Passano in zona gialla altre Regioni italiane, mentre il governo pensa alle misure per le festività

Veneto, Liguria, Marche e Provincia di Trento passano oggi, 20 dicembre, in zona gialla. La misura è stata disposta principalmente per l’aumento dei ricoveri, avendo superato la soglia di sicurezza: 10% per la terapia intensiva e il 15% per i reparti ordinari. Lombardia ed Emilia-Romagna hanno evitato il giallo per poco.

La cartina di oggi, 20 dicembre (fonte: periodicodaily.com)

 

Nelle scorse settimane, avevano già subito il passaggio di colore: Friuli-Venezia Giulia il 29 novembre, la Provincia autonoma di Bolzano il 6 dicembre e la Calabria il 13 dicembre.

Con le festività alle porte, il governo cerca di capire quali siano le misure migliori da adottare, per evitare un drastico peggioramento della situazione, mentre si osserva con preoccupazione l’aumento dei casi di variante Omicron. Anche se i sintomi da essa provocati non sono più gravi, gli esperti temono che la sua veloce corsa possa mettere in crisi il Paese.

In Italia, l’incidenza dei contagi per 100 mila abitanti nelle ultime tre settimane è, infatti, salita da 155 a 176. Poi il salto netto, venerdì scorso, a 242. L’incidenza più alta si registra nella Provincia di Bolzano, 566 casi a settimana ogni 100mila abitanti. Seguono il Veneto (506), il Friuli (376), la Valle d’Aosta (330) e la Liguria (313).

Il bollettino di ieri, domenica 19 dicembre, emanato dal Ministero della Salute, ha registrato 24.259 nuovi positivi su 566.300 tamponi effettuati. I decessi sono stati 97, i guariti 9.403.

Ora si attende giovedì 23 dicembre per la cabina di regia presieduta dal premier Mario Draghi, organizzata appositamente per prendere le decisioni definitive in vista delle festività.

(fonte: leggo.it)

Lombardia ed Emilia-Romagna sventano la zona gialla. Altre Regioni rischiano quella arancione

Successivamente, la prossima segnata sul calendario dal governo è lunedì 27 dicembre, giorno entro cui le Regioni che hanno sventato oggi il passaggio in giallo, potrebbero subirlo, appunto, la prossima settimana,

LEmilia-Romagna ha superato solo il livello di guardia per le terapie intensive e per questo si attende ancora prima di reintrodurre la zona gialla. A rischiare di più, alla luce degli ultimi dati, è la Lombardia avendo il 14 % dei reparti ordinari occupati e il 9,5 % di quelli nelle rianimazioni.

Ciò che ha fatto evitare per ora il tracollo è la manovra eseguita nelle ultime ore: sono stati aumentati i posti letto ordinari a disposizione, così da abbassare la percentuale di occupazione di quest’ultimi per passare da una percentuale del 15 al 14%. A dare la comunicazione l’Assessorato regionale al Welfare “Un aumento di 1.752 posti, il nuovo valore è di 10.237, vicino al tetto massimo di 10.500”. Non ci sono, invece, variazioni nel numero di posti in terapia intensiva, che restano 1.530.

Non si annulla, però, il rischio del cambio di colore nella prossima settimana, tutto dipenderà dall’eventuale peggioramento dei dati. A parlare dell’ipotesi, è stato lo stesso governatore lombardo Attilio Fontana, nella giornata di ieri:

“È possibile che ci sia il giallo dopo Natale, per fortuna grazie al cielo siamo in una situazione ancora abbastanza controllo, tutto dipende dai prossimi due giorni perché i numeri vengono inviati a Roma martedì e penso che ci siano buone possibilità di rimanere in bianco, ma è chiaro che siamo abbastanza al limite.”.

Il governatore Fontana annuncia aumento dei posti letto (fonte: rtl.it)

 

Il governatore ha, inoltre, dichiarato che un Capodanno in zona giallanon sarebbe una cosa drammatica”, perché, d’altronde, poche e non molto stringenti misure dovrebbero essere introdotte. Peraltro, l’obbligo di mascherina all’aperto è stato già riattivato finora da molti sindaci lombardi nei propri Comuni, in caso di situazioni di assembramento per strada. Fontana ha, però, voluto sottolineare, nonostante la situazione sia ancora sotto controllo, essere ora necessario non abbassare la guardia, considerando che “la variante Omicron corre veloce”.

Anche il Lazio rischia una fine dell’anno in giallo. Entro Natale verrà probabilmente adottato l’obbligo di mascherina all’aperto, anche con il perdurare della zona bianca.

Il governo valuta le decisioni da prendere il 23 dicembre

Il rischio di zone arancioni sembra comunque abbastanza probabile, alla luce della nuova evoluzione. Guido Rasi, consulente scientifico del commissario straordinario per l’emergenza Covid, Figliuolo, ha infatti ribadito esservi esigenza di rafforzare le misure sempre per evitare la sofferenza degli ospedali.

Intanto si punta sempre più sulle terze dosi di vaccino, affinché la copertura sulla maggior parte della popolazione sia sufficiente a far sì che la variante Omicron non diventi un nuovo problema a causa della sua alta contagiosità.

“Se la Omicron buca il vaccino è praticamente un altro virus, e allora tutto può cambiare, anche questo Green pass potrebbe non bastare più.” ha dichiarato Rasi.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato che il governo ascolterà gli scienziati e si valuteranno tutte le possibili misure, che verranno poi discusse ufficialmente giovedì 23, come suddetto.

Tamponi obbligatori per chi partecipa a eventi pubblici – misura che, però, non convince né molti politici né esperti – mascherine obbligatorie all’aperto e riduzione della durata del certificato verde, con lo scopo di spingere i cittadini ad andare a fare la terza dose, sono le misure che si stanno ponderando. C’è anche la possibilità dell’estensione dell’obbligo di vaccino ad altri ambiti lavorativi oltre a quelli sanitari, delle forze dell’ordine e della scuola. Inoltre, si inizia a parlare di eventuali lockdown e coprifuoco durante le feste per i No Vax.

I sindaci dell‘ “Ali” (Autonomie locali italiane) lanciano un appello al governo, firmato anche da Roberto Gualtieri, Beppe Sala, Dario Nardella e Gaetano Manfredi e molti altri, richiedendodi introdurre subito il Green pass anche nelle scuole per salvare la didattica in presenza. C’è il rischio concreto, visto l’aumento dei contagi, che da gennaio tutte le scuole italiane vadano in Dad. Non possiamo permetterlo. È nostro dovere tutelare sia il diritto al lavoro che il diritto all’istruzione.”.

Per la giornata di oggi, 2o dicembre, convocato anche il vertice Stato-Regioni. Diversi governatori avevano annunciato l’intenzione di richiedere al governo nazionale più personale per poter potenziare il sequenziamento e il tracciamento del virus, ma alcuni potrebbero voler l’aiuto dell’esercito.

 

 

Rita Bonaccurso

La nuova variante Omicron: preoccupazione e interrogativi

Compare all’orizzonte la preoccupazione per la nuova variante del Covid detta “Omicron“. Si pensa a nuove strategie e a possibili provvedimenti da adottare per i No Vax. Dal Giappone, intanto, arrivano notizie che riaccendono la speranza: pare si sia verificato un “errore” nelle mutazioni del virus e ciò potrebbe essere la strada verso la sua scomparsa.

(fonte: adnkronos.com)

La nuova variante più contagiosa, ma meno virulenta

32 mutazioni le mutazioni nell’ultima variante del virus. Molto più contagiosa della Delta, ma, a quanto pare, al momento, meno virulenta.

Il dottor Massimo Ciccozzi – tra i più esperti epidemiologi italiani e direttore dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare del Campus Bio-medico di Roma – riguardo l’origine della variante, ha avanzato l’ipotesi che sia verificata una “intra-host evolution“, cioè l’evoluzione del virus attraverso tutte le sue mutazioni, dentro l’organismo di una sola persona con il sistema immunitario debilitato. Insieme al dato che indica una primo isolamento in Sud Africa, non abbiamo ancora informazioni definitive.

È stato isolato in Sudafrica il primo caso nel mondo, ma ancora bisogna indagare. Angelique Coetzee, la presidentessa dellAssociazione dei medici del Sudafricaha dichiarato che la variante pare causare sintomi molto lievi e, finora, nessun ricovero.

