Pos obbligatorio dal 30 giugno: sanzioni per chi non rispetta l’obbligo

Dal 30 giugno tenere il Pos in negozio non sarà più un’opzione, ma un obbligo. Tutte le attività che offrono servizi al cliente non potranno più rifiutare la transazione elettronica, anche se si tratta di pochi centesimi, pena una doppia sanzione.

Pos obbligatorio: doppia sanzione

Ieri, 30 giugno, è scattato l’obbligo del Pos per tutti i commercianti, gli esercenti e i liberi professionisti come tassisti e medici. Ciò significa che nessuna di queste categorie potrà rifiutare il pagamento con carta di credito o bancomat. In caso contrario, il cliente potrà denunciare l’esercente, il quale andrà incontro ad una doppia sanzione: €30 con l’aggiunta del 4% del valore della transazione rifiutata. Se, ad esempio, un cliente volesse effettuare un pagamento di €100 cashless e l’esercente dovesse rifiutare, la sanzione che gli verrà applicata sarà di €34: €30 più il 4% di €100.

C’è, però, un’eccezione: nel caso in cui si verifichi un’oggettiva impossibilità tecnica, come la mancanza di linea del terminale, il commerciante o il professionista non saranno passibili di multa a patto che siano in grado di dimostrare che effettivamente il Pos in quel dato momento non funziona.

(Fonte: zazoom.it)

L’obiettivo del Governo

L’obbligo del Pos non è una novità: esiste già dal 2013, ma fino a ieri non era prevista alcuna sanzione. Quello delle sanzioni è un provvedimento che avrebbe dovuto veder luce nel 2023, ma che è stato anticipato di un semestre.

L’obiettivo del Governo è quello di favorire i pagamenti elettronici, combattere l’evasione fiscale e permettere a cittadini e clienti di poter scegliere liberamente il metodo di pagamento.

Credito d’imposta

Per incentivare l’acquisto di Pos da parte di chi ne è sprovvisto e per spingere gli esercenti ad accettare pagamenti con carta, lo Stato ha deciso di dare il suo aiuto tramite il credito d’imposta.

In passato, il Governo aveva introdotto un credito d’imposta del 100% sulle commissioni e sull’acquisto dei Pos, quindi le spese potevano essere detratte totalmente dalla dichiarazione dei redditi.

Per quanto riguarda le commissioni, da oggi, 1° luglio, il credito d’imposta scenderà dal 100% al 30%.

La richiesta dei tabaccai

I tabaccai, preoccupati da questa misura, chiedono un esonero. L’associazione Assotabaccai afferma:

“La lotta all’evasione fiscale tramite l’obbligo di accettazione di pagamenti con carta e bancomat è un controsenso nel caso delle tabaccherie che sono, infatti, concessionarie dello Stato.”

Di fatto, la tracciabilità, nel caso dei tabaccai, esiste già.

In Parlamento, intanto, è stato accolto un ordine del giorno nel quale ci si è impegnati a prevedere un credito d’imposta del 100% nel caso di acquisti cashless di pochi centesimi, come i francobolli.

Il pensiero di Confesercenti

“È un provvedimento inopportuno e iniquo per le imprese più piccole, per le quali il costo della moneta elettronica – soprattutto sulle transazioni d’importo ridotto – è già molto elevato.”

Spiega Confesercenti. Di comune accordo anche Confcommercio:

“Non si può pensare d’incentivare i pagamenti elettronici attraverso il meccanismo delle sanzioni , quello che serve per raggiungere quest’obiettivo è una riduzione delle commissioni e dei costi a carico di consumatori ed imprese, anche potenziando lo strumento del credito d’imposta sulle commissioni pagate dall’esercente, e introdurre la gratuità per i cosiddetti micropagamenti.”

Eleonora Bonarrigo

Gli esercenti applicano la “tassa Covid”: rincari anche per bar e parrucchieri

Se a fine marzo un’indagine di altroconsumo (associazione di difesa dei consumatori) aveva registrato un crollo delle promozioni nei supermercati e un aumento dei prezzi rispetto a quelli correnti nei mesi precedenti alla pandemia,( anche su guanti, detergenti, disinfettanti ecc.) lo stesso atteggiamento è stato adottato da bar, centri estetici e parrucchieri durante la seconda fase.

Con la fase 1, infatti, si era assistito ad un aumento dei prezzi dei generi alimentari di circa il 40%, soprattutto in provincie che non erano state dichiarate “zone rosse”, tanto che l’Antitrust aveva avviato un’indagine sugli operatori della grande distribuzione, per acquisire informazioni sull’andamento dei prezzi di vendita, in particolare nelle zone del centro e del sud Italia, dove si sono registrati i tassi maggiori di aumento.Prezzi, rincari a settembre: +550 euro per gli alimentI

Fase 2 e rincari

Con la fase 2 e la riapertura dal 18 maggio delle attività commerciali, si è assistito ad un atteggiamento simile a quello descritto sopra. Un’ondata di rincari, come afferma il Codacons (associazione di volontariato nata nel 1986 in difesa dei consumatori e dell’ambiente). Il Codacons  denuncia degli aumenti medi del 25 % per tagli di capelli o messi in piega. Se pre-quarantena il costo medio di un taglio girava intorno ai 20 euro, adesso si sale ai 25. Ma non finisce qui. Come si può notare da numerosi scontrini è stata introdotta una pseudo “tassa Covid”. Questa è un surplus che varia dai 2 ai 4 euro legata alle spese di sanificazione e messa in sicurezza del locale, disposizioni fondamentali, dettate dall’ultimo decreto. Inoltre sempre al Codacons sono arrivate segnalazioni di estetisti che impongono, per l’emergenza Covid, «kit obbligatori da indossare con costo extra di 10 euro a carico del cliente». Non da meno risultano i rincari dei bar. Con aumenti che variano dal 20 al 50% sul prezzo del caffè. Da quanto riportato da diverse segnalazioni possiamo vedere soprattutto nella grandi città come Roma, un aumento del prezzo del caffè da 1,10 in media a 1.50. Cosi come a Milano che da 1,30 è passato ai 2 euro.

Tassa di sanificazione

La pseudo tassa Covid è stata denunciata dall’unione nazionale consumatori

«Si tratta di una sorta di tassa di sanificazione applicata da parrucchieri, estetisti e alcuni dentisti – spiega il presidente Massimiliano Dona -, una prassi scorretta che si sottrae forse anche da un punto di vista fiscale alla somma dovuta al consumatore».

Ovviamente è giusto ricordare che  le nuove direttive del Governo, applicano regole molto stringenti per gli esercizi commerciali, con costi aggiuntivi da sostenere per assicurare ( quanto possibile), attività svolte in maniera  prudente, riducendo al minimo ogni possibilità di contagio. Ma va ricordato anche, che il decreto Rilancio, riconosce ai soggetti “esercenti attività d’impresa, arte o professione” un credito d’imposta (beneficio fiscale che il contribuente vanta nei confronti  delle casse dello stato) in misura pari al 60 per cento delle spese sostenute nel 2020 (fino a un massimo di 60.000 euro per ciascun beneficiario) per le attività di sanificazione degli ambienti nei quali è esercitata l’attività lavorativa. Tra le spese consentite: l’acquisto di mascherine,guanti, visiere; termometri e termo scanner; barriere e pannelli protettivi ed eventuali costi di installazione; prodotti detergenti e disinfettanti.

  Eleonora Genovese