Tutela ambientale e rispetto intergenerazionale in Costituzione, approvata la riforma

La tutela ambientale, degli animali e la giustizia intergenerazionale hanno vinto il loro posto in Costituzione in seguito all’approvazione, da parte della Camera, della proposta di riforma costituzionale depositata in Parlamento nell’ottobre 2021. Oggetto della modifica sono stati gli articoli 9 e 41 della Costituzione, che adesso presentano rispettivamente un nuovo comma ed un nuovo inciso.

«Penso che sia una giornata epocale», commenta il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, presente in aula a Montecitorio al momento del voto.

È giusto che la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi diventi un valore fondante della nostra Repubblica, è un passaggio imprescindibile per un Paese come l’Italia che sta affrontando la propria transizione ecologica. Per le azioni che facciamo oggi e per le conseguenze che ci saranno in futuro sulle prossime generazioni, questa conquista è fondamentale  e ci permette di  avere regole ben definite per proteggere il nostro pianeta.

Il testo, alla seconda lettura alla Camera, è passato a Montecitorio con 468 voti a favore, un contrario e sei astenuti – tutti esponenti di Fratelli d’Italia. Questo intervento si cala all’interno di un piano di riforma previsto e promosso dallo stesso PNRR, come approvato in base alle linee guida europee.

I nuovi articoli 9 e 41

(In grassetto le modifiche apportate dalla riforma)

Sarebbe quanto meno erroneo ritenere che prima di questa riforma la Costituzione non tutelasse l’ambiente, la biodiversità, gli ecosistemi e non guardasse alle future generazioni (almeno in via programmatica). Dal momento che la nostra Costituzione è di tipo aperto, è da ritenersi che tutto ciò che non sia esplicitato venga implicitamente tutelato ai sensi degli stessi articoli 2 e 3 (così come di altre previsioni costituzionali) che tutelano i diritti inviolabili dell’uomo e l’uguaglianza.

Tuttavia, un richiamo esplicito permette di aggiungere ai beni sopracitati un ulteriore apporto valoriale, così come ha affermato lo stesso dossier rilasciato dal Parlamento in seguito all’approvazione della riforma:

[…] In tale prospettiva l’ambiente si configura non come mero bene o materia competenziale, bensì come valore primario e sistemico.

Il nuovo terzo comma dell’art.9 (che rientra tra i principi fondamentali) è ulteriore rispetto alla menzione della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” previsto dall’articolo 117, secondo comma della Costituzione – introdotto con la riforma del Titolo V – nella parte in cui enumera le materie di competenza esclusiva statale (per cui alle Regioni non è lasciato margine quanto all’emanazione di leggi). Tuttavia, una sentenza della Corte Costituzionale del 2020 ha previsto il diritto, in capo alle Regioni, di derogare in meglio la tutela ambientale: le Regioni potranno legiferare discostandosi dalla legislazione nazionale solo per assicurare più alti livelli di tutela ambientale.

La sentenza affronta anche la problematica delle terre degradate, affermando la necessità che la tutela paesaggistica prevista all’articolo 9 venga declinata non solo in interventi conservativi, ma finalizzati anche «all’acquisizione e al recupero dei territori degradati».

(fonte: rinnovabili.it)

Il nuovo inciso dell’art.41 prevede di aggiungere all’attuale previsione – in base alla quale l’iniziativa economica privata è libera e non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana – l’ulteriore vincolo che essa non possa svolgersi in modo tale da recare danno alla salute e all’ambiente.

Per meglio specificare, il legislatore ha addotto una recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, risalente al caso dell’Ilva di Taranto, che in una pronuncia del 2018 ha sottolineato la necessità di contemperare l’interesse all’iniziativa economica con altri diritti fondamentali (quale quelli alla salute e all’ambiente), in modo tale da non permettere che uno prevalga sull’altro e viceversa. Ha poi invitato il legislatore ad effettuare un intervento sistematico, al fine che la tutela «non sia frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro».