Quindi, dopo le prime ore do panico, è stata sventata la possibilità di una chiusura delle frontiere dell’Europa per chi sarebbe rientrato dal Sudafrica.

Contagiosità della variante (fonte: ilgiorno.it)

 

Le reazioni dal mondo

I due casi dovuti alla variante Omicron riscontrati in Brasile, sono i primi in America Latina. Si tratta di un uomo ed una donna brasiliani, arrivati a Sao Paulo dal Sudafrica, dove svolgono attività di missionari, rientrati prima che venisse diffusa la notizia dell’esistenza della variante.

Gli Stati Uniti sono propensi all’introduzione di regole sanitarie più severe per gli ingressi, allo scopo di prevenire la diffusione della variante. È stata redatta una bozza di un’ordinanza da parte dei “Centers for Disease Control and Prevention”.

Sono tre le proposte avanzate. La prima, per la quale tutti i cittadini americani dovrebbero presentare l’esito negativo di un test, effettuato il giorno prima di una partenza, indipendentemente dalla vaccinazione e dal Paese di provenienza. Poi, la proposta di obbligo di sette giorni di quarantena, esteso a tutti coloro che arrivano negli Usa, inclusi i cittadini americani, anche in caso di test effettuati e  negativo. In ultimo, l’alternativa, secondo cui i viaggiatori si dovrebbero sottoporre a un test entro tre o cinque giorni dall’arrivo negli Stati Uniti. Multe e sanzioni per chi non rispetterà le regole che verranno introdotte.

In Germania, invece, 15 casi sospetti in Baviera, mentre in Sassonia è stato confermato un positivo, così come quattro in Baden-Wuerttemberg, dove, a risultare contagiate sono quattro persone vaccinate. La Germania ha chiuso l’ingresso dal Sudafrica e da altri sette Paesi del continente africano, consentendo il rientro soltanto ai tedeschi, che dovranno, però, fare una quarantena di 14 giorni. Di rischi di peggiori sintomi legati alla variante, non vi è certezza, ma la Germania sta vivendo un picco della quarta ondata e teme per il suo sistema sanitario, già sotto forte stress. In alcune regioni è scattata l’allerta e, dunque, si corre ai ripari.

Dall’altra parte del mondo, in Giappone, è stato deciso di bloccare tutte le prenotazioni di voli in entrata per un mese, per tentare di prevenire la diffusione della variante. Ma dal Ministero dei Trasporti arriva la precisazione che il provvedimento non riguarda le prenotazioni già effettuate.

Dal Giappone la teoria di una possibile autodistruzione del Covid

Il Giappone ha subito la più forte ondata di Covid a fine estate, con un picco di circa 23mila casi al giorno raggiunto ad agosto. Poi, un’interruzione improvvisa: negli ultimi giorni, a Tokyo segnalati soltanto 5 nuovi casi di coronavirus.

Il professor Ituro Inoue, un esperto di genetica, ha avanzato un’ipotesi forse sconvolgente: la variante Delta avrebbe subito troppe mutazioni nella proteina chiamata nsp14, quella che corregge gli “errori” del virus nella sua replicazione.

Il professor Inoue afferma che il virus avrebbe lottato per riparare gli errori, ma alla fine avrebbe causato la propria “autodistruzione”.

Quando un virus si replica, i suoi geni subiscono “errori di copiatura” casuali nel tempo. Ciò porta a cambiamenti strutturali. Le mutazioni possono rinforzare un virus o fargli causare gravi malattie, ma, in altri casi, le mutazioni diventano un punto di arresto. Dunque, secondo questa teoria, in Giappone si starebbe verificando proprio quest’ultima situazione.

Gli esperti continuano ad attribuire il rallentamento al tasso di vaccinazione nel Paese, del 76,2%, e all’ampio uso di mascherine. Il professor Inoue, invece, sostiene che la sua teoria sia vera, altrimenti i contagi a causa della variante Delta, la variante precedente e largamente diffusa, sarebbero ancora in aumento.

Se ciò fosse la verità, sarebbe proprio la svolta che tutti stavamo aspettando, l’inizio della fine. Però, ancora l’attenzione è e deve continuare ad essere altissima, per non rischiare troppo proprio ora, dopo tanti mesi di sacrifici.

 

L’efficacia dei vaccini di fronte alla nuova minaccia

A causa della nuova variante, ci si interroga anche sull’efficacia dei vaccini, se questi siano in grado di proteggerci anche di fronte a questa nuova minaccia.

L’amministratore delegato di Moderna, Bancel, ipotizza un “calo sostanziale” dell’efficacia degli attuali vaccini. Perciò pensa che nei prossimi mesi si dovrà mettere a punto nuovi vaccini efficaci anche contro la variante Omicron:

“Penso che in nessun modo l’efficacia possa essere la stessa che abbiamo avuto con la variante Delta” ha detto.

Le sue parole hanno avuto una fortissima ripercussione in borsa.

Lamministratore delegato di BioNTech, Ugur Sahin, sostiene che i vaccini che già abbiamo probabilmente proteggeranno da conseguenze gravi anche le persone che dovessero contrarre la variante Omicron, anche se, appunto il contagio avvenisse. Per questo, ha ricordato di spingere perché vengano effettuate le terze dosi.

Da Israele, arrivano delle prime conferme sull’efficacia dei vaccini, proprio perché nel Paese si è già partiti da tempo con la terza dose di Pfizer. Il ministro della Sanità israeliano Nitzan Horowitz ha dichiarato: “La situazione è sotto controllo e non c’è motivo di panico”

Anche l’infettivologo italiano Matteo Bassetti ha cercato di placare il panico diffuso dalle notizie, infuriandosi per gli inutili allarmismi e, peraltro, per l’apprensione della notizia della nuova variante dai media prima che dalla comunità scientifica:

Bassetti contro gli allarmismi (fonte: la7.it)

“Il virus ha avuto più di 50 mutazioni, di varianti ne continueremo a vedere, fanno parte della mutazione del virus. Non possiamo assistere a questa speculazione del fine settimana, io da medico non ci sto! Questa non è scienza”.

Intanto, la Germania si prepara a discutere, giovedì in Parlamento, di obbligo vaccinale generalizzato e si prepara un lockdown per i non vaccinati. La situazione delle terapie intensive è altamente drammatica, perciò il Paese ha bisogno di muoversi e anche in fretta. Pronti anche a inviare pazienti all’estero. Disponibilità data già dall’Italia, precisamente dalla Lombardia, Francia e Svizzera.

Tutto questo sottolinea che ancora bisogna stare attenti, nell’attesa che tutte le misure prese dai governi nazionali di tutto il mondo, possano aprire il cammino definito verso la fine.

 

 

Rita Bonaccurso

La pillola anti-Covid: un’arma in più, ma dopo il vaccino

Molnupiravir è il nuovo termine che presto entrerà a far parte dei vocaboli di tutti i giorni.
E’ il primo antivirale efficace contro SARS-Cov-2, in fase di revisione prima dell’immissione definitiva in commercio.

  1. Cos’è il Molnupiravir
  2. Lo studio condotto
  3. Risultati clinici ottenuti
  4. Chi può assumerla
  5. Cosa dice l’EMA
  6. Cosa aspettarci
  7. A cosa servirà la nuova pillola
  8. Conclusioni

Cos’è il Molnupiravir

Molnupiravir era stato sviluppato all’Università di Emory negli Stati Uniti per trattare l’influenza, dimostrandosi efficace anche contro altri virus, tra cui SARS-CoV-2.
Le case farmaceutiche Merck e Ridgeback Biotherapeutics, con i dati pubblicati, mostrano la sua efficacia e la buona tollerabilità nell’uomo.
Molnupiravir è un inibitore della RdRp, RNA polimerasi RNA dipendente, enzima che permette la replicazione del virus. Il farmaco, bloccando l’enzima, impedisce che il virus si replichi e che la carica virale aumenti.

Lo studio condotto

Uno studio clinico in doppio cieco, randomizzato e controllato con placebo (sostanza priva di attività farmacologica) ha reclutato pazienti con documentata infezione da SARS-CoV-2 e con sintomi insorti nei primi 7 giorni. Il primo gruppo di pazienti ha ricevuto la somministrazione del nuovo farmaco Molnupiravir, mentre il secondo ha ricevuto placebo, per 2 volte al giorno per 5 giorni.

