Calabria rossa ma non per contagi. L’assurda vicenda da Cotticelli a Zuccatelli

Il commissario che non sapeva di essere commissario

Il Commissario alla Sanità non sapeva di essere l’incaricato a fare un “Piano Covid” non conosceva il numero dei posti letto di terapia intensiva della regione a lui affidata, finché non l’ho appreso dall’usciere. Stiamo parlando della triste vicenda di cui protagonisti sono la Calabria e il Commissario alla Sanità, Saverio Cotticelli.

Calabria zona rossa. L’inizio della vicenda

Tutto è iniziato con la firma del Dpcm del 3 novembre con il quale si è decretata la divisione dell’Italia in regioni gialle, arancioni e rosse, secondo 21 parametri e l’indice Rt. Tra quest’ultime proprio la Calabria insieme a Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta. Tutte regioni con un elevato numero di contagi, men che la Calabria, che all’inizio di novembre si ritrovava con 200 contagiati circa.

La motivazione è stata ritrovata nella mancanza di posti letto nelle terapie intensive, rischiosissima nell’eventualità di un incremento vertiginoso dei malati, e della generale inadeguatezza dell’intera macchina sanitaria. Il numero di contagiati in proporzione alla popolazione complessiva di 2 milioni, era e continua ad essere bassa. Poco prima dello scoppio della pandemia erano 107 i posti letto nelle terapie intensive, diventati poi 161, di cui solo 57 dedicati ai malati di coronavirus.

Con il Decreto Rilancio di maggio, il Governo aveva predisposto nuove risorse per tutte le regioni, in modo che riorganizzassero i sistemi sanitari, tra cui l’implemento dei posti letto, fino a che fossero circa 0,14 ogni mille abitanti ovunque nella Penisola.

Alla Calabria, per questo, sono stati riservati circa 65 milioni di euro affinché divenissero 280, in vista dell’autunno, mai usati.

L’intervista delle rivelazioni

La strana situazione, che qualche giorno fa ha iniziato a destare un malcontento generale tra i Calabresi, è arrivata all’attenzione dell’intero Paese a causa di unintervista televisiva. Il giornalista Walter Molino della trasmissione di Rai Tre “Titolo Quinto”, dopo . Subito dopo la rabbia e le dure parole del premier Conte:

“Cotticelli va sostituito con effetto immediato perché i calabresi meritano subito un nuovo commissario pienamente capace di affrontare la complessa e impegnativa sfida della sanità.“.

Cotticelli durante l’intervista (fonte: ilVibonese.it)

Un’imbarazzante escalation di risposte assurde da parte di Cotticelli.

Campano, 69 anni, generale dei Carabinieri in pensione, è stato nominato il 7 dicembre 2018, dall’allora ministro dell’Economia Tria, la ministra della Salute, Grillo, e la ministra degli Affari Regionali, Stefani, poi confermato da Conte il 19 luglio 2019. Una lunga carriera nell’Arma, che lo ha visto ricoprire anche incarichi di rilievo, non solo in Campania; dieci anni fa l’onorificenza di Commendatore, Ordine al Merito della Repubblica Italiana e nel 2012 la Presidenza del Cocer interforze. Un uomo con grande esperienza, che è finito nel ciclone di una polemica di proporzioni enormi.

Solo con le domande del giornalista di Rai Tre, Cotticelli ha appreso di esser stato designato responsabile della redazione del Piano Covid per la Calabria, dunque non la Regione. Sebbene questo sarebbe bastato a delineare una brutta figura – anzi una tragedia di cui le vittime sono i calabresi – la sua seconda gaffe è stata quella di capire, pochi momenti dopo, di aver anche organizzato e presentato un piano al Governo, da cui giungono le conferme sulle date: il potenziamento della rete ospedaliera fu predisposto dallo stessa struttura commissariale il 18 giugno scorso e integrato il 3 luglio, poi addirittura approvato dal Ministero della Salute il 16 luglio e inviato al commissario straordinario nazionale per l’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri.

Il problema è che tutto ciò è rimasto sulla carta e non è diventato realtà, entro il termine del 3 novembre.

Le dichiarazioni shock

Cotticelli dà la sua versione da Giletti (fonte: ecodellojonio.it)

Subito dopo le dimissioni, Cotticelli ha anche giocato d’anticipo rispetto le mosse di Montecitorio. La vicenda, però, ha continuato a riservare colpi di scena ai limiti dell’assurdo: l’ormai ex Commisario alla Sanità calabrese ha detto di aver rivisto le immagini di quell’intervista e di non essersi riconosciuto.

Infatti, domenica sera, invitato nella trasmissione “Non è l’Arena” di Massimo Giletti ha dichiarato di aver trovato di pensare di esser stato addirittura drogato:

“Sto ricostruendo quello che è accaduto il giorno dell’intervista, è tutto molto strano. Gli orari, le modalità… non torna nulla.”

Cotticelli sospetta, dunque, di esser stato vittima di un boicottaggio e di esser stato reso capro espiatorio di una vicenda in cui c’entrerebbero “forze” esterne.

La versione di Cotticelli (fonte: liberoquotidiano.it)

Un nuovo Commissario alla Sanità, ma si scopre che è stato un no mask

Poco dopo revoca del suo mandato è stato nominato un nuovo commissario. Una notizia che ha generato del sollievo, durato, però pochissimo, prima dell’ennesima svolta verso l’assurdo. Giuseppe Zuccatelli, il nuovo commissario, si è scoperto esser stato scelto più per una logica di vicinanza politica. Infatti, quest’ultimo è in buoni rapporti con il ministro della Salute, Roberto Speranza.

Ciò che ha, però, sconvolto nuovamente i calabresi è stato venire a conoscenza di una dichiarazione, di cui vi è anche un video, fatta lo scorso maggio, che ha dipinto il nuovo commissario come un no mask:

“ti becchi il virus solo se ficchi la lingua in bocca ad uno per 15 minuti. La mascherina non serve a un c***o”.

Il nuovo Commissario Zuccatelli (fonte: zoom24.it)

Speriamo che, come dichiarato dallo stesso Zuccatelli, questo sia stato dovuto ad una confusione nelle prime fasi della pandemia riguardo i comportamenti da tenere per contenere i contagi, anche perché ciò che veramente non serve ai calabresi è un altro anno di cattiva gestione della Sanità, dopo dieci anni di commissariamento e un debito di 160 milioni non ancora risanato.

Rita Bonaccurso

Joe Biden vince le elezioni Usa. Una vita tra drammi e successi. Ecco chi è il neopresidente americano

Dopo una settimana dove il mondo è stato con il fiato sospeso, finalmente possiamo dirlo: Joe Biden ha vinto le elezioni presidenziali americane 2020 e si candida a diventare il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America.

Fonte: Ottopagine.it

Si tratta solo di un primo step, ma decisivo, perchè – lo ricordiamo – gli americani non eleggono il Presidente ma eleggono i Grandi elettori che andranno a votare il Presidente. 

Quest’anno si è trattata di un’elezione tutt’altro che scontata, dove solo in ultimo Joe Biden è riuscito a colmare il distacco che aveva nei confronti di Donald Trump in Georgia, Michigan, Winsconsin e anche in Pennsylvania, Stato quest’ultimo che gli ha consegnato ufficialmente la vittoria.

