Seminario “Emergenza COVID19: impatto sanitario e risvolti economici e sociali della pandemia”

Le Associazioni Figli d’Ippocrate, clAud e Orione con il patrocinio dell’Ateneo organizzano un Seminario che si terrà oggi, giorno 11 Maggio dalle ore 16:00 alle 18:30 sul tema “Emergenza covid19: impatto sanitario e risvolti ecomici e sociali della pandemia”. I lavori saranno  moderati dal Prorettore Vicario Prof. Giovanni Moschella.

Interverranno il Prof. Giuseppe Nunnari – Risvolti sanitari della pandemia nel breve e nel medio termine: possibili prospettive terapeutiche; il  Prof. Antonio Versace – Organizzazione e gestione del Covid Center di un Policlinico Universitario; la Prof.ssa Maria Caruso – Ruolo del personale sanitario e risvolti assistenziali nella gestione della pandemia;  il  Prof. Giacomo Oteri – Odontoiatria e Covid-19: precauzioni da adottare e protocolli di prevenzione dell’infezione; la  Prof.ssa Giovanna Spatari – Gestione degli ambienti di lavoro: le nuove “regole”; la Prof.ssa Maria Quattropani – Risvolti psicologici della pandemia; la Prof.ssa Domenica FarinellaRisvolti sociologici della pandemia nel breve e nel medio termine; il Prof. Gustavo BarresiRisvolti economici della pandemia: il controllo manageriale e le sue  indicazioni. La Relazione conclusiva sarà a cura del Rettore Prof. Salvatore Cuzzocrea.

Il Webinar verrà trasmesso in diretta streaming  sulla pagina Facebook Università degli Studi di Messina: https://m.facebook.com/messinauniversity/

Sarà possibile porre delle domande ai Relatori. Verranno riconosciuti a tutti gli studenti Unime 0,25 CFU per la partecipazione all’evento.

Per il riconoscimento cfu sarà necessario seguire la procedura tramite questi link.
La registrazione in entrata si può effettuare dalle ore 15:30 alle ore 16:30 dello stesso giorno.
La registrazione in uscita si può effettuare entro e non oltre 30 minuti dopo la fine del seminario.

LINK REGISTRAZIONE IN ENTRATA:
https://forms.microsoft.com/FormsPro/Pages/ResponsePage.aspx?id=RZ1nhEaDI06MhKcwTtunfy2dwi6xppBCsT1TNHciyrNUOUVPOUxBMU0yUE1SNldBRFRHQTdUVDlRSi4u

LINK REGISTRAZIONE IN USCITA:
https://forms.microsoft.com/FormsPro/Pages/ResponsePage.aspx?id=RZ1nhEaDI06MhKcwTtunfy2dwi6xppBCsT1TNHciyrNUMjY5NDNUQUhLNlc1MlBGM1FEMjhGTlZPWC4u

Per maggiori informazioni contattateci via mail:
AssociazioniunimeFCO@gmail.com

O tramite i canali social:
– Figli d’Ippocrate;
– Claud-Associazione;
– Associazione universitaria Orione.

Plasma iperimmune vs vaccino: tra scienza e complottismo

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Roberto Palazzolo, studente del VI di Medicina e Chirurgia presso l’Università di Messina, circa la differenza tra la terapia con plasma di soggetti guariti da Covid-19 ed il vaccino.

Negli ultimi giorni ha avuto molto risalto mediatico la notizia sul “Plasma iperimmune” per curare i malati di Covid19. La trasfusione di plasma non è una terapia nuova: viene utilizzata a esempio nelle ustioni, negli stati di shock emodinamico per sopperire alla mancanza di: liquidi, proteine importanti per la pressione oncotica del sangue come l’albumina, sali minerali.