Risultati clinici ottenuti

Al 3° giorno, su 202 pazienti trattati, la percentuale di virus isolata era significativamente ridotta nei soggetti che hanno ricevuto il farmaco (1.9%) contro i soggetti che hanno ricevuto placebo (16.7%).
Il 5° giorno nei soggetti trattati con Molnupiravir (800 mg) non si rilevava più alcuna percentuale del virus, a differenza di coloro che hanno assunto placebo dove la percentuale di virus rilevato era del 11.1%.
Inoltre un particolare meccanismo molecolare spiegherebbe l’ampio spettro d’azione dell’attività antivirale di Molnupiravir. Sembra che il farmaco induca degli “errori” nella replicazione dell’RNA virale (patrimonio genetico), non garantendo pertanto una corretta replicazione del virus. Ha dimostrato notevole efficacia contro le varianti Gamma, Delta e Mu.

https://images.app.goo.gl
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Chi può assumerlo?

Il farmaco sarà presto disponibile in formulazione orale, una compressa da assumere 4 volte al giorno per 5 giorni. Il vantaggio è proprio questo, può essere tranquillamente assunta da casa, senza ricovero ospedaliero.
Ad oggi l’indicazione è per soggetti adulti con infezione da SARS-CoV-2 lieve-moderata e con almeno 1 fattore di rischio di evoluzione in malattia grave.
La compressa, se assunta nelle fasi iniziali dell’infezione, permette di ridurre i ricoveri e soprattutto i decessi fino al 50%.

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Cosa dice l’EMA?

Il 25 ottobre l’EMA (Agenzia Europea per i medicinali) ha avviato la più importante “rolling review” (revisione continua) per  autorizzare l’immissione in commercio del farmaco e dovrà fornire all’UE, nel più breve tempo possibile, le raccomandazioni per l’eventuale uso precoce del farmaco in situazioni di emergenza.

Cosa aspettarci?

Molnupiravir, se approvato, sarà il primo antivirale efficace contro il SARS-CoV-2, con un ottimo profilo di tollerabilità e scarsi effetti collaterali.
Certamente il suo ingresso in commercio NON sarà un’alternativa al vaccino!
L’obiettivo futuro
, come tutti speriamo, è l’eradicazione totale del virus così come accaduto in passato con il vaiolo, la poliomielite e la difterite.

A cosa servirà la nuova pillola?

Essa darà la possibilità di “trattare” quei pazienti con infezione lieve-moderata e con almeno 1 fattore di rischio di evoluzione in malattia grave. Mentre il vaccino “previene” che il soggetto contragga l’infezione, la pillola tratta i soggetti che hanno già contratto la patologia. Ci chiediamo “come mai anche i vaccinati possono infettarsi?”. I fattori possono essere molteplici, ma quel che è certo è che non si può assolutizzare. Che uno o più soggetti vaccinati risultino positivi non implica che tutti i vaccinati possano infettarsi. E, in ogni caso, ciò avviene molto più raramente che nei non vaccinati.
Sappiamo anche che il vaccino potenzia le difese immunitarie contro il virus, pertanto, qualora il soggetto si infetti, salvo casi particolari, la vaccinazione fa sì che la presenza del virus venga contrastata.
Inoltre, un soggetto vaccinato infetto avrà una carica virale bassa, tale da poter infettare difficilmente chi gli sta attorno.
Motivi per i quali oggi, trovandoci in uno stato di emergenza globale, il vaccino è la prima arma contro il Covid-19.

Dalla somministrazione di Molnupiravir sono esclusi ad oggi, salvo eventuali studi futuri, i pazienti con infezione grave in atto, gravati da importanti patologie associate (scompenso cardiaco, diabete, obesità, insufficienza renale cronica…) e con difficoltà respiratoria, poichè necessitano di un trattamento intensivo esclusivamente ospedaliero.

Tuttavia, a tal proposito, il 15 novembre Pfizer ha annunciato un altro antivirale efficace proprio contro l’infezione grave da SARS-CoV-2.

Conclusioni

Certamente la medicina non è la scienza dell’assoluto, si basa sulle evidenze, su ciò che i medici in corsia vedono quotidianamente.
Gli studi sono fatti su grandi numeri, pertanto possiamo aspettarci che un soggetto giovane-adulto, vaccinato, in buone condizioni di salute e con una buona risposta immunitaria, se infetto, verosimilmente non trasmetterà l’infezione.
Ovviamente teniamo conto di tutte le possibili eccezioni del caso, purtroppo non sempre prevedibili, considerando che sarebbe impensabile studiare i meccanismi molecolari di risposta al virus, diversi da soggetto a soggetto.

Alessandra Nastasi

Bibliografia

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34641339/, https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34381216/

https://www.aifa.gov.it/-/covid-19-aggiornamento-ema-hma-su-molnupiravir

Aumento dei contagi, l’Austria impone limitazioni ai non vaccinati

Il cancelliere austriaco Schallenberg ha annunciato che da lunedì 8 novembre entreranno in vigore nuove misure restrittive per le persone non vaccinate contro il coronavirus. La scelta è stata fatta in risposta all’aumento significativo del numero di positivi registrato nel corso delle ultime settimane.

Secondo le autorità austriache sono 9388 i positivi registrati nella giornata di venerdì 5 novembre. Ben il 60% in più rispetto alla settimana precedente ed un numero non poco lontano dal record di 9586 contagiati che lo scorso anno, in questo stesso periodo, avevano fatto scattare il secondo lockdown.

Il cancelliere tedesco Alexander Schallenberger e il suo predecessore Sebastian Kurz, fonte: dunav.at

Nuovo picco dei contagi

Numeri e dati che hanno indotto Alexander Schallenberg a varare nuove, drastiche misure aventi però come unici destinatari i cittadini sottrattisi all’iniezione del siero anti-Covid 19. Tra le finalità della scelta del cancelliere, oltre quella di alleggerire il carico sulle strutture sanitarie e impedire il sovraccarico delle terapie intensive, vi è quella di incentivare i suoi connazionali a sottoporsi ad un ciclo completo di vaccinazione. L’Austria è, ad oggi, uno dei paesi europei con la più bassa percentuale di vaccinati in Europa, circa il 64% della popolazione. All’annuncio del capo dell’esecutivo ha fatto eco l’appello del Ministro della Salute austriaco che ha chiesto che coloro che si recheranno negli hub vaccinali riceveranno anche il vaccino anti-influenzale perché “ci troviamo davanti ad una nuova ondata e dobbiamo essere pronti”.

 

Le nuove restrizioni

Le nuove restrizioni per le persone non vaccinate non consisteranno in un semplice lockdown, simile quindi a quello che tutti noi abbiamo sperimentato l’anno scorso nei mesi tra marzo e maggio, bensì in una serie di limitazioni all’accesso in alcuni luoghi pubblici. Questi non potranno più entrare in bar e ristoranti, nemmeno se all’aperto, come anche nei cinema, nei teatri, nei parrucchieri e nei saloni di bellezza. Sarà vietato loro anche soggiornare in alberghi, partecipare ad eventi con più di 25 persone o usare impianti sciistici in risalita.

Contemporaneamente all’entrata in vigore delle misure, giorno 8 novembre, avrà inizio anche un periodo di transizione di quattro settimane durante cui coloro che hanno ricevuto almeno una dose del vaccino o saranno in possesso di un test avente avuto esito negativo potranno essere esentati dalle suddette restrizioni. Esenzioni che non si applicheranno per i lavoratori che prestano la loro attività all’interno di luoghi di lavoro. In Austria, come da noi, è infatti necessario essere in possesso di un Green Pass per potere lavorare sostanzialmente ovunque. Il governo di Schallenberg ha adottato il “modello italiano” richiedendo dal 1 novembre il rispetto della regola delle 3-G: geimpft (vaccinati negli ultimi 360 giorni), genesen (guariti da 6 mesi) o getestet (testati e con esito negativo).

Tra le ulteriori novità annunciate vi è anche la reintroduzione dell’obbligo di indossare la mascherina (necessariamente la FFP2) ma solo in alcuni luoghi pubblici, come biblioteche, musei e negozi, e la riduzione della durata della validità del Green Pass da 9 a 6 mesi. Riduzione che ha come fine quello di convincere alla somministrazione della terza dose.