Lo spoglio dei voti postali ha ritardato i risultati ma è stato decisivo nella vittoria dei democratici: il futuro presidente, infatti, aveva suggerito ai suoi sostenitori di non recarsi alle urne ma di sfruttare il voto per corrispondenza, onde evitare il rischio di contagio in un momento in cui gli Stati Uniti d’America contano quasi 10 milioni di contagi da Covid19. Al contrario dell’uscente Trump, il quale aveva esortato i suoi elettori a recarsi alle urne poichè, a suo avviso, il sistema postale sarebbe potuto essere manomesso.

Era dai tempi di George H.W. Bush che il presidente uscente non veniva riconfermato per un secondo mandato. E adesso che la sconfitta del tycoon è praticamente acclarata, quest’ultimo dichiara ancora di rivolgersi alla Corte Suprema per dimostrare la frode elettorale.

Ieri sera, poi, il presidente uscente – che ha saputo del risultato delle elezioni mentre giocava a golf – non ha neanche fatto la consueta chiamata privata di congratulazioni al candidato in vantaggio e non ci sorprenderemmo troppo se si rifiutasse anche di fare il tradizionalissimo “Concession Speech”.

Non c’è dubbio che Donald Trump aprirà diversi percorsi legali pur di non ammettere la sconfitta, ma in questo momento è il caso di concentrarci su quello che si candida a diventare il nuovo inquilino della Casa Bianca a partire dal 20 gennaio 2021.

Chi è Joe Biden

All’anagrafe Joseph Robinette Biden Jr., il candidato prossimo presidente USA, ha trascorso più della metà dei suoi anni nel cuore della politica statunitense.

Nato a Scranton in Pennsylvania nel 20 novembre del 1942 e cresciuto in Delaware, Biden infatti è prossimo a compiere ben 78 anni e si accinge ad avere il primato di più anziano Presidente mai eletto dagli Stati Uniti d’America. Quasi paradossale, se si pensa che, come accennavamo poc’anzi, ne aveva appena 30 quando nel 1972 è entrato a far parte del Congresso da senatore democratico rappresentante del Delaware, conquistando in questo caso il “titolo” di il quinto più giovane della Camera Alta nella storia degli USA.

Drammi e tragedie si intrecciano con i successi e gli ostacoli della sua carriera politica.

Sin da adolescente viene bullizzato per la sua balbuzie e soprannominato, per questo, Joe Impedimenta. Superati gli ostacoli di comunicazione,  questa sua caratteristica lo renderà notoriamente empatico ma anche determinato ed ambizioso nel corso della sua carriera.

La vita non gli sarà facile neanche una volta raggiunto quel posto da senatore per un soffio: ad appena un mese dal successo, perde in un incidente stradale la sua prima moglie Neilia – sposata nel ’66 – e la piccola figlia Naomi, di appena un anno. Sopravvivono – seppur riportando gravi ferite- gli altri due figli Beau, 3 anni ed Hunter, due.

Biden nel ’77 si risposa con Jill Jacobs, oggi 67enne e professoressa d’inglese presso un community college. Ed è qui che la storia Americana si avvicina alla Sicilia, o meglio, a Messina.

Come si direbbe in questi casi “Il mondo è piccolo”: la futura First Lady ha infatti origini messinesi. La storia è analoga a quella di milioni di italiani e di tanti siciliani a inizio Novecento: il bisnonno paterno, infatti, andò via dai peloritani con la sua famiglia, più precisamente dal piccolo villaggio di Gesso, per emigrare in America in cerca di fortuna. Il nonno di Jill, Domenico, decise anche di americanizzare persino il suo nome in Dominic Jacobs, per mettere fine alle storpiature.

Fonte: Il Messaggero

In queste settimane, Jill ha ricordato le sue origini con racconti sulla sua infanzia dai nonni:

«per il pranzo tradizionale della domenica si mangiavano spaghetti, polpette, braciole, la casa profumava di origano, basilico, pomodori freschi e aglio».

Dopo la nascita di Ashley dal secondo matrimonio, Biden tenta una prima corsa alla presidenza nel 1988, finita malamente per le accuse di plagio per copiato brani dei discorsi del leader laburista britannico Neil Kinnock. Quello stesso anno ebbe un doppio aneurisma.

Biden riprova le presidenziali nel 2008 ma sulla sua strada trova Obama, un candidato giovane e carismatico che conquista il campo democratico Ciò si rivela comunque una fortuna per Biden: data la sua esperienza a Washington, il giovane Barack lo sceglie come suo vice, per entrambi i suoi mandati.

Nel frattempo nel 2015 un’altra tragedia colpisce la sua famiglia: il figlio Beau, veterano della guerra in Iraq, procuratore generale del Delaware e uomo con una brillante carriera politica davanti, muore per un tumore al cervello. Joe lo cita spessissimo: «Aveva tutto il meglio di me ma senza i difetti e gli errori». Il figlio Hunter, invece, comincia ad intaccare la sua reputazione conducendo una vita a dir poco sregolata, tra alcolismo, droga e affari poco chiari.

Barak Obama
Fonte: @barakobama

Questo evento lo ha portato a non ricandidarsi alle Presidenziali del 2016, sostenendo la candidatura di Hillary Clinton.

Secondo alcuni, sarebbe stato anche Obama a scoraggiarlo, puntando tutto su un possibile presidente donna. Anche nelle ultime elezioni avrebbe rivelato di volere qualcuno di “più progressista” rispetto al conservatore Biden. Nulla togliendo alla stima che Obama nutre nel suo socio:  il rapporto tra il presidente e il suo vice è stato uno tra i più solidi che si siano registrati nella storia statunitense.

Durante un’intervista Biden raccontò che quando fu diagnosticata la malattia al figlio Beau decise di vendere la sua casa nel Delaware per sostenere i costi molto elevati derivanti dalle cure. Venutolo a sapere, Obama chiese immediatamente di incontrarlo e si offrì di pagare interamente le cure, evitando la vendita della casa di famiglia.(Wikipedia)

Nel 2017 Biden viene insignito da Obama della Medaglia presidenziale della libertà con lode, la massima onorificenza del Paese. In quell’occasione Obama disse:

“Sei stato la prima scelta che ho fatto da candidato, e la migliore”

Nel 2019 ufficializza la sua volontà di partecipare alle presidenziali del 2020.

L’8 aprile 2020, con il ritiro dell’unico sfidante rimasto in corsa, il senatore del Vermont Bernie Sanders, diviene ufficialmente il candidato democratico in pectore alle elezioni presidenziali del 3 novembre.

Il programma

Nonostante sia stato definito un conservatore, il programma di Biden è – neanche a dirlo – molto vicino alle visioni dell’ex Presidente democratico di cui è stato numero 2 per ben otto anni. Ne elenchiamo alcuni punti.

Sanità: Tra i punti salienti risulta sicuramente quello di ristabilire l’Obamacare, violentato dall’ex amministrazione Trump, allargandone la platea dei beneficiari e riattualizzandolo alla luce della pandemia in atto, rendendo, ad esempio, i tamponi e i futuri vaccini accessibili a tutti gratuitamente. Non è invece favorevole nell’approvare la riforma sanitaria Medicare for All, un progetto che renderebbe il governo il principale fornitore di assicurazioni sanitarie per i cittadini americani.