È pure noto che tra le proteine del plasma vi siano gli anticorpi, molecole prodotte dai linfociti B che servono a contrastare gli agenti patogeni (virus, batteri, funghi, protozoi) con cui siamo già stati in contatto in una precedente infezione, per cui si è pensato che questi anticorpi potessero avere un ruolo importante nel trattamento dei malati di Covid19.
Diversi pazienti hanno già usufruito di questa terapia sperimentale a base di plasma donato dai soggetti guariti dall’infezione, con buoni risultati. [1]

La domanda sorge spontanea: è stata trovata la cura al Covid19? La risposta ahimè è assai complessa, ecco perché.

Purtroppo, per il trattamento di una sola persona, ci vogliono circa 2 sacche di plasma, ovvero da 3 a 6 donazioni (per ottenere una sacca di plasma valida sono necessari dai 2 ai 3 donatori). [2]
Ora, una persona può donare solamente una volta ogni 30 giorni il plasma [3], per curare un singolo malato ci vogliono 3 guariti che donano.

Punto primo: si può obbligare la gente a donare? No, è vietato dalla legge, non si può obbligare nessuno a donare o in generale a ricevere trattamenti medici contro la propria volontà. [4]

Punto secondo: attualmente ci sono circa 96.000 contagiati, supponendo che solo 1000 siano in terapia intensiva, significa che ci vorrebbero circa 1500-2000 sacche, ovvero 3.000-6000 guariti che donino, che poi per i successivi 30 giorni non potrebbero donare. [5]

Punto terzo: la cura col plasma inoltre potrebbe non garantire l’immunità futura, visto che si usano anticorpi di altre persone ed il proprio sistema immunitario non viene stimolato a produrre i propri (un esempio lo abbiamo tra la vaccinazione antitetanica ed il siero antitetano [6]).
In parole povere: si potrebbe guarire, ma ci si potrebbe riammalare poco dopo.

Punto quarto: è necessaria la compatibilità tra i gruppi sanguigni, cosa che riduce il numero di donatori per i pazienti con gruppi sanguigni meno rappresentati nella popolazione [7], i macchinari e la procedura per purificare il plasma costano tanto, la plasmaferesi (procedura che serve a separare il plasma dal resto del sangue) dura parecchio, ci sono pochi macchinari per fare un’operazione del genere su vasta scala. [8]

Punto quinto: le malattie. Ricevere plasma significa ricevere una trasfusione di sangue, con tutti i rischi che ne conseguono: se ad esempio si fosse in fase di latenza da HIV [9], non c’è modo di sapere se il proprio sangue è infetto, questo comporterebbe che chi ricevesse il plasma di un infetto da HIV in fase di latenza, diventerebbe sieropositivo, dovendo curarsi a vita. Per cui, vista la mole di plasma che sarebbe richiesto se esso fosse l’unica cura al Covid19, non potrebbe essere garantito il periodo finestra di 4 mesi (intervallo dall’ultimo rapporto sessuale non protetto ndr) utile ad evidenziare se un donatore è sieropositivo o meno. [9]

Questi sono i principali motivi che mi vengono in mente per dire che sì, la terapia con plasma è utile per i malati gravi di Covid19, tuttavia essa non può essere utilizzata come cura per un elevato numero di persone, mentre l’utilizzo di un vaccino sarebbe più idoneo nella prevenzione dell’infezione da Covid19.

Come funziona un vaccino?

Con il vaccino si usano parti del virus, chiamate epitopi, per sviluppare anticorpi propri. Iniettato l’epitopo del virus, con sostanze adiuvanti (sostanze che servono a scatenare una risposta immunitaria più potente, per coinvolgere un maggior numero di Linfociti) si attiverà nell’organismo un sistema di allarme (PAMP), il quale a sua volta recluterà le cellule immunitarie (cellule di Langherans, Linfociti T e B) con il fine ultimo di produrre protezione immunitaria duratura.                                                                                          Infatti, se quella stessa parte di virus venisse di nuovo a contatto con il nostro organismo, si risveglierebbero le cellule B della memoria, create grazie al vaccino, che in poco tempo comincerebbero a produrre anticorpi andando a contrastare il virus velocemente ed efficacemente.  [Abbas – Immunologia] 

Meglio il plasma o il vaccino?

