Comincia una nuova fase con l’RT Ospedaliero. Sicilia diventa gialla, manca solo l’ufficialità

 

Un’Italia tutta gialla o quasi? Sembra questa la realtà che ci aspetta fra pochi giorni. Da lunedì, stando ai dati finora rilevati, solo la Valle d’Aosta rimarrebbe arancione.

Il presidente Lavevaz (fonte: www.tg24.sky.it)

Il presidente Erik Lavevaz pare abbia, però, chiesto con una lettera inviata al ministro Speranza, di poter passare in zona gialla, ricordando che l’indice Rt della sua regione è sotto la soglia dell’1 da oltre un mese, che l’incidenza dei nuovi casi positivi è intorno a 150 su 100mila abitanti e che gli indici ospedalieri sembrino molto rassicuranti.

Intanto, Sicilia e Sardegna, sembrerebbero destinate alla zona gialla, anzi, è stata fatta l’ipotesi che la seconda possa diventare addirittura bianca, insieme a Molise e Friuli Venezia-Giulia.

Ciò significherebbe non preoccuparsi del coprifuoco alle 22 e poter tornare ad allenarsi in palestra o far shopping nei centri commerciali anche nel fine settimana. Tuttavia questa decisione, anche se parrebbe imminente, non sarà comunque immediata, continueranno a essere monitorati i dati che, per decretare il bianco, dovranno essere stabili per almeno tre settimane consecutive, con tasso di incidenza sotto i 50 contagi ogni 100 mila abitanti.

 Una revisione dell’indice Rt e le altre novità

Da giorni, i governatori delle Regioni stanno insistendo per una revisione dei parametri per il calcolo dell’Rt. È stata anche avanzata la proposta di abolire le fasce per colore. Ad annunciare una possibilità di modifica dei criteri di valutazione del rischio è stato il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro, lo scorso 7 maggio.

Di nuovi criteri si discuterà nella cabina di regia, convocata dal presidente del consiglio Mario Draghi per 17 maggio, giorno in cui scatteranno anche i nuovi colori.

La proposta del presidente del Friuli Venezia-Giulia e della Confederazione delle Regioni, Massimiliano Fedriga, di adottare come criterio l’Rt ospedaliero, è stata quella più condivisa dagli altri governatori. Questo indice rivela il numero delle richieste di ospedalizzazione, dato che renderebbe un’immagine più esatta della situazione, escludendo dunque contagi di persone non in gravi condizioni o asintomatiche, senza il bisogno del trattamento ospedaliero.

Massimiliano Fedriga ha proposto di prendere in considerazione l’Rt ospedaliero

A favore, il presidente del Lazio, Nicola Zingaretti, il quale ha dichiarato:

“C’è un dato positivo che è il calo della presenza negli ospedali e nelle terapie intensive e un’attenuazione dei decessi. Questo è legato all’altissima percentuale degli anziani vaccinati. Credo alla luce di queste novità oggettive e strutturali se il Comitato nazionale rifà una valutazione dell’Rt può essere utile.”.

Favorevoli anche altri, tra cui il governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che ha sottolineato come gli attuali criteri, introdotti agli inizi, quando ancora non esisteva un vaccino, siano ora superabili, almeno in parte. Dunque, il numero di vaccinati sarebbe, invece, da tenere in considerazione, secondo quest’ultimo.

D’accordo anche il presidente della Liguria, Giovanni Toti, il quale, invece, ha posto l’accento sulla convinzione che l’indice di cui si discute la considerazione è da calibrare in base all’andamento della pandemia, per evitare di usare un criterio poco utile a comprendere realmente la situazione.

Il parametro dei posti letti potrebbe essere introdotto verso la metà di giugno, quando il passaggio in zona rossa dipenderà, a quel punto, dal superamento delle soglie di occupazione del 30% per le intensive e del 40% per i ricoveri ordinari. Si passerà direttamente in zona gialla invece se i dati relativi saranno inferiori al 20% e al 30%.

In quanto all’indice Rt, l’Iss non sarebbe propenso ad eliminarlo del tutto ma ad usarlo in una sorta di pensionamento dall’attività principale, come campanello di allarme per le Regioni quando i dati si starebbero avvicinando troppo al rischio di zona rossa, invitandole a prendere provvedimenti.

I quattro colori per le Regioni, comunque, almeno per il momento, è certo che resteranno, ma saranno vincolati all’indice di contagio. Verrà anche stabilito un numero minimo di tamponi da effettuare, che sia proporzionale alle fasce di colore.

Un’ulteriore proposta avanzata dai governatori è quella di rendere automatiche le riaperture a seconda delle fasce di colore, limitando il coprifuoco soltanto alle zone rosse. Ogni mese, poi, si potrebbe procedere con una valutazione dell’andamento, ma sempre in relazione alle coperture vaccinali raggiunte, oltre che all’evoluzione dello scenario epidemiologico come sempre.

Potrebbe esser formulato un testo condiviso dalle parti, che potrebbe essere chiuso finito proprio entro la fine di questa settimana, per poi includerlo in un eventuale decreto.

Il premier Draghi intanto si è detto ottimista, viste le probabilità della zona bianca per le suddette tre regioni entro fine maggio e l’andamento della situazione generale, nonostante un lieve incremento dell’Rt. Si auspica una più veloce ripresa delle attività economiche e in generale un più vicino ritorno alla normalità, che quasi abbiamo dimenticato.

Inoltre, in vista dell’estate, molto concitamento anche riguardo le misure da riservare ai turisti e il coprifuoco.

Per i primi potrebbe bastare la prova di un tampone molecolare negativo – effettuato entro un certo limite di tempo – o il passaporto vaccinale. Niente quarantena dunque, né per i turisti provenienti dall’Ue, ma neanche per quelli provenienti da alcuni Paesi come Usa o Israele. Queste le proposte che verranno discusse il 17 maggio.

Si discuterà, sempre durante la cabina di regia, anche del coprifuoco che potrebbe esser spostato alle 23, ma non abolito completamente.

La Sicilia torna in zona gialla, manca solo l’ufficialità

Rispetto a una settimana fa, i casi positivi si sono dimezzati e il tasso di positività è crollato dell’1,6%. Questi gli ultimissimi dati rilevati in Sicilia alla vigilia del monitoraggio settimanale.

Un calo specialmente nel capoluogo, dove il bollettino di ieri ha registrato, in 24 ore, soltanto 75 casi in tutta la provincia, sui 607 in tutta la regione. Negli ultimi sette giorni si ha avuto un’incidenza, per 100 mila abitanti, di 92 casi, un numero sotto il limite delle 100 unità: un valore che non si registrava da dicembre.

Purtroppo, la provincia di Catania, invece, mostra un trend negativo, dove ieri erano 247 i nuovi casi e il giorno prima 392.

Confortanti con il passato anche i numeri sui ricoveri e le terapie intensive: gli ospedali siciliani sono molto meno affollati, i guariti hanno oltrepassato quota 20 mila.

Alla luce di ciò, il commissario Covid per la Sicilia, Renato Costa, nel corso delle vaccinazioni agli ospiti della missione Speranza e Carità, ha rilasciato alcune dichiarazioni, sottolineando quanto migliorata sia la situazione della regione, con reparti Covid che chiudono e percentuale dei positivi rilevati presso i drive-in sotto al 2%. Allo stesso tempo, ha ricordato come, comunque, questi siano dati da tenere ben a mente come potenzialmente preoccupanti e per i quali non è ammissibile abbassare la guardia:

Il commissario Renato Costa (fonte: blogsicilia.it)

“Tra il lockdown e il liberi tutti c’è un mondo al quale ci dobbiamo adeguare. Non vorrei che, passando in zona gialla, qualcuno pensasse che è finito tutto, che possiamo rilassarci, che possiamo abbandonare le mascherine. Ovviamente non è così. La nostra bravura sarà quella di mantenercela, questa zona gialla”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

Cani anti-COVID “sfidano” i tamponi: ecco cosa dice la scienza

I VOC come rilevatori biologici

Da oltre un anno la pandemia da COVID-19 continua a diffondersi. L’identificazione in tempo reale di individui affetti da SARS-CoV-2 è fondamentale per interrompere le catene di contagio. I test di rilevazione attuali dipendono dalla raccolta di campioni attraverso tamponi oro-faringei. Inoltre, la disponibilità di test antigenici è limitata e in diverse regioni è aggravata dalla carenza di reagenti, tempi di elaborazione prolungati, risultati ritardati o falsi negativi e falsi positivi.
Un approccio alternativo ai test rapidi consiste nello sfruttare i composti organici volatili (VOC) associati al virus. I VOC  comprendono diversi composti chimici che, nel loro insieme, hanno comportamenti fisici e chimici differenti. Essi sono accomunati dal fatto che presentano un’alta volatilità e causano impronte olfattive specifiche che possono essere rilevate, con un alto tasso di precisione, da cani addestrati per il rilevamento di profumi.

