimo brano italiano presente nella serie.

Fonte: youtube.com

Insomma, una scena che ha commosso gli spettatori e ci ha fatto amare ancor di più Berlino: però, sembra che questa sia stata l’unica cornice veramente apprezzata dal pubblico in questa stagione.

Infatti, la serie è stata definita sopravvalutata e noiosa, tanto che nel web molti utenti hanno dichiarato “una serie in cui le idee sono ormai finite”, e hanno sottolineato come i nostri rapinatori da criminali si siano trasformati in dei Robin Hood che rubano ai ricchi per dare ai poveri.

Cosa non ha funzionato?

La quarta stagione rispetto alle altre sembra essere stata ideata solo ed esclusivamente per allungare il brodo della trama. Se già la terza era scarna di colpi di scena e di idee geniali del Professore, che servivano per contrastare in maniera brillante le avversità venute fuori di punto in bianco (e questo era proprio il punto di forza delle prime due stagioni che ha reso celebre questa serie), nella quarta tutto ciò è completamente assente.

Si assiste ad un susseguirsi di eventi messi l’uno di fila all’altro senza giungere ad un fine preciso solo ed esclusivamente per tappare dei buchi temporali ed arrivare ai punti cardine della storia. In sintesi: troppe sottotrame, sconclusionate e non approfondite minimamente, ma messe lì senza un criterio logistico.

Fonte: finalciak.com

Nonostante tutto la serie conta ancora su moltissimi fan

Forse è vero: la quarta stagione non è stata entusiasmante come la prima e la seconda. Ma ricordiamoci che la serie è un inno alla resistenza. La canzone più rappresentativa dello show è “Bella Ciao” un richiamo alla libertà, morire per essa e per un futuro libero senza costrizioni. I componenti della banda sono persone comuni, individui ai quali la vita ha sempre voltato la faccia, persone abbandonate a loro stesse. La casa di carta rappresenta la realtà sociale che non c’è solo in Spagna, ma in tutto il mondo, ed è per questo che i nostri rapinatori sono tanto amati: rappresentano idealmente la ribellione, resistono – cantando Bella Ciao – al potere delle grandi Imprese e dello Stato.

 

Alessia Orsa, Vincenzo Barbera

 

Dietro le quinte di Sanremo

©Giulia Greco, Sanremo 2019

Avete presente quando da bambini pensavate che quando sareste diventati grandi avreste fatto una determinata cosa che in quel momento vi affascinava? Come “da grande conoscerò Michael Jackson, lo vedrò” lo pensai a 10 anni immaginandomi a 20 anni – beh dai, noi credevamo di essere grandi a soli 20 anni – ad un suo concerto, ad intervistarlo!! Bene, tre anni dopo scomparve. Ma se c’è uno di quegli infantili desideri che ho realizzato è stata di certo questa esperienza a Sanremo. Si, lo so cari lettori, forse è arrivato il momento di smetterla di parlarne, però questa volta è diverso!!

Non posso spiegare cosa ho vissuto, non riuscirei a farlo capire ad altri. A Sanremo anche la confusione è musica, per questo ricorderò ogni singolo istante, ogni via, ogni occasione ed esperienza con una canzone diversa… ognuna farà parte del concerto della mia vita. – Marta Frangella, Speaker di Radio UniVersoMe

Teatro Ariston – ©Giulia Greco, Sanremo 2019

Pensandoci a mente fredda sicuramente sarà stata la Giulia di 10 anni a spingermi ad andare, senza pensarci due volte: lo dico perché mi sono ritrovata in un vortice di eventi che solo adesso riesco a delineare. Tutta la mia avventura è iniziata con un messaggio di Cristina di domenica pomeriggio, alle 18.20 per l’esattezza, io ho pensato “oddio ma che vuole mo’, lo sa che non posso andare”. Ma il senso di colpa si è fatto sentire subito, e nel giro di qualche minuto ho saputo che dovevo sostituire la fotografa che doveva partire. Da un momento all’altro i miei programmi della settimana successiva si sono stravolti, per ritrovarmi alle 4.00 del mattino di lunedì su un pullman diretto all’aeroporto. La scimmietta che batteva i piatti nella mia testa si è fermata incredula per tutto quel che stava accadendo. Stavo andando a Sanremo e ancora non avevo la più pallida idea di come raggiungerlo, di dove avrei dormito e tutto il resto, ecco.

