Il rischio “seconda ondata” è reale, gli studi lo confermano: esclusa una riapertura totale

Abbiamo sperato di riaprire tutto. Dalle nuove indicazioni per la “fase 2” ci si attendeva delle scelte che mirassero verso una ripartenza senza mezzi termini, ma così non è stato. In molti se ne sono chiesti la ragione sottostimando, talvolta con un velo polemico, i potenziali rischi. Analizzando alcuni studi e i documenti che hanno supportato la scelta, cerchiamo di far più chiarezza su quali siano state le ragioni che hanno escluso una riapertura totale. Allo stesso tempo, cerchiamo di fornire qualche ipotesi su cosa accadrebbe prolungando il lock-down per un periodo ancora maggiore. In entrambi i casi la preoccupazione è la medesima, ed è reale: una tanto discussa e temuta “seconda ondata“.

Una seconda ondata prevista già mesi fa

Partiamo da un lavoro dell‘Imperial College di Londra, noto per essere stato lo studio che è piombato come un secchio d’acqua ghiacciato sulle teste di Boris Johnson e Donald Trump. I due leader erano orientati verso un approccio senza rigide misure di distanziamento, mirando a una sorta di “immunizzazione di massa”. Le conclusioni della previsione sono severe, e ci proiettano verso un’evoluzione ancora verosimile e che giustifica la cautela nei confronti di un’immediata ripartenza.

Previsione a 18 mesi dell'Imperial College di Londra
Fonte: Imperial College di Londra – Andamento epidemico a 18 mesi

Lo studio, che si riferisce alla popolazione britannica, ci mostra come in un periodo di diciotto mesi si potranno avere delle riattivazioni cicliche dell’epidemia. L’obiettivo è evitare una risalita troppo brusca che possa mettere in crisi gli ospedali e precludere le cure ad alcuni pazienti. Si potrà capire quando (ri)chiudere sulla base dei flussi in ingresso nei reparti di terapia intensiva, indice reale della diffusione del virus nella popolazione. Almeno finché non verranno sviluppati strumenti terapeutici in grado di dare, finalmente, una conclusione al fenomeno.

Il Comitato Tecnico Scientifico ci mette di fronte alla realtà

Un documento del CTS, emerso poco dopo la presentazione delle nuove misure di contenimento (“fase 2”), lascia spazio a pochi dubbi. Il comitato taglia corto sulla riapertura delle scuole. Infatti, “aumenterebbe in modo significativo il rischio di ottenere una nuova grande ondata epidemica con conseguenze potenzialmente molto critiche sulla tenuta del sistema sanitario nazionale”.

Il comitato analizza varie ipotesi, tra cui anche quella di una riapertura totale: manifattura, settore edile, commercio, ristorazione, settore alberghiero e togliendo i limiti ai contatti sociali, alle possibilità di spostamento e alle capacità dei mezzi di trasporto ma mantenendo le scuole chiuse e il telelavoro lì dove possibile. Saremmo comunque proiettati verso uno scenario disastroso con un picco di oltre ottantamila ricoverati in terapia intensiva orientativamente nel mese di Settembre. Ciò determinerebbe un alto numero di decessi. Riaprire le scuole e tornare integralmente al lavoro aprirebbe ad uno scenario ancor più disastroso, anch’esso analizzato nello studio. Ciò ci fa apparire più chiaro comprendere come difficilmente si potrà avere “tutto e subito”.

La soluzione sta nel tenere sotto controllo l’R0: “indice di contagiosità”

Si discute molto dell’indice R0 che rappresenta il numero di persone contagiate in media da un singolo infetto. L’obiettivo è mantenerlo a valori inferiori o comunque prossimi ad 1. Valori superiori, come si evince dalle oltre novanta simulazioni presentate nel documento, avrebbero un impatto notevole e a tratti drammatico sul sistema sanitario nazionale.

Aumento R0 in caso di riapertura scuole
Fonte: Documento del CTS- Aumento R0 in caso di riapertura delle scuole

Riaprire le scuole con l’impostazione tradizionale farebbe schizzare R0 a livelli difficilmente gestibili del SSN. Il rischio sarebbe quello di creare dei cluster epidemici familiari che potrebbero far ripartire il contagio in scala nazionale.

Effetto della riapertura di alcuni settori
Fonte: Documento del CTS – Effetto della riapertura di alcuni settori

Una delle possibili soluzioni per far ripartire le attività produttive ed evitare (nuovamente) il collasso della sanità prevede una riapertura parziale che però impone dei limiti cautelativi sull’età, con delle limitazioni nei trasporti e nella circolazione. Tutto ciò nell’ipotesi di un’efficienza di protezione (non certa secondo il comitato) da parte delle mascherine. Il governo ha di fatto seguito quest’indicazione, senza però imporre limiti sull’età.

La soluzione non è neanche restare chiusi per sempre

L’ipotesi di prolungare delle restrizioni estese fino a nuove possibilità terapeutiche sarebbe comunque insostenibile da un punto psicologico, economico e sociale. Probabilmente non sarebbe neanche la migliore soluzione da un punto di vista scientifico in quanto spegnere il lockdown richiederebbe mesi, con la possibilità di importazioni future del virus e ripartenze di focolai epidemici. In assenza di possibilità terapeutiche risolutive, che sono promettenti ma non certe, riaprire anche a distanza di un anno potrebbe causare una riattivazione dell’epidemia.

Andamento dell'epidemia con l'attuale contenimento
Fonte: Nature Medicine, Giulia Giordano et al. – Sarebbero necessari mesi per azzerare i positivi attivi

Un recente articolo italiano pubblicato su Nature Medicine, prestigiosa rivista del settore, prevede un modello in cui l’azzeramento dei casi nel nostro Paese non si verificherebbe prima di quasi un anno dall’inizio dell’epidemia. L’articolo prevede, allo stesso tempo, che un prematuro allentamento delle restrizioni con valori di R0 vicini ad 1 condurrebbe a decine di migliaia di morti entro la fine dell’anno.