Strade di Vienna, fonte: aa.com.tr

Terza dose e pericolo della nuova ondata di contagi in Europa

Proprio la terza dose è stata l’oggetto delle recenti decisioni dei vertici di alcuni tra i principali Paesi europei. Da Berlino arriva infatti la notizia che la dose booster verrà estesa a tutti coloro i quali hanno ricevuto la seconda dose da almeno 6 mesi. Una scelta considerata necessaria per via della quarta ondata che il governo tedesco afferma essere già incorso e che preannuncia costituire una grave minaccia per la tenuta delle strutture sanitarie. Il record di contagi nelle ultime 24 ore ha spinto infatti i presidenti di due land tedeschi, rispettivamente Sassonia e Turingia, a limitare l’accesso ai ristoranti, bar e eventi ai soli immunizzati e a minacciare di non curare chi sarà positivo ma privo della vaccinazione. L’estensione delle terze dosi avverrà anche a Malta, dove a differenza dell’Austria si registra una percentuale tra le più alte d’Europa di vaccinati, mentre nel Regno Unito l’indice Rt continua a calare anche grazie alle 9 milioni di dosi booster somministrate. I numeri peggiori continuano però ad essere registrati in Europa orientale e nei Balcani. Zone in cui l’astensione media della popolazione è di circa il 30% e dove si registra, ad esempio in Croazia, picchi nei contagi simili a quelli del 2020.

Filippo Giletto

Obbligo di Green pass sul posto di lavoro: si accende la protesta nel porto di Trieste

L’allerta era alta da giorni, sin dall’attacco alla sede romana della Cgil. Il 15 ottobre, giorno dell’entrata in vigore dell’obbligo di Green Pass sul luogo di lavoro, a Trieste, sin dalle prime ore del mattino, in molti si sono radunati nei pressi del porto, davanti al Varco 4 del molo 7. Quello il luogo di ritrovo della manifestazione annunciata e organizzata da Stefano Puzzer, leader del sindacato autonomo del Cltp, Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste. Tra i manifestanti, non solo operatori dello scalo, riconoscibili dai giubbottini gialli indossati, ma anche persone esterne contrarie alla certificazione verde.

Qualche fumogeno e qualche coro durante la prima notte di protesta al varco 4 del porto di Trieste, ma il clima non è teso (fonte: open.online.it)

L’annuncio del blocco al porto

Lunedì 11 ottobre, un grande corteo contro il Green pass, il giorno dopo, un incontro tra le aziende del settore marittimo, il prefetto Valerio Valenti e il segretario generale dell’Autorità portuale del Mare Adriatico Orientale, Vittorio Torbianelli. L‘intesa non viene raggiunta, quindi, il sindacato del Cltp, nel pomeriggio, pubblica un comunicato che conferma un blocco totale delle attività nello scalo marittimo per il 15.

Il presidente del porto, Zeno D’Agostino, in seguito all’accaduto, fa un annuncio shock, dichiarando di essere intenzionato a rassegnare le dimissioni in caso di un blocco a oltranza dello scalo.

Successivamente, iniziano a circolare varie voci, su un presunto compromesso con le aziende operanti nel porto di Trieste, le quali sembra abbiano proposto di provvedere di tasca propria a pagare i tamponi ai lavoratori fino al 31 dicembre.

Non tarda ad arrivare una risposta dai portuali alle voci: “Nulla di tutto ciò ci farà scendere a patti. Non solo noi, ma tutte le categorie di lavoratori”.

 

Il giorno tanto atteso

All’alba del 15, mentre Trieste ancora dorme, già alle ore 6 circa, si vede in giro qualche attivista No Green pass. Due giorni prima, Puzzer aveva dichiarato di aspettarsi circa 30mila adesioni alla manifestazione, considerando anche il resto della città; mentre D’Agostino, aveva fatto un pronostico meno cauto, immaginando che i manifestanti potessero crescere fino al numero di 50mila.

All’ultima assemblea della sera prima, il Cltp aveva riunito le adesioni di poche centinaia di lavoratori, circa 300: non abbastanza, dunque, per bloccare uno scalo in cui lavorano oltre 1.500 persone.

Mentre ci si prepara a situazioni molto impegnative, durante le prime ore di venerdì, l’accesso allo scalo portuale era consentito.

«Chi vuole lavorare, può entrare. Noi non fermiamo nessuno» dichiaravano dal Cltp.

Però i camionisti, provenienti anche da oltre confine, preferiscono non inoltrarsi dentro la folla che inizia a crescere.

Intanto arrivano troupe di giornalisti e i primi attivisti No Green pass esterni al gruppo dei portuali, per dare sostegno alla protesta. L’incremento del numero di partecipanti inizia a preoccupare: «Stanno continuando ad arrivare persone. Il problema non sono i portuali, è quando inizieranno ad arrivare tutte le persone per la manifestazione. Qui la gente entra ma non sa quando riuscirà ad uscire». Intanto 230 unità delle forze dell’ordine vengono fatti schierare in tutta la città. La tensione è alta, per la preoccupazione di poter assistere a scene simili a quelle verificatesi a Roma la settimana prima.

In migliaia intanto sfilano dentro Trieste (fonte: triestecafe.it)

Intanto, si guarda alla situazione nei maggiori scali portuali del Paese, avanzando l’ipotesi di una possibile reazione a catena.

A Genova, la protesta, effettivamente, si accende nello stesso momento, mentre a Gioia Tauro il primo turno della giornata di venerdì inizia senza problematiche: i lavoratori hanno organizzato un sit-in con un legale per le ore 10, ma poi svolgono normalmente la loro giornata lavorativa; assenti i non vaccinati, ma perché non è stato possibile, per questione di organizzazione, far arrivare i primi tamponi comunque messi a disposizione gratuitamente da Med Center Container terminal, che ha ne ha assicurato la disponibilità per tutto il prossimo periodo.

Il portavoce dei portuali si dimette dopo le tensioni di sabato notte

Delle migliaia di persone arrivate, nel primo giorno di protesta, dal resto d’Italia per sostenere i lavoratori del porto di Trieste ne sono rimaste qualche centinaia in questi giorni. Il clima generale è rimasto sereno, nessuna complicazione. Durante la prima notte, la protesta si affievolisce, si dà inizio a un vero e proprio party, si balla, ogni tanto si accende un fumogeno e i cori contro il Green pass o contro il premier Draghi iniziano a sparire.

D’Agostino dichiara che serve trovare una soluzione al più presto, pur se il porto ha continuato a funzionare sopperendo alla mancanza di funzionalità del molo 7 e perché i manifestanti hanno continuato a non interferire particolarmente sul traffico di mezzi. Questi sono, infatti, passati dal paventare un possibile blocco di tutto il porto a mantenere un presidio e assumere una linea soft.

Nella tarda serata di sabato, Stefano Puzzer annuncia, provocando una forte sorpresa in tutti, la fine della protesta. Secondo delle fonti, pare che già nel pomeriggio l’idea abbia sfiorato quello che era diventato volto della manifestazione. Il motivo? Un gruppo di No Vax, accampatosi per la notte lì vicino preoccupava i portuali.

Puzzer continua la protesta, ma non come portavoce dei portuali (fonte: lastampa.it)

Quando molti di questi iniziano a far ritorno a casa, dopo aver concordato il comunicato che chiudeva la vicenda, Puzzer inizia a chiamare le agenzie stampa per smentire, sotto forte pressione dei No Vax, indispettiti dalla piega presa dalla situazione.

Il telefono di Puzzer inizia ad esser tempestato di chiamate, mentre lui cerca di tenere a bada sia i suoi colleghi che il fronte opposto, ma la mattina dopo si dimette dal ruolo di portavoce del Clpt, pur dichiarando di voler, personalmente, continuare il presidio fino al 21 ottobre, come dichiarato inizialmente dai portuali.

Uno dei leader del comitato di Coordinamento, colui che per conto di tutti ha gestito la trattativa con l’autorità portuale e la Digos, era andato a dormire senza sapere del dietrofront fatto da Puzzer. Il suo commento a ciò è stato un colorito «Abbiamo fatto una enorme figura di m…».