Infine, il dossier contiene anche un riferimento alla caccia, che rimane di competenza delle Regioni ma sempre e comunque nei limiti – di tutela dell’ambiente ed ecosistema – disposti dall’articolo 117 della Costituzione.

Transizione ecologica tra rinnovabili e nucleare

La riforma costituzionale giunge a neanche un mese dall’introduzione, nella tassonomia europea delle fonti sostenibili, dell’energia nucleare e del gas naturale. Avevamo già parlato di alcuni miti da sfatare circa l’energia nucleare, ma è bene rammentare che il dibattito resta ancora acceso. Infatti, il segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha espresso in un tweet disapprovazione nei confronti della scelta della Commissione Europea (trovando approvazione da parte del MoVimento 5 Stelle):

D’altro canto, il segretario di Lega Matteo Salvini si è detto favorevole a quanto disposto dalla Commissione. L’ASviS (Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile) ha affrontato l’argomento in un articolo, facendo un bilancio tra pro e contro dell’energia nucleare: da un lato, riportando le opinioni positive dei Comitati scientifici europei; dall’altro, riportando le opinioni dell’ala verde del Parlamento UE, che avrebbe accusato la Commissione di greenwashing del nucleare e del gas.

Ed in effetti, il vero dramma da evitare per la nostra Costituzione è che rimanga lettera consacrata ma mai attuata, in una prospettiva che vede già numerose operazioni di greenwashing svolgersi all’ordine del giorno senza un vaglio giurisdizionale che ne accerti l’illegittimità. Se non altro, almeno per non far divenire la nostra stessa Carta Costituzionale un’ulteriore operazione di greenwashing.

Valeria Bonaccorso

 

 

Dalle prossime Politiche, i 18enni potranno votare per eleggere i senatori: arriva l’ok definitivo alla riforma

Fonte: Open

Scende da 25 a 18 anni l’età minima per partecipare al voto per l’elezione dei membri del Senato: a Palazzo Madama è stata approvata ieri, giovedì 8 luglio, la riforma costituzionale che attribuisce il voto ai 18enni, così soppiattando il vecchio vincolo stabilito dall’articolo 58 della Costituzione, che riservava questo diritto soltanto alle persone con più di 25 anni di età.

A partire dalle prossime elezioni politiche saranno, dunque, 4 milioni i giovani elettori che potranno votare anche per eleggere i senatori, oltre che per i rappresentanti della Camera.
Saltata, invece, l’ipotesi di abbassare l’età per essere eletti senatori, cosicché resta invariata la regola per la quale è richiesta un’età minima di 40 anni per essere candidati ed eventualmente eletti.

Prevista la modifica della Costituzione

Al primo comma dell’articolo 58 della Costituzione, le parole “dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età” sono soppresse.

E’ con questo breve testo che viene modificato l’articolo 58.

Il provvedimento per la modifica è stato approvato con 178 voti favorevoli, 15 contrari e 30 astensioni. Si è trattata della quarta lettura del provvedimento, conforme con le due precedenti della Camera, del 31 luglio 2019 e 9 giugno 2021, e con la prima del Senato del 9 settembre 2020.

L’entrata in vigore del provvedimento

Dal momento che il disegno di legge non aveva ottenuto il quorum di due terzi nella seconda votazione alla Camera, bisognerà attendere tre mesi prima dell’entrata in vigore, in modo tale da lasciare spazio ad un eventuale referendum confermativo.

In base all’articolo 138 della Costituzione, il referendum potrà essere richiesto da un quinto dei membri di una Camera o 500mila elettori o 5 consigli regionali. Nel caso in cui tale richiesta non verrà avanzata, la riforma entrerà comunque in vigore una volta trascorso l’arco di tempo stabilito.

Tutto è cominciato da una polemica in Commissione

A detta di Giuseppe Brescia del M5S, presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera e primo firmatario della proposta di legge costituzionale per il voto ai 18enni al Senato, tutto è nato da una polemica del 2019 con il Partito Democratico (Pd) – che ai tempi si trovava all’opposizione – sul taglio del numero dei parlamentari.