I cani da rilevamento e gli esperimenti condotti

I ricercatori stanno studiando come i cani da rilevamento riescano a percepire una forma di odore univoca nei campioni di saliva, urine e sudore di pazienti positivi a SARS-CoV-2. Sono stati condotti ad oggi diversi esperimenti.

L’esperimento condotto sulla saliva di pazienti ospedalizzati

Otto cani da rilevamento sono stati addestrati per 1 settimana. Il fine era di rilevare la saliva, secrezioni tracheobronchiali e urine di pazienti ospedalizzati infetti da SARS-CoV-2. Il virus è stato inattivato in tutti i campioni di addestramento con detergente o trattamento termico. I cani hanno discriminato con successo tra campioni positivi e negativi di saliva, con sensibilità diagnostica media dell’82,63% (indipendentemente dal protocollo di inattivazione).
Durante la presentazione di 1012 campioni randomizzati, ovvero campioni scelti casualmente, privi di errori sistematici, i cani hanno raggiunto un tasso di rilevamento medio complessivo del 94%.

Ruota del profumo utilizzata in questo studio. Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8046346/figure/pone.0250158.g001/
Sensibilità (barre rosso scuro) e specificità (barre arancioni) della risposta del singolo cane a miscele di campioni di urina trattati termicamente e positivi al SARS-CoV-2. Con sensibilità si intende  la capacità di identificare correttamente i soggetti ammalati. Con ”specificità” si intende la capacità di svelare e/o quantificare una determinata sostanza in presenza di altre aventi proprietà molto simili. Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8046346/figure/pone.0250158.g001/

L’esperimento condotto sul sudore di pazienti ospedalizzati

Lo studio condotto in due siti (Parigi in Francia e Beirut in Libano) ha coinvolto sei cani da rilevamento addestrati per 1-3 settimane. Per lo studio sono stati scelti 177 individui di cui 95 sintomatici COVID-19 positivi e 82 asintomatici COVID-19 negativi. È stato raccolto un campione di sudore ascellare per individuo. Una volta addestrato, il cane doveva distinguere il campione positivo COVID-19 posizionato in modo casuale dietro uno dei tre o quattro coni olfattivi (gli altri coni contenevano almeno un campione negativo COVID-19).  Lo studio condotto era randomizzato e in doppio cieco. Ciò significa che il cane e il suo conduttore non conoscevano la posizione del campione positivo per COVID. La percentuale di successo per cane variava dal 76% al 100%.

Apparecchiature di prova. Fonte immagine: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7728218/figure/pone.0243122.g005/

L’esperimento condotto su viaggiatori all’aeroporto di Helsinki

L’esperimento è stato successivamente condotto presso l’aeroporto di Helsinki (Finlandia), in collaborazione con l’Università di Helsinki, così da avere una più ampia scala di soggetti da sottoporre a screening. I viaggiatori dovevano asciugare il sudore prodotto dal collo mediante un apposito panno successivamente riposto dietro una parete scura. Il cane in poche decine di secondi era in grado di discriminare un campione positivo sintomatico o asintomatico da uno non positivo. I cani infatti sembrano riconoscere la malattia in una fase ancora più precoce rispetto ai tamponi analizzati con la tecnica della PCR, per i quali sono necessarie 18 milioni di molecole rispetto alle 10-100 molecole che il cane sfrutta.

Fonte immagine: https://it.mashable.com/4345/cani-anti-covid-aeroporti-helsinki

Olfatto magico? Come fanno?

L’olfatto canino è già usato negli aeroporti, dogane e stazioni per rilevare la presenza di esplosivi e droghe. Inoltre individua casi di diabete, alcuni tipi di cancro, attacchi di panico ed epilessia. Il sistema olfattivo dei cani è particolarmente sviluppato: la loro mucosa olfattiva supera i 150 cm2 e il loro cervello olfattivo possiede un numero di neuroni 40 volte superiore a quello degli esseri umani.
Studi recenti, pubblicati su Experimental Biology, dimostrano come i cani siano in grado di selezionare con una precisione del 97% campioni di sangue appartenenti a persone malate di carcinoma polmonare. Inoltre, i ricercatori delle Università di Lund, in Svezia, e dell’Università Eötvös Loránd di Budapest, hanno individuato nei cani la capacità di percepire le radiazioni termiche provenienti da corpi caldi, come già noto in serpenti o pipistrelli.

Fonte immagine: https://www.bedandpet.it/discriminazione-olfattiva/

La possibilità di screening di massa non intrusivi

Gli studi sopra esposti hanno quindi dimostrato che la sensibilità, la specificità e le percentuali di successo riportate, sono paragonabili o migliori della RT-PCR standard. Questo significa che i cani da rilevamento degli odori potrebbero a breve essere impiegati per schermare e identificare in modo non intrusivo le persone infette dal virus COVID-19 in ospedali, scuole, università, aeroporti, stazioni, concerti ed eventi sportivi. L’uso di cani per lo screening richiede però un adeguato addestramento con un gran numero di nuovi campioni SARS-CoV-2 positivi e negativi confermati.

Francesca Umina

Per approfondire:

Differenze di genere e COVID-19: confronto della malattia tra uomo e donna

Questo lungo anno ha reso evidente la presenza di importanti differenze interindividuali nelle manifestazioni della malattia da Coronavirus: alcuni soggetti vanno incontro a una sintomatologia più grave mentre altri a una semplice sindrome simil-influenzale o addirittura rimangono asintomaticiIl concetto si applica anche alla risposta alle terapie farmacologiche: non sempre le cure funzionano.

Questo è senza dubbio motivo di angoscia sia per i pazienti che per i familiari, ma la scienza sta facendo sempre maggior chiarezza sulle basi di questo meccanismo. Una delle principali motivazioni è da ricercare nel corredo genetico ed enzimatico proprio della persona. Di fronte a tutte queste differenze viene da chiedersi: uomini e donne reagiscono in modo diverso al SARS-CoV-2?

Punti chiave

  1. Chi viene colpito di più?
  2. ACE2, di cosa si tratta
  3. Interazioni con il virus: perché le donne potrebbero essere protette?

Chi viene colpito di più?

Sembra proprio che gli uomini siano più propensi a contrarre il virus e a sviluppare delle complicanze anche gravi. Ma perché? Le ragioni potrebbero essere tra le più disparate, per esempio una maggiore (per ora) propensione al tabagismo nella popolazione maschile.

Altra spiegazione invece la si può trovare nella più pronta risposta del sistema immunitario femminile nel bloccare l’infezione. Tuttavia è stato anche ipotizzato anche un coinvolgimento di un enzima, ACE2, che regola l’attività di un sistema chiamato RAS.


ACE2: di cosa si tratta

Il RAS, o sistema renina-angiotensina-aldosterone, regola la pressione del sangue e la volemia (il volume di sangue nel nostro corpo) essendo a pieno titolo uno dei meccanismi più importanti per il mantenimento della stabilità dell’organismo. Se la pressione si abbassa e/o si riduce la volemia, il rene rilascia in circolo un enzima chiamato renina, il quale convertirà una proteina epatica, l’angiotensinogeno, in angiotensina I. L’angiotensina I potrà a sua volta essere trasformata in altri intermedi, in un processo finemente regolato. Tra i vari enzimi che prendono parte a queso processo c’è proprio ACE2.

Sistema RAS – Fonte: Journal of Clinical Pathology

È un enzima attivo ed espresso in molti tessuti, in particolare, la sua concentrazione è alta nei polmoni, nel rene, nei vasi e nel cuore. La funzione principale di ACE2 è di degradare la angiotensina II, uno degli ormoni deputati al controllo pressorio, che aumenta la forza di contrazione del cuore e la frequenza cardiaca. ACE2 lavora in opposizione a un altro enzima, detto semplicemente ACE, che al contrario favorisce la vasocostrizione. Nei polmoni inoltre, questo enzima metabolizza oltre l’angiotensina anche altre molecole ed è proprio qui a livello dell’apparato respiratorio che si gioca il suo ruolo.

È stato scoperto infatti che una concentrazione aumentata di angiotensina possa peggiorare la sintomatologia da COVID19, favorendo l’accumulo di liquidi nei polmoni.