Una volta trovata la giusta sequenza di epitopi (costituiti da sequenze di amminoacidi, come un codice), accertata la non pericolosità del vaccino (attraverso le sperimentazioni dapprima laboratoristiche, poi animali, infine umane), produrlo non costerebbe che pochi euro a dose, potendo garantire una protezione anticorpale a tutta la popolazione (cosa impossibile da fare col plasma, visto che per proteggere l’Italia, 60 milioni di abitanti, ci vorrebbero 180 milioni di donatori, e peraltro non sarebbe una protezione duratura). Gli anticorpi dati dal vaccino invece, durerebbero 1-2 anni [10], garantendo la protezione a tutti e senza rischi ed i costi legati alle trasfusioni.

I rischi del vaccino?


Una reazione allergica (curabile con antistaminico e cortisone) o in rarissimi casi (probabilmente 1/100.000 o più) reazioni crociate immunitarie tali da avere qualche caso di reazioni autoimmuni (curabili anch’esse col cortisone o immunomodulanti). [11]

Appare evidente che il confronto tra i due sia a netto favore del vaccino, per cui prima di gridare al complotto, che sostiene che la cura con il plasma venga nascosta per favorire la creazione di un vaccino da parte delle case farmaceutiche, come ahimè si può notare negli ultimi giorni sui social media, sarebbe meglio informarsi. Tutte le testate giornalistiche hanno infatti riportato l’efficacia della cura sperimentale con il plasma, non ci sarebbe alcun motivo per nasconderlo al mondo intero (né sarebbe possibile). Piuttosto, come spiegato sopra, è inverosimile che la cura al plasma possa essere risolutiva nel contesto di una pandemia globale.

Porgo ai lettori una riflessione: la scienza richiede anni e anni di studio, un video su internet pochi minuti, più facile quindi affidarsi al secondo. Quindi attenzione: quando la soluzione appare ovvia e immediata, probabilmente è falsa e frutto di chi ci vuol lucrare o vuole prendervi in giro!

06/05/2020

Roberto Palazzolo

[1] https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/32281317 

[2] https://www.ilpost.it/2020/05/01/plasma-convalescenti-covid-19-coronavirus-italia/ e http://www.simti.it/donazione.aspx?id=1  

[3] https://www.avis.it/donazione/i-tipi-di-donazione/ 

[4] http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/17/DDLMESS/0/1062643/index.html?part=ddlmess_ddlmess1-articolato_articolato1&spart=si&parse=si 

[5] http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?area=nuovoCoronavirus&id=5351&lingua=italiano&menu=vuoto 

[6] https://medicinaonline.co/2018/03/03/differenza-tra-vaccino-ed-immunoglobuline/ 

[7] https://www.avis.it/wp-content/uploads/userfiles/file/News/febbraio%202013/Girelli.pdf 

[8] http://www.gestionerischio.asl3.liguria.it/pdf/sole%2024%20ore%20Regione%20Veneto%20tutti%20i%20costi%20delle%20trasfusioni.pdf 

[9] https://www.paginemediche.it/medicina-e-prevenzione/disturbi-e-malattie/aids 

https://avisemiliaromagna.it/2015/03/01/sessualita-e-donazione/ 

[10] https://time.com/5810454/coronavirus-immunity-reinfection/ 

[11] https://www.epicentro.iss.it/vaccini/ReazioniAvverse 

La storia di Anna: da studentessa Unime in Erasmus a volontaria in prima linea nella lotta al Covid19 a Bruxelles

Anna Maria Monachino è una studentessa Unime di Medicina e Chirurgia.

Lo scorso ottobre ha iniziato la sua esperienza Erasmus a Bruxelles, in Belgio, e cinque mesi più tardi l’emergenza Coronavirus capovolge la sua quotidianità. Lì, su iniziativa degli studenti vengono organizzate, nell’ospedale in cui faceva tirocinio, delle attività di volontariato in prima linea.

Per noi di UniVersoMe, Anna ha deciso di raccontarsi, condividendo la sua esperienza e rispondendo alle nostre domande.