Economia: Biden si rivela d’accordo con Trump, invece nell’alzare la paga minima oraria dei lavoratori a 15 dollari. Inoltre ha minacciato di far pagare delle penali molto severe alle aziende che decidano di delocalizzare i propri stabilimenti di produzione nei prossimi mesi. Al contrario di Trump, però, il leader democratico è più aperto al commercio internazionale, come dimostrato dai trattati di libero scambio approvati durante l’amministrazione Obama, tra cui quello con la Cina, che vuole mantenere nella sostanza cambiando solo qualche punto.

Giustizia e diritti civili: Joe Biden vorrebbe eliminare la pena di morte, le carceri private e la libertà su cauzione, la quale accentua la disparità delle diverse classi sociali. Moderatamente favorevole alla protesta dell’organizzazione Black Lives Matter, è nettamente contrario a tagliare i fondi alla polizia. Sui diritti civili è pronto continuare sulla strada tracciata da Obama, garantendo i matrimoni gay e la libertà di scelta sull’aborto, nonostante la sua fede cattolica. Inoltre, è favorevole a ripristinare l’ammissione dei transgender all’interno dell’esercito.

Ambiente: Biden è un sostenitore degli accordi di Parigi e propone di aumentare la spesa a 1,7 trilioni di dollari per far raggiungere agli Stati Uniti la neutralità climatica entro il 2050

Kalama Harris
Fonte: @finacialtimes

Joe Biden, però, non è l’unico protagonista di questa vittoria. Lo è anche la sua vice, Kalama Harris.

Già da tempo il candidato dem alla Casa Bianca aveva palesato la volontà di scegliere una donna di spicco come suo vice, tanto che era circolato addirittura il nome di Michelle Obama.

Poi l’ufficialità della scelta di Kalama Harris, che oggi entra nella storia come la prima donna a ricoprire una carica così alta in politica e la prima persona nera (e asiatica), a diventare vicepresidente degli Stati Uniti.

Ha 55 anni, è figlia di un padre giamaicano e di una madre indiana, avvocato, scrittrice e anche laureata in arti presso l’Università  di Howard. 

Kalama è stata anche la prima donna a ricoprire la carica di procuratore generale dello Stato di San Francisco, Attorney general della California, e poi senatrice per i Democratici.

Con una carriera che, oltre ad essere un agglomerato di primati, è un escalation di cariche sempre più importanti, sicuramente la Harris è il giusto compromesso progressista che accompagnerà il neoeletto Biden. Kamala è stata subito sostenuta anche dall’ex presidente Obama, che l’ha definita la partner giusta per la vittoria di Joe Biden. La donna rappresenta la linea più progressista del partito grazie alle sue idee e alle sue lotte politiche.

È la prima ma non sarà l’ultima, ha twittato Emily’s List, la più grande organizzatrice statunitense dedicata al sostegno delle candidature delle donne democratiche a tutti i livelli.

Si aprirà, dunque, una nuova pagina democratica con l’inizio del 2021. Non sappiamo cosa succederà, se il nuovo presidente ed il suo vice saranno all’altezza delle aspettative mondiali. Quello di cui siamo certi è che la potenza America continua e continuerà ad interessare il mondo intero, non tanto per il suo ruolo ormai – se vogliamo  – superato dalle potenze asiatiche quanto per l’appeal che solo una regia statunitense sa dare.

Maria Cotugno

Martina Galletta

Messina manifesta: commercianti e artisti scendono in piazza pacificamente

Sulle note di “We Will Rock You” e “The Show Must Go On” dei Queen ha avuto inizio la Manifestazione Popolare Pacifica, svoltasi il 30 ottobre presso Piazza Unione Europea, con lo scopo di dar voce al popolo messinese e, soprattutto, a coloro i quali sono stati costretti a cessare temporaneamente le proprie attività commerciali a causa del nuovo Dpcm.

“Il popolo fino ad oggi ha dimostrato profondo rispetto per le normative anti covid, ma adesso è stanco di essere preso in giro. In questo momento ci stiamo unendo. Oggi Messina c’è!” Queste le parole di Daniele Zuccarello, promotore dell’evento.

Locandina dell’evento

Centinaia di persone tra ristoratori, rappresentanti del mondo dello spettacolo, dello sport e dell’animazione hanno manifestato contro il Governo per la carenza di misure di sostegno a favore delle attività penalizzate, nel peggiore dei casi chiuse, a causa dell’emergenza sanitaria Covid.

Oltre ai commercianti, anche famiglie e giovani hanno preso parte alla manifestazione; ogni intervento, seppur molto sofferto, non ha visto la rabbia dei cittadini sfociare in atti di violenza, come è accaduto in altre città. Gli organizzatori della manifestazione, infatti, hanno sottolineato di essere contro ogni forma di violenza e vandalismo.

Parole forti ai microfoni, piene di preoccupazione, rabbia, insofferenza. I lavoratori sono stati costretti a mettere le loro attività in sicurezza per poter riaccogliere i clienti, e ora che sono obbligati a chiudere nuovamente i battenti, non hanno la certezza che riceveranno un sostegno economico. L’unica certezza, in questo momento, è che in molti non ricaveranno nulla dalla loro professione.

I cittadini, in merito a questo problema, hanno avanzato la proposta di posticipare l’orario di chiusura oltre le 18:00, orario imposto dal nuovo Dpcm.

La manifestazione si è conclusa con un gesto simbolico: liberare in piazza palloncini tricolore in simbolo di unità.

Foto di Corinne Marika Rianò

Meno di 24 ore dopo, anche gli artisti messinesi, nelle categorie di attori, musicisti, danzatori, cantanti, insegnanti di musica, canto, teatro e danza, sono scesi in piazza spontaneamente e liberamente, per chiedere a gran voce la revisione delle misure restrittive imposte dal Governo. Il Municipio si veste di nero insieme agli artisti: “La compostezza e il rigore sono i principi di questa manifestazione in piazza – afferma Mariapia Rizzo – vestiti di nero, non in segno di lutto ma per suggerire il buio delle nostre arti e l’invisibilità che sembra caratterizzarci. Il nostro settore è al silenzio. E di questo silenzio vogliamo rendere partecipi tutti“.

I luoghi della cultura, ad eccezione dei musei, sono stati chiusi da ormai una settimana.

Locandina dell’evento

Tra i manifestanti: i Magazzini del Sale, On Stage, Clan Off Teatro, Oltredanza, Compagnia delle Arti Visive e tante altre realtà messinesi che rischiano di spegnersi.

“Se è vero che il nostro lavoro è nutrimento dell’anima, è pur vero che esso è anche un’ importante risorsa economica per la Nazione. Siamo lavoratori e produttori di reddito. Rivediamo se necessario i protocolli di sicurezza. Se sarà il caso, ci adatteremo a norme ancora più restrittive, ma non lasciateci morire. Questa manifestazione, nata da un impeto spontaneo, non ignora peraltro la necessità più generale di ripensare alla gestione di una intera categoria, reclamando a gran voce la necessità di rivedere il rapporto tra gli Enti pubblici e le realtà del territorio, ipotizzando che una gestione più coerente del danaro e delle risorse potrà consentire di superare questo difficile momento di crisi e gettare le basi per un futuro migliore.”

Diana Colombraro, Corinne Marika Rianò

L’Europa verso un “lockdown light”: come stanno affrontando questa seconda ondata i principali Paesi UE

Tutta Europa gradualmente sta richiudendosi come a marzo.