Interazioni con il virus: perché le donne potrebbero essere protette?

Si è visto che il SARS-CoV-2 per entrare all’interno delle cellule polmonari ha bisogno di legare proprio ACE2Questo porterebbe a pensare che avere una concentrazione alta di questo enzima-recettore sia sfavorevole, in quanto predispone maggiormente all’infezione. 

Così non sembra, in quanto le donne, che grazie agli estrogeni esprimono in maggior misura ACE2, molto spesso manifestano l’infezione in maniera più lieve. Ciò accade perché l’enzima metabolizza l’angiotensina in eccesso, impedendole di provocare danni. Viceversa gli ormoni androgeni svolgono un ruolo opposto.

L’ipotesi di ACE2 come protezione nasce da quanto osservato nei neonati venuti alla luce durante la pandemia.  In Cina hanno appurato che, nella seconda parte della gravidanza, nelle donne aumenta l’espressione di ACE2.
Secondo questi studi, attraverso la circolazione feto-placentare, l’enzima potrebbe essere trasferito al feto, proteggendolo dal virus.
Ovviamente, anche quest’ultima ipotesi è ancora tutta da dimostrare, ma se così fosse si spiegherebbe perché i neonati in particolar modo non sono molto propensi a sviluppare forme gravi della malattia.

Non ci sono ancora certezze in questo campo ma saranno necessari ulteriori studi per approfondire quello che potrebbe essere un altro passo alla comprensione di questa malattia.

Maria Elisa Nasso

MSF dichiara catastrofe umanitaria in Brasile: muoiono sempre più giovani e bambini

La situazione sanitaria in Brasile è allo stremo: i malati non smettono di arrivare e di contro iniziano a scarseggiare i letti, le attrezzature e i medicinali per fronteggiare la gravissima situazione.

Il coronavirus sta mettendo in ginocchio il Brasile, che sta vivendo un vero e proprio dramma, considerando che i pazienti positivi al Covid vengono intubati da svegli per la mancanza di sedativi e legati al letto per sopportare il dolore.

Per la prima volta, Medici Senza Frontiere (MSF), definisce quanto sta accadendo in Brasile «una catastrofe umanitaria» a causa delle pessime decisioni prese dal governo brasiliano.

(fonte: ilMeteo)

La pandemia in Brasile

Il Brasile sta attraversando in queste settimane uno dei suoi momenti più drammatici, con un numero di nuovi contagi e di decessi legati al Covid-19 che sono in proporzione il doppio e il triplo rispetto a quelli che si erano registrati attorno al picco della prima ondata.

Il Consiglio nazionale delle segreterie di salute (Conass) ha ufficialmente confermato che il numero di vittime in Brasile ammonta a 3.305 morti di Covid-19, con ben 85.774 nuovi contagi nelle ultime 24 ore.

Il bilancio totale sale a 368.749 vittime a fronte di 13.832.455 casi accertati, rendendo, di fatto, il Paese del Sud America il terzo più colpito al mondo, superando perfino l’India (uno dei paesi più devastati dalla pandemia soprattutto a causa del pessimo sistema sanitario dello stile di vita adottati) come numero totale di casi.

La scorsa settimana i brasiliani hanno rappresentato l’11% della popolazione mondiale contagiata dal Covid-19 e il 26,27% dei decessi globali. «E lo scenario è destinato a peggiorare nelle prossime settimane», preannuncia Christou, presidente internazionale di MSF.

Oltretutto, il dato più inquietante degli ultimi giorni è l’aumento a sorpresa dei giovani- tra cui bambini- che muoiono a causa del Coronavirus. Il ministero della Salute ha rivelato che il numero dei ventenni morti per Covid-19 nello stato brasiliano di San Paolo è quasi quadruplicato da febbraio a marzo 2021: i decessi di giovani nella fascia di età 20-29 anni sono passati da 52 nel mese di febbraio a 202 in marzo. Il numero dei decessi di ventenni registrati a marzo nello stato più ricco e avanzato del Brasile supera quello registrato complessivamente nei cinque mesi precedenti: 186.

Strage che non risparmia neppure i più piccoli: «Nonostante le prove schiaccianti che il Covid-19 uccide raramente i più piccoli, in Brasile 1.300 bambini sono morti a causa del virus», rivelano i corrispondenti locali, citando il drammatico caso di Lucas, un anno appena. «Un medico ha rifiutato di testarlo per Covid, sostenendo che i suoi sintomi non corrispondevano al profilo del virus. Due mesi dopo è morto per complicazioni dovute alla malattia».

(fonte: IlMessaggero)

Macabra la situazione nei cimiteri nazionali: a Vila Formosa (San Paolo), il più grande cimitero dell’intera America latina, sono già state seppellite 360.000 morti per il covid e, ad oggi, si scavano oltre 600 tombe, di giorno e di notte. La carenza di personale, per le eccessive morti, ha portato i servizi cimiteriali brasiliani ad assumere nuovo personale -alcuni dei quali senza neppure esperienza- e acquistare nuovi macchinari.

Per trasportare le salme sono stati noleggiati 50 furgoni, che suppliscono alla carenza di carri funebri; il comune di San Paolo ha comunque smentito voci che parlavano di scuolabus noleggiati per il trasporto bare.

La situazione dentro gli ospedali

La situazione si ripercuote pesantemente sugli ospedali, che oltre ad essere colmi di pazienti iniziano a soffrire pesantemente la mancanza di sedativi, come denunciato da alcuni operatori sanitari impiegati nelle strutture ospedaliere di Rio De Janeiro.

Un’infermiera dell’ospedale Albert Schweitzer di Realengo, nella zona orientale di Rio, ha raccontato anonimamente al sito Globo.com che alcuni pazienti Covid in gravi condizioni sono stati intubati da svegli e con le mani legate al letto a causa della mancanza di farmaci: «Sono svegli, senza sedativi, intubati, con le mani legate al letto e ci implorano di non farli morire». «La ventilazione meccanica senza sedativi è una vera forma di tortura per il paziente», ha aggiunto il medico di terapia intensiva Aureo do Carmo Filho. Proprio in questa struttura, dove la carenza di medicinali è evidente, sono ricoverati 118 pazienti attualmente positivi al Covid, di cui 40 in rianimazione.

Un’infermiera in servizio in un altro ospedale della capitale, il Sao José- riconvertito per occuparsi solamente di malati di Covid-19 -, ha confermato che alcuni dei 125 pazienti Covid sono morti a causa della mancanza di sedativi: «Non abbiamo farmaci, non abbiamo sedativi per i pazienti in terapia intensiva e purtroppo molti di loro non ce la fanno. Noi operatori sanitari assistiamo disperati, piangendo, perché non possiamo fare nulla. Non abbiamo siringhe, non abbiamo nemmeno gli aghi», si legge sempre su Globo, anche lei sotto anonimato.

Perdura l’utilizzo del vaccino cinese della Sinovac, nonostante abbia rivelato un’efficacia molto inferiore alle aspettative. Secondo quanto rivelato dall’istituto Butantan, lo stesso che produce il farmaco a San Paolo su licenza cinese, l‘efficacia “GLOBALE” è di poco superiore al 50% –mentre i test preliminari avevano fatto registrare un 78%- senza contare la non dimostrata efficacia contro la variante che sta mettendo in ginocchio il Paese.

Il virus si sta diffondendo senza freni su tutto il territorio nazionale; si tratta di una situazione disastrosa, quella in Brasile, per cui anche Medici Senza Frontiere ha deciso di lanciare un “appello internazionale

“In più di un anno di pandemia, la mancata risposta in Brasile ha causato una catastrofe umanitaria. Ogni settimana c’è un nuovo record di morti e infezioni. Gli ospedali sono sopraffatti, e tuttavia la risposta è ancora scarsa. La negligenza delle autorità brasiliane costa vite umane”, ha denunciato giovedì Christou, sottolineando la mancanza di coordinamento centrale e le «sofferenze non necessarie» subite dalla popolazione. Conclude: «I medici sono fisicamente, mentalmente e psicologicamente esausti e lasciati soli a raccogliere i pezzi per la negligenza del governo».