Chiudere quando serve, chiudere quanto basta

Come afferma l’autrice dello studio in realtà, non abbiamo solo il lockdown come possibile contromisura. Un’altra potrebbe essere quella di effettuare test sierologici e tamponi a tappeto sull’intera popolazione e un tracciamento accurato dei contatti, in modo da poter isolare qualunque focolaio emergente dal principio. Isolare infetti, fornire cure e arrestare la diffusione.

Questa considerazione riassume le intenzioni emerse dalle dichiarazioni del governo. Attento tracciamento dei contagi, tamponi e test sierologici sulla popolazione, zone rosse isolate se superati certi valori soglia critici che presto dovrebbero essere resi noti.

Di fronte ad una situazione senza precedenti le considerazioni e le valutazioni degli esperti rendono chiaro come una riapertura totale sia, al momento, soltanto uno slogan che mira al consenso popolare piuttosto che alla salute pubblica. Fidiamoci di cosa ci viene suggerito e non cediamo facilmente ad ipotesi che, per quanto desiderabili, potrebbero essere potenzialmente disastrose.

Antonino Micari

Estate e Covid-19: il caldo rallenterà la pandemia?

Gli studiosi si sono posti un importante quesito riguardante il Covid 19, cioè se l’estate, per via delle alte temperature, possa essere utile nel contenere e rallentare la pandemia.

Non esiste ancora una risposta chiara, ma un’analisi del “Massachusetts Institute of Technology” suggerisce che la trasmissione del SARS-CoV-2 possa ridursi in modo non indifferente nei Paesi con il clima più mite.

Amante del freddo?

Gli studi del MIT hanno evidenziato che in un periodo compreso tra il 22 gennaio 2020 e il 21 marzo 2020 il 90% dei contagi di COVID-19 sarebbe avvenuto in un range specifico di temperatura compreso tra i 3 e i 17 °C, e a un livello di umidità assoluta tra i 4 e i 9 g/m³.

Il numero di casi dei positivi erano inferiori tra 0° e 30° latitudine Nord rispetto al numero dei casi registrati tra 30° e 50° latitudine Nord.

Si possono elencare varie ipotesi per spiegare questo minor numero di casi registrati nei paesi più caldi, alcune esulano dal semplice aspetto climatico come ad esempio il minor numero di tamponi eseguiti per valutare l’aumento del 2019-nCoV. Difatti il numero dei tamponi effettuati nei paesi tropicali con un’elevata densità demografica (India, Brasile, Indonesia etc.) sono stati molto bassi ed è presumibile che la differenza di casi tra i paesi del Nord e quelli del Sud possa essere proprio legato a questo.

Un’altra potrebbe riguardare il notevole sviluppo di infrastrutture sanitarie e validi protocolli di quarantena successivi all’epidemia SARS del 2003 a Hong Kong, Singapore e Taiwan e questo può aver contribuito a contenere l’aumento del virus in questi paesi.

Altre ipotesi però sostengono che il basso numero di casi fino ad ora registrati nei paesi ad alta densità popolare tra 0°N e 30°N (con una popolazione totale di circa 3 miliardi di persone) possa essere realmente causato da fattori naturali e che la trasmissione virale sia quindi più bassa ad alte umidità e alte temperature; difatti la maggior parte dei paesi tra 0°N e 30°N hanno climi temperati e umidi.

Uno studio pubblicato da un team guidato da ricercatori dell’Università di Beihang in Cina, ha evidenziato che le alte temperature ed elevata umidità riducevano la trasmissione del COVID-19 entrambe con un livello di significatività statistica dell’1%. Questa scoperta va di pari passo con l’evidenza che le alte temperature e l’alta umidità riducano la trasmissione dell’influenza, e ciò può essere spiegato con due possibili motivi:

  1. Il virus dell’influenza è più stabile alle basse temperature, e le droplets, come contenitori del virus, rimangono infettive più a lungo nell’aria secca.
  2. Il clima freddo e secco può anche indebolire le proprie difese immunitarie e rendere le persone più suscettibili al virus.

Queste osservazioni possono anche essere applicate alla trasmissione del COVID-19 e sono anche avvalorate dal fatto che l’alta temperatura e umidità hanno ridotto anche la diffusione della SARS.

Previsioni matematiche

Nello stesso studio, secondo il modello osservato in Cina, i ricercatori hanno creato due cartine che mostrano la diffusione del virus nel mondo a marzo e la previsione (su stima solo matematica) di come sarebbe a luglio se considerassimo che il virus seguisse la variabile clima nel modo ipotizzato.

Cautele su più fronti

Nessuno di questi articoli ha ricevuto una revisione scientifica cosiddetta “da pari” e le correlazioni tra diffusione e condizioni climatiche potrebbero essere dovute a variabili di altro tipo: ad esempio le risposte dei governi, le linee di contagio, la mancanza di test da sottoporre alla popolazione.

In un recente post, Marc Lipsitch, direttore del Center for Communicable Disease Dynamics presso la Harvard School of Public Health, ha fatto eco a questa analisi: «Anche se possiamo aspettarci modesti ribassi nella contagiosità di SARS-CoV-2 in condizioni climatiche più calde e umide, non è ragionevole aspettarsi che questi ribassi da soli rallentino la trasmissione abbastanza da creare l’abbassamento della curva». Anche gli scienziati inoltre sottolineano che tra l’11 e il 19 marzo si è osservato un aumento del numero di casi in regioni con temperatura> 18 ° C di almeno 10mila persone.

Non vi sono quindi chiare evidenze scientifiche, ma si tratta di ipotesi basate su diverse osservazioni. In ogni caso per l’emisfero settentrionale la strada da percorrere non cambia: isolamento e distanziamento sociale più la chiusura quasi totale, misure che sembrano funzionare al di là delle bizze del tempo. Peraltro non potremmo – noi in Italia – permetterci di non agire per aspettare l’estate. La buona notizia è che se il clima contasse, anche la natura sarà a nostro favore nei prossimi mesi.