Giuseppe Brescia. Fonte: il Manifesto

Quando allora si discusse in prima lettura il testo sulla riduzione dei parlamentari, si riuscì infatti a trasformare gli scontri in azione costruttiva, concordando la presentazione di proposte di legge da affrontare separatamente in tempi veloci e con un doppio relatore, uno di maggioranza ed uno di opposizione al Governo, superando così quella linea di frattura impeditiva maggioranza-opposizione.

Le opinioni politiche a favore

L’approvazione della riforma ha immediatamente suscitato le varie reazioni politiche: il relatore Dario Parrini, presidente della Commissione degli Affari costituzionali del Senato, ha dichiarato che con la riforma le due Camere avranno la stessa base elettorale e, quindi, le stesse maggioranze politiche.

Il ministro M5s per i Rapporti con il Parlamento, Federico d’Incà, ha  commentato su Facebook che in questo modo si «favorisce la partecipazione delle nuove generazioni alla vita politica». Ha poi continuato scrivendo:

«Il voto di oggi testimonia anche che il metodo delle riforme puntuali, che ha già portato alla riduzione del numero dei parlamentari lo scorso settembre, non solo è efficace ma è anche utile ad approvare le riforme necessarie con larga maggioranza, come testimonia il voto di oggi del Senato».

Fonte: Cosmopolitan

Un commento è arrivato anche dalla Senatrice del Partito democratico, Valeria Fedeli:

«Con il via libera definitivo al ddl costituzionale che abbassare da 25 a 18 anni l’età dell’elettorato attivo per il Senato si compie un’importante passo, atteso da anni: finalmente le ragazze e i ragazzi che diventano maggiorenni saranno pienamente e attivamente coinvolti, attraverso il diritto di voto anche per il Senato, nella partecipazione alla vita democratica del nostro Paese».

L’astensione di Forza Italia

Su una linea opposta si trova invece Forza Italia che si è astenuta dal voto, come annunciato dal vicepresidente vicario dei senatori Lucio Malan:

«Forza Italia non si assocerà al coro pressoché unanime in favore di questa riforma. Noi abbiamo grande rispetto per i giovani ma anche per la serietà e i giovani non ci chiedono di votare per il Senato, chiedono invece serietà, più opportunità e meglio di altri respingono la politica dei like, di cui questa riforma è chiara espressione».

Il senatore, quindi, ha proseguito:

«Vorrei evidenziare che dopo la riduzione dei parlamentari, che noi abbiamo contrastato, bisognava porre subito mano ad una serie di riforme per far fronte agli squilibri che quella sbagliata riforma produrrà dalla prossima legislatura. Fu Zingaretti, allora segretario del Pd, tra i primi a dire che si sarebbe subito passati agli atti conseguenti. Nulla, non è accaduto nulla, se non questa legge che di fatto peggiora le cose».

Le parole del vicepresidente Malan troverebbero giustificazione in un’attenta analisi dei numeri della rappresentanza politica in seguito al taglio dei parlamentari, approvato con il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020: se con la riduzione del numero di parlamentari avremo un senatore ogni 233 mila elettori, con il voto ai 18enni il numero salirà ancor di più, arrivando a 260 mila e rendendo la proporzione meno favorevole. In questo modo, i giovani avranno molto meno potere nella scelta dei loro rappresentanti.

Gaia Cautela

160 anni d’Italia, unione e pandemia: le parole del Presidente Mattarella e le proteste sul web

(fonte: twitter.com, @MinisteroDifesa)

17 marzo 1861: 160 anni fa nasceva il Regno d’Italia sotto la guida del re Vittorio Emanuele II di Savoia. Da quel momento molti eventi hanno segnato il destino del regno, poi divenuto Repubblica, fino ai giorni nostri: a celebrare la giornata una dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella che ricorda, tra l’altro, l’importanza dell’unità in tempi di pandemia.