Le cause della eccessiva diffusione

La rivista Science (rivista scientifica pubblicata dall’American Association for the Advancement of Science) ha cercato di individuare le cause della massiccia diffusione della variante Covid P1- nata a Manaus, nello stato di Amazonas-: «In primo luogo, il Brasile è grande e disuguale, con disparità nella quantità e nella qualità delle risorse sanitarie, come letti ospedalieri, medici e reddito, indicano i ricercatori. Poi incide la fitta rete urbana e gli spostamenti che non sono stati completamente interrotti. Ma hanno giocato un ruolo rilevante anche le divisioni interne, fra diverse aree geografiche, e la fortissima polarizzazione politica che ha “politicizzato la pandemia”». Conclude, «SARS-CoV-2 è circolato inosservato in Brasile per più di un mese, a causa della mancanza di una sorveglianza genomica ben strutturata».

MSF aggiunge poi: «La variante P1 è un problema, ma da sola non spiega una situazione così grave», dice Meinie Nicolai, direttore generale di MSF a Bruxelles.

Molti puntano il dito contro il presidente Jair Bolsonaro, che solo pochi giorni fa è tornato a sollecitare la riapertura delle spiagge, il cui accesso è stato vietato da alcuni sindaci e governatori. Bolsonaro ha apertamente criticato il sindaco di Rio de Janeiro, Eduardo Paes, che ha decretato la chiusura degli arenili. «Vorrei che coloro che vogliono chiudere tutto si preoccupassero della disoccupazione, vedessero come vivono le persone nelle comunità (povere), quanto poco hanno nel frigorifero», ha aggiunto il presidente, che poi ha nuovamente difeso il «trattamento precoce» in casa, con farmaci come l’idrossiclorochina, per combattere il Covid.

L’organizzazione trentina, che riunisce sei associazioni (Apibimi onlus, Bottega Buffa Circo Vacanti, O.d.V. A Maloca, Shishu volontariato internazionale onlus, Tremembè onlus e Viraçao & Jangada), ha gli occhi puntati su quanto sta accadendo in Brasile, dove perfino l’esercito ha iniziato a prendere le distanze da Bolsonaro.

(fonte: Greenreport)

Intanto, come ulteriore danno, martedì, la Francia è entrata a far parte della lista dei Paesi che hanno sospeso «fino a nuovo avviso» i voli dal Brasile per cercare di prevenire l’espansione del ceppo brasiliano del coronavirus. La sospensione deve essere approvata dall’Assemblea nazionale e dal Senato. Attualmente i brasiliani possono viaggiare liberamente o con restrizioni lievi soltanto in otto Paesi del mondo.

La rivista Science ha, inoltre, pubblicato ben due “papers” sulla situazione nel Paese sudamericano e sui pericoli connessi alla contagiosissima e più letale variante P1 contro cui forse i vaccini attualmente a disposizione non offrono una protezione molto efficace. La domanda chiave è dunque: «Il Brasile è una minaccia per la sicurezza sanitaria mondiale?». Il rischio reale è che SARS-CoV-2 si trasformi in un altro virus. Più si riesce a contenere la sua propagazione minori saranno le possibilità che muti in qualcosa di ancor più devastante.

Manuel De Vita

Conferenza stampa Draghi: riaperture dal 26 aprile e debito buono per ripartire

(fonte: governo.it)

Ieri sera, il Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi ha tenuto, assieme al Ministro della Salute Roberto Speranza, una conferenza stampa per illustrare la situazione epidemiologica del Paese e fornire alcune anticipazioni sulle riaperture a partire da giorno 26 aprile.

La data, sicuramente in anticipo rispetto a quanto ci si prospettava, è stata ispirata dall’ottimismo proveniente dall’andamento della campagna vaccinale. Il Ministro Speranza si è detto positivo degli ultimi dati: più di 14 milioni di dosi e l’80% degli over 80 che ha già ricevuto una dose.

(Lo stato delle vaccinazioni secondo quanto appare dal DEF 2021 – fonte: mef.gov.it)

Niente decreto al momento, ma Draghi rassicura: “Si può guardare al futuro con prudente ottimismo e fiducia”. Ed intanto la strategia sarà quella di una road map con riaperture gradualisostegni all’economia ed alle imprese“debito buono” per la ricrescita del Paese. Da coniugarsi, naturalmente, ad un allentamento della curva dei contagi ed un incremento di quella dei vaccini.

Le riaperture dal 26 aprile

Torna a grande richiesta la zona gialla: sarà inoltre possibile spostarsi tra Regioni gialle. Per andare in Regioni di diverso colore si parla di un “pass“: si pensa che sia necessaria la vaccinazione, l’esecuzione recente di un test Covid-negativo, l’avvenuta guarigione da Covid. Tuttavia, dal Presidente non sono stati aggiunti dettagli.

Prevalenza alle attività all’aperto, in base a quanto osservato nelle più recenti analisi sui dati del contagio: «All’aperto riscontriamo una difficoltà molto più significativa nella diffusione del contagio», ha affermato Speranza durante la conferenza. Riapriranno quindi ristoranti e bar con disponibilità all’aperto sia a pranzo che a cena, ma si tiene a sottolineare che oltre alla ristorazione si terrà conto delle altre attività. I ristoranti potranno riaprire anche al chiuso solo a pranzo a partire dal 1° giugno.

Quanto alle attività fisiche, da metà maggio il via alle piscine solo all’aperto e dal primo giugno anche le palestre. Più in avanti torneranno anche le terme, fiere e congressi e parchi tematici. Dal 26 aprile ripartiranno tutte le attività fisiche all’aperto non agonistiche come calcetto, beach volley e basket.

(fonte: lagoleada.it)

Scuole, teatri, cinema e spettacoli

Ritorna la scuola in presenza di ogni ordine e grado per le zone gialle e arancioni, mentre per quelle rosse saranno aperti in presenza gli asili nido e le scuole fino alla prima media; i licei continueranno con la modalità blended. Non si parla, invece, di università. Secondo quanto stabilito dall’ultimo decreto, le zone arancioni e le future zone gialle saranno libere di autogestirsi le riaperture.

Finalmente il via anche a teatri, cinema e spettacoli, ma con particolari misure di prevenzione dettate dal Consiglio tecnico-scientifico e solo in zona gialla. I musei torneranno automaticamente col passaggio in zona gialla.

Sostegno all’economia e ricrescita

Durante la conferenza stampa si è parlato di una decisione fondata su un “rischio ragionato”, basata sul parere degli scienziati. Ed in effetti nelle ultime settimane l’indice Rt del paese è sceso assieme ad un’incidenza dei contagi che, pur rimanendo di alto rischio, è ad oggi pari a 180 contagi per 100,000 abitanti.

Intanto, con l’approvazione del Documento di Economia e Finanza (DEF) 2021, Draghi getta le basi per una ricrescita economica. È il cosiddetto debito buono: 40 miliardi di debito nel 2021 per sostenere l’economia e le imprese assieme ai lavoratori autonomi. Per gli anni 2022-2033 si prevede invece un indebitamento medio annuo di 6 miliardi. Le risorse impiegate in quest’ultimo lasso di tempo, spiega il comunicato stampa, «saranno utilizzate per definire un ulteriore insieme di interventi dedicati essenzialmente agli investimenti complementari al PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), che il governo considera centrali per dare impulso alla crescita economica dei prossimi anni».

Si tratta di una vera e propria scommessa che, se vinta, permetterà al Paese di uscire dall’indebitamento per effetto della crescita stessa, senza che sia necessario una manovra correttiva. Così sostiene fermamente il Presidente Draghi.

Quanto agli interventi effettivi, Draghi ha affermato che le risorse gestite tramite il PNRR (ben 191,5 miliardi di euro di cui 69 miliardi a fondo perduto), verranno impiegate per effettuare un’ambizioso programma di riforme. Al momento sono 57 i commissari predisposti per la realizzazione di opere pubbliche concernenti tale programma.

Infine, i sostegni all’economia seguiranno una logica doppia: «un sostegno alle persone e alle famiglie che hanno subito un calo del reddito e non per loro colpa, e un aiuto in favore delle imprese per evitare che chiudano per mancanza di liquidità». Le attenzioni sono rivolte alle famiglie e imprese colpite dalla crisi, ma anche ad aziende e partite Iva.

 

Valeria Bonaccorso

La polemica conferenza stampa di Draghi e le ultime novità sui vaccini

Ogni giorno sentiamo discutere molto sull’avanzamento della campagna vaccinale, costellata da rallentamenti, differenze tra regioni e malumori tra i politici.