Carlo Reina

Bibliografia

https://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/2003/2003.05003.pdf

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3556998

 

Sintomi neurologici da covid-19: alterazioni di gusto e olfatto

 

La malattia da Coronavirus SARS-CoV-2, nota col nome Covid-19, comporta principalmente un quadro clinico caratterizzato da sintomi respiratori. L’evenienza più grave, come ben sappiamo, è rappresentata dalla polmonite interstiziale, ma questo virus ha la capacità di diffondersi anche in altri distretti. In particolare il sistema nervoso sembra poter essere interessato precocemente e le manifestazioni lievi connesse potrebbero aiutare a velocizzare il processo diagnostico. Ciò sarebbe utile a discriminare i soggetti che non svilupperanno polmonite ma sono portatori attivi dell’infezione.

Quali sono i sintomi neurologici del coronavirus?

La risposta arriva da dove ci si sta avviando ad una lenta ripresa delle attività dopo la fase critica dell’epidemia, ovvero dalla Cina. Proprio uno studio cinese, recentemente pubblicato su JAMA Neurolgy, ha portato alla luce possibili sintomi e complicanze neurologiche della Covid-19. I partecipanti allo studio sono stati 214 pazienti ospedalizzati SARS-CoV-2 positivi, sia uomini che donne, sia con infezione severa che non. Di questi, 78 pazienti (il 36,4%) mostravano una sintomatologia neurologica, più frequente in coloro con malattia grave. In base alla sede coinvolta, hanno distinto i sintomi in:
– Manifestazioni del sistema nervoso centrale: mal di testa, perdita della coscienza, accidenti cerebrovascolari acuti (coinvolti il 24,8% dei pazienti oggetto di studio, ictus nel 6%).
Manifestazioni del sistema nervoso periferico: compromissione del senso del gusto (ageusia: perdita della capacità di discriminare i sapori) e dell’olfatto (anosmia: mancanza della percezione degli odori nell’aria), ma anche problemi visivi (8,9%).
– Danni ai muscoli scheletrici, con coinvolgimento del 10,7% della popolazione studiata.
La maggior parte dei sintomi neurologici si sono mostrati precocemente, anche in assenza del classico quadro respiratorio, potendo costituire quindi un elemento utile al riconoscimento precoce ed un miglior trattamento. Comunque un grande limite di questa analisi è la bassa numerosità del campione in esame.

Quali riscontri nel vecchio continente?

Anche in Europa sono in corso delle ricerche a riguardo. Uno studio condotto su 417 pazienti ricoverati in 12 località diverse si è soffermato sulle disfunzioni di gusto ed olfatto. Il 34,5% dei soggetti studiati era nella fase acuta della malattia. Le principali comorbilità del gruppo erano rinite allergica, asma, ipertensione arteriosa ed ipotiroidismo.
Per quanto riguarda i sintomi olfattori i risultati sono stati i seguenti:
– L’85,6% della popolazione campione presentava disordini dell’olfatto, di cui la maggior parte lamentava anosmia.
– La fantosmia, ovvero la percezione di un odore per il quale nell’ambiente non è presente alcuna molecola, interessava il 12,6% dei soggetti durante il decorso clinico.
– Mentre la parosmia, cioè lo scambiare un odore per un altro, veniva lamentata dal 32,4%.
– In 247 pazienti con infezione clinicamente risolta, in cui erano scomparsi tutti i sintomi “canonici”, le disfunzioni olfattive persistevano per un tempo indeterminato nel 63% delle persone.
Riferendoci alle alterazioni del gusto, queste hanno dato manifestazioni nell’88,8% dei pazienti. Consistevano in una riduzione o distorsione della percezione di alcuni sapori, in particolare salato, dolce, amaro ed acido.
Basandoci sui risultati dello studio, i disturbi olfattivi e gustativi sono risultati essere sintomi significativi dei pazienti Covid-19 europei. Inoltre possono rappresentare, in alcuni casi, anche gli unici sintomi in assenza di complicanze e per questo necessitano di essere riconosciuti per aiutare nella limitazione della diffusione del contagio.

Trattamento anosmia
Opzioni terapeutiche adottate in questo studio europeo per i pazienti con problematiche dell’olfatto (Da https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas ).

 

Come SARS-CoV arriva al sistema nervoso?

L’esame del liquor cefalorachidiano è in genere negativo, quindi il virus non attraversa la barriera emato-encefalica. Certo, sono possibili eccezioni, ma non sono state riscontrate frequentemente meningiti o encefaliti, come invece può avvenire con gli Herpes virus. Per identificare le porte di ingresso del Coronavirus al SNC le ipotesi sono due.
La prima prende in considerazione la possibilità che il virus possa risalire dai neuroni del bulbo olfattivo. Questo spiega l’elevata frequenza di anosmia riscontrata negli studi sopra citati ed è una via già utilizzata da altri virus respiratori.
Secondo l’altra ipotesi il danno neurologico non sarebbe diretto, bensì scatenato dalla tempesta di citochine sistemica dovuta all’infezione. Le nostre difese immunitarie iperattivate andrebbero fuori controllo e coinvolgerebbero altri distretti, fra cui il sistema nervoso ma anche il cuore (possibilità anche di miocarditi).

Struttura delle vie olfattive
Bulbo olfattivo ed epitelio olfattivo nel naso separati solo dalla lamina cribrosa dell’osso etmoide (Da Stanfield, Fisiologia umana)

 

Anche i neurologi possono quindi essere aggiunti alla lista degli specialisti che, insieme ad infettivologi e pneumologi (oltre ai medici di medicina generale), potranno avere contatti con pazienti covid già alla prima diagnosi od essere coinvolti durante il loro trattamento. Già si sta cercando di scrivere delle linee guida ad hoc che permetteranno di affrontare l’infezione da coronavirus dal punto di vista multidisciplinare. Così da prepararci al meglio a quella che sarà la fase 2, di cui iniziamo a vedere gli spiragli, in cui si auspica la messa in funzione dei Covid hospital. Si tratterà di centri interamente dedicati ai pazienti covid con l’obiettivo di facilitare anche la ripresa degli altri reparti ospedalieri, le cui attività ambulatoriali sono state momentaneamente sospese.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas
https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/2764549
https://www.focus.it/scienza/salute/la-covid-19-da-anche-manifestazioni-neurologiche

Quando l’infezione da COVID-19 si ‘traveste’ da ictus o da stato confusionale

Coronavirus: le previsioni del contagio zero regione per regione

Le ultime stime prevedono che l’azzeramento della curva epidemiologica dei contagi dal Coronavirus si verificherà non prima di fine Giugno.