Le parole del Presidente

Celebriamo oggi il 160° anniversario dell’Unità d’Italia, la “Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera“.

Così il Capo di Stato ha introdotto l’argomento della breve ma corposa dichiarazione, approfittando subito dopo per ricordare l’importanza dei valori di unità sanciti 160 anni fa nell’attraversare un periodo di sfida come quello del Covid-19.

L’Italia, colpita duramente dall’emergenza sanitaria, ha dimostrato ancora una volta spirito di democrazia, di unità e di coesione. Nel distanziamento imposto dalle misure di contenimento della pandemia ci siamo ritrovati più vicini e consapevoli di appartenere a una comunità capace di risollevarsi dalle avversità e di rinnovarsi.

Non è un caso che il Presidente abbia voluto spendere parole d’incoraggiamento alla coesione. Negli ultimi giorni, infatti, molti sono stati i motivi di dibattito e scissione sulla questione vaccini, soprattutto a causa dell’inchiesta e della sospensione temporanea della somministrazione del vaccino AstraZeneca. Poi continua:

La celebrazione odierna ci esorta nuovamente a un impegno comune e condiviso, nel quadro del progetto europeo, per edificare un Paese più unito e solido, condizione necessaria per una rinnovata prosperità e uno sviluppo equo e sostenibile.

Ribadisce l’importanza dell’impegno verso lo sviluppo sostenibile e la transizione ecologica, chiave del Recovery Plan ed oggetto dell’opera del neo-governo Draghi.

Le parole da Camera e Senato

Maria Elisabetta Alberti Casellati, presidente del Senato, scrive sui social: “Gli Italiani sono un grande popolo, che ha dimostrato coraggio e responsabilità nell’affrontare la più difficile crisi sanitaria, economica e sociale dal Dopoguerra. Orgogliosa di essere italiana!”

(fonte: twitter.com @Roberto_Fico)

Il presidente della Camera Roberto Fico ha invece approfittato dall’occasione per toccare diversi punti importanti. Lo rivela Adkronos: il Presidente, nel proprio discorso, ha infatti ricordato l’importanza del raggiungimento di obiettivi come la pace e la prosperità tramite l’utilizzo di quelle energie morali, culturali e civili che animarono il Risorgimento. Poi prosegue:

“Nella difficile fase che stiamo vivendo c’è una splendida immagine di identità e di italianità: quella dei nostri medici e di tutto il personale sanitario che sono sempre rimasti in prima linea a combattere una guerra logorante a tutela della salute della collettività. E c’è quella degli uomini e delle donne, impegnati nelle missioni internazionali di pace che contribuiscono, con il nostro Tricolore, alla promozione dei valori universali della libertà e della dignità della persona nelle aree del mondo ricattate dai conflitti e dalle violenze”.

Infine rivolge un pensiero all’ambasciatore Luca Attanasio ed al carabiniere Vittorio Iacovacci, scomparsi tragicamente a causa di un attentato nel Congo e ricordati tra coloro che hanno contribuito a portare nel mondo la cultura della pace del nostro Paese.

Ripercorrere la nostra storia, promuovere i nostri valori, avere rispetto per il nostro passato, serve a dar forma a una forza positiva, a una riserva di energie morali, culturali e civili indispensabile per affrontare il futuro e le sue sfide.” Ha concluso il Presidente.

Le proteste del web e l’hashtag #IONONFESTEGGIO

Molti utenti del web hanno approfittato della ricorrenza per lanciare su Twitter l’hashtag di protesta #IONONFESTEGGIO, con motivazioni legate in particolare al divario tra Nord e Sud.
Effettivamente, un rapporto del 2020 dello Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno) ha rivelato l’accentuazione del divario economico causato dalla pandemia, affermando che nelle regioni meridionali il secondo lockdown ha causato la caduta del reddito disponibile delle famiglie del -6,3% che si trasmette ai consumi privati, con una contrazione al Sud pari al -9,9% esuperiore a quella del Centro- Nord (-9%).