 

Lo sgombero del varco 4, ma la manifestazione continua dentro Trieste

Stamane, presso il porto di Trieste, dove le proteste sono andate e tra gli occupanti del varco 4, ormai solo semi-bloccato, è iniziato lo sgombero da parte della polizia. Tra loro ancora un triste Puzzer, rimasto comunque convinto di voler continuare il presidio.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Dopo circa un’ora e mezza, con l’utilizzo lievi cariche di idranti, il varco è stato liberato. La situazione degenera in una guerriglia.

I manifestanti vengono prima spostati e il presidio al varco 4, spostato nel parcheggio in fondo alla zona presidiata da venerdì scorso, permettendo al porto di riprendere normalmente le attività.

«Non siamo violenti» gridavano intanto i manifestanti agli agenti schierati con gli scudi, per ribadire la presa di distanza da soggetti violenti, estranei alla protesta pacifica organizzata dai portuali. «Vogliamo evitare vi facciate male» ha risposto un dirigente della Polizia.

Durante l’operazione si è arrivati allo scontro solo con un gruppo di manifestanti e un agente è rimasto ferito. Le persone, attualmente 2 mila, si sono poi spostate in piazza Unità d’Italia, dentro Trieste. La protesta ora ha cambiato volto, è stata presa in mano dai No green pass. Tutti si sarebbero seduti in piazza una volta arrivati.

«Vediamo se hanno il coraggio di caricarci anche in piazza Unità d’Italia» ha detto Puzzer, ancora nella protesta.

Mentre si attendono novità, dalla politica arriva la solidarietà di Salvini e Meloni, contrari alle misure prese contro quelli che definiscono «lavoratori pacifici».

 

Rita Bonaccurso

Una sommossa di presunta matrice neofascista a Roma: la protesta contro il Green pass come copertura?

«Giù le mani dal lavoro» gridavano ripetutamente le migliaia di persone scese in strada a Roma, sabato scorso, per protestare contro l’obbligo di Green pass sul posto di lavoro. Poco dopo, la situazione degenera. A causa di infiltrazioni di simpatizzanti di estrema destra, tra cui militanti del partito di Forza Nuova oltre che soggetti indipendenti, il corteo pacifico si trasforma in una vera e propria guerriglia.

 

Scontri con la Polizia (fonte: gazzettadelsud.it)

 

L’organizzazione della protesta generale, aveva come punto di partenza Piazza del Popolo. I manifestanti, avevano poi chiesto ai responsabili dell’ordine pubblico di poter proseguire pacificamente in corteo verso la sede della Cgil, considerata una delle organizzazioni sindacali italiane principali. Permesso negato.

Così, un gruppo di poche centinaia di persone, principalmente simpatizzanti di Forza Nuova, ha preso il sopravvento e trascinato il resto delle migliaia di manifestanti apparentemente pacifici.

Questa mossa, forse pianificata, da questi dimostranti più determinati e insinuatisi nel corteo generale, ha accesso i forti scontri contro gli agenti di polizia.

Decisiva, per i manifestanti di Forza Nuova la “copertura”, complice, di un movimento che, dall’aprile 2020 si è costituito dichiarandosi spontaneo e “di popolo”, apolitico o “politicamente eterogeneo”, ma solo a parole slegato da partiti politici.

“Si è concretizzato quel timore che avevamo comunicato alle istituzioni nelle scorse settimane e di cui il ministro (dell’Interno, ndr) Lamorgese aveva parlato” – dichiara una fonte qualificata dell’intelligence.

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Tra gli arrestati per l’attacco alla Cgil, esponenti di Forza Nuova e non solo

Arrivati di fronte la sede della Cgil, i manifestanti hanno pressato il cordone di agenti di polizia, fino ad entrare dentro, dove hanno devastato gli uffici.

Gli uffici devastati (fonte: Today.it)

L’obiettivo successivo, come anche dichiarato apertamente, sarebbe stato Palazzo Chigi. Volevano replicare le scene viste negli Stati Uniti, a Capital Hill.

Devastate le stanze del dipartimento comunicazione, divelti armadi, scrivanie, pc e una fotocopiatrice usata come ariete per sfondare delle porte. Trentotto gli agenti di polizia rimasti feriti.

Tra la massa, prima di entrare, si scorgono gli esponenti maggiori di Forza Nuova: il leader nazionale Roberto Fiore, appartenente associazioni sovversive nere degli anni Settanta, ricercato e condannato per questo, con pena mai scontata e prescritta, per la latitanza all’estero, poi ritornato in politica negli anni 2000; il leader romano, Giuliano Castellino; presente anche il fondatore di “IoApro” (movimento che raccoglie ristoratori di tutta Italia contrari alle restrizioni per il covid sin dagli inizi), proprietario di una catena di pizzerie, Biagio Passaro, il quale si è filmato una volta all’interno del sindacato.

Questi sono stati arrestati insieme ad altri, in flagranza e con arresto differito, tra cui anche Luigi Aronica, soprannominato “Er Pantera”, ex appartenente ai “Nuclei armati rivoluzionari” (Nar), cresciuto nella sede romana del Fuan (l’organizzazione universitaria del Msi), tornato all’attività politica dopo diversi anni trascorsi in carcere. Aronica, per ironia della sorte, era riuscito ad ottenere il green pass per poter andare a vedere allo stadio la sua amata Roma.

I leader di Forza Nuova, il fondatore di IoApro e un ex dei Nar (fonte: ilcorriere.it)

I fermati sono accusati a vario titolo, per danneggiamento aggravato, devastazione e saccheggio, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. La Procura di Roma continua a indagare, i filmati ad essere vagliati.

I militanti del partito, che hanno rivendicato tramite i social l’attacco, non lasciando più alcun dubbio, molto agguerriti, sembra, dunque, che abbiano preso in mano la manifestazione principale, pacifica.

 

La matrice dell’attacco e la divisione della politica

Sottolineato quasi subito, l’eterogeneità della massa di manifestanti: c’è chi si è dichiarato d’accordo con la mossa degli estremisti che hanno attaccato la Cgil, chi non condivide l’uso della violenza, pur comprendendo le motivazioni dietro, e chi è convinto che se non fosse successo questo, sarebbe stato organizzato altro inevitabilmente.

I No vax sui social hanno ribadito “niente violenza”, ma c’è una parte di loro che, invece, ha commentato che “far paura serve”.

(fonte: larepubblica.it)

Questa commistione, potrebbe rivelarsi ancor più pericolosa, perché indefinita. Il malcontento, dovuto principalmente alla pandemia, potrebbe essere ancora sfruttata dagli estremisti per veicolare le piazze e dare nuova linfa a quello che sembra un movimento neofascista.

Sull’attacco e sulla matrice di esso si sono tempestivamente espressi, prima il segretario della Cgil, poi diversi politici, dalle opinioni in parte contrastanti che hanno acceso il dibattito.

Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, ha dichiarato:

“Quella di ieri è una ferita democratica, un atto di offesa alla Costituzione nata dalla Resistenza, che ha violentato il mondo del lavoro e i suoi diritti.”.

Per Landini, inoltre, l’azione contro il sindacato era premeditata da tempo, ma soprattutto, le motivazioni non riguarderebbero né il Green pass, né le principali motivazioni della protesta generale.

È così, che, nell’immediato, si è accesa la convinzione, largamente condivisa, che si sia trattato di un attacco di matrice neofascista. Il malcontento per le misure adottate per il Covid sarebbe solo la copertura, per riaccendere altri sentimenti.

Landini e i segretari delle altre due Confederazioni sindacali hanno così lanciato un appello al mondo della politica e tutte le forze democratiche del Paese, affinché si passi a provvedimenti decisivi, per rilevare e sciogliere organizzazioni neofasciste e neonaziste e lo stesso partito di Forza Nuova.

Appello ripreso dal leader del Pd, Enrico Letta. Forza Italia ha risposto negativamente: “Da parte di Forza Italia massima dissociazione e severità, al punto che Silvio Berlusconi ha chiamato di primo mattino il segretario della Cgil – è stato dichiarato dal partito – Tuttavia la presa di distanza e sostegno a qualunque iniziativa legale e politica contro chi assalta e picchia i poliziotti non si traduce in sostegno a iniziative e manifestazioni chiaramente strumentali in piena campagna elettorale.”.