L’impennata nel numero dei contagi delle ultime due settimane rischia di vanificare gli sforzi e i sacrifici che i cittadini europei hanno affrontato dall’inizio di quest’anno e il rischio di un secondo lockdown, totale e generalizzato, si fa sempre più incombente. Tale misura, osteggiata dalle opposizioni e mitigata dalle limitazioni degli ultimi dpcm, sembra essere un’extrema ratio a cui il nostro capo dell’esecutivo ancora non vuole ricorrere preferendo aspettare che i risultati delle misure adottate negli scorsi giorni si palesino.

Dove però le misure di prevenzione e sanificazione già precedentemente in vigore non sono riuscite a rallentare la curva dei contagi ecco che l’intensificazione delle misure di restrizione si è resa necessaria. Solo nel vecchio continente le proiezioni del numero dei contagi hanno raggiunto stime viste precedentemente solamente a marzo: in Francia vi sono 1 milione e 279 mila contagi, in Spagna 1 milione e 136 mila, mentre in Italia e Germania sono a 616.595 mila e 479mila casi. Obiettivo dichiarato di questi quattro Paesi è quello di domare la curva ed eventualmente allentare la stretta nel periodo natalizio in modo tale da non rallentare ulteriormente la ricrescita economica.

fonte: il Corriere della Sera

Francia

Mercoledì sera il presidente Macron ha parlato alla nazione spiegando come dinanzi al peggioramento «esponenziale» della pandemia le misure attualmente in vigore, sebbene utili, non siano più sufficienti.

Un nuovo lockdown nazionale, della durata di un mese, che partirà oggi e durerà fino a dicembre, si è reso necessario per evitare scenari ben più catastrofici. Le scuole resteranno aperte, mentre le attività universitarie subiranno delle restrizioni. Resteranno aperti uffici pubblici, aziende agricole ed alcune fabbriche ma tutti quelli che potranno rimanere a casa grazie allo smart working dovranno farlo. Si potrà uscire solo per andare al lavoro o fare la spesa, con l’autocertificazione. L’obbligo di mascherina viene esteso anche all’interno della propria abitazione se ci si trova in presenza di familiari. Infine, è disposta la chiusura di tutti i bar e ristoranti così come per i negozi.

fonte: Huffington Post

Germania

Per contrastare la diffusione del virus la cancelliera tedesca Angela Merkel ha disposto, d’accordo con i presidenti dei Land, un “lockdown light“. Dal 2 novembre e per almeno un mese i cinema, i teatri, le palestre e altri luoghi di aggregazione sociale rimarranno chiusi. Bar e ristoranti continueranno a lavorare ma solo per il servizio d’asporto. Rimarranno aperti invece i negozi, che dovranno adottare nuove misure di distanziamento: un cliente ogni 10 metri quadrati. Così come in Francia anche in Germania le scuole resteranno aperte. Nei luoghi pubblici inoltre non potranno incontrarsi più di due nuclei abitativi e riunirsi sarà possibile fino a un massimo di 10 persone.

Spagna

Misure di contenimento sono state adottate anche nel paese iberico ma per il momento soltanto a livello regionale. Il premier Pedro Sanchez ha prolungato lo stato d’emergenza di ulteriori sei mesi consentendo però alle regioni di decidere autonomamente se chiudere i confini. Al momento sono sette le regioni che hanno optato per tale misura. Inoltre è attualmente previsto un coprifuoco nazionale dalle 23 della sera alle 6 della mattina successiva. Limitate le riunioni gli incontri, con al massimo sei persone, a meno che non siano conviventi. A Madrid, per fronteggiare i focolai nelle zone più povere, sono state disposte misure restrittive straordinarie per 850 mila persone per 14 giorni. Non è ancora un nuovo lockdown, ma qualcosa che ci assomiglia. Si potrà uscire di casa solo per lavorare, studiare, fare la spesa, e curare le persone malate. Per le strade e alle fermate dei mezzi pubblici ci saranno controlli da parte delle forze dell’ordine e in caso di violazione verranno erogate multe dai 600 euro in su.

Italia

Nel frattempo anche in Italia, che solo ieri ha sfiorato quota 27 mila nuovi contagi, si comincia a sentire l’eco di nuove restrizioni che non escludono un nuovo lockdown.

Si sta, infatti procedendo verso il temuto “scenario 4” prospettato dall’ISS nel documento del 12 ottobre, ovvero una condizione “Situazione di trasmissibilità non controllata con criticità nella tenuta del sistema sanitario nel breve periodo“, dove l’impennata dell’indice di trasmissibilità (RT) supererebbe le soglie del 1,5% in tutte le regioni, provocando difficoltà nell’individuazione di nuovi casi e il collasso delle strutture sanitarie.

Tutte premesse, dunque, che prevederebbero come unica soluzione la limitazione degli spostamenti attraverso la chiusura del comuni e delle regioni

uno scenario di questo tipo potrebbe portare rapidamente a una numerosità di casi elevata e chiari segnali di sovraccarico dei servizi assistenziali – si legge nel documento – senza la possibilità di tracciare l’origine dei nuovi casi. La crescita del numero di casi potrebbe comportare un sovraccarico dei servizi assistenziali entro 1-1,5 mesi, a meno che l’epidemia non si diffonda prevalentemente tra le classi di età più giovani, come osservato nel periodo luglio-agosto 2020, e si riuscisse a proteggere le categorie più fragili (es. gli anziani). A questo proposito, si rimarca che appare piuttosto improbabile riuscire a proteggere le categorie più fragili in presenza di un’epidemia caratterizzata da questi valori di trasmissibilità.”

Filippo Giletto

 

Nuovo Dpcm e malessere dei lavoratori: Conte promette nuovi aiuti economici. Ecco le misure in arrivo

Scongiurare un secondo lockdown con un mini-lockdown.

“Situazione preoccupante, ma non lasciamo soli chi è penalizzato dalle nuove misure.”.

Nel pomeriggio di ieri, il presidente del Consiglio Conte, ha annunciato le misure che da oggi, 26 ottobre, saranno in vigore con il nuovo Dpcm detto che prende il nome di “Decreto Novembre”. L’obiettivo è contenere la crescita della curva epidemiologica per proteggere il sistema sanitario, ma allo stesso tempo anche l’economia. L’una non può resistere, se non resiste l’altra.

Le proteste dei lavoratori più colpiti

Proteste a Napoli (fonte: ilFattoQuotidiano)

Tra le varie restrizioni, quella del coprifuoco prevista nella bozza del Dpcm, il quarto finora – poi escluso dalla stesura ufficiale – ha generato, nei giorni scorsi, molti malumori, sfociati in proteste a Roma e Napoli. I lavoratori colpiti più duramente di altri, già dal lockdown di primavera, come i ristoratori, hanno deciso di scendere in strada. L’intenzione era quella di una protesta pacifica e rispettosa delle regole. Purtroppo sostenitori di correnti politiche estremiste, sia di destra che di sinistra, e affiliati alla criminalità organizzata hanno interferito, generando disordine. Però, oltre le tremende immagini di scontri tra soggetti che hanno creato scompiglio e forze dell’ordine, bisogna ricordare delle pacifiche, seppur sentite, dichiarazioni dei lavoratori – che nulla c’entravano con le frange più violente delle proteste – i quali hanno manifestato nel rispetto delle regole generali.