Draghi contro i “furbetti” e intanto scoppiano le proteste contro l’obbligo vaccinale

La prima notizia tra le più recenti risale a giovedì 8 aprile. Durante la conferenza stampa svoltasi quel giorno, il premier Mario Draghi ha attaccato la categoria degli psicologi, anzi, più nello specifico i più giovani tra questi, incolpandoli di scarso buon senso per essersi vaccinati prima di anziani e altre persone fragili:

“Con che coscienza la gente salta la lista sapendo che lascia esposto a rischio concreto di morte persone over 75 o persone fragili?” – ha dichiarato – “Smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, i giovani, i ragazzi, gli psicologi di 35 anni, queste platee di operatori sanitari che si allargano”.

Il premier Draghi durante la conferenza (fonte: quifinanza.it)

La questione ha innescato un’immediata reazione dalla categoria degli psicologi.

“Nessuno di noi ha chiesto di avere priorità, è stato il Governo a decidere le priorità vaccinali, ed in queste sono state incluse tutte le professioni sanitarie. Addirittura, l’ultimo Decreto trasforma la facoltà in obbligo, esteso a tutti gli iscritti agli Ordini sanitari. Perché queste priorità e questi obblighi non sono determinati dal fine di proteggere i sanitari, ma le persone, bambini e adulti, da loro seguiti”.

Queste le parole di David Lazzari, presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi.

Il presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (fonte: ilmessaggero.it)

Proprio il governo ha delineato nuove misure negli scorsi giorni, tra le quali quella dell’obbligo vaccinale, da subito tanto discusso. Tale obbligo è previsto per tutti coloro che svolgono il proprio lavoro presso enti sanitari, sociosanitari e socio-assistenziali, pubblici e privati, farmacie, parafarmacie e studi professionali. Gli unici casi in cui è prevista una deroga, senza rischiare di essere assegnati ad altre mansioni o essere sospesi, sono quelli viene identificato un rischio per la salute, a causa di specifiche condizioni cliniche, da documentare e certificare tramite il medico di base per poter rimandare o non effettuare la vaccinazione. Per questo motivo, inoltre, in alcune città, ma soprattutto a Roma, ieri, si sono svolte delle manifestazioni di infermieri contrari a tale disposizione. “Non sono una cavia” è uno degli slogan che compare maggiormente compare striscioni e magliette. Molti si sono detti “si vax”, ma non disposti a sottomettersi alle condizioni previste dal dpcm, soprattutto per le “veloci” tempistiche con le quali i vaccini disponibili sono stati prodotti.

Alcuni manifestanti a Roma contro l’obbligo vaccinale (fonte: ANSA)

Tornando alla questione tra il premier e la categoria degli psicologi, ricordiamo che quest’ultimi stanno svolgendo un lavoro molto importante, ma che, come spesso accade, viene interpretato come secondario. Questo non sarà stato ciò che il premier avrebbe voluto intendere, ma apparentemente vi sono delle incompatibilità tra ciò che è previsto dall’ultimo dpcm emanato proprio dal governo Draghi e quanto da lui rimproverato durante la conferenza stampa.

In ogni caso, sottolineiamo anche che gli psicologi, le migliaia di psicologi, stanno operando durante la pandemia, lavorando sul disagio causato da un anno di chiusura delle scuole, supportano persone fragili, bambini disabili e le loro famiglie; poi, ci sono coloro che lavorano con gli anziani, nelle Rsa, con i malati oncologici, le persone con malattie croniche e quelle in fin di vita, ma anche con coloro che non ricevono risposta dal pubblico e si affidano al privato. Dunque, si tratta di persone spesso a contatto con il pubblico. Senz’altro, durante queste lente fasi della vaccinazione dovrebbero esser prima coinvolti i soggetti con le patologie più importanti, a scarsità di dosi, cioè coloro i quali aspettano da fin troppo tempo ormai. Qualcosa è andato storto, ma rimproverare dei professionisti definendoli “furbetti” quando lo sono stati per rispettare delle norme appare senz’altro inutile.

In arrivo le dosi di Johnson&Johnson

Dopo Pfizer, AstraZeneca e Moderna, arriva in Italia anche il vaccino monodose Johnson & Johnson. 184mila, le prime dosi che arriveranno nell’hub dell’aeroporto militare di Pratica di Mare, nei pressi di Roma, fra martedì e mercoledì. Entro la fine di aprile sono attese altre 300mila fiale, mentre le dosi previste per il secondo trimestre sono complessivamente di 7,3 milioni.

(fonte: ANSA)

Quello che sembra una buona notizia, potrebbe esserlo solo in parte. Dagli Usa arrivano le prime incognite, poiché, dopo quattro casi di trombosi, decretate non legate al vaccino, le autorità stanno comunque tenendo maggiormente sotto controllo il vaccino. Così, anche l’Ema sta già monitorando il farmaco per prevenire eventuali problematiche.

Una buona notizia, dicevamo, soprattutto dopo le tante di ogni giorno sui ritardi e le tensioni tra il governo centrale e le Regioni che non riescono a rispettare i programmi per arrivare all’immunizzazione di tutti gli italiani entro la fine dell’estate. Il commissario Figliuolo, intanto, continua a rassicurare sull’arrivo di somministrazione di 500mila dosi al giorno, entro la fine di aprile. Ha invitato le Regioni a rinunciare al tentativo di scatti in avanti, poiché i picchi contano poco e l’importante è la media delle somministrazioni. Inoltre, alle Regioni è stato chiesto di gestire le dosi ricevute, accantonando le scorte non solo per i richiami, ma anche per fronteggiare eventuali ritardi nelle consegne, che parrebbero sempre più probabili, secondo alcuni: “Il grosso problema lo avremo da maggio, perché a oggi non abbiamo la programmazione di vaccini” ha dichiarato l’assessore al Welfare e vice presidente della Lombardia, Letizia Moratti.

Intanto, sempre più attenzione dalle singole amministrazioni regionali viene rivolta al vaccino Sputnik e molti spingono già per firmare pre-accordi con la Russia, per trovarsi già in caso arrivasse il via libera dall’Ema.

AstraZeneca e lo stop alla vaccinazione di insegnanti

Dubbi e ritardi hanno creato grosse problematiche al vaccino di AstraZeneca, di cui il nuovo nome è Vaxzevria. In alcun Paesi europei è stato sospeso, mentre in Italia adesso è previsto per gli over 60, come raccomandato dall’Ema, dopo i nuovi casi di sospette trombosi collegate alle inoculazioni.

Intanto, la nuova ordinanza del commissario Figliuolo prevede uno stop alla vaccinazione delle categorie, a cominciare da insegnanti e personale sanitario non in prima linea, per accelerare sugli anziani.

Mentre l’Inghilterra si prepara a massicce riaperture e gli Stati Uniti procedono con circa 3 milioni di vaccinazioni al giorno, l’Italia si sta affannando. Ciò è dovuto, probabilmente, soprattutto per motivi di organizzazione, come ogni giorno viene ribadito da molti, ma, secondo il virologo consigliere del presidente americano Biden, Anthony Fauci, anche in Europa sarebbe probabile che, la causa dell’aumento dei contagi sia la capacità della variante inglese di cancellare gli effetti dei lockdown è l’aumento di trasmissibilità del virus.

Non ci resta che sperare, innanzitutto, che non vi siano altri episodi di tensione tra il governo e le Regioni, perché solo così potremo sostenere un miglioramento della campagna vaccinale, senza indugi e dubbi non realmente proficui.

 

Rita Bonaccurso

 

La nuova normalità post Covid e la distanza che diventa una risorsa

Quando torneremo alla normalità? È la domanda più gettonata dell’ultimo anno. Ma non solo. È il segno evidente di che cos’è il tempo presente oggi: proiezione nel futuro del ritorno del passato. Eppure, mentre la sogniamo, la normalità ci è già sfuggita di mano. La pandemia, infatti, ha innescato un processo di trasformazioni tanto rapido da necessitare una ridefinizione del concetto di normalità. Scopriamo il velo di Maya: la normalità, così come la conoscevamo, non tornerà mai più. E no, non si tratta dell’osservazione pessimistica di un animo retrivo, piuttosto di un’affermazione di fiducia nella storia e nei suoi eventi: ogni crisi porta con sé non solo distruzione ma anche uno scenario di possibilità.

Studiare in Dad – Fonte: www.noidellascuola.it

Non bisogna andar lontano con il pensiero per rendersi conto che le risorse messe in moto dalla pandemia rappresentano un potenziale per il futuro. Guardiamo a quanto ci è più vicino: il sistema universitario. Le lezioni online si sono rivelate, per molti versi, un beneficio a cui le università postpandemiche non possono più rinunciare, nel nome di un accesso alla cultura più libero e democratico. Si pensi ai vantaggi per gli studenti lavoratori che riuscirebbero più agevolmente a conciliare lavoro e università. Stesso discorso vale per gli studenti genitori. Per non parlare poi di quanti, per frequentare la facoltà che prediligono, sono costretti a cambiare città, il che implica dei costi ai quali non tutti possono far fronte, o degli studenti pendolari che in un giorno di pioggia rinunciano alle lezioni. La didattica a distanza consente di superare barriere e disuguaglianze e di pensare davvero ad un’università che dia a tutti le stesse possibilità.