La tua è una storia di coraggio, da cui tutti noi possiamo apprendere qualcosa. Decidere di lavorare in prima linea sarà stata una scelta difficile e non sarà mancata la paura.

Non sono un’eroina, sono solo una studentessa di Medicina che ha sentito una possibilità di formazione in questa attività di volontariato. Rimanendo a casa, in quarantena, avrei fatto sicuramente del bene ma nel mio caso, potevo dare effettivamente una mano. Non ho considerato l’adesione alle attività come un’opzione.La paura c’era. Ogni giorno mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta. I miei dubbi riguardavano l’ovvia preoccupazione dei miei cari sapendo che ero esposta. La paura per me stessa c’era, ma non eccessiva. Ero tranquilla perchè ci hanno assicurato delle ottime protezioni, al pari di medici e infermieri.

Questo riguarda anche la professionalità di chi è medico, o lo vuole diventare: aiutare gli altri è sentito come un dovere e si ha più coraggio ad esporsi in prima persona.

Sono d’accordo. Naturalmente il rischio deve essere preso sempre con intelligenza, perchè essere un buon professionista non significa vivere da temerario. Essere un buon professionista significa aiutare gli altri e per farlo bisogna prima tutelare se stessi. Non bisogna considerarli eroi.

Ecco, tutti danno l’appellativo di eroi ai medici e al personale sanitario. Tu cosa ne pensi?

Ci ho riflettuto molto e la mia è un’opinione personale. Sotto determinati punti di vista a me ha dato un po’ fastidio, perchè in Italia si è scoperto solo adesso che medici e infermieri fanno bene il loro lavoro. Mentre in precedenza, come molte notizie di cronaca hanno riportato, il sistema sanitario è stato attaccato con aggressioni ai pronti soccorso, maltrattamento del personale a tagli alla sanità. Non vorrei che, presi dell’emozione di questo periodo, li chiamino eroi e poi finito tutto si torna ai brutti vizi di prima.

Torniamo indietro. Ad ottobre è iniziata la tua esperienza Erasmus: come mai hai deciso di partire?

Riguarda la mia formazione: ho frequentato un Liceo Europeo e sono sempre stata educata nell’ottica internazionale. L’Erasmus era un’occasione che non potevo perdermi. Avere la possibilità di conoscere realtà diverse dalla mia ha dato la possibilità di apprezzare un po’ di più quello che ho a casa e di arricchirmi come persona e come studentessa.

Il Belgio è entrato in quarantena nella seconda metà di marzo. Come si è aggravata la situazione lì? E soprattutto, com’è stata la percezione del pericolo?

In termini statistici il Belgio risulta essere uno dei paesi con il rapporto più alto nella relazione di vittime sul totale degli abitanti.

Sciensano is the leading scientific institution in the epidemiology of infectious diseases. 

La percezione del pericolo non è mai stata come in Italia. Noi ragazzi italiani abbiamo visto come si sviluppava l’emergenza in Italia mentre qui non veniva preso alcun tipo di provvedimento. Ci sembrava quasi che la stessero prendendo sottogamba, poi fortunatamente il governo ha preso precauzioni simili al nostro paese.

A proposito di oggi, del presente. In Italia stiamo per entrare nella fase 2 e i contagi sembrano essersi stabilizzati. Qual è la situazione attuale in Belgio?

Anche qui, il 4 maggio, inizierà una fase 2. Riapriranno i negozi e la gente potrà muoversi più liberamente. Si pensava che il Belgio prolungasse la quarantena almeno fino all’11 maggio, come la Francia. Questa decisione è motivata dal fatto che qui hanno una possibilità più elevata di posti in terapia intensiva. Credo siano più fiduciosi perchè non sono arrivati mai ad averli tutti occupati.

Parlando della tua esperienza: di cosa ti sei occupata durante l’attività di volontariato?