Matteo Salvini la pensa allo stesso modo, riguardo l’organizzazione da parte dei sindacati di una manifestazione per il 16 ottobre: “Un corteo sabato? Ma non c’è la pausa elettorale? Noi sabato prossimo saremo nei gazebo della libertà, gazebo della Lega in tutta Italia, per la giustizia, con il sorriso.”.

La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, ospite a Madrid, del partito di ultradestra “Vox”, ha dichiarato di non essere a conoscenza della natura della matrice dell’attacco al sindacato e, dunque, non esser d’accordo sullo scioglimento di Forza Nuova. Ciò ha generato clamore tra i suoi avversari politici, che hanno sottolineato l’esistenza di video che testimoniano la presenza dei leader del partito sulle scalinate della sede del sindacato.

L’episodio di sabato, rievoca tanto gli attacchi alle Camere del lavoro del 1920 e 21, da parte dei fascisti. Il passato sembra essersi ripetuto e ora l’allerta è massima. Ci si interroga anche sulle strategie da adottare, da parte delle forze dell’ordine. Si è molto preoccupati di aver sottovalutato la forza di certe correnti politiche e movimenti di estrema desta, forse capaci veramente di trascinare tanti italiani estranei a certe idee, ma deboli per lo sconforto generato dal perdurare della pandemia.

 

Rita Bonaccurso

Cosa è successo in Francia: dall’obbligo vaccinale alle proteste in piazza

In Francia ieri, 21 luglio, sono entrate in vigore le nuove rigide restrizioni annunciate dal presidente francese Emmanuel Macron la scorsa settimana e volte al contenimento della diffusione della variante delta del coronavirus. Le misure prevedono l’obbligatorietà per l’ingresso in luoghi sia pubblici che privati del possesso di un “certificato COVID-19”. Certificazione che attesta l’avvenuta vaccinazione o l’essere risultati negativi al virus tramite un tampone molecolare o antigenico. Il certificato sarà necessario per poter salire su aerei, treni e pullman, per entrare nei ristoranti, nei bar, e per partecipare a festival, concerti e spettacoli teatrali a cui assistono più di 50 spettatori.

Contestualmente all’annuncio dell’obbligatorietà immediata del pass vaccinale, la settimana scorsa il presidente francese ha comunicato che entro il 15 settembre tutti gli operatori del settore sanitario, comprendenti non solo coloro che lavorano negli ospedali ma anche nelle case di cura e nelle cliniche private, dovranno essere completamente vaccinati, a prescindere dalla loro occupazione all’interno delle strutture.

Il presidente francese Emmanuel Macron, fonte: francesregions

Un paese scettico

Una mossa questa che si pone in contro tendenza con la strategia adottata dallo stesso governo francese agli inizi della campagna vaccinale. Nella prima fase era stata infatti assicurata piena libertà riguardo al vaccino contro il coronavirus, senza cioè imporlo per legge e prescrivendo che ogni cittadino potesse parlarne con un medico prima di decidere se vaccinarsi o meno. Il timore diffuso era che misure più stringenti potessero urtare la sensibilità di quella fetta della popolazione più ostile ai vaccini. La Francia è infatti uno dei paesi più scettici al mondo su questo argomento e ciò è facilmente intuibile a fronte di un’analisi della popolazione vaccinata precedente all’annuncio. Prima del 12 luglio ad avere ricevuto entrambe le somministrazioni erano stati 27,3 milioni di francesi, circa il 40 per cento della popolazione complessiva, mentre invece ad avere ricevuto una dose singola del vaccino era il 53 per cento. Numeri che non hanno convinto, specie se confrontati con quelli di altri paesi europei. In Italia ad oggi già il 50 per cento della popolazione è stato immunizzata mentre il 60 per cento ha ricevuto almeno una dose. Anche Germania, Spagna e Belgio hanno dati migliori rispetto a quelli della Francia.

Manifestanti per le strade di Parigi, fonte: ilfattoquotidiano.it

La reazione all’annuncio di Macron

La risposta collettiva all’annuncio è stata quanto mai immediata e nella sola notte fra lunedì 12 e martedì 13 quasi un milione di persone (925 mila) hanno effettuato la prenotazione necessaria per la somministrazione del vaccino. Un numero così elevato da mandare offline Doctolib, il sito destinato alla prenotazione per l’appuntamento in autonomia. Se da una parte le parole del presidente hanno ottenuto il risultato sperato dall’altro non sono mancate numerose risposte critiche. Fra sabato 17 e domenica 18, infatti, circa 144 mila manifestanti in tutta la Francia sono scesi in piazza dimostrando il loro dissenso per l’introduzione delle limitazioni. Alle dimostrazioni pacifiche hanno fatto seguito anche episodi di violenza: nella notte tra venerdì e sabato un centro vaccinale a Grenoble, nel sud-est della Francia, è stato vandalizzato mentre una clinica a Urrugne, vicino a Biarritz, è stata addirittura incendiata.

Il parere del Consiglio di Stato e la riduzione delle misure

Ad una settimana dal discorso di Macron, martedì pomeriggio il governo ha fatto sapere che renderà meno stringenti alcune di queste misure. Decisivo è stato il parere fornito all’esecutivo dal Consiglio di Stato, un organo consultivo che fornisce pareri giuridici sugli atti del governo. In particolare l’attenzione del Consiglio si è focalizzata sulle multe per i responsabili di ristoranti e negozi che non controlleranno accuratamente il “certificato COVID-19” all’ingresso. Nel disegno originario le sanzioni potevano arrivare fino ad un anno di carcere e 45 mila euro di multa mentre adesso saranno di almeno 1.500 euro per le persone fisiche e 7.500 per gli enti e le associazioni. Multe che però saliranno fino a 9000 euro e un anno di carcere in caso di recidiva. Verrà meno l’obbligatorietà per l’ingresso all’interno dei centri commerciali ove si dimostri che nella zona non ci siano altri negozi dove acquistare beni essenziali.

 

18 mila contagi in un giorno

Mentre il governo alleggerisce le restrizioni del certificato COVID-19, in Francia si registra un nuovo record di contagi. 18 mila in un giorno, come non avveniva da metà maggio e tutti legati alla variante delta. Un numero importante se si considera che nella sola settimana precedente ve ne sono stati 6 mila in totale. Il ministro della Salute Olivier Veran non ha esitato a definirla un’impennata “mai vista” e dovuta ad un aumento della circolazione del virus dell’ordine del 150% in una settimana. Dati a fronte dei quali non è sbagliato parlare di una “quarta ondata” del virus.

Filippo Giletto

Turismo in allarme: mancano migliaia di lavoratori stagionali

Nel vivo della stagione turistica, sono molti gli imprenditori del turismo che, nelle ultime settimane, si sono lamentati della mancanza dei lavoratori stagionali, come baristi, camerieri, cuochi, addetti alle pulizie, bagnini.

Gli imprenditori in allarme

L’allarme corre un po’ per tutta la penisola. Come riportato dal quotidiano La Repubblica, il presidente pugliese e vicepresidente nazionale di Federalberghi Francesco Caizzi ha affermato: “Nel settore alberghiero pugliese mancano almeno seimila persone, ossia il trenta per cento del fabbisogno totale che è di circa 25mila lavoratori”.

Lo stesso Emanuele Frongia, presidente di Confcommercio Sud Sardegna, ha espresso la sua preoccupazione per la mancanza, in Sardegna, di diverse migliaia di persone fra lavapiatti, addetti di sala e alla reception, camerieri, sommelier.

Difficoltà anche in Toscana, come emerge dalle parole di Stefano Gazzoli, presidente dei balneari della Toscana di Confesercenti: “Nelle chat degli operatori toscani c’è una ricerca frenetica, specie per i lavoratori dei servizi accessori di bar e cucina”.

La situazione è difficile anche in Emilia-Romagna dove mancano, secondo l’associazione Albergatori di Rimini e Confcommercio, 7mila lavoratori stagionali, 5mila nel settore ricettivo, balneare e negli alberghi, 2mila nella ristorazione.

Colpa del reddito di cittadinanza?

Tutto questo sembra essere un paradosso se si pensa all‘aumento di disoccupati registrato dall’ Istat: molti non hanno un lavoro, eppure mancano i lavoratori.