Nel mondo del lavoro, lo smart working ha spalancato nuovi orizzonti: una gestione più autonoma dei tempi di lavoro e dei tempi di vita, la riduzione dei costi di trasporto casa-lavoro e dello stress causato dagli spostamenti, la possibilità di lavorare in un ambiente familiare e costruito a propria misura. Che lo smart working sia un’innovazione destinata ad occupare il futuro postpandemico, lo conferma un’indagine condotta da Rete del lavoro agile, secondo la quale il 95% degli intervistati vorrebbe mantenere la flessibilità garantita dal lavoro in remoto anche dopo l’emergenza. A tal proposito, nelle ultime settimane, molte imprese, come Unicredit, Bayer, Sanofi, Rina, hanno stipulato accordi con i sindacati per regolamentare l’uso di questo importante strumento nel post coronavirus, puntando l’attenzione soprattutto sul diritto alla disconnessione.

Il diritto alla disconnessione – Fonte: www.lavorosi.it

Anche il settore sanitario, messo alla prova dalla pandemia, si è aperto ad una nuova frontiera: la telemedicina. Un ottimo strumento per rispondere all’esigenza di ridurre l’afflusso in ospedale, soprattutto per proteggere dal contagio soggetti fragili o con malattie croniche, e che nel futuro postpandemico può rappresentare un importante tassello di un sistema medico più inclusivo e presente nel territorio. La telemedicina faciliterebbe l’accesso alle cure mediche a quanti vivono in zone remote o non dotate di adeguate strutture sanitarie; permetterebbe ad anziani o malati cronici di curarsi direttamente da casa; renderebbe più agevole al paziente il consulto medico; garantirebbe interventi repentini e personalizzati.

Un esempio di telemedicina – Fonte: www.saluteatutti.it

Lo smart working, la didattica a distanza e la telemedicina si collocano in uno scenario più ampio: la digitalizzazione. Questo processo, accelerato fortemente dalla pandemia, si dimostra oggi più che mai, contro ogni forma di resistenza, inesorabile e onnipervasivo. In tal senso, il Corona virus rappresenta un punto di non ritorno: se prima le vecchie generazioni guardavano nostalgicamente al passato, oggi anch’ esse si sono rese conto dell’effettivo potenziale insito nel mondo virtuale. La stessa politica si sta ritrovando a fronteggiare una sfida lanciata proprio dalla digitalizzazione: la disuguaglianza digitale. Basta pensare al Recovery fund e al fatto che prevede l’erogazione di 40 miliardi in favore dell’educazione digitale, per comprendere che esiste una nuova consapevolezza: senza un’equa distribuzione degli strumenti digitali, quella per la democratizzazione della cultura, del lavoro e della salute rischia di essere una battaglia persa.

Da una parte l’evoluzione del digitale, dall’altra il progresso della scienza: la pandemia, come fenomeno sociale, non può essere letta se non a partire dal binomio scienza-tecnologia. Le trasformazioni evolutive che hanno investito la scienza riguardano, in modo particolare, due campi. Il primo è quello della ricerca sui vaccini: la tecnica dell’Rna messaggero, usata dai vaccini Pzifer-Biontech e Moderna, verrà utilizzata per sperimentare nuovi vaccini, come quello contro il citomegalovirus e l’HIV. Lo ha confermato Noubarn Afeyan, presidente di Moderna: “Penso che questa tecnologia resterà protagonista anche in futuro”. Il secondo campo è quello del rapporto con le istituzioni: la pandemia ha sancito l’inizio di un fecondo dialogo tra scienza e politica e, di conseguenza, tra scienza e opinione pubblica; un dialogo che deve essere coltivato per costruire società più informate, consapevoli e mai più impreparate ad affrontare crisi di questo tipo.

Immaginare il futuro post Covid alla luce di risorse e possibilità rappresenta il tentativo di ripensare la pandemia come un momento storico epocale, un evento pregnante di schemi interpretativi nuovi per comprendere le trasformazioni del presente e quelle del futuro, nell’ottica di una realtà che si evolve nel lasso di tempo che intercorre tra la rottura di equilibri vecchi e l’affermazione di equilibri nuovi.

Chiara Vita

Articolo pubblicato l’ 8 aprile 2021 sull’inserto NoiMagazine di Gazzetta del Sud

Perché il vaccino AstraZeneca è stato raccomandato agli over 60. Gli effetti sul piano vaccinale

AstraZeneca (ribattezzato Vaxzevria) sarà raccomandato alla popolazione over 60: così ha decretato una circolare del Ministero della Salute in seguito alla consultazione col Cts (Comitato tecnico-scientifico) del 7 aprile. Sarà tuttavia possibile, per chi ha già ottenuto la prima dose di Vaxzevria, completare il ciclo. Il parere del Comitato è chiaro:

Attualmente il bilancio benefici/rischi (del vaccino) appare progressivamente più favorevole al crescere dell’età, sia in considerazione dei maggiori rischi di sviluppare COVID-19 grave, sia per il mancato riscontro di un aumentato rischio degli eventi trombotici sopra descritti nei soggetti vaccinati di età superiore ai 60 anni.

In sostanza, il Cts ha notato che i maggiori rischi del vaccino si sono manifestati in capo a soggetti inferiori ai 60 anni. Tuttavia, il parere del Cts si basa su una somministrazione avvenuta, fino alle recenti settimane, prevalentemente su fasce d’età inferiori ai 55 anni, con conseguenza che gli effetti collaterali si siano sviluppati maggiormente tra persone sotto i 60.

L’EMA (Agenzia Europea per i Medicinali) ha aggiornato al 9 aprile il riepilogo del prodotto AstraZeneca in seguito all’accertamento della correlazione tra la somministrazione del vaccino Vaxzevria e rari casi di trombosi.

(fonte: ema.europa.eu)

 La maggioranza di questi casi (disturbi del sangue) si è manifestata nei primi 14 giorni seguenti la vaccinazione e prevalentemente nelle donne sotto i 60 anni d’età. Alcuni di essi hanno avuto conseguenze fatali.

Effetti collaterali di AstraZeneca e sintomi

Quanto agli effetti collaterali, il riepilogo del prodotto presenta una lista basata sull’incidenza dei sintomi. Comuni  (1 su 10 persone) sono senso di stanchezza, febbre >38° per alcuni giorni successivi alla somministrazione, rossore attorno alla zona di somministrazione.

Molto rari (con un’incidenza media di 1 su 10,000 persone) sono coaguli di sangue in punti inusuali (es. cervello, fegato, intestino, milza) accompagnati da un basso livello di piastrine del sangue.

Sono forme rarissime, un caso su un milione nella popolazione normale. Adesso sono state osservate con una frequenza maggiore, circa 1-2 ogni 100mila vaccinati.

Ha osservato Giorgio Palù, microbiologo e presidente dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Ma si tratta di una frequenza osservabile solo grazie alle vaccinazioni di massa. Per questo motivo il presidente preferisce non additare mancanza di accortezza alle agenzie regolatorie.

In seguito alle dichiarazioni dell’EMA sulla correlazione tra vaccino e rari casi di trombosi, l’Aifa ha aggiornato le informazioni al pubblico riguardanti Vaxzevria, includendo una tabella di sintomi sospetti seguenti la somministrazione. In questo modo, prevenire la manifestazione di coaguli sanguigni e trombi è possibile.

(fonte: aifa.gov.it)

Perché proprio agli over 60?

Ci si chiede se la scelta di raccomandare il vaccino agli over 60 sia di natura politica. Ed effettivamente, l’EMA ha affermato che non sono stati riscontrati elementi predittivi della manifestazione degli effetti collaterali. Ciò significa che la natura degli effetti non può ricondursi a nessuna categoria in particolare – ed è per questo che l’Agenzia non ha predisposto alcun limite di somministrazione.