Il cuore di San Remo durante il festival va al ritmo delle canzoni che in quei giorni diventano i tormentoni di tutta Italia e non si può fare altro che lasciarsi coinvolgere. – Elena Perrone, Speaker di Radio UniVersoMe

Da sinistra: Marta, Cristina, Giulia ed Elena

Sanremo è una cittadina che senza il festival ha ben poco da dare, e forse questo era appurato, ma è talmente curata, che le palazzine bianche e perfettamente armoniche rendono l’ambiente un’evasione… solo per i turisti: chi sta dietro alla rassegna canora ha una crisi di nervi dopo l’altra. Casa Sanremo era l’headquarter dei giornalisti, luogo dove si trova la sala stampa Lucio Dalla, fonte di non poche polemiche per l’ultima edizione. In questo luogo un po’ mistico ed un po’ tanto improbabile, i soggetti erano i più disparati: aspiranti cantanti, aspiranti modelli, aspiranti giornalisti, gente piena di speranza insomma, che cerca di acchiappare il vip di turno per una qualsiasi opportunità. Il motto che aleggiava per la struttura era “o la va o la spacca”, la dignità aveva fatto posto alla sfrontatezza. Solo così si riesce ad ottenere quel che si vuole, a Sanremo. Francesco Renga in un’intervista ha detto <<qui è concentrato in una settimana tutto il lavoro che facciamo in un anno>> e la stessa cosa vale per chi sta dietro le quinte. Corri da una parte all’altra, appostamenti coordinati come militari in tempo di guerra, la strategia è fondamentale.

Statua di Mike Bongiorno – ©Giulia Greco, Sanremo 2019

Ma quanto è stato utile conoscere questo mondo? In ambito giornalistico sicuramente manna dal cielo: per chi vuole intraprendere questa carriera deve interfacciarsi da subito con situazioni così complicate. Quel che accade in una città dimenticata e poco meritocratica come Messina, non è nemmeno una palestra per la vita di un reporter. Lì bisognava crearsi le opportunità ed accettare anche le porte in faccia dei manager. Soprattutto quando, nella gerarchia delle emittenti, puoi essere paragonato al portaborse. La formazione di una settimana che vale per un anno intero, con i suoi pro ed i suoi contro. È stato un po’ come il primo giorno di liceo: vedi i grandi dell’ultimo anno che ti sembrano irraggiungibili, quelli già “studiati” all’adolescenza che frequentano le classi di mezzo, ed infine ci sei tu, novellino del primo anno carico come pochi perché finalmente sei entrato nel periodo più confusionario della tua vita.

 

 

L’aria che si respira nella città di Sanremo è fresca e colorata come i fiori che offre.  Un attimo prendi un caffè e l’attimo dopo hai accanto chi fino alla sera prima guardavi in tv. Animata da milioni di persone, la città riesce ad unire i pensieri di tutti, grazie alla sua musica. Da 69 anni a questa parte, ogni anno. Magia, no? – Cristina Geraci, responsabile della Radio UniVersoMe

Comprendi che esistono tanti meccanismi da dover imparare, ed è di più il lavoro di tutti quelli che popolano quel pezzo di terra ligure in 7 giorni che il programma che vediamo in tv e rende poco partecipativo il pubblico.

Forse è una lacuna dei palinsesti tv italiani? Del modo di operare? La politica economia è di gran lunga superiore della politica sociale. Sanremo si riempie di produttori, talent scout, discografici, che regolano buona parte dell’andamento della rassegna. È nell’indole dell’italiano politicizzare ogni cosa di dominio pubblico, ma è anche nella sua indole nascondere tutto ciò che è possibile per indirizzare lo spettatore verso uno scopo ben preciso.

Le ragazze “giudici” di The Voice

Non sto insinuando che il risultato finale sia stato deciso a priori, ma che si tende a monitorare l’opinione pubblica (voi direte “grazie Giulia hai scoperto l’acqua calda”) secondo le tendenze del momento ed intanto i pecoroni ci cascano, ancora più triste è che di mezzo ci sia la musica. Ah, la musica, rifugio per tanti, riscoperta per altri, ogni singolo essere umano ha la propria melodia. Perché macchiarla?

Sanremo è tradizione, Sanremo è quella settimana di festival per l’intero popolo italiano, unione sotto una bandiera strappata e ricucita innumerevoli volte.

P.S. ho visto pochi fiori. Ci sono rimasta molto male.

 

 

Giulia Greco

 

Social networks e politica: il caso Facebook

“Più sono grossi, più fanno rumore quando cadono” diceva nel 1900 il pugile britannico Bob Fitzsimmons prima di salire sul ring per affrontare il suo prossimo match e credo non ci sia frase più azzeccata per sintetizzare l’enorme clamore provocato, negli ultimi giorni, dallo scandalo del social network americano Facebook.