Mi sono occupata di accogliere i pazienti al pronto soccorso e qualche volta ho fatto ECG a pazienti in unità Covid. C’era anche una parte amministrativa: dovevamo raccogliere i dati dei pazienti positivi da una parte e comunicare i risultati negativi dei tamponi ai soggetti che avevano effettuato il test. L’attività vera e propria è stata quella del triage in tenda (lavoravamo all’aperto) : dovevamo somministrare un questionario ai soggetti sospetti Covid e decidere se mandarli a casa o farli proseguire con altri esami.

Sono compiti di forte e seria responsabilità. Lo potremmo definire un battesimo del fuoco. Trovarsi in una situazione simile quando si è ancora alle prime armi deve essere sconvolgente. Come pensi abbia influito sulla tua carriera e formazione di medico?

Sì, è stato un battesimo del fuoco ma sono felice di averlo fatto. Anche se voglio specializzarmi in altro, è stata un’esperienza che mi porterò dietro per sempre, mi ha arricchito molto.

C’è qualcosa che ti ha colpita? Qualche incontro particolare?

Sì, al triage mi è capitato di incontrare tantissime persone. Ricordo di una bambina dolcissima che aveva un taglio in testa ma che fortunatamente era ancora vigile. E poi l’incontro di una signora, che era lì per un ascesso. Avevo visto un ematoma sotto il suo occhio e un taglio in fronte. Le ho chiesto cosa le fosse accaduto ed ha ammesso di essere stata picchiata dal marito. Non mi era mai capitato di avere direttamente a che fare con una vittima di violenza. È stato emotivamente forte.Quello che mi rimane è sicuramente l’esperienza umana, prima di qualsiasi vantaggio formativo.

Sempre a proposito dei compiti delicati che ti hanno affidato: coinvolgervi è stato qualcosa dettato dell’emergenza o è un approccio belga?

Credo sia la mentalità belga, quella di coinvolgere chi è alle prime armi. Quando facevo tirocinio, prima del Coronavirus, in reparto chiarivano subito quale fosse il mio lavoro. Sono abituati ad avere tirocinanti. Questo è uno degli aspetti più belli dell’Erasmus: ho capito che qui tengono molto alla nostra formazione pratica.

Cosa hai provato stando a contatto con i malati?

La parte più difficile era dire ai cari di dover lasciare il paziente lì e non poter rimanere con lui.

La tua attività di volontariato sta per terminare. Cosa farai d’ora in poi?

Mi aspetta una quarantena di studio per sostenere gli esami! E poi, quando tornerò in Italia, ne dovrò fare sicuramente un’altra. 

La mia strada è ancora lunga.

L’esperienza di chi è stato in prima linea è preziosissima. Noi stiamo vivendo l’emergenza da dietro lo schermo del televisore. Cosa ti senti di dire, agli studenti Unime, da giovane a giovani?

La calma è la virtù dei forti, dice il detto. Non dobbiamo sottovalutare l’emergenza, anche se siamo giovani. La cosa migliore da fare è rimanere a casa, del resto siamo abituati a quarantene di studio.L’atto d’amore più grande che possiamo fare per i nostri nonni è limitarci a far loro una telefonata.

Ricordiamoci anche che essere giovani non significa essere immuni.

Noi di UniVersoMe ringraziamo Anna per essersi prestata a raccontare la sua storia e anche per quello che ha fatto in Belgio. Il suo contributo lì, in spirito europeo, ha un grande valore per tutti noi: è bella la storia di una ragazza italiana che ha aiutato gli abitanti di un paese, nostro fratello europeo.

Angela Cucinotta

“Un drive-in alla cittadella universitaria”. La proposta dell’Associazione Chirone

Dopo il 4 maggio, in Italia si ricomincerà (un pezzo alla volta) a tornare alla “normalità”. Il regime di distanziamento sociale tuttavia, resta l’unica soluzione utilizzabile per essere certi di non mettere a repentaglio la salute pubblica. In questa direzione si staglia la proposta presentata dall’Associazione studentesca Chirone, che suona un po’ come ritorno al passato: realizzare un drive-in alla cittadella universitaria. Il campus di zona Annunziata pensato come luogo di incontro “sicuro”, dove organizzare una rassegna all’aperto negli ampi spazi del parcheggio del Cus Unime.