Conte non vuole lasciare indietro nessuno

Di loro, il premier Conte ha assicurato di non essersi dimenticato. Durante la conferenza stampa delle 13.30 di ieri, ha annunciato l’arrivo di aiuti per tutte le categorie di lavoratori in difficoltà, anche per chi era stato escluso dai sussidi di marzo e i mesi successivi. Questi aiuti negli scorsi mesi hanno subito dei ritardi, inoltre, le coperture sono state molto limitate rispetto alle perdite di fatturato. Ora l’aspettativa è alta. L’Inps – che ha erogato i bonus da 600 euro di marzo, aprile e maggio – ha dichiarato che tali problemi possono essere stati provocati da diverse cause, a volte non dipendenti dalla volontà dell’Istituto e dei suoi uffici. In particolare per la Cig, sono capitati casi di Iban e codici fiscali errati o di comunicazione difficile con alcune aziende rispetto ai procedimenti.
Con il nuovo Dpcm, sono stati disposti contributi a fondo perduto, in arrivo già a metà novembre, stando alle dichiarazioni del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri.

L’iter burocratico per farne richiesta rimarrà uguale e, quindi, chi ha già usufruito dei precedenti aiuti in primavera non dovrà ripeterlo, anzi ritroverà gli incentivi sul proprio conto corrente. Previsti anche il credito d’imposta sugli affitti per i prossimi tre mesi, un’ulteriore mensilità del Reddito di Emergenza, la cancellazione della seconda rata Imu e la continuazione della Cig-Covid. Il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, a tal proposito, aveva detto che il governo avrebbe finanziato, o quantomeno cercato di finanziare, la Cig per altre 10 settimane, garantendo una copertura fino al mese di gennaio alle imprese che esauriranno il sussidio a metà novembre. L’indennizzo dovrebbe riguardare 300-350mila aziende ed esser superiore a quelli precedenti, ammontando a 1000 euro. Più cospicui saranno anche i bonus per alcune categorie di lavoratori, tra cui stagionali, personale per lo sport e lavoratori dello spettacolo, i quali dovrebbero ricevere 800 euro e non 600 come prima. Rientreranno nelle categorie da sostenere altri lavoratori prima esclusi.

Il ministro dell’Economia Gualtieri (fonte: ilGiornale.it)

“Approveremo il decreto per sostenere con misure straordinarie – aveva dichiarato Spadafora – tutto questo mondo, che con una seconda chiusura rischia di non riaprire più.”.

Per il mondo sport Spadafora si è augurato che possa riprendere il prima possibile

“perché, oltre al lato economico, è fondamentale per il benessere fisico e psicologico, e per tante ragazze e ragazzi rappresenta oltre che uno sfogo positivo e una passione anche un argine alla marginalità e all’illegalità”.

Riassumendo le misure a sostegno saranno:

  • 800 euro di indennità per il mese di novembre;
  • 50 milioni di euro a fondo perduto per ASD e SSD, da erogare entro novembre;
  • contributi a fondo perduto, in automatico, per le società sportive dilettantische con codici Ateco che avevano già usufruito dei bonus precedenti.

Gli aiuti erogati da marzo finora

Dunque, circa 4-5 miliardi di euro in totale per questa partenza. Atteso anche un fondo speciale da 4 miliardi, previsto nella legge di bilancio. Ricordiamo che l’Italia, con un’economia meno solida di altri Paesi, in Europa è stata tra i primi a erogare aiuti. La Germania, ad esempio, ci ha preceduto, ma si è mossa quando ancora la curva dei contagi non era in impennata. Dall’inizio della pandemia sono stati erogati un totale di circa 20 milioni di prestazioni di cassa integrazione, in particolare 12 in modo diretto e 8 a conguaglio dopo anticipo delle aziende, a beneficio di 6,5 milioni di lavoratori. In questi mesi l’Inps ha erogato: 4,1 milioni di bonus per autonomi/partite Iva; 1,15 milioni di bonus e congedi per famiglie; 212mila bonus domestici; 600mila redditi di emergenza ad altrettanti nuclei familiari e ha sostenuto un incremento del 25% di accessi al reddito di cittadini. Circa 14,3 milioni di cittadini serviti in totale, fino ad oggi, per l’emergenza Covid. La spesa stimata è di 26,2 miliardi di euro.

 

Rita Bonaccurso

NoMask. Chi sono i negazionisti e perché sono sempre di più

 

 

 

 

 

 

 

Esistono anche i negazionisti del Covid e non solo in Italia.
“I 35.518 morti erano persone deboli colpite dall’influenza.”, “I morti di Bergamo non esistono. Le foto delle bare erano le foto dei morti di Lampedusa, ci hanno ingannato!”. Anche di fronte ai numeri e alle testimonianze dirette, i negazionisti, inquadrati nel movimento generale “NoMask”, credono di avere le spiegazioni per gridare al complotto.

Un movimento variegato e scomposto.
Dopo gli Stati Uniti e capitali europee tra cui Londra e Berlino, anche a Roma, il 5 settembre, 1500 persone – meno del previsto, dato che ne erano attese 2mila – si sono riunite in piazza “Bocca della Verità” per dar vita a una manifestazione “NoMask“, la prima di grandi dimensioni in Italia. I “NoMask”, sono tutti coloro che, invece di considerare la mascherina uno strumento di protezione, ci vedono un bavaglio, imposto dai politici, in particolare dal premier Conte, per attuare una dittatura sanitaria. Sul palco si sono susseguiti vari interventi, dal tentativo di bruciare una mascherina al racconto di un padre che ha portato il figlio in ospedale, per poi avere uno scontro violento col medico che voleva far fare un tampone per sospetto Covid, tutti seguiti da applausi scroscianti. Come spesso accade, la manifestazione NoMask ha finito per raccogliere gruppi di protestanti spinti da varie motivazioni, tra cui i Gilet Arancioni guidati da Antonio Pappalardo, convinti semplicemente dell’inesistenza del Covid, perciò non preoccupati di stare tutti vicini senza distanza e mascherine. Un gran calderone in cui è finito di tutto. Ciò è probabilmente accaduto per l’interferenza sostanziale di vari gruppi politici, tra cui soprattutto i “militanti” di Forza Nuova – con il leader Giuliano Castellino, per il quale “la pandemia è stata pianificata per cinesizzare il mondo e tappare a tutti la bocca”– e altre frange di estrema destra, che si sono uniti alla protesta contro l’imposizione delle regole per prevenire la diffusione del Covid e l’esistenza del virus stesso. Nonostante il movimento si riconosca nell’avversione verso le mascherine, causa di malattie peggiori tra cui il cancro, per l’esposizione a una maggiore quantità di anidride carbonica, e simbolo di oppressione della libertà individuale, diverse persone, soprattutto anziane, hanno deciso di indossarla comunque. “Il fatto che sia qui oggi non significa che debba rischiare di ammalarmi” o “Prevenire è meglio che curare ” ha detto qualcuno. Una contraddizione che è stata giustificata dalla partecipazione alla manifestazione per protestare contro il governo che comunque starebbe facendo allarmismo ingiustificato, manipolando il popolo con la paura per controllarlo e schiavizzarlo. Poi anche le accuse contro il Papa e il Presidente della Repubblica, mentre venivano sventolate bandiere tricolore accanto a foto di Donald Trump e striscioni con gli slogan più diversi, come “Noi siamo il popolo”, “Verità”, “I vaccini fanno male”. Non sono mancati i riferimenti a questioni che sarebbero totalmente lontane da tematiche del Covid, quali il 5G e l’inversione dei campi magnetici terrestri.