Ancora, una ricerca sul bilancio rischi/benefici di AstraZeneca condotta dall’Università di Cambridge ha rivelato la positività dei benefici rispetto ai rischi per ogni fascia d’età. Lo studio è stato condotto tramite un campione di 100,000 persone e basandosi su tre fasce di esposizione al rischio:

  • Fascia bassa: incidenza di 2 ogni 10,000 abitanti (circa il Regno Unito nell’ultimo periodo) .
  • Fascia media: incidenza di 6 ogni 10,000 abitanti (circa il Regno Unito a febbraio).
  • Fascia alta: incidenza di 20 ogni 10,000 abitanti (circa il Regno Unito al picco della seconda ondata).

Al momento, l’incidenza epidemiologica in Italia supera quella britannica durante il picco della seconda ondata, con ben 48 contagi ogni 10,000 abitanti (dati aggiornati al 28 marzo). Ciò significa che l’Italia ben si colloca in una fascia d’alto rischio all’esposizione al virus.

(fonte: assets.publishing.service.gov.uk)

Il grafico evidenzia potenziali benefici (in blu) e potenziali danni (arancione) derivanti dalla somministrazione. Per la fascia d’età 60-69, il vaccino presenta moltissimi risvolti positivi, prevenendo l’ammissione nella Intensive Care Unit (terapia intensiva) per quasi 128 persone ogni 100,000, in opposizione alle 0.2 persone ogni 100,000 che dal vaccino hanno subito gravi danni.

Ma i benefici derivanti da AstraZeneca superano di gran lunga i danni anche per le altre fasce di età, con i minori benefici derivanti per la fascia 20-29 anni. Ogni fascia di età trarrebbe dal vaccino, col rischio d’esposizione calcolato al momento in Italia, molti più benefici che danni.

Cosa ne sarà del piano vaccinale

Ad oggi, le conseguenze che ne deriveranno per il piano vaccinale italiano sono ignote. Si è seguita un’iniziativa presa dalla Germania, iniziativa prevalentemente politica – secondo Andrea Crisanti – in quanto la Germania ha un’alta percentuale di no-vax ed è anche sede del vaccino Pfizer, senza contare che lo stato delle vaccinazioni è diverso rispetto al nostro. Ma per l’Italia, che aveva investito tantissimo su AstraZeneca, la limitazione del farmaco agli over 60 potrebbe avere grosse conseguenze.

Non si esclude, tuttavia, che si tratti di una misura temporanea, tenuto conto del fatto che non è ancora stata ultimata la vaccinazione degli over 80 ed è appena stata iniziata quella degli over 70.

 

Valeria Bonaccorso

Falsati i dati dei contagi in Sicilia per scongiurare la zona rossa. Razza chiede le dimissioni

Una dirigente della Regione Sicilia e due suoi collaboratori sono accusati di aver falsificato i dati dei contagi inviati all’Istituto superiore di sanità per mantenere la situazione epidemiologica sotto le soglie di allerta.

Sono finiti ai domiciliari, per falso materiale e ideologico, ben tre appartenenti al Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) dell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana; indagato invece l’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza.

Il Gip: “Disegno politico scellerato, presidente Musumeci estraneo anzi tratto in inganno”.

(fonte: akronos)

Com’è nata l’indagine

L’inchiesta è scaturita dopo il blitz dei carabinieri nel laboratorio di analisi di Alcamo, in provincia di Trapani. Il sospetto nasce da un’altra indagine effettuata sui risultati errati di centinaia di tamponi esaminati lo scorso autunno: il laboratorio era finito nel mirino della procura trapanese per queste irregolarità, in quanto, oltre a far pagare i tamponi ad un prezzo eccessivo ed utilizzare macchinari non certificati per lo screening, avrebbe consegnato diversi tamponi negativi a pazienti in seguito rivelatisi positivi.

I PM hanno deciso di fare un approfondimento all’assessorato regionale alla Sanità, attivando alcune intercettazioni, da cui sono emerse alcune conversazioni sospette in cui la dirigente e i suoi collaboratori parlavano dell’alterazione dei tamponi per modificare i dati giornalieri dei contagi.

Sono state effettuate perquisizioni domiciliari nei confronti di sette indagati alla ricerca di materiale informatico e documenti utili alle indagini. Infine, sono state acquisite e-mail e dati presso i server dell’assessorato Regionale alla Salute e Dipartimento.

Secondo i militari del N.A.S., che conducono l’inchiesta, “sebbene non emerga ancora compendio investigativo grave, è emerso il parziale coinvolgimento di Razza nelle attività delittuose del Dipartimento per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (D.A.S.O.E.)”.

L’indagine che coinvolge Razza ha portato oggi a tre arresti accusati di aver alterato, in svariate occasioni, il flusso dei dati diretti all’Iss sulla pandemia modificando il numero dei positivi e dei tamponi e a volte anche quello dei decessi.

Esemplare è conversazione telefonica tra l’assessore Razza e Maria Letizia Di Liberti dello scorso novembre, dopo la decisione del Governo di mettere la Sicilia in “zona arancione”, dove si era pianificato di “spalmare” i numeri sui decessi da Covid in più giorni per non far sembrare troppo drammatica la situazione in Sicilia e scongiurare la zona rossa:

(fonte: Palermolive)

“I deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?”, chiede lei non sapendo di essere intercettata. “Ma sono veri?”, chiede Razza. “Si, solo che sono di 3 giorni fa”, risponde. E Razza dà l’ok: “Spalmiamoli un poco”. La dirigente prosegue: “Ah, ok allora oggi gliene do uno e gli altri li spalmo in questi giorni, va bene, ok. Mentre quelli del San Marco, i 6 sono veri e pure gli altri 5 sono tutti di ieri… quelli di Ragusa, Ragusa 5! E questi 6 al San Marco sono di ieri.. perché ieri il San Marco ne aveva avuti ieri altri 5 del giorno prima, in pratica. Va bene?” “Ok”, risponde l’assessore Razza.

Insomma, mentre l’Isola era travolta dalla pandemia e dai contagi, venivano comunicati a Roma dati truccati, camuffati “in un caos assoluto – scrive il Gip di Trapani – e nella totale inattendibilità dei dati trasmessi, che sembrano estratti a sorte e la cui dimensione reale appare sfuggita agli stessi soggetti che li alterano”.

Le conseguenze delle dichiarazioni del G.I.P.

La Sicilia avrebbe barato sui dati sui contagi per non fare scattare la zona rossa: le accuse mosse dalla procura di Trapani nei confronti dei vertici dell’assessorato alla Salute regionale sono quelle di falso materiale e ideologico.

Dal mese di novembre sarebbero circa 40 gli episodi di falso documentati dagli investigatori dell’Arma, l’ultimo dei quali risalirebbe al 19 marzo 2021.

Con questa accusa i carabinieri del Nas di Palermo e del Comando Provinciale di Trapani stanno eseguendo un’ordinanza di misura cautelare agli arresti domiciliari nei confronti della dirigente generale del Dasoe Maria Letizia Di Liberti, del funzionario della Regione Salvatore Cusimano e di un dipendente di una società che si occupa della gestione informatica dei dati dell’assessorato Emilio Madonia; fra gli indagati, riporta l’Ansa, anche l’assessore regionale alla Sanità Ruggero Razza, Ferdinando Croce e Mario Palermo, direttore del Servizio 4 del Dipartimento retto da Maria Letizia Di Liberti.

Anche l’esponente del governo Musumeci oggi ha ricevuto un invito a comparire con avviso di garanzia.  Sebbene nei suoi confronti non emergano profili di una certa gravità, sarebbe stata accertato il suo parziale coinvolgimento nelle attività delittuose del Dasoe.

Secondo il giudice per le indagini preliminari, però, quello messo in atto è «un disegno politico scellerato a cui sembra estraneo il presidente della Regione Musumeci -pur essendo coinvolto il suo “delfino” Razza-, che anzi pare tratto in inganno dalle false informazioni che gli vengono riferite».

(fonte: Ragusaoggi

Ma nonostante le false informazioni di Razza sui dati sulla reale emergenza coronavirus in Sicilia, il governatore Musumeci lo difende. Invita alla prudenza e difende l’assessore alla Salute: «Leggo dichiarazioni di rappresentanti politici che fanno accapponare la pelle, questa è una terra di giustizialisti: è una vergogna. Abbiamo visto quanti indagati poi sono usciti dalle inchieste. Quindi, calma calma calma – dice a Omnibus su La7–. Questa terra dà fastidio quando non alimenta le cronache giudiziarie, abbiamo tenuto lontano in questi anni la Sicilia dalle inchieste. Ho fiducia in Razza, ed estrema fiducia nella magistratura: sono convinto che i fatti saranno chiariti».