Le regioni del Centro-Nord, nelle quali la tragica diffusione del Covid-19 è scoppiata prima, saranno probabilmente le ultime ad uscire dalla situazione pandemica di emergenza.

Secondo le previsioni dell’Osservatorio sulla salute, le prime regioni orientate verso la fase 2 ( la fase di convivenza col virus) potrebbero essere Basilicata e Umbria il 21 aprile; il Lazio dovrà attendere almeno il 12 maggio; Veneto e Piemonte il 21 maggio; Emilia Romagna e Toscana non prima della fine di maggio, mentre il Sud Italia potrà procedere con le nuove misure previste dalla fase 2 tra la fine di aprile e l’inizio di maggio.

La mappa delle proiezioni (elaborata dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, coordinato da Walter Ricciardi direttore dell’Osservatorio e consulente del Governo per questa fase di emergenza, e da Alessandro Solipaca direttore scientifico dell’Osservatorio) ha evidenziato che l’uscita dell’emergenza Covid-19 in Italia potrebbe avere tempistiche diverse nelle regioni in relazione ai territori più o meno esposti alla potenza del contagio epidemico.

Pare dunque fondamentale in questo momento di pianificazione e successivo sviluppo della fase 2,  fornire valutazioni concrete ed aggiornate sulla gradualità e sull’evoluzione della curva epidemiologica, affinchè si possano supportare con adeguati riferimenti scientifico-medici le scelte politiche, che nelle prossime settimane, saranno più decisive che mai.

L’obiettivo che l’Esecutivo si è posto non è individuare la data esatta, bensì la data prima della quale è inverosimile prevedere l’azzeramento dei nuovi contagi.

Il processo di indagine ed analisi è stato prodotto dal coordinamento con i dati che la Protezione Civile quotidianamente mette a disposizione.

I modelli statistici stimati per ogni regione fanno riferimento ad un fenomeno (non lineare) di probabile regresso in correlazione all’andamento dei nuovi casi osservati nel tempo.

Chiaramente, come evidenziato dagli specialisti, l’attendibilità e la conseguente precisione delle proiezioni previsionali è fortemente influenzata dalla corretta rilevazione dei nuovi contagi.

Il pericolo dietro l’angolo è che questi dati potrebbero essere sottostimati a causa dei casi da contagio asintomatico o dal numero insufficiente di tamponi effettuati.

Come accade spesso in questi contesti di incertezza, quando tutto poggia su previsioni variabili che dipendono da diversi fattori, c’è chi nell’ambiente scientifico non concorda sulle stime e prevede che il coronavirus continuerà a circolare anche se in basse intensità.

Si potrebbe dunque non avere mai effettivamente zero contagiati poiché il virus, sebbene in maniera contenuta, continuerà a circolare anche durante il periodo estivo.

Precarietà e surrealtà continuano a caratterizzare questa primavera, che sa di tutto fuorchè di libertà.

Ci attendono le ultime settimane di profondo sacrificio e di grande responsabilità, unici strumenti concreti nella battaglia la nemico invisibile. 

Antonio Mulone

Coronavirus: quali attività riaprono e cosa si potrà fare da oggi in Sicilia

Il presidente della Regione Sicilia Nello Musumeci ha emanato una nuova ordinanza, entrata in vigore dalla mezzanotte di ieri e disposta fino al 3 maggio, che di fatto proroga in Sicilia le misure restrittive più stringenti.
Recepite ed accolte le disposizioni previste dall’ultimo Dpcm, emanato dal Premier Conte nella solita conferenza stampa serale sull’emergenza Coronavirus.

E’ prevista dunque la riapertura di cartolibrerie, librerie, e negozi di abbigliamento per neonati e bambini.

Il Governatore della Sicilia ha poi confermato con fermezza: la chiusura dei negozi di generi alimentari la Domenica e nei giorni festivi (come del resto è avvenuto per Pasqua e pasquetta), il divieto di attività motoria e delle ormai famose passeggiate con  figli anche nelle vicinanze della propria abitazione.

Ribadito anche “l’obbligo elastico” dell’uso della mascherina, che nei giorni scorsi aveva fatto sì che si alzasse il solito polverone di polemiche.

Piccola postilla per quanto riguarda i servizi di consegna a domicilio, vietati anche la Domenica e nei giorni festivi, ad eccezione di farmaci, prodotti editoriali (quotidiani, magazine, riviste), e combustibili d’uso domestico.

Negli esercizi commerciali di vendita e distribuzione di generi alimentari (anche all’aperto) gli operatori sono tenuti all’uso della mascherina, all’utilizzo di guanti protettivi monouso o, in alternativa, al frequente lavaggio delle mani con detergente disinfettante.

Evidenziato, con rigore e chiarezza per l’ennesima volta, il tema del numero possibile di uscite per l’approvvigionamento di prodotti di prima necessità, che ad eccezione di quello per i farmaci, viene limitato ad una sola volta al giorno e ad un solo componente del nucleo familiare.

L’ultimo Dpmc del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, comunicato il 10 Aprile, l’esecutivo ha deciso con ponderazione di ampliare la lista delle attività produttive consentite inserendo: l’uso delle aree forestali e la silvicoltura, la fabbricazione dei computer, la cura e la manutenzione del paesaggio, le opere idrauliche, il commercio all’ingrosso di carta e cartone.

Tutte queste attività produttive saranno consentite anche in Sicilia.

Per i negozi, gli esercizi e le attività produttive che hanno riaperto nella giornata di oggi, vi sono delle regole fondamentali da seguire: il distanziamento (minimo 1 metro), la pulizia degli ambienti lavorativi due volte al giorno con un’attenzione particolare al ricambio d’aria, la disponibilità e l’accessibilità ai disinfettanti per le mani, mascherine obbligatorie nei luoghi o negli ambienti chiusi e all’interno dei quali non può essere garantito il distanziamento.