Chiediamo che – si legge nella richiesta protocollata – una volta che l’avvio della cosiddetta “Fase Due” sia considerato rodato e la suddetta ampiamente sperimentata, si possa allestire nei parcheggi del plesso sportivo universitario un cinema all’aperto,  fruibile attraverso i propri mezzi di trasporto, rispettando le misure di distanziamento sociale e di contenimento dei contagi, previste dalle normative vigenti. 

L’evento, pensato come un ciclo di incontri in cui proiettare una serie pellicola relativa ad un tema attuale, ha visto da subito la collaborazione dei destinatari della proposta, che in questi giorni si riuniranno per deliberare, come affermato dal Presidente dell’associazione Giuseppe Mangiapane: «La nostra idea nasce dalla volontà di ripartire promuovendo delle occasioni di vita in comune, nel pieno rispetto delle norme previste dal distanziamento sociale. Da qui l’idea di un drive-in, ovverosia l’allestimento di un cinema all’aperto, da realizzare all’interno della cittadella universitaria, dove ognuno potrà recarsi con la propria auto e seguire il film rimanendo all’interno della propria vettura. Abbiamo così proposto la nostra idea all’amministrazione universitaria ed ai vertici del CUS».  

«Considerata la funzione sociale che ha assunto l’Ateneo durante questa fase emergianziale – ha detto Ludovico Irrera, rappresentante allo C.S.A.S.U. – abbiamo ritenuto opportuno presentare questa proposta. Siamo convinti che si debba ripartire dalla cultura e quale miglior posto dell’università per farlo». All’interno della proposta, viene inoltre chiesto di tenere in considerazione la possibilità di prevedere un riconoscimento di CFU ai partecipanti. 

 

Italiani brava gente, italiani dal cuore d’oro

Così recita la prima strofa de “Il Secondo Secondo Me”, canzone del noto rapper pugliese Caparezza. Il cantante ha sempre raccontato le contraddizioni dell’Italia, talvolta in modo originale, talvolta con qualche luogo comune in più, non per forza così inverosimile.

Ma sapete quando si nota la vera natura e “cultura” di un popolo?

Durante un’emergenza. Sembrerà paradossale, con la paura che incalza e mette sotto scacco la ragione. Ma di fatto, quello che sta accadendo oggi ci dice molto su chi siamo.

Confesso di aver modificato più e più volte questo editoriale: di certo gli eventi si sono susseguiti con tale rapidità da lasciare indietro riflessioni e impressioni. Talvolta – perché no – anche facendole mutare. Nessun dubbio invece sull’argomento: in questi giorni di (stra)ordinaria follia, i pensieri della gran parte dei cittadini italiani – e ormai anche del mondo intero – sono letteralmente soggiogati dagli sviluppi dell’epidemia di COVID-19. Nonostante cerchi costantemente di distrarmi da quanto accade, farlo è semplicemente impossibile. E allora fioccano le conversazioni, che sempre più assumono toni accesi: tra lo scientifico, il politico e la vox populi, sembriamo non venirne più a capo.

La Grande Bellezza, Paolo Sorrentino – Fonte: Ciackclub

Ma sapete cosa salta all’occhio in questo miscuglio di parole e opinioni?

L’essere rimasti – sempre e comunque, in ogni fase dell’epidemia – italiani.

Dal politico che contrae il virus dopo lo slogan “l’Italia non si ferma”, quando a volte fermarsi non sarebbe poi così assurdo; all’altro politico, che decide di mettere una mascherina per fare un comunicato “horror” trasmesso a tutta la cittadinanza. Fino ad arrivare al prete in diretta su Rai1 che, in uno studio vuoto, ribadisce che continuerà a celebrare la messa, poco dopo il primo DPCM.

Per passare ai “profughi” (veramente?) che fuggono da una minaccia nel momento stesso in cui la amplificano. A chiudere questa fila di personaggi italici, troviamo virologi e infettivologi: chiunque ha sentito la necessità di dire la sua, poco importa se in presenza/assenza di presupposti scientifici solidi e se avrebbero potuto attenderli, magari – assurdità – coordinandosi.