Massimo Gravaglia – Fonte: www.initalianews.it

La ragione maggiormente plausibile per spiegare questa situazione è che sembrerebbe che gli italiani preferiscano percepire il reddito di cittadinanza, piuttosto che finire in balia del mondo del lavoro italiano, da sempre e ora ancor più problematico. A puntare il dito contro gli aiuti erogati da parte dello Stato è lo stesso ministro del Turismo, Massimo Garavaglia:

uno dei temi è certamente il reddito di cittadinanza, su cui si deve intervenire. Perché un intervento dello Stato deve essere temporaneo, se si dà l’idea che sia strutturale distorce il mercato“.

La pensano allo stesso modo gran parte degli imprenditori:

molti stagionali godono del reddito di cittadinanza o di altri sistemi di sostegno legati al Covid: legittimo, ma c’è una gran fetta di persone che accontentandosi di questa situazione non si dedica più al lavoro stagionale“, ha affermato Stefano Gazzoli.

Però, non si può semplicisticamente accettare questa spiegazione. Infatti, se il reddito di cittadinanza, che in media ha un valore mensile inferiore ai 500 euro al mese, può entrare in competizione con uno stipendio reale, è perché, evidentemente, lo stipendio proposto ai lavoratori di questo settore è inadeguato rispetto alle ore e alle condizioni di lavoro.

Il vero problema è che nel turismo vengono offerti posti di lavoro di scarsissima qualità, con salari da fame“, ha detto  Christian Ferrari, segretario regionale della Cgil in Veneto.

Le inchieste del Fatto Quotidiano

Le inchieste realizzate dal Fatto Quotidiano, che ha provato a fare colloqui con albergatori e titolari di stabilimenti balneari della Riviera Romagnola, riprendendoli con telecamera nascosta, mostrano perfettamente le assurde condizioni di lavoro offerte nel settore del turismo.

Sette giorni su sette senza alcun giorno di pausa nei tre mesi estivi e “se uno non è abituato a questi ritmi, si deve abituare”, dice il gestore di un hotel. Lo stipendio? 1500 euro al mese, ovvero 4 euro l’ora. C’è poi il gestore di un lido che cerca un addetto spiaggia anche senza brevetto da bagnino, disposto a svolgere diverse mansioni: mettere a posto le sdraio, richiudere gli ombrelloni, pulire la spiaggia. Il tutto sotto il sole dell’estate romagnola, dalle sette del mattino fino alla sera alle ventidue, con due ore di pausa al pomeriggio. “E se sto male?” chiede il presunto dipendente, “ma nel caso uno viene al lavoro lo stesso, ti metti nella casetta a riposare sperando che ti ripigli”, risponde l’imprenditore. Per 11 ore di lavoro al giorno la paga è di 1300 euro al mese. “Ma sulla busta paga ti segniamo sei ore e quaranta al giorno, anche se tu poi ne farai di più”, specifica il titolare.

Dopo le assurde offerte di lavoro, alcuni imprenditori spiegano, addirittura, come comportarsi nel caso di controlli:

se viene un controllo, devi dire che fai sei ore e quaranta e che hai il giorno libero. Sai che devi fare il giorno libero, ma che non sai quando lo farai perché cambia sempre in base ai turni. Questo è quello che devi dire, ma poi la realtà è un’altra. Lo sappiamo noi, ma la sanno anche loro“.

Non solo reddito di cittadinanza e pessime condizioni lavorative

In realtà, la questione è complessa e non può essere ricondotta ad un’unica ragione. Sicuramente i ridicoli contratti di lavoro offerti nel settore influiscono. Sicuramente influiscono anche i sussidi offerti dallo Stato, non solo il reddito di cittadinanza, ma anche il reddito di emergenza, i bonus concessi alle categorie interessate dagli effetti dell’epidemia, tra cui gli stagionali. Da considerare anche  il sussidio di disoccupazione, per accedere al quale sono cambiate le regole da marzo 2021: non è più necessario aver lavorato almeno trenta giornate nell’anno precedente e allo stesso tempo è stata sospesa la riduzione del 3% mensile del sussidio dopo il quarto mese dalla prima erogazione.

Ci sono anche altre motivazioni, più strettamente legate al Covid. A causa delle chiusure, delle incertezze sulle date e sulle modalità di riapertura, i titolari si sono trovati impreparati e si sono occupati delle assunzioni all’ultimo minuto: “La cautela dei titolari delle attività  non ha permesso la programmazione delle assunzioni che sono arrivate all’ultimo minuto in attesa di sicurezze su una ripartenza vera. Questo ovviamente richiede di trovare personale già formato, una persona non può imparare questo lavoro in 15 giorni”, ha spiegato Carlo Scrivano, il direttore dell’Unione Provinciale Albergatori di Savona.

C’è anche da considerare che, quest’anno, la stagione è partita più tardi ed è dunque più breve: alcuni dipendenti probabilmente hanno preferito attività con tempi di assunzione più lunghi piuttosto che 70 giorni di lavoro. “Ovvio che lavorare per 3 mesi o 6 è diverso che lavorarne poco più che due”, ha dichiarato sempre Scrivano.

La pandemia può aver influito sui lavori di stagione anche in altri modi:  probabilmente alcune persone, per preoccupazioni sanitarie, hanno evitato di scegliere lavori che prevedono un costante contatto col pubblico. Si pensi, poi, che una parte dei lavoratori stagionali sono studenti universitari fuorisede, che in molti casi nell’ultimo anno non hanno vissuto nelle città dei loro atenei, dove pagavano un affitto lavorando per esempio nei bar o nei ristoranti.

Chiara Vita

La variante Delta fa scoppiare rilevanti focolai nel mondo. Le ultime notizie dal mondo

La variante Delta fa salire i contagi in tutto il mondo. Da settimane è al centro dell’attenzione per la sua maggiore contagiosità. Identificata per la prima volta negli Stati Uniti a marzo, è attualmente la più diffusa in India e nel Regno Unito ( con oltre il 90% dei contagi), ma se ne conosce la presenza in almeno 80 Paesi del Mondo. In queste ultime ore sono stati rilevati dei focolai, per i quali le autorità stanno pensando alle misure più idonee per tener sotto controllo la situazione generale.

 

L’Australia sceglie di nuovo la linea più rigida

(fonte: globalist.it)

Al momento è l’Australia a procedere con l’imposizione di misure più stringenti. A Sydney, 128 i casi di coronavirus legati alla variante.  Per questo motivo sono state subito introdotte due settimane di lockdown, in un primo momento solo per quattro distretti, poi per tutta la città. Le nuove regole per i 5 milioni di cittadini saranno in vigore fino al 9 luglio.

Ricordiamo che tutto il Paese ha adottato una linea rigida fin dall’inizio della pandemia, rapide chiusure e distanziamento sociale. Questa scelta si è dimostrata vincente e migliore rispetto a quella adottata in altre parti del mondo: in Australia ci sono, infatti, stati solo 910 decessi e meno di 30 mila casi su una popolazione di 25 milioni di persone.

Ora, la rapida crescita dei numeri ha convinto anche le autorità del Nuovo Galles a procedere con le massime restrizioni possibili.

Uno dei focolai più grandi sarebbe stato individuato in un salone di parrucchiere, frequentato da circa 900 clienti mentre alcuni dipendenti erano infetti. A tutti è stato chiesto di sottoporsi a tampone.

Tra questi «superdiffusori», positivi con un alta carica virale, ci sarebbe anche chi è andato una festa di compleanno di un bambino nello scorso fine settimana, dalla quale sono stati almeno 17 i partecipanti risultati positivi, giovedì sera.

«Anche se non vogliamo imporre oneri a meno che non sia assolutamente necessario, purtroppo questa è una situazione in cui dobbiamo», ha affermato il governatore dello stato del Nuovo Galles Gladys Berejiklian.

A dare la notizia del dilagare della variante Delta nel continente australiano è stata la BBC, dalla quale apprendiamo che i contagi sono cresciuti anche nei Territori del Nord, nel Queensland e nell’Australia occidentale.

Brisbane, Darwin e Perth irrigidiscono le misure. A Darwin, capitale del Territorio del Nord dell’Australia, da ieri è scattato un lockdown di 48 ore, poi prorogato fino a venerdì per il rilevamento di un focolaio in una miniera d’oro, di cui per ora si sa essere 7 i contagi, mentre a Brisbane sono stati imposti dei limiti agli assembramenti nei luoghi pubblici.  