Gli accessi nei negozi andranno organizzati secondo le seguenti modalità: ampliamenti delle fasce orarie, per locali fino a quaranta metri quadrati si potrà accedere una persona alla volta, per i locali di dimensioni superiori l’accesso è regolamentato in relazione agli spazi disponibili ed alle possibilità di percorsi di entrata e uscita differenti.

Importante, affinchè venga garantito il distanziamento dei clienti in attesa di entrata, che le suddette informazioni vengano comunicate proprio all’ingresso dei negozi.

Ci attendono, probabilmente, le settimane più impegnative e decisive nella lotta al nemico invisibile; se saremo responsabili e coesi potremo dapprima convivere ed in seguito sconfiggere il virus.

Antonio Mulone

Covid-19: cosa accade nelle terapie intensive

In questi giorni di quarantena che sembrano interminabili, scanditi da bollettini della protezione civile e dai telegiornali, si sono diffuse molte immagini provenienti dai reparti in cui si trovano i pazienti affetti da SARS-CoV-2.
I soggetti più gravi, che non riescono a ventilare autonomamente, vengono trasferiti in dei settori speciali chiamati terapie intensive.
Ma cosa sono questi reparti?
Come si evince dal nome si tratta luoghi in cui vengono ricoverati coloro che necessitano di attenzioni e cure speciali come per esempio il supporto delle funzioni vitali.


Di cosa dispone un reparto di terapia intensiva?

Solitamente ogni posto letto è dotato di un ventilatore meccanico autonomo, un defibrillatore, un impianto di aspirazione e un infusore, tutto il necessario per far fronte a qualsiasi emergenza.
Si è parlato tanto ultimamente della mancanza di spazio in questi reparti e la ragione sta proprio nella complessità delle apparecchiature richieste e nella difficoltà nel reperirle in tempi brevi.
Le terapie intensive italiane, infatti, non erano state progettate per sostenere un’epidemia di così vasta portata.

Vite sospese

Molti si chiedono come sia la permanenza in ospedale per i pazienti che hanno contratto il nuovo coronavirus. Molti sono intubati e sedati e dalle foto che ogni tanto trapelano, condivise sui social, spesso li si vede riversi a pancia in giù.
Questa posizione apparentemente innaturale ha generato delle domande nella popolazione del web e anche, a volte, paura per qualcosa che non capita di vedere spesso.
Ma perché i pazienti vengono pronati?

La pronazione

C’è un motivo per cui la pronazione è preferita rispetto alla supinazione nel trattamento dei pazienti con insufficienza respiratoria.
Uno studio del 1976 ha dimostrato un miglioramento nella ventilazione nei pazienti che vengono pronati, con un incremento della sopravvivenza del 10-17%.
La ragione del miglioramento è da ricercarsi nel reclutamento di aree polmonari prima non ventilate o dallo spostamento della perfusione dalle aree non ventilare a quelle ventilate.
Adesso, sorge spontanea un’altra domanda: perché il nuovo coronavirus ha costretto al ricovero di così tante persone in terapia intensiva?

La polmonite interstiziale

Il Covid-19 è un virus dalle manifestazioni multiformi: la presentazione clinica può variare da asintomatica a un lieve raffreddore fino a una polmonite interstiziale con grave insufficienza respiratoria. È proprio quest’ultima la ragione della pericolosità del patogeno, unita alla sua elevata contagiosità.
La gravità del quadro clinico nei pazienti appare subito evidente se si dà uno sguardo agli esami radiologici: 

  • nelle prime fasi si evidenziano delle opacità dette “a vetro smerigliato”, bilaterali, per aumento dello spessore del tessuto polmonare, e un ispessimento dei setti alveolari.
  • successivamente, queste opacità si estendono a tutto il polmone, arrivando nel tempo a consolidarsi grazie all’azione del virus stesso.

Questa situazione può prendere due strade, quella della risoluzione e quindi della guarigione o, purtroppo, quella della Sindrome da Distress Respiratorio Acuto.

Altre indagini strumentali

Molto utile si sta rivelando la TC del torace, considerata l’esame di scelta per lo studio del Covid-19, soprattutto nelle fasi iniziali, che mostrano sempre quelle aree di consolidamento e opacità disposte prevalentemente nei lobi inferiori e posteriori.
Tuttavia, questi sono reperti aspecifici, ritrovabili in altri quadri patologici.

L’ecografia invece, è strettamente riservata all’utilizzo da parte dei medici che lavorano in terapia intensiva perché prevede un contatto molto stretto tra operatore e paziente, oltre a richiedere una certa esperienza.

Si può prevedere l’andamento della malattia?

Purtroppo ad oggi, pur con le conoscenze che abbiamo acquisito in tempi da record, non è possibile sapere se un paziente andrà incontro a insufficienza respiratoria o meno.
L’unico parametro affidabile sembra essere la storia clinica pregressa della persona e le sue eventuali patologie, ma ogni giorno la ricerca fa un piccolo passo verso la risoluzione di questo enigma che è il SARS-CoV-2.
Si spera quindi che presto le terapie intensive diventino un luogo di speranza e di vita e non di morte.

 

 

Maria Elisa Nasso

Correlazione 5G e Covid-19, tra verità e menzogna

Ennesima teoria complottista associa la tecnologia 5G al COVID-19, ma il mondo scientifico smentisce

Fra le varie teorie complottiste, non poteva di certo mancare un collegamento tra la rete 5G e il COVID-19.

Ebbene sì, a quanto pare è stato pubblicato uno studio, sulla rivista “Toxicology Letters”, di Ronald Neil Kostoff, un ricercatore di Scienze Spaziali presso la Georgia Institute of Technology, in cui si evidenzia come la rete 5G abbia indebolito il nostro sistema immunitario, tanto da renderci facili prede del virus che sta tenendo il mondo col fiato sospeso.