Secondo le proiezioni Svimez, il PIL crescerà al Sud dell’1,2% nel 2021 e dell’1,4% nel 2o22, mentre al Centro-nord avremo tassi di crescita del 4,5% nel 2021 e del 5,3% nel 2022. (agenziacoesione.gov.it)

I messaggi dei partiti

Diversi esponenti politici e partiti hanno voluto, allo stesso modo, approfittare della giornata per lanciare messaggi ai propri elettori: è il caso di Fratelli d’Italia, che celebrerà la giornata occupandosi della riqualificazione dei Parchi della Rimembranza ma ricorda l’importanza della difesa dell’identità nazionale.

Italia Viva, sotto l’hashtag #Italia160, ha dichiarato in un tweet l’intenzione di voler rendere omaggio allo spirito patriottico di coloro che lottarono per l’Unità battendosi per far ripartire il paese una volta superata la crisi pandemica.

Anche il neo-segretario del Partito Democratico Enrico Letta ha voluto condividere un messaggio di auguri, rimarcando l’importanza dell’unità nazionale.

 

Valeria Bonaccorso

Giorgio La Pira: un messinese “fuorisede” del XX secolo

La città di Messina ha dato i natali a numerosi personaggi illustri che hanno fornito un contributo importante alla cultura italiana, come l’artista Antonello e il giurista, politico e rettore universitario Gaetano Martino. Altrettanto numerosa è la schiera di coloro che, seppur non siano nati nella città dello Stretto, hanno vissuto in essa una parte della propria vita, come ad esempio i poeti Giovanni Pascoli e Salvatore Quasimodo. Quest’ultimo era legato da una profonda amicizia ad un uomo che lasciato un segno indelebile nella storia politica dell’Italia repubblicana: Giorgio La Pira.

Giorgio La Pira (ultimo a destra) con tre suoi fratelli – Fonte: Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira

Biografia in breve

Nato a Pozzallo nel 1904, La Pira si laureò a Firenze in Giurisprudenza e a 29 anni divenne professore di Diritto Romano presso l’Università di Firenze. Nel capoluogo toscano fu eletto prima deputato dell’Assemblea Costituente nel 1946, poi deputato alla Camera nel 1948, e infine, per diverse volte, sindaco di Firenze, a partire dal 1950. Fu anche sottosegretario di Stato al Ministero del Lavoro. A Palazzo Montecitorio fu membro della Commissione per la Costituzione, in particolare della prima sottocommissione “Diritti e doveri dei cittadini”, che ha elaborato la Prima Parte della nostra Carta fondamentale. Sia da sindaco che da deputato si adoperò per la promozione della pace attraverso conferenze, incontri (i cosiddetti Colloqui mediterranei) e alcuni importanti viaggi che scaldarono l’opinione pubblica, come quello nell’U.R.S.S. nel 1958. In questa occasione, celebre fu la frase pronunciata davanti al Soviet Supremo: “c’è chi ha le bombe atomiche, io ho solo le bombe della preghiera”.

Donne e uomini promotori di pace come La Pira sarebbero fondamentali in un periodo di grande tensione internazionale come quello attuale, in cui i delicati equilibri andrebbero gestiti con lo stesso spirito di cooperazione del “Professore”. Dieci anni dopo la morte (1977) iniziò il processo di beatificazione di La Pira, che nel 2018 è stato dichiarato Venerabile da Papa Francesco.

Giorgio La Pira insieme ai cittadini di Firenze – Fonte: giorgiolapira.org

Gli anni messinesi

Passiamo ora in rassegna gli anni che La Pira visse, a partire dal 1914, a Messina, ospite dello zio Luigi Occhipinti. La formazione del giovane La Pira ha avuto una grande rilevanza nello sviluppo del pensiero e nel processo di crescita dello statista siciliano.