Alcuni degli slogan dei manifestanti

Cosa spinge i negazionisti a riconoscersi.

Complice dell’emersione di teorie negazioniste è stata, probabilmente, la confusione sulla natura del coronavirus, vista non come una conseguenza normale del ritrovarsi di fronte ad una malattia nuova. Tra le stesse autorità sanitarie nazionali e internazionali esistono pareri discordanti ed ecco perché viene fuori il pensiero di «un complotto per la nuova dittatura sanitaria». Le dichiarazioni di primari di grandi ospedali, come il dottor Zangrillo, sulla scomparsa a livello clinico, del virus, non fanno che rafforzare la sicurezza di queste persone nell’asserire che “allora il Covid non è mai esistito” o “è stato creato in un laboratorio cinese”. Un altro punto fondamentale per i protestanti è la celerità con cui, gli Stati Uniti in particolare, hanno promesso un vaccino in tempi più brevi del normale, anche per quanto riguarda la diffusione su scala mondiale. Da ciò scaturisce il sospetto di esser trattati come cavie, venendo esposti senza alcun ritegno a grossi rischi, per una cura che in realtà sarebbe un potente veleno per decimare la popolazione o, secondo altri, per iniettare particelle manovrabili attraverso la connessione 5G e quindi controllare le persone. L’indignazione per la ricerca di un vaccino, ma anche il no alle mascherine a scuola e all’educare i bambini alle nuove norme, sono le motivazioni principali che mobilitano il “Popolo delle mamme”, che su facebook conta 24mila membri per la pagina “Salviamo i bambini dalla dittatura sanitaria”.

Alcuni del “Popolo delle mamme”

Difendere la libertà personale, anche a costo di limitare quella degli altri.

Tra i vari partecipanti più famosi, la parlamentare Sara Cunial (ex 5 Stelle, ora passata a Gruppo Misto) è saltata addosso all’inviato della trasmissione Piazza Pulita, Alessio Lasta, provando a baciarlo per dimostrare, con fare provocatorio, che il virus non esiste e, dunque, di avere il diritto di non indossare mai la mascherina. L’inviato ha cercato di scansarla gridando “La smette con ste buffonate?” La Cunial è stata al centro dell’attenzione nei mesi scorsi, perché sorpresa in auto lungo la Via del Mare in direzione Ostia in pieno lockdown, venendo multata per non aver avuto ragioni valide che motivassero lo spostamento. Sostenitrice di varie teorie che riguardano anche Bill Gates, ha definito i vaccini “genocidio gratuito”. Un modo inusuale di dimostrarsi paladini della difesa della libertà individuale, costringendo chi abbia capito quanto pericoloso sia il Covid a preoccuparsi ancor di più della propria salute. Questo è accaduto a Roma, ma non è un unicum, poiché molte persone anche riconoscendo l’esistenza del virus, si concedono un atteggiamento rilassato nei confronti delle regole durante la quotidianità, schernendo, perché esagerato, chi osserva le misure di prevenzione come se ancora fossimo a marzo.

 

Slogan contro il distanziamento sociale

Il parere degli psicologi.

Sarà che una situazione così traumatica come il lockdown abbia sconvolto alcune persone più di altre, suscitando una reazione che le spinge a negare la realtà. Un meccanismo naturale che mette in atto la nostra psiche davanti al pericolo, quando, invece di accettare e affrontare una realtà dura, cerca una via di uscita a tutti i costi. Ecco che, da un lato, abbiamo politici che cercano di risollevare la gente con messaggi propositivi e dall’altra i negazionisti che preferiscono -involontariamente – credere che dietro a tutto ciò ci sia un motivo, un complotto, per quanto ciò possa essere crudele. Una spiegazione per non arrendersi e realizzare che si è vulnerabili in situazioni che sfuggono al nostro controllo, che non siamo invincibili e che possiamo combattere la guerra contro il nemico invisibile solo con responsabilità e buon senso.

Rita Bonaccurso

 

 

Recovery fund: c’è l’accordo UE. E l’Italia porta a casa una vittoria

Settimane fa scrivevamo, in riferimento al Recovery Fund:

Il progetto […] è ancora lontano dall’essere totalmente definito nella sua interezza, ma l’opinione comune dei Paesi è potersi rialzare grazie a strumenti solidi e duraturi in un’ottica di lungo periodo.”

Il fondo di recupero tanto dibattuto dai Paesi europei fin dai primi devastanti passi del Covid-19 è arrivato al verdetto finale. Dopo giorni di trattative al tavolo del Consiglio europeo, all’alba di martedì 21 luglio è stato siglato l’accordo sul Recovery Fund. Il sorgere del sole di una calda giornata d’estate ha visto 67 pagine di cifre, dichiarazioni e condizioni per i Paesi interessati.

Il presidente del Consiglio Europeo Michel e la presidente della Commissione europea von der Leyen hanno tenuto una conferenza stampa dopo l’intesa, ponendo un accento particolare all’importanza storica dell’accordo raggiunto. Questo sarà ratificato dai vari Paesi con una nuova clausola d’indebitamento della Commissione, e sarà approvato dal Parlamento europeo.

Si parla di Next Generation EU o Recovery Fund da 750 miliardi di euro, utilizzati per aiutare gli Stati colpiti dalla crisi economica del Coronavirus. Era una cifra già enunciata dal vertice UE mesi fa, ma finalmente la cifra è stata definita con certezza: di questo ammontare, ben 390 miliardi saranno erogati a fondo perduto e 360 miliardi prenderanno la forma di prestiti. Inoltre, il bilancio per i prossimi 7 anni avrà un valore di 1074 miliardi di euro.

Per la prima volta i Paesi membri danno mandato alla Commissione UE di indebitarsi a loro nome per somme consistenti.

Qual è il verdetto per l’Italia?

L’Italia vede un sorriso stampato sullo stivale: nonostante l’incertezza del premier Conte sull’esito positivo delle trattative per il nostro Paese, all’Italia spetteranno 209 miliardi di euro, distribuiti tra 82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti.

I Paesi “frugali” (Olanda, Danimarca, Svezia, Finlandia), che volevano limitare il denaro a fondo perduto, hanno dovuto accettare un compromesso a favore dei Paesi in ginocchio, tra cui l’Italia.

Infatti, i sussidi non ammonteranno a 500 miliardi, ma a 390 miliardi. I prestiti invece aumentano da 250 a 360. La nuova proporzione è soprattutto volta a soddisfare i leader più influenti che volevano limitare i contributi a fondo perduto.

Per ottenere il loro accordo vi è stato anche un forte aumento (in alcuni casi un raddoppio) dello sconto di cui godono in primi quattro paesi appena elencati.Si è notato, tra l’altro, un cammino comune percorso da Francia e Germania, testimoniato anche dalle parole del leader francese Macron:

Abbiamo adottato un massiccio piano a favore della ripresa: un prestito in comune per rispondere alla crisi in modo unito e investire nel nostro futuro. Non l’abbiamo mai fatto!”

Come verrà finanziato il Recovery Fund?

Si parla per la prima volta, in modo concreto, di condivisione del debito. La Commissione UE può emettere titoli comuni sui mercati finanziari. Gli Stati membri non erogheranno denaro, ma dovranno garantire che nel caso di necessità sosterranno titoli per un certo ammontare. Per il rimborso si pensa alla creazione di nuove tasse europee.