In Italia, la notizia ha ottenuto popolarità grazie anche al tweet di Gunter Pauli, il consigliere economico del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che recita: “La scienza deve dimostrare e spiegare la causa e l’effetto. Ma la scienza prima osserva le correlazioni: fenomeni che sono apparentemente associati. Applichiamo la logica della scienza. Qual è stata la prima città al mondo coperta dal 5G? Wuhan! E quale la prima regione 5G d’Europa? Il Nord Italia”.

 

Tweet di Gunter Pauli

 

Ovviamente è una fake news, come ha tenuto a sottolineare il Ministero della Salute, ma è necessario, prima di entrare nel merito, fare un po’ di chiarezza.

Che cos’è la rete 5G e come funziona?

Per rete wireless, o Wi-Fi, si intende la tecnologia che ci permette di inviare dati da un dispositivo ad un altro, senza la necessità di una connessione fisica.

Nel settore della telefonia mobile, 5G è l’acronimo di 5th Generation, e indica tutte quelle tecnologie e quegli standard che porteranno a significativi miglioramenti, in termini di velocità e prestazioni, delle moderne tecnologie di trasmissione dati wireless.

Una rete LAN (Local-Area Network) utilizza le onde elettromagnetiche per collegare dei dispositivi, come cellulari e PC, alla rete wireless di quel determinato locale.

Ma cosa sono le onde elettromagnetiche?

Le onde elettromagnetiche sono perturbazioni dello spazio-tempo dovute a variazioni locali dei campi elettrico e magnetico.

Le onde elettromagnetiche possono essere classificate a seconda della loro frequenza (cioè al numero di oscillazioni al secondo) e, in base ad essa, si dividono in: onde radio, microonde, infrarossi, luce visibile, ultravioletti, raggi X e raggi gamma.

A loro volta esse si differenziano per la loro proprietà ionizzante, ovvero la capacità di trasportare abbastanza energia da strappare elettroni da atomi o molecole, ionizzandoli (da qui il nome “ionizzanti”). Quelle radiazioni che hanno questa capacità, ovvero le ionizzanti (che vanno dall’alto UV fino ai raggi gamma), sono dannose per l’uomo, soprattutto per il rischio che esse possano contribuire alla produzione di cellule tumorali da parte del nostro organismo, mentre le radiazioni non ionizzanti (dal medio UV fino alle onde radio) sono totalmente innocue.

Esistono evidenze sperimentali per le quali la rete 5G possa essere dannosa per il corpo umano?

La risposta è: assolutamente no. Diversi studi sono stati fatti sulla questione, e tutti portano allo stesso risultato, e cioè che non esistono prove a suffragio della dannosità della rete 5G: lo affermano l’American Cancer Society, l’Istituto Superiore di Sanità, lo Scientific Committee on Health, Environmental and Emerging Risks (SCHEER), laFood and Drug Administration, International commission on non‐ionizing radiation protection (ICNRIP), ecc.

Il perché è facilmente intuibile: la rete wireless di cui usufruiamo ha una frequenza tale da essere collocabile tra le onde radio e le microonde che, come detto prima, rientrano tra le radiazioni non ionizzanti, e quindi non dannose per l’uomo.

 

Spettro elettromagnetico, con l’intervallo coperto dalla rete 5G

 

Torniamo, dunque, alla notizia principale.

Può la rete 5G debilitare il sistema immunitario, rendendoci facile preda per il COVID-19?

Come potrete facilmente intuire, la risposta è no, per gli stessi motivi elencati fino ad ora. La rete 5G è completamente innocua per il nostro organismo: non sortisce nessun effetto sul sistema immunitario in quanto non può assolutamente ionizzare gli atomi o le molecole del nostro organismo.

Se questa presunta ionizzazione è impossibile, vien da sé che in alcun modo la rete 5G possa far parte di una supposta debilitazione del nostro sistema immunitario. Di conseguenza, non ha favorito l’azione del COVID-19.

Quindi possiamo catalogare questa ennesima notizia collegata al 5G come una colossale fake news.

 

 

Giovanni Gallo

Si studia un’app anti-contagio: traccerà contatti e spostamenti

La tecnologia in soccorso alle consuete misure di prevenzione generale (distanziamento fisico, miglioramento dell’igiene) della popolazione che scandiscono le nostre giornate.

Fasi finali della progettazione funzionale di un’app italiana per il tracciamento (tracking) dell’epidemia del coronavirus.

La task force tecnologica, coinvolta sinergicamente nella selezione tra le 319 offerte arrivate al ministero dell’Innovazione, potrebbe ultimare i lavori tra la fine di questa settimana e l’inizio della prossima.

Visti i tempi nei quali questo strumento tecnologico si inserisce, il sistema dell’app costituirà un ausilio gestionale della cosiddetta “fase due” ovvero la graduale riapertura delle attività commerciali e sociali.

Nodo cruciale delle funzionalità di quest’app sarà la gestione della privacy e dei dati personali.
La mappatura degli spostamenti, seppur parziale, è già possibile grazie ai dati forniti dai server di Google e Facebook.

In tal senso fra le nazioni monitorate c’è anche l’Italia: un paese che si è letteralmente fermato, che ha registrato un crollo di frequentazioni dei negozi alimentari, dei ristornati, dei bar, dei sistemi di trasporto pubblico e dei parchi che si attesta tra attorno all’85% dato numerico più virtuoso in confronto a Francia, Germania e Stati Uniti.

Meccanismo altrettanto fondamentale è quello basato sui dati della posizione geografica forniti da Facebook ed utilizzati da un gruppo di ricercatori negli Usa per analizzare l’effettiva adozione delle prescrizioni severe di distanziamento sociale.
Si tratterebbe dunque di informazioni aggregate che sono in conformità con le norme privacy, delle quali l’app italiana di tracciamento potrebbe beneficiare.

E’ chiaro che sarà indispensabile restringere il focus della tracciabilità, ebbene comprendere concretamente chi tracciare se soltanto i positivi o anche le categorie a rischio; cosa monitorare se solo i contatti o anche gli spostamenti; e soprattutto attraverso quale tecnologia tra le innumerevoli a disposizione (bluetooth, gps, dati satellitari) o quelle gia testate di Google, Facebook e Apple.