La città dello Stretto stava attraversando un periodo di rinascita in seguito al trauma del terremoto del 1908, ancora evidente dalla presenza di numerose baracche in cui viveva la maggior parte dei cittadini, tra i quali anche La Pira. Il trasferimento a Messina fu necessario poiché nella sua città d’origine non poteva dare seguito al suo talento spiccato nello studio, evidente negli anni in cui frequentò la scuola tecnica Antonello e l’istituto tecnico A.M. Jaci, nel quale fu uno dei migliori allievi, insieme al suo amico Salvatore Pugliatti. Questa grande attitudine agli studi sarà confermata successivamente anche nel percorso universitario, che lo vedrà laurearsi con il massimo dei voti e plauso della commissione.

L’Università di Messina ai tempi di La Pira. Egli vi frequentò i corsi della facoltà di Giurisprudenza dal 1922 a 1926; successivamente completò gli studi a Firenze. Fonte: Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira

Oltre allo studio scolastico e accademico, l’adolescente La Pira aiutava gli zii nel lavoro presso la tabaccheria di famiglia ed era membro della Società Letteraria Peloro. Grazie agli incontri della Peloro iniziò ad ampliare la propria cultura e a forgiare il proprio pensiero, inizialmente mutevole, contraddittorio e legato molto a fattori ambientali, come quello di qualsiasi altra persona che attraversa la turbolenta fase della giovinezza. In coerenza con l’attività dei propri amici abbracciò le idee futuriste e fu molto ispirato dalla figura del poeta Gabriele D’Annunzio.

Con il passare degli anni, però, si cristallizzò la sua identità cristiana, che trovò un’importante conferma nella Pasqua del 1924 (la cosiddetta “svolta cristiana”). La sua radicalità nella fede lo condusse a divenire nel 1925 terziario domenicano e a partecipare attivamente a vari movimenti giovanili cristiani. Anche lo zelo per la democrazia non fu sempre presente in La Pira, come testimoniano due scritti del 1922 in cui traspare il disprezzo per il parlamentarismo e la cultura positivista. Da un articolo del 1924 invece si evince un mutamento ideologico, causato dall’influenza degli studi giuridici e dalla lettura del filosofo Maurice Blondel, che lo portò ad abbracciare il concetto di democrazia e a rifiutare il concetto di popolo come materia grigia da plasmare, tipico dei totalitarismi.

Il palazzo in cui visse La Pira dal 1918 al 1926 – Fonte: Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira

Come tanti giovani messinesi dei nostri tempi anche Giorgio La Pira ha dovuto lasciare la città dello Stretto per altri lidi, che allora come oggi offrivano più opportunità. Nonostante questo, il legame con la città peloritana è stato sempre forte ed è ben espresso dalla sua celebre frase: “quando metto piede a Messina è come se non me ne fossi mai staccato!”.

La città di Messina ha intitolato a La Pira una scuola, situata a Camaro S. Luigi, e un tratto della Strada Statale 114, tra le località di San Filippo e Pistunina. Inoltre a lui è dedicata una lapide nel luogo (l’attuale Piazza Carducci, accanto al palazzo del Rettorato) in cui ha vissuto dal 1918 al 1926.

©Giulia Greco - La lapide dedicata a Giorgio La Pira in Piazza Carducci, Messina 2020   
©Giulia Greco – La lapide dedicata a Giorgio La Pira in Piazza Carducci, Messina 2020

  

 

  Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Bibliografia

Giuseppe Miligi, Gli anni messinesi e le “parole di vita” di Giorgio La Pira, II edizione, 1995, Messina, Instilla Editore;

Luca Micelli, Giorgio La Pira. Un Profeta prestato, 2015, Todi(PG), Tau Editore;

http://giorgiolapira.org/it

Violante per il SI, Ingroia per il NO-Intervista doppia in esclusiva su UniVersoMe

LUCIANO VIOLANTE

Perché è importante votare Sì?