Di opinione opposta Presidente della Commissione Antimafia regionale siciliana Claudio Fava il quale esorta Razza a delle dimissione che “vanno pretese stamattina come primo atto di decenza morale” Riferendosi poi a Musumeci:«se davvero non sapeva, l’inettitudine di un Presidente incapace di controllare la gestione dell’emergenza è colpa grave e imperdonabile. Una colpa che non gli permetteremo di nascondere lanciando la palla in tribuna, come è uso fare da tre anni a questa parte».

Non tardano ad arrivare le dichiarazioni dell’ “oggetto della polemica”, Ruggero Razza. «Alla luce della indagine della Procura di Trapani che mi vede indagato, nel confermare il massimo rispetto per la magistratura, desidero ribadire che in Sicilia l’epidemia è sempre stata monitorata con cura» enfatizzando la severità dei provvedimenti emanati tal volta anticipando quelli stabiliti dalla Capitale, in quanto “non avevamo bisogno di nascondere contagiati o di abbassare l’impatto epidemiologico”. Conclude: «Per sottrarre il governo da inevitabili polemiche ho chiesto al presidente della Regione di accettare le mie dimissioni».

Manuel De Vita

Elezioni in Israele. Il destino di un Paese e di un primo ministro appese a un filo

Oggi, martedì 23 marzo, in Israele si andrà al voto per la quarta volta in meno di due anni. Il primo ministro uscente, Benjamin Netanyahu, negli ultimi mesi è riuscito a rimanere al suo posto, nonostante il processo per corruzione in corso contro di lui; ha continuato a mantenere un alto indice di gradimento, soprattutto grazie al successo della campagna vaccinale israeliana, anche se comunque in calo rispetto alle ultime elezioni tenute appena un anno fa.

In base alla Legge israeliana, un primo ministro può restare in carica anche se sotto processo. Tuttavia, in questo caso, le prove a sfavore sembrano abbastanza schiaccianti e, se fosse condannato, sarebbe costretto a dimettersi e potrebbe finire subito in galera.

Al momento, vi è una concreta possibilità che Netanyahu possa perdere le elezioni, un esito che sarebbe una grossa novità per la politica israeliana.

(fonte: World Politics Blog)

Chi è Benjamin Netanyahu

Benjamin Netanyahu, spesso soprannominato Bibi, è l’attuale Primo ministro dal 31 marzo 2009, dopo esserlo stato già tra il 1996 e il 1999; membro della Knesset e leader del Likud, il principale partito del centrodestra israeliano.

Il primo mandato del 1996 è frutto soprattutto di una campagna elettorale basata sullo slogan “una pace sicura, con il quale, da un lato, promise la prosecuzione del dialogo con l’Anp – organismo politico di auto-governo palestinese formato nel ’94, in seguito agli Accordi di Oslo, per il governo della Striscia di Gaza e le aree A e B della Cisgiordania – dall’altro, però, una forte intransigenza contro ogni movimento terroristico, anche a costo di usare la forza. Infatti, proprio in quei mesi, Israele è stato attraversato da una lunga e funesta scia di attentati terroristici.

Netanyahu vanta diversi record personali: è il primo premier eletto in maniera diretta, il primo leader ad esser nato nel Paese dalla sua fondazione nel 1948 e il più longevo premier della storia d’Israele, con ben 14 anni e 300 giorni di governo (primo incarico: 3 anni e 18 giorni; secondo e corrente incarico: 11 anni, 282 giorni).

Sicurezza e crescita economica sono state le chiavi del suo successo stabile e durevole nel tempo.

La prima è stata assicurata da un progressivo rafforzamento dell’esercito, accompagnato peraltro da politiche dure nei confronti dei palestinesi, che, però, avrebbero potuto essere ancora più dure, considerando le coalizioni di destra al governo nel Paese negli ultimi dodici anni. Infatti, in questo periodo, Netanyahu ha deciso di iniziare una sola vera guerra, durata poco meno di due mesi, e ha ritirato più volte la promessa di annettere parte della Cisgiordania al territorio israeliano.

In tema di crescita economica, dal 2009 ad oggi, il PIL israeliano è raddoppiato, unico caso in Occidente; il tasso di disoccupazione si è dimezzato, scendendo sotto al 4% nel 2020. Anche per questa ragione Netanyahu era riuscito a vincere le ultime tre elezioni e a formare dei governi guidati da lui, sebbene molto instabili per via della frammentatissima politica israeliana.

La prova più grande è stato l’arrivo della pandemia. Prima che iniziasse la campagna vaccinale, Israele era uno dei Paesi con più contagiati al mondo in rapporto alla popolazione, e la scorsa estate si erano susseguite enormi proteste di piazza contro le misure del governo per bilanciare gli effetti della pandemia sul sistema economico.

https://www.youtube.com/watch?v=6ZVTipkQOsM

I possibili esisti delle votazioni

Proprio oggi, gli israeliani andranno per la quarta volta in due anni alle urne e già si parla di un quinto voto nei prossimi mesi. L’intento sarebbe quello di continuare con le elezioni fino a sbloccare la situazione, o meglio, eleggere un governo di coalizione stabile e guidato da Netanyahu.

Infatti, la speranza del primo ministro sarebbe quella di convincere il Parlamento (Knesset) ad approvare una legge che gli garantisca l’immunità fin quando resterà in carica; a quel punto la sentenza del tribunale non avrebbe alcun rilievo, perché a Bibi basterebbe conservare l’incarico.

A suo discapito, però, diversi esponenti della coalizione non sono disposti a votare l’immunità, pur sostenendo il suo governo in generale. Questo significa che per formare una coalizione servirà un intenso lavoro, con ogni potenziale partner che proporrà le proprie richieste.

Nelle tre elezioni che si sono susseguite dall’aprile del 2019 Netanyahu è riuscito a formare una coalizione per tre volte, ma è sempre stato costretto a includere un partito che non è mai stato intenzionato a concedergli l’immunità.

Tuttavia, il successo nella campagna vaccinale non ha cancellato gli estesi timori per l’economia, segnati da una riduzione del PIL e dall’incremento del tasso di disoccupazione. La Banca d’Israele ha anche criticato il governo per l’assenza di misure di stimolo per la ripresa.

(fonte: LaRepubblica)

«Il partito di Netanyahu non è cresciuto nei sondaggi perché ci sono radicati timori che la crisi economica causata dalla pandemia non sia stata gestita bene dal governo», afferma il Times of Israel sulla base di un recente sondaggio che assegnava al Likud, il partito di Netanyahu, 27 seggi sui 120 totali della Knesset, il Parlamento israeliano, contro i 37 controllati oggi.

Stando agli ultimi sondaggi, dei quattro partiti oggi più popolari tre sono di destra: oltre al Likud ci sono anche Nuova Speranza, fondato dall’ex ministro e dirigente del Likud Gideon Sa’ar, in polemica con Netanyahu, e Yamina, guidato da Naftali Bennett.

Tuttavia, Nuova Speranza ha promesso che non sosterrà un nuovo governo Netanyahu, dunque Bennet appare visibilmente la sola speranza: si è già presentato più volte alle elezioni con partiti a destra di Netanyahu, finendo sempre per allearsi con lui, e l’anno scorso ha pubblicato un libro in cui criticava la gestione della pandemia del governo, ma senza nemmeno citare una volta Netanyahu.

Stando ai sondaggi un’eventuale coalizione fra Likud, Yamina e i partiti della destra religiosa, escluso Nuova Speranza, è data appena sotto i 61 seggi necessari per dare la fiducia a un nuovo governo.

C’è da dire che anche la frammentazione centrosinistra è netta: Blu e Bianco, il partito che un anno fa arrivò secondo, si è spaccato dopo la sorprendente decisione del leader Benny Gantz di formare un governo di coalizione con Netanyahu; la fazione opposta al governo con Netanyahu ha, invece, rifondato il partito centrista Yesh Atid, il quale è secondo nei sondaggi con una ventina di seggi, ma non è chiaro cosa intenda fare dopo il voto. Al momento un’alleanza dei partiti di sinistra sembra difficile.

Una terza improbabile opzione prevede un governo di coalizione fra partiti di destra e di centro che taglierebbe fuori il Likud: potrebbe superare di poco i 61 seggi, e dare la fiducia a un governo di centrodestra senza Netanyahu.

In ogni caso, in Israele alcuni sembrano convinti che esista una sola opzione: la quinta elezione in poco più di due anni, nel caso in cui anche quella di oggi non riesca a dare al Paese un governo stabile.

 

Manuel De Vita