Le progettazioni delle App sono al vaglio tecno-scientifico di un gruppo di otto persone che si avvale della consulenza di una unità che conta 74 persone.

Per rendere operativa l’applicazione e controllare l’impatto sulla privacy potrebbe essere necessario un decreto.

Il Ministro all’Innovazione Paola Pisano ha confermato che servirà una sperimentazione per testare la validità della soluzione elaborata prima su un area geo-demografica più ristretta, per poi dimensionarla su scala nazionale.

L’utilità di contenimento, indagine e monitoraggio dell’app dipende dalla diffusione e dal numero di download effettuato, che si spera possa coinvolgere un numero sufficiente di persone.

E’ emerso da uno studio pubblicato sulla rivista Science, che da un terzo a metà delle trasmissioni avvengono da individui pre-sintomatici, che quindi non sono consapevoli d’essere infetti.
Un’app di tracciamento crea una mappatura dei contatti di prossimità e avvisa immediatamente coloro che sono stati vicino a persone rivelatesi positive; quindi indirizzare le misure restrittive solo alle persone a rischio potrebbe eliminare la necessità stringente di estendere le suddette precauzioni a importanti fette della popolazione.

Si spera, almeno per una volta, che l’uomo possa avvalersi della tecnologia e non il contrario.

Antonio Mulone

Il Coronavirus blocca Hollywood: tante le uscite in sala rinviate

Quelli che stiamo vivendo sono giorni surreali, infiniti, sospesi nel vuoto.

L’emergenza pandemica che investito l’intero globo ha prodotto delle conseguenze concrete anche sul mondo della settima arte e delle dimensioni professionali che vi ruotano attorno.

Produzioni in stand-by, riprese interrotte, set “smontati”, serie tv sospese, uscite nelle sale rinviate e non solo.

Qui vi proponiamo una rapida – ma intensa  – carrellata di ciò che ci aspetta una volta rientrata l’emergenza sanitaria!

NO TIME TO DIE

Fonte: ItaliaSera

Il titolo del venticinquesimo lungometraggio dedicato alle gesta di James Bond, beffardo ed attuale quanto mai, era indubbiamente tra le pellicole più attese.
Il film diretto da Cary Fukunaga, inizialmente previsto per aprile, è stato posticipato al 12 novembre 2020. Considerando l’imminenza del suo arrivo in sala, con Daniel Craig & Co. in rampa di lancio, lo spostamento degli eventi marketing e della campagna pubblicitaria creata attorno all’ultimo capitolo di 007 non sarà affatto indolore per le casse della Universal.
Questo slittamento potrebbe costare tra i 30 e i 50 milioni, basti pensare ai 5 milioni di dollari investiti nel Super Bowl di febbraio.

FAST & FURIOUS 9

Fonte: Comicus

Come insegna il buon vecchio Dominic Toretto: la famiglia prima di tutto. Del resto si sa: la famiglia va protetta, a qualsiasi costo.
Questa volta, però, Vin Diesel ha dovuto inserire la retromarcia.
La star americana, inizialmente, aveva rassicurato i fan della fortunata saga Fast & Furious, garantendo loro l’uscita regolare del nono attesissimo capitolo.
L’attore aveva anche rimarcato l’importanza del cinema come fonte di svago e di leggerezza in un momento delicato ed incerto come questo.
Purtroppo per i fan del cinema rombo e motori così non è stato, anche l’uscita di Fast & Furious è stato rimandato al 2 aprile 2021.

A QUIET PLACE 2

Fonte: Ansa

La prima pellicola è stata una delle sorprese del 2018.
Un dramma familiare che rende la narrazione tesa ed estremamente coinvolgente, ambientato in uno scenario post-apocalittico ispirato, visivamente potente e soprattutto credibile.
Il sequel, che era previsto per Aprile 2020, è la naturale conseguenza di un successo acclamato.
A Quiet Place 2 slitta a data da destinarsi, ad annunciarlo è stato Krasinski regista-attore-sceneggiatore con attraverso il suo account Instagram: “Le persone sostengono che il nostro film vada visto tutti insieme in sala. Ebbene, a causa delle mutevoli circostanze di ciò che sta succedendo in questo momento intorno a noi, questo non è chiaramente il momento giusto per una cosa del genere. Anche se eravamo estremamente entusiasti di farvi vedere il film al più presto, aspetteremo a distribuirlo, in modo che tutti possiamo vederlo insieme”.

BLACK WIDOW

Fonte: SkyNews

Anche un colosso come la Disney ha dovuto deporre le armi davanti al nemico invisibile coronavirus.
Dopo aver resistito sino all’ultimo, anche Black Widow viene travolto da questo ineluttabile effetto domino.
Il cinecomic dedicato ad esplorare le “ombre” affascinanti di Vedova Nera, interpretata dalla magnifica Scarlett Johannson quest’anno candidata a due premi Oscar, era previsto nelle sale italiane per il 30 aprile, ma è stato spostato a data da destinarsi.
Dunque anche i fan dei fumetti Marvel dovranno arrendersi all’idea di pazientare per vedere in sala il primo adattamento cinematografico sulla Vedova Nera.

AVATAR

Fonte: TgCom24

La produzione dei tre attesissimi sequel di Avatar, le cui riprese erano in corso in Nuova Zelanda, è stata “rinviata fino a nuovo avviso”.
Il cast e la troupe della saga creata e diretta da James Cameron sono tornati a Los Angeles.
La previsione, sebbene molto ottimistica, è quella di tornare negli studi di Wellington entro la fine dell’anno.
Pare quindi che il coronavirus abbia messo in ginocchio anche i “giganti blu” di Pandora, chissà ancora per quanto tempo.

MATRIX 4

Fonte: Ciak!