Innanzitutto credo sia importante andare a votare. Certamente rispetto anche gli amici e i cittadini che votano No. Credo sia importante votare Sì, perché il No non ha nessuna proposta alternativa. Questa riforma raggiunge tre obiettivi molto importanti a mio avviso: la stabilità dei governi, una maggiore velocità delle decisioni politiche, un maggiore controllo sull’operato del governo. Tutte cose fondamentali per far cambiare passo all’Italia ed aprire così una strada di riforma profonda del nostro sistema istituzionale. Capisco ci sia sempre un inseguimento dell’ottimo, ma è dal 1983 che ne parliamo, penso abbiamo procastinato a sufficienza visto anche che oggi nel mondo interdipendente, la reputazione degli Stati si basa sulla loro solidità, sulla loro stabilità e sulla loro velocità.

La cosa che meno le piace di questa riforma?

Io avrei preferito che ci fosse stata una omissione riguardo la “sfiducia costruttiva”.

Ingroia ha detto che in uno scenario favorevole al Sì ci sarà un accentramento dei poteri del Premier. Lei si trova d’accordo con questa affermazione?
 No, non sono assolutamente d’accordo. Il presidente del consiglio sarà molto più controllato domani rispetto ad oggi. Per esempio il Senato potrà fare il controllo delle politiche pubbliche del governo, il controllo delle attuazione delle leggi e dello stato, il controllo della pubblica amministrazione ed il controllo delle direttive europee sul territorio. Tutte cose che oggi non fa nessuno. Mentre oggi il governo può mettere la fiducia anche al Senato, domani non potrà più metterla. Mentre il governo oggi abusa dei decreti legge, dei maxiemendamenti e della Fiducia , domani non sarà più possibile. Mentre oggi il  governo ha messo la fiducia sull’Italicum, legge che io non condivido per nulla , domani ci potrà essere la minoranza parlamentare che potrebbe votare sulle leggi elettorali e poi ricorrere alla Corte Costituzionale, cosa che adesso non si può fare. Ad oggi  i cittadini non hanno il referendum propositivo, domani l’avranno. Per me tutto questo significa maggiore controllo e maggiore tutela dei cittadini.

 

Recentemente ha dichiarato “Sì e No hanno pari dignità ma le conseguenze sono ben diverse”. Cosa pensa dei toni decisamente meno concilianti usati sia dal Premier: “Chi vota No difende la casta”; sia dal fronte del No: “Aboliamo la Schiforma”. Qual’è il senso di politicizzare un Referendum Costituzionale? 

Io sono contrario a questi toni. Non tanto perché si tratta di una materia di diritto, ma perché io rispetto le persone e rispetto chi la pensa diversamente da me. Ritengo sia sempre positivo ascoltare le opinioni dell’altro con rispetto , quindi non  posso condividere i toni offensivi che che li usino quelli del Sì o quelli del No. Questo è il mio metodo di confronto.

Che cosa pensa riguardo le affermazioni del 2013 di Antonio Ingroia da magistrato :”…io confesso che non mi sento del tutto imparziale. Anzi, mi sento partigiano, sono un partigiano della Costituzione.”?

Ritengo siano formule più adatte ad un dibattito pubblico.

antonio_ingroia_1ANTONIO INGROIA

 

Perché bisogna votare No?
Perché questa è una riforma che azzera i diritti di partecipazione dei cittadini. Mi piace dire che è un vero e proprio furto di democrazia. Il fatto che gli elettori non potranno più votare per il loro senatore, il fatto che il Senato pur ridimensionato mantenga ancora tanti poteri sia dal punto di vista al potere legislativo sia per elezione del Presidente della Repubblica, ed il fatto che possa essere tirato in ballo in altri momenti cruciali, già di per sè costituisce una ottima ragione per votare No. In più ritengo che ci sia un significativo anche uno squilibrio di potere in favore di un rafforzamento del potere esecutivo.

 

Qual è la cosa che più le piace di questa riforma?