Il Recovery Fund distribuirà risorse tra il 2021 e il 2023, svolgendo il suo compito fino al 2026, per aprire poi le porte al rimborso del denaro preso a prestito dal 2027.

Non mancano, però, delle condizionalità (tanto nominate in ambito di MES ma, a quanto pare, poco contrastate in riferimento al Recovery Fund). Innanzitutto, la Commissione europea dovrà presentare entro il Consiglio europeo di ottobre le sue raccomandazioni ai governi sul potenziamento dell’efficienza nell’approvazione ed esecuzione di lavori pubblici. Sicuramente è un campanello d’allarme verso l’Italia, maggior beneficiario del Recovery ma allo stesso tempo con un alto livello di inefficienza amministrativa: non è possibile ignorare le decisioni europee, pena il congelamento dei finanziamenti.

Il Paese che vorrà richiedere fondi, dovrà presentare un piano di ripresa e di resilienza coerente con obiettivi di varia natura, ad esempio difesa del clima e digitalizzazione, oltre ovviamente al rispetto delle raccomandazioni della Commissione. Per l’Italia, in particolare, si richiede amministrazione e giustizia civile più efficienti. La Commissione UE dovrà, entro due mesi, approvare o respingere il progetto presentato.

Per ciò che riguarda l’approvazione degli esborsi delle tranche del Recovery fund, la Commissione chiede l’opinione del Comitato economico e finanziario. Se un Paese non autorizza l’esborso, può chiedere che il versamento sia sospeso fino a quando si pronuncerà il Consiglio europeo, con un tempo di discussione massimo di tre mesi. La decisione finale, però, spetta alla Commissione UE.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting Finance

Marco Amato

Rossana Arcano

Sars-Cov-2 nelle acque reflue di Milano e Torino da Dicembre 2019: studio in fase di pubblicazione

Secondo le varie fonti scientifiche i primi casi di Covid-19 si sono verificati in Cina tra ottobre e novembre 2019, per poi aumentare esponenzialmente intorno agli inizi di gennaio e diffondersi nel resto del mondo.
Ma è proprio questo il nodo cruciale: quando esattamente è iniziato il contagio negli altri Paesi?
Si sarebbe potuto evitare?
Il sospetto che il nuovo coronavirus fosse arrivato nel nostro Paese prima del famoso “paziente zero” ha più volte sfiorato le menti dei ricercatori, ma all’atto pratico ancora nessuno è riuscito a venire a capo di questo enigma.
Una risposta potrebbe arrivare dallo studio della presenza del virus nelle acque reflue di alcune delle città più colpite.

Lo studio

Tra i primi a effettuare queste analisi sono stati i ricercatori spagnoli, con il prelievo e lo studio delle acque reflue di due impianti di trattamento di Barcellona.
I risultati dimostravano la presenza di materiale genetico del Sars-Cov-2 già in campioni risalenti al 12 marzo 2019. Se la scoperta si rivelasse attendibile, potrebbe essere molto utile per tracciare il percorso che il virus ha seguito nella sua diffusione.
Questo vorrebbe inoltre dire che molti contagiati avrebbero potuto avere i sintomi della Covid-19 ma essere scambiati per semplice influenza.
Casi passati in sordina ma che adesso potrebbero pesare come macigni.

Veniamo a noi

Secondo uno studio in fase di pubblicazione, nelle acque reflue di Milano e Torino sono state ritrovate tracce del virus a dicembre 2019.
Lo studio ha previsto l’analisi di alcuni campioni prelevati tra dicembre 2019 e gennaio 2020 e altri di controllo, prelevati in un periodo antecedente al presunto inizio della pandemia.
I risultati, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati nelle suddette città, così come a Bologna.
Nelle stesse città sono stati trovati campioni positivi prelevati nei mesi seguenti, mentre i campioni di ottobre e novembre 2019, come pure tutti i campioni di controllo, hanno dato esito negativi.

Le dichiarazioni dei ricercatori

“Dal 2007 con il mio gruppo portiamo avanti attività di ricerca in virologia ambientale e raccogliamo e analizziamo campioni di acque reflue prelevati all’ingresso di impianti di depurazione” spiega Giuseppina La Rosa del Reparto di Qualità dell’Acqua e Salute del Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha condotto lo studio in collaborazione con Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica veterinaria. “Lo studio – prosegue La Rosa –  ha preso in esame 40 campioni di acqua reflua raccolti da ottobre 2019 a febbraio 2020, e 24 campioni di controllo per i quali la data di prelievo (settembre 2018 – giugno 2019) consentiva di escludere con certezza la presenza del virus. I risultati, confermati nei due diversi laboratori con due differenti metodiche, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati a Milano e Torino il 18/12/2019 e a Bologna il 29/01/2020

Questo cosa comporta?

Ovviamente il ritrovamento del virus non implica che le catene di trasmissione principali che hanno portato all’epidemia nel nostro Paese si siano originate proprio da questi primi casi.
Adesso non è ancora il momento delle certezze, tuttavia, una rete di sorveglianza sul territorio può rivelarsi preziosa e questo studio che è stato condotto ha posto le basi per mettere in atto degli interventi di controllo dell’epidemia.
Come afferma Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute “Passando dalla ricerca alla sorveglianza sarà indispensabile arrivare ad una standardizzazione dei metodi e dei campionamenti poiché sulla positività dei campioni incidono molte variabili quali per esempio il periodo di campionamento, eventuali precipitazioni metereologiche, l’emissione di reflui da attività industriali che possono influire sui risultati di attività ad oggi condotte da diversi gruppi”.
Attendiamo dunque fiduciosi nuovi sviluppi nel campo della ricerca, poiché il tempo al momento è l’unico che potrà dirci in che direzione andrà questa seconda parte del 2020.

Maria Elisa Nasso

MES e SURE. Ecco cosa sono, come funzionano e le criticità che hanno fatto discutere

Dopo aver discusso nel dettaglio la scorsa settimana le caratteristiche dell’intervento effettuato dalla BCE in risposta alla crisi causata dal Covid-19, la linea temporale degli interventi posti in essere dalle istituzioni europee suggerisce come passi successivi il SURE e il MES.

Il 2 aprile Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea, ha annunciato ai microfoni lo strumento SURE (“Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency”), appunto, letteralmente, “supporto per mitigare i rischi di disoccupazione dovuti all’emergenza”.

Considerato come uno strumento con carattere temporaneo, dovrebbe terminare alla conclusione dell’anno 2022, con una dotazione per il periodo considerato di 100 miliardi di euro.

Come funziona?

E’ prevista la creazione di un fondo ad hoc di cui i paesi europei saranno i “soci” e verseranno una garanzia di €25 miliardi; la quota della garanzia versata da un Paese sarà proporzionale alla percentuale del suo PIL rispetto a quello dell’UE – ad esempio l’Italia verserà il 13% di questi 25 miliardi.
Lo stesso fondo, che poggia le sue basi sulla garanzia dei paesi europei, emetterà dei bond per raccogliere i 100 miliardi necessari alla propria capitalizzazione che verranno prestati agli stati che ne presenteranno richiesta.

Invece, il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES) è un’organizzazione intergovernativa, istituito grazie alle modifiche apportate al Trattato di Lisbona dal consiglio UE nel marzo 2011. Predisposto ad un’entrata in vigore nel 2013, questa fu anticipata al 2012 a causa della crisi dei debiti sovrani.