Nella giornata di oggi si terrà un incontro tra i leader dei vari Stati australiani e il premier Scott Morrison per capire meglio cosa fare per tenere sotto controllo la situazione.

In seguito a ciò che sta avvenendo, la Nuova Zelanda ha sospeso la “bolla di viaggio” per l’Australia: dal 19 aprile scorso i viaggiatori provenienti dall’Australia potevano visitare la Nuova Zelanda senza doversi sottoporre a un periodo di quarantena.

Un maxi focolaio per festeggiare la maturità

Esploso un maxi focolaio a Maiorca, a causa di un grosso numero di ragazzi lì sbarcati per festeggiare la maturità. Ben 850 i giovani positivi. Tutti i casi legati sono lievi e per nessuno è stato necessario il ricovero in ospedale. Non è stato rilevato alcun contagiato tra i lavoratori degli alberghi dove hanno soggiornato i giovani risultati positivi. 

Un’immagine degli assembramenti tra i giovani studenti (fonte: ilcorriere.it)

Per questa galeotta settimana dal 12 al 20 giugno, per altri 3mila ragazzi è scattata la quarantena sull’isola. Inoltre, altri 268 studenti spagnoli possono aver avuto contatti diretti o indiretti con i loro coetanei già rincasati e risultati positivi. In 175 sono stati portati al Covid hotel di Maiorca.

Il maggior numero di positivi, dovuti al caso dell’isola, è stato registrato a Madrid, dove il Ministero della Salute ha segnalato circa 250 casi confermati e più di 450 contatti isolati tra partner di giovani risultati positivi.

Nei Paesi Baschi sono stati rilevati circa 50 positivi tra gli studenti. Il bilancio della città di Valencia è di 32 studenti contagiati.

Secondo El Pais, sebbene le Isole Baleari richiedano test molecolari o test antigenici negativi all’ingresso delle isole per i viaggiatori provenienti dalla maggior parte delle regioni autonome, lo stesso non vale per i turisti che provengono da Comunidad Valenciana, Murcia, Galicia, Extremadura, Ceuta e Melilla, esonerati dai controlli. In queste aree i bollettini medici segnalano meno di 50 casi ogni 100.000 abitanti negli ultimi 15 giorni.

(fonte: ilmessagero.it)

Probabilmente tutto ciò si sarebbe potuto evitare. Responsabile del maxi focolaio i mancati controlli. Gli organizzatori degli eventi in programma per i giovani in arrivo sono accusati per mancato rispetto delle misure anti-Covid, pattuite in accordi con le autorità dell’isola, prima dell’arrivo dei giovani, i quali era previsto che stessero seduti, distanziati e con la mascherina durante gli eventi. Ma i video di quei giorni, postati sui social, hanno ritratto una storia diversa: i ragazzi erano accalcati sotto il palco, in piedi, e quasi nessuno indossava la mascherina.

 

Rita Bonaccurso

Nuovo colpo di scena sulle origini del Covid: l’indagine di Jesse Bloom

Si aggiunge un nuovo tassello nel mosaico delle origini del Covid-19 grazie allo studio condotto dallo scienziato statunitense Jesse Bloom.

L’indagine di Jesse Bloom

In arancione le particelle del virus SarsCoV2 – Fonte: www.ansa.it

Il virologo Jesse Bloom, del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle, ha condotto un’indagine che potrebbe gettare una nuova luce sulle origini della pandemia. Come riportato su Biorxiv (che raccoglie gli articoli non ancora vagliati dalla comunità scientifica), il ricercatore americano ha ritrovato sequenze del virus che risalgono all’inizio della pandemia, che sarebbero state pubblicate da un team di ricercatori cinesi nell’archivio del National Institute of Health (NIH) americano e poi, pochi mesi dopo, rimosse per oscurarne l’esistenza. Bloom, come si legge nel documento, sarebbe riuscito a recuperare i file cancellati da Google Cloud e a ricostruire le sequenze parziali di 13 campioni di virus raccolti da pazienti ricoverati tra gennaio e febbraio 2020 a Wuhan.

Bloom dice di aver contattato i ricercatori cinesi per chiedere perché hanno rimosso i dati senza ricevere alcuna risposta. Dettagli in merito arrivano dal NIH che ha affermato di aver rimosso le sequenze su richiesta del ricercatore che ha presentato i dati e che, quindi, detiene i diritti sugli stessi. Secondo quanto detto dallo scienziato cinese all’istituto americano, le informazioni sulle sequenze, dopo essere state aggiornate, sarebbero state poi pubblicate su un’altra banca dati. Bloom ha invece detto di non aver trovato le sequenze in nessun altro database di virologia che conosce.

C’è ancora molto da sapere sulle origini del Covid

Per alcuni scienziati le affermazioni rafforzano i sospetti che la Cina abbia qualcosa da nascondere sulle origini della pandemia, per altri il lavoro investigativo di Bloom è molto rumore per nulla, perché gli scienziati cinesi hanno poi pubblicato le informazioni virali in una forma diversa, e le sequenze recuperate aggiungono poco a ciò che si sa sulle origini della SARS-CoV-2.

Se da una parte è vero che questa scoperta non cambia il quadro scientifico sulle prime settimane della diffusione del virus, dall’altra parte mette in luce sia la carenza di trasparenza da parte di Pechino, sia che ancora agli scienziati potrebbero mancare molti tasselli per trarre conclusioni accurate sulle origini del covid. “Penso che fornisca ulteriori prove che questo virus era probabilmente in circolazione a Wuhan prima di dicembre, certamente, e che probabilmente, abbiamo un quadro meno che completo delle sequenze dei primi virus”, ha affermato Jesse Bloom.

L’ipotesi della fuga dal laboratorio di 18 scienziati

La scoperta di Bloom rafforza quel clima di sospetti e dubbi alimentato da politici e scienziati. Ne è espressione la lettera di 18 scienziati, pubblicata circa un mese fa su Science, in cui si legge che l’ipotesi secondo cui un coronavirus del pipistrello avrebbe contaminato l’uomo attraverso un animale intermedio non è ancora l’unica da considerare attendibile. “L’obiettivo di questa lettera è fornire un sostegno scientifico alle persone che hanno il potere di lanciare un’inchiesta internazionale Potranno evocarla per dire che scienziati di alto livello, in una serie di campi pertinenti, pensano che sia necessaria un’inchiesta rigorosa sull’ipotesi dell’incidente di laboratorio”, ha detto la biologa molecolare Alina Chan, una delle coautrici dell’articolo.

Laboratorio a Wuhan – Fonte: www.ansa.it

A mettere in discussione le posizioni ufficiali rilasciate dall’autorità cinesi, c’è poi Le Monde. Nel giorno in cui la lettera veniva pubblicata su Science, infatti, sul quotidiano francese è apparso un articolo riguardante uno studio universitario condotto nei laboratori dell’Istituto di virologia di Wuhan sul virus RaTG13. Si tratterebbe di un virus prelevato nel 2013 in una miniera abbandonata a Mojiang, nella provincia dello Yunan, dove vivevano pipistrelli che nella primavera del 2012 hanno contagiato sei operai. Stando allo studio, tre di questi operai sono morti per le conseguenze di una malattia polmonare che presentava sintomi molto simili a quelli da Covid-19. Da questo lavoro universitario sembra emergere il fatto che gli scienziati, non solo fossero a conoscenza, ma anzi avessero avuto modo di studiare questi coronavirus ben più di quanto non abbiano fatto intendere a partire dal momento in cui è scoppiata la pandemia.

La richiesta di nuove indagini di Biden e del G7

Il presidente Joe Biden – Fonte: www.ansa.it

Lo stesso Biden a fine maggio ha chiesto all’intelligence americana un rapporto sulle origini del Covid-19 entro 90 giorni, cioè entro fine agosto. La Casa Bianca non esclude nulla, neppure una diffusione deliberata del Covid-19.

Anche i leader del G7, dopo il vertice di tre giorni in Cornovaglia, hanno chiesto all’Oms una tempestiva e trasparente indagine sulle origini del Covid. “Chiediamo progressi su una fase due di uno studio dell’Oms sulle origini del Covid-19 che sia libero da interferenze”.

Chiara Vita