Nel 2007, anno del lancio della piattaforma in Internet, il trentatreenne CEO del colosso di Menlo Park, Mark Zuckerberg, si era detto favorevole alla collaborazione con varie applicazioni che avrebbero reso maggiormente interattivo e dinamico il rapporto tra users – si vedano in merito: l’inserimento delle date dei compleanni degli amici sul calendario, la sincronizzazione tra rubrica telefonica e lista dei contatti, fino ad arrivare all’uso della geolocalizzazione per creare una mappa digitale delle abitazioni dei propri followers -. Tutto questo e molto altro venne introdotto dagli sviluppatori dando la possibilità ad ogni singolo utente di condividere con Facebook ed altre app abilitate nel farlo, alcuni dei propri dati personali e la propria lista amici, garantendo sempre il rispetto della privacy del sottoscrivente. Il sistema funziona, il “social in blu” guadagna sempre più in popolarità e ricchezza e gli iscritti si dicono contenti delle nuove migliorie.

Ma è nel 2013 che tutto cambia. Facebook è sulla cresta dell’onda, e alle applicazioni che vi collaborano è garantita una larga libertà per quel che concerne l’uso e l’archiviazione delle informazioni di utenti ed amici. È in questo panorama che nasce thisisyourdigitallife” app creata da Aleksandr Kogan, ricercatore russo-americano della prestigiosa Università di Cambridge, esperto di big-data e comunicazioni. Si trattava, sostanzialmente, di un semplice quiz di 61 domande destinato ad individuare a quale livello fossero diffusi i tratti della Triade oscura” (narcisismo, machiavellismo e psicopatia) sulla popolazione del web e quanto questi fossero importanti per comprendere i sempre più numerosi comportamenti violenti su Internet. A scaricarla furono circa 270mila persone che, involontariamente, hanno contribuito in maniera significativa ad influenzare i risultati di due eventi fondamentali per il panorama socio-politico mondiale: il referendum per la Brexit e le elezioni presidenziali americane del 2016. Secondo quanto rivelato da un’inchiesta del New York Times, questi utenti, scaricando il questionario online di Kogan, davano il loro consenso alla società produttrice dell’applicazione di entrare in possesso della loro lista contatti, un “patrimonio umano” di circa 51 milioni di profili che, se analizzati da professionisti del campo politico, potevano essere facilmente utilizzati per indirizzare gli elettori verso una scelta ben definita, mediante l’uso di messaggi mirati e banner pubblicitari costruiti ad hoc.

Mark Zuckerberg presso la sede di Facebook, in Menlo Park, California, il 27 settembre 2017.
foto: STEPHEN LAM/REUTERS

Solo un anno dopo, alla luce di una serie di attività sospette mosse da applicazioni abusive nei confronti del colosso social, Zuckerberg decise di rivoluzionare la propria piattaforma per garantire un maggiore controllo ed una più ampia sicurezza per i dati personali dei propri iscritti; ma è nel 2015 che, a detta dello stesso Zuckerberg, Facebook viene a conoscenza del fatto che Kogan avesse condiviso i dati ottenuti da “thisisyourdigitallife” con la società “Cambridge Analytica” specializzata nel supporto di grosse campagne elettorali mediante i social networks. 

Ciò che risulta essere veramente interessante in tutta questa vicenda lo si apprende, però, leggendo due dei nomi a capo di “Cambridge Analytica”: Steve Bannon, ex capo stratega del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, vice presidente della società in questione e grande amico di Nigel Farage, leader del partito Ukip che ha guidato il movimento per la Brexit; e Bob Mercer, miliardario, esperto di informatica, padre di Rebekah Mercer che è alla testa del più importante comitato elettorale dei repubblicani, nonché head funder di “CA”.

Dallo scoppio dello scandalo, Facebook ha già perso 7 punti percentuali in borsa, circa 40 miliardi di dollari in pochi giorni ed il fenomeno non sembra essere in calo. Zuckerberg si è prontamente scusato con un lungo e dettagliato post sul proprio profilo personale, cercando di spiegare meglio la situazione e di limitare, almeno in parte, le forti critiche che migliaia di utenti gli stanno quotidianamente recapitando; contemporaneamente in molti si sono mobilitati a favore della campagna #DeleteFacebook, nata su Twitter con il solo scopo di boicottare il gigante social colpevole di aver violato la fiducia di milioni di utenti.

Sembra essere un duro colpo quello che ha incassato il più importante social network del mondo, ma difficilmente sarà quello del K.O.

 

 

Giorgio Muzzupappa