Anche la quarta pellicola dell’ormai storico “The Matrix” ha dovuto chiudere i battenti della produzione.
Conclusesi le riprese in quel di San Francisco, il progetto si è letteralmente arenato a Berlino, dove l’intera troupe si trova bloccata.
Non è ancora stata comunicata una data di uscita nelle sale dell’ultimo entusiasmante atto che vede di nuovo insieme Keanu Reeves e Carrie-Anne Smith.
Un po’ di pazienza, Neo sta per tornare nel cyber-spazio.

THE BATMAN

Fonte: Movieplayer

Le riprese del nuovo lungometraggio sull’ultimissima versione del celebre uomo-pipistrello della DC, già fermatesi per due settimane, sono state ulteriormente arrestate per ovvi motivi di sicurezza.
Il regista Matt Reeves ha confermato sul suo profilo Twitter la proroga dello stop: “Ci siamo fermati finché non sarà sicuro per tutti noi riprendere le riprese. Tutti sono al sicuro per il momento, grazie per averlo chiesto, e state al sicuro anche voi”.
The Batman aveva attirato i riflettori di Hollywood su di sè, soprattutto per la presenza di Robert Pattinson, ritenuto perfetto persino dall’ex Batman Ben Affleck.

Ai cinefili è chiesta in questo momento un po’ di pazienza.

Tutto è stato sospeso, nulla cancellato Il prossimi mesi saranno pregni di buon cinema, abbiate fiducia.

Antonio Mulone

Mario Draghi e la sua lettera all’UE: il debito pubblico è l’unica strada

“Da un grande potere derivano grandi responsabilità” – Spider Man

Con una lettera inviata al Financial Times l’ex Presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi si è espresso sulla via finanziaria che dovrebbe seguire l’Europa, prefigurando le misure economiche che porterebbero all’uscita dal vortice coronavirus che rischia di devastare l’UE e – in particolare – la già fragile economia italiana.

Resa pubblica e gratuita dall’autorevole giornale economico-finanziario del Regno Unito, la lettera descrive l’inevitabilità della recessione che la pandemia mondiale provocherà. Una recessione che, però, secondo l’ex presidente non deve tramutarsi in una depressione prolungata.

Per vincere questa sfida di epocali dimensioni c’è un solo mezzo: l’aumento del debito pubblico.

Situazioni critiche hanno contraddistinto la vita dell’ex Presidente della BCE, che nel 2011 dovette gestire la più grande crisi finanziaria della storia dell’euro. Celebre la frase Whatever it takes, pronunciata in un discorso che passerà alla storia, per tranquillizzare gli investitori sulle misure che sarebbero state adottate dalla BCE per salvare l’euro e garantire la solidità finanziaria dell’Unione Europa.

‘’Tutto ciò che sia necessario’’ fu realmente messo in

atto, con iniezioni di capitale al ritmo di 60 miliardi di euro al mese che metteranno in risalto la figura di Mario Draghi sul panorama internazionale come 2colui che ha salvato l’euro”.La sua parola conta ancora moltissimo, ed ogni volta che la crisi internazionale chiama, “Supermario” risponde. Ed anche questa volta l’ha fatto con l’editoriale pubblicato su FT che – secondo molti – può già essere considerato un Manifesto della politica economica contemporanea. Una ricetta tra “lacrime e sudore”:

La perdita di reddito a cui va incontro il settore privato — e l’indebitamento necessario per colmare il divario — dovrà prima o poi essere assorbita, interamente o in parte, dal bilancio dello stato. Livelli molto più alti di debito pubblico diventeranno una caratteristica permanente delle nostre economie e dovranno essere accompagnati dalla cancellazione del debito privato.

La soluzione secondo Draghi, è chiara ed inequivocabile: l’indebitamento privato deve essere assorbito dal pubblico tramite debito governativo, ovvero ampliare i bilanci pubblici per proteggere i cittadini da uno shock economico irreversibile.

Draghi non si limita a spiegare cosa deve essere fatto, ma indica anche lo strumento imprescindibile per raggiungere lo scopo:

L’unica strada efficace per raggiungere ogni piega dell’economia è quella di mobilitare in ogni modo l’intero sistema finanziario…immediatamente, evitando le lungaggini burocratiche. Le banche, in particolare, raggiungono ogni angolo del sistema economico e sono in grado di creare denaro all’istante devono prestare rapidamente a costo zero alle aziende favorevoli a salvaguardare i posti di lavoro. E poiché in questo modo esse si trasformano in vettori degli interventi pubblici, il capitale necessario per portare a termine il loro compito sarà fornito dal governo, sotto forma di garanzie di stato su prestiti e scoperti aggiuntivi

Ricorrere quindi al settore finanziario per proteggere la capacità produttiva dei paesi, sfruttare i mercati obbligazionari per finanziare le imprese. Le banche dovrebbero prestare fondi a tasso zero alle imprese, per impedire che si perdano posti di lavoro e chiaramente tutto questo è possibile, soltanto con garanzie fornite dallo Stato. Questo significa: abbandonare l’obiettivo del deficitdifferenza tra entrate e uscite fiscali di uno stato, che in caso di valore negativo dà origine ad un disavanzo pubblico da finanziare con l’emissione di un nuovo debito pubblico –  pari al 2%, ma accettare valori pari all’8% o addirittura il 10% del Pil. Percentuali eccezionali, per una situazione eccezionale.

Un uomo che sembra nato per gestire le crisi, quelle economiche così come quelle umane.

La sua filosofia resta la stessa del 1962 – anno che cambiò la sua vita a causa della morte di suo padre: “Ricordo che a sedici anni, dopo una vacanza al mare con un amico, lui tornò a casa e poteva fare quello che voleva, io invece trovai ad aspettarmi un cumulo di corrispondenza da sbrigare e di bollette da pagare. Ma i giovani non pensano a quello che gli succede e a come reagirvi. Reagiscono e basta. È molto importante, salva dalla depressione anche in situazioni difficili”, dichiarava in un’intervista del 2015 a Repubblica.

Toccare il fondo ma reagire, dunque. Come ne usciremo, è presto ancora per dirlo. Niente e nessuno, però, può impedirci di sperare che a condurre il periodo post Covid-19 ci sia lui, Supermario Draghi.

Marco Bavastrelli