Immancabili poi gli opinionisti, carriera che – quanto pare – ognuno di noi vorrebbe intraprendere e che ancora oggi continuano ad essere invitati nei programmi televisivi, pur in assenza di qualsivoglia competenza a riguardo (vedi caso Sgarbi).

Ecco la perfetta ricetta del caos: se poi una bozza di un decreto, che dovrebbe favorire il contenimento dell’epidemia, vien fatta trapelare prima che entri in vigore, non sappiamo più veramente a chi appellarci. Non di certo ai giornali, dai titoli spesso allarmanti (vicenda che avrà un approfondimento legale) che hanno imprudentemente divulgato bozze di decreti prima che entrassero in vigore.

Così, in questa baraonda generale, ecco la voce unica: il premier Conte è entrato (ben 2 volte ad oggi) nelle case degli italiani, attraverso l’ormai costantemente accesa televisione, cambiando i paradigmi della nostra quotidianità.

Tra i più interpellati gli addetti ai lavori del mondo calcistico. Jurgen Klopp, allenatore del Liverpool, risponde così ad un intervista. – Fonte: Rompipallone.it

Ma cosa accomuna gli atteggiamenti passati in rassegna?

Modesto parere, ma del resto per questo esistono gli editoriali: l’egoismo.
Il comportamento di un popolo che non riesce a vedere ad oltre un metro di distanza – quello che ci chiedono di rispettare – dal proprio naso.
Un popolo che ha fatto della lungimiranza un difetto e della furbizia un vanto.
Ci è voluto un po’ affinché tutta la penisola diventasse “zona protetta”. Riusciremo finalmente a rispettare le regole? Ancora si vede qualche strada un po’ più affollata, qualcuno che non sembra aver compreso la situazione.

Ma andiamo per ordine: è giusto fare di tutta l’erba un fascio? Mai.
Di fronte a tali fenomeni, però, un filo comune dovrà pur esserci.

Ho sempre visto l’Italia come affetta da una semplice patologia oculistica che tutti conosciamo: la miopia, vedere male le cose lontane. Ma probabilmente esiste un termine che – da messinese – non posso ignorare in questo contesto: sautino, ovvero “saltafossi” o ancora opportunista, approfittatore. Breve timeline: persone che escono dalla zona rossa per andare a sciare, discoteche (quando ancora non erano chiuse al sud) assaltate da persone provenienti da qualsiasi regione come se niente fosse. Ancora oggi assistiamo a casi paradossali, al limite del grottesco, ma sempre più isolati ormai (si spera).

Un problema ci sarà; ed è un problema culturale. Semplicemente non ce la facciamo.
Non ce la facciamo a riqualificare fabbriche “tossiche” e gli operai che vi lavorano per mantenersi, preferiamo la chiusura e la cassa integrazione. Non riusciamo a renderci conto che, anche in tempi di pace, c’è qualcosa che non va nel sistema sanitario nazionale: preferiamo richiamare i medici in pensione, aumentare i posti al test di ingresso (?) piuttosto che aumentare le borse di specializzazione.
E così via, tra istruzione, infrastrutture e trasporti.

Il tamponare – ironia della sorte – è quello che facciamo quasi sempre. La soluzione migliore è la più rapida e la meno costosa in termini di risorse.
Poco importa se possiamo stare a casa evitando di mettere in difficoltà il sistema nazionale e i più deboli: lo fanno tutti? E io no, sono mica scemo? Assaltiamo il treno, svuotiamo il supermercato.

Harry Potter e Il calice di fuoco – Fonte: la Scimmia pensa, la Scimmia fa

Cronache di un popolo poco abituato al rispetto delle regole: regole che – necessariamente – si sono fatte sempre più ferree. Nonostante ciò, noi abbiamo sempre qualcosa da dire a riguardo, un’opinione senza basi, una scappatoia per fare quello che ci pare.