Normalmente il MES, anche Fondo Salva-Stati, presta denaro ai Paesi che non riescono più a finanziarsi sul mercato emettendo bond, poiché i mercati finanziari nutrono scarsa fiducia sulla loro solidità economica (come già accaduto alla Grecia). Il prestito può essere effettuato attraverso una delle due linee di credito (precauzionale o rafforzata) e può comportare delle condizionalità, concordate attraverso un Memorandum d’intesa.

Nel 2017 era stata proposta una riforma del MES, ma dopo tante riprese la riforma è stata rimandata causa COVID-19.

Il 9 aprile scorso è stato proposto il Pandemic Crisis Support, una linea di credito speciale, in cui i paesi possono richiedere somme fino al 2% del proprio PIL (per l’Italia sarebbero fino a 36 miliardi), con la condizione che i fondi siano utilizzati solo per finanziamenti diretti o indiretti dei costi sanitari dovuti alla crisi Covid-19. Questi fondi potranno essere richiesti fino al 2022 e nessuno Stato è obbligato a richiedere il prestito, ma è assolutamente libero di scegliere se attivarlo e quanto richiedere.

Il modo con cui il MES reperirà i fondi da prestare ai paesi che ne faranno richiesta sarà lo stesso utilizzato dal fondo SURE, emettendo dei propri bond.

I due strumenti appaiono carichi di supporto per fronteggiare la crisi Covid-19 che ha messo in ginocchio i Paesi dell’Eurozona, tuttavia, al loro interno, presentano degli aspetti da analizzare con cura.

Le critiche

In riferimento al MES, la principale critica rilevata è stato l’accordo approvato nell’Eurogruppo di aprile, quando il Consiglio europeo ha proposto come requisito per accedere al fondo senza condizioni, avendo così opportunità di accesso al credito, l’obbligo di utilizzare le risorse ottenute per finanziare le spese sanitarie (mascherine, guanti, respiratori, dispositivi medici, personale, etc.).

Qualche settimana fa Paolo Savona, presidente della CONSOB, ha dato il suo parere riguardo il MES:

Il nodo cruciale è il rapporto tra debito pubblico e Pil: se il rapporto salirà nelle dimensioni previste, il mercato reagirà. Così come reagiranno i cosiddetti Paesi frugali”.

In riferimento a questo, ci sono degli aspetti che non possono essere sottovalutati: tra le tante critiche, una di queste è mossa dai vertici politici italiani: la dotazione è insufficiente, insieme al vincolo di destinazione della spesa, questi risultano essere, infatti, dei paletti alla libera decisione.

Riguardo lo SURE, quali potrebbero essere gli effetti per il futuro date le criticità? Tra queste vi è una probabile insufficienza di capacità finanziaria per rispondere all’emergenza e, anche qui, si parla sempre di prestiti da dover rimborsare. In più, ancora non è stata data piena operatività al sistema: si dovrà aspettare a lungo?

Tuttavia, secondo il professore Carlo Cottarelli, utilizzando questi strumenti, in particolare il MES, “il risparmio sarebbe 9 volte più grande (per 10 anni) di quanto avverrebbe col taglio dei parlamentari, tanto voluto da chi non vuole il MES“.

Nonostante gli accesi dibattiti tra le leadership politiche d’Europa, questi, tra i tanti strumenti eretti nell’area Euro, risultano essere la corda a cui i Paesi in difficoltà si aggrappano, speranzosi che l’Europa possa rivelarsi così come si presentò alla sua nascita: garante e promotrice di continuità allo sviluppo dei Paesi.

Contenuto in collaborazione con Starting Finance:

Marco Amato
Rossana Arcano

Infopandemia: in che modo i media hanno raccontato il coronavirus

Tutti abbiamo avuto modo di percepire gli effetti sociali del Coronavirus.

È cambiato il modo di fare la scuola e l’università, lo smart working ha rivoluzionato il mondo del lavoro e le regole di distanziamento sociale hanno ridefinito il concetto di rapporto umano.

Tutti i contesti che viviamo hanno subito il cambiamento, e tutti hanno trovato un adattamento alla situazione difficile.

Possiamo dire lo stesso per i media?

Il sistema d’informazione è un’eccezione: non si è fermato come gli altri settori, e anzi sembra aver incrementato la sua attività.

Ma in che modo i media sono riusciti a raccontarci cosa è accaduto? Come hanno affrontato l’argomento ‘Coronavirus’?

La narrazione della malattia è stata pandemica, anzi infopandemica.

La massmediologia e la sociologia dei Mass media spiegano quali sono stati gli elementi strutturali dietro tale narrazione.

Perchè c’è stato tanto allarmismo all’inizio

Ricordiamo tutti gli assalti ai supermercati prima del lockdown. 

Repubbilca.it

Qual è stata la ragione? Come si diffonde l’allarmismo?

Noi persone normali, non competenti del settore virologico, abbiamo appreso del pericolo attraverso i media.

La narrazione mediatica dell’emergenza è stata martellante e continua, il Covid è stato l’unico argomento dei telegiornali per molto tempo.

Molto spesso i toni sono stati allarmanti e, anche involontariamente, diffusori di panico.

Inoltre il ruolo peggiore è stato giocato dalle fake news. Abbiamo vissuto una sovrabbondanza di informazione e in contesti simili non è facile distinguere cosa sia vero o falso.

D’altra parte gli stessi giornali, scrivendo quasi in tempo reale, non sempre verificavano l’attendibilità di una fonte.

Molti articoli hanno raccontato supposizioni e opinioni personali, precipitando nell’inverosimile.

L’informazione non verificata è quella che ha prodotto maggiori danni in questa narrazione, generando confusione e sovraccario nel pubblico.

Perchè le dinamiche della malattia sono diventate quasi più interessanti di Netflix

Ma come è stato raccontato il Coronavirus, praticamente?

Il racconto mediatico della malattia ha seguito due logiche.

La prima è quella dell’Informotion (information + emotion).

La diffusione di una malattia contagiosa è già di per sè emotivamente sconvolgente; se viene raccontata cercando di far leva sull’aspetto emotivo i risultati possono essere disastrosi.

I servizi dai toni sensazionalistici, la martellante conta dei morti e dei contagi, la diffusione delle immagini di città deserte o ancora le bare trasportate dall’esercito.

ilmessaggero.it

Questi alcuni esempi di informazione emotiva.

L’altro criterio è l’Infotainment (information + entertainment).

L’informazione a proposito del Covid è stata legata all’intrattenimento.

L’ascolto delle storie di chi si è ammalato, di chi viveva nell’allora zona rossa, le polemiche su come gestire la situazione.

È diventato tutto uno show, ogni servizio o intervista è diventata la puntata di una serie tv.

C’è stata una spettacolarizzazione della malattia.

 

Come “difendersi” da narrazioni così strutturate?

La narrazione mediatica del Covid-19 ha generato non pochi effetti negativi.

L’esposizione prolungata ai racconti con questi elementi strutturali potrebbe danneggiarci a livello psicologico ed emotivo, rendendoci paranoici e meno responsivi al reale pericolo.

Maratone di servizi, articoli e show emotivamente inquinanti producono un overload informativo, ma avere più informazione non corrisponde a maggiore conoscenza.

 

Angela Cucinotta