Insomma, non riusciamo a vedere oltre il nostro bisogno immediato, oltre la foga del momento. Sacrificarsi nel presente per avere un risultato nel futuro non è contemplato. Il “lungo termine” resta un miraggio per pochi e realtà di nessuno.

Mi potreste dire: e allora la Francia del “pufferemo il virus”, la Spagna delle migliaia di tifosi fuori dagli stadi a porte chiuse? L’Inghilterra, che non sembra aver capito con cosa ha a che fare ancora, né forse lo capirà, dichiarazioni istituzionali alla mano. Ma, del resto, “inglesi professori che non imparano altra lingua […] inglesi guideranno sempre dal lato sbagliato” ci dice il brano citato in apertura.

Versioni moderne di “e allora il PD?Guardiamo in casa nostra, per una volta facendo autocritica.
Ma eventi che pongo l’accento su una questione di più ampio respiro, sui meccanismi del pensiero occidentale. La minaccia, da locale e lontana, è diventata vicina e reale, pochi giorni fa mondiale.

Nel nostro Paese le misure sono arrivate, seppur con una progressività, menzionata dallo stesso Premier, che qualche intoppo e incomprensione ha generato. Soprattutto per la percezione del rischio: anche gli altri paesi correranno agli stessi rimedi. È inevitabile. Così come, altrettanto inevitabile è sembrata la nostra scarsissima capacità di accettare alcune limitazioni alle nostre libertà personali, nonostante il modello cinese qualcosa su come porre fine a questa epidemia dovrà pur averci insegnato.

Forse chi ricopriva un ruolo istituzionale è stato un po’ indeciso, qualcun altro – che magari non lo ricopriva – ci ha buttato un po’ fumo negli occhi. Forse. Oppure, anche dinnanzi a un’emergenza di tali proporzioni, ci è sembrato impensabile rinunciare ad alcune cose “essenziali”.

Ma, come abbiamo detto, mai fare di tutta l’erba un fascio. C’è anche l’Italia che rispetta, lotta e resiste. Resiste alla fatica – penso a tutti gli operatori sanitari e alle forze dell’ordine – e resiste alle “tentazioni” aizzate dal prolungato soggiorni in casa.

L’ormai celebre scatto di Alessia Bonari, infermiera all’ospedale di Grosseto – Fonte: la Repubblica

Riusciremo anche a costruire, evento impensabile nell’ordinario, un intero reparto di terapia intensiva in tempo record, sulle orme della Cina. Eppure da sempre, ciò che è made in China è considerato falso, di scarso valore.
La cultura cinese, bistrattata dai più, ha permesso al popolo di risollevarsi: la forza d’animo e i provvedimenti governativi categorici, ma soprattutto rispettati dalla cittadinanza, stanno dando i loro frutti. Tutti hanno percepito il rischio e si sono semplicemente adattati. La Cina ne sta uscendo ed ora ci offre persino il suo aiuto.
Ma forse, questa analisi è solo parziale: probabilmente l’habitus occidentale mal si adatta alle restrizioni necessarie in questi casi.
Sicuramente, un popolo come quello cinese, già abituato a un regime governativo profondamente diverso, ha più abnegazione di noi. E sicuramente le misure imposte sono state molto più dure e tempestive nel paese orientale.

Fonte: pagina facebook Giuseppe Conte

 

Tuttavia, oltre tutte le considerazioni socio-culturali e politiche, la parola chiave rimane adattarsi. Avere una corretta percezione del rischio e conoscere delle misure da attuare: una presa di coscienza, personale e collettiva.

Piccolo inciso sul medico cinese che aveva per primo dato l’allarme: non so come si siano effettivamente svolti i fatti e il flusso informativo dalla Cina non è mai stato dei più trasparenti, per usare un eufemismo. Non voglio fare confronti affrettati o tessere lodi grossolane di due popoli dalle culture così differenti: le lacune sono intrinseche all’essere umano, per un verso o un per un altro.

Ma sinceramente, in questo momento difficile, spero che l’Italia abbia una forza made in China.

Emanuele Chiara