Di questa riforma non mi piace nulla. L’unica cosa che posso condividere è l’abolizione del CNEL, poiché effettivamente è inutile e si risparmia. Ma la bilancia è troppo “sbilanciata” a favore delle ragioni per cui questa riforma è non solo inutile ma anche dannosa.

Dopo una carriera brillante e piena di soddisfazioni nella magistratura, nel 2013 ha deciso di scendere in politica e adesso di schierarsi per il No in questa campagna elettorale referendaria.  Mi chiedo chi ha più bisogno di Ingroia ?Un frammentato fronte del No o la Costituzione italiana?

Io credo che sia la Costituzione. Io sono innamorato della Costituzione, da magistrato mi sono definito “partigiano della Costituzione” e questo mi costò anche un provvedimento disciplinare ai tempi del governo Berlusconi, che poi venne ritirato. Oggi continuo questa mia battaglia ma con maggiore libertà di espressione, non facendo più il magistrato e facendo attività politica però fuori dai partiti.
Il presidente Violante dice che in nessun modo ci potrà essere nel caso in cui vincesse il Sì, un accentramento dei poteri del premier. Perché lo dice secondo lei?
Perché questa è una riforma furba poichè introduce un presidenzialismo mascherato. Dal punto di vista formale non c’è nessun ampliamento dei poteri del governo, tantè che non sono stati toccati dalle modifiche gli articoli relativi ad esso. Ad essere modificata è stata però tutta la parte relativa all’ iter legislativo, dove si sono introdotti dei potere il governo prima non aveva. Sono stati  alleggeriti un po’ i poteri di decretazione d’urgenza, però si sono introdotti alcuni meccanismi privilegiati del governo come ad esempio  il “Voto a data certa” ,e quindi c’è un vero e proprio controllo del Parlamento anche attraverso l’Italicum. È facile ora dire:”lo riformeremo”, intanto al momento è legge dello Stato e quando gli italiani voteranno il Referendum voteranno con l’Italicum quindi è meglio ragionare con il combinato disposto: Italicum e Referendum costituzionale. In questo meccanismo non solo c’è un aumento dei poteri del Governo ma anzi, c’è un innalzamento del potere di un’altra figura, che coincide con il Capo del Governo cioè il leader del partito di minoranza relativa il quale avrà, pur essendo una figura extraistituzionale ed extraparlamentare, di fatto in mano le sorti del Paese.
Alessio Gugliotta

Di cosa parla la riforma costituzionale?

La riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum il prossimo 4 Dicembre, con cui verrà deciso se approvare o respingere la legge Boschi (approvata il 12 aprile), è la più vasta e complessa mai intrapresa nella storia della Repubblica Italiana: prevede la modifica di più di 40 articoli, tanti quanti ne sono stati modificati nel corso degli ultimi 70 anni. La riforma è stata approvata in doppia lettura da camera e senato e ora dovrà passare al vaglio dei cittadini. Il referendum costituzionale è previsto dall’articolo 138 della costituzione italiana e deve essere indetto entro tre mesi dall’approvazione da parte del parlamento delle leggi di revisione costituzionale. Per essere valido non c’è bisogno di raggiungere il quorum. A differenza del referendum abrogativo, in questo caso non è necessario che vada a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto.

Riforma del Senato La riforma prevede una forte riduzione dei poteri del Senato e un cambio nel metodo di elezione dei senatori, e avrà come conseguenza principale la fine del bicameralismo perfetto, cioè la forma parlamentare in cui le due Camere hanno sostanzialmente uguali poteri e uguali funzioni. Sulla maggior parte delle leggi sarà soltanto la Camera a dover decidere eliminando la cosiddetta “navetta”, cioè il passaggio della stessa legge tra Camera e Senato che oggi capita avvenga anche più di una volta, visto che le due camere devono approvare leggi che abbiano esattamente lo stesso testo. Il nuovo Senato non darà la fiducia al governo, che quindi per insediarsi e operare avrà bisogno soltanto del voto della Camera. Il Senato manterrà la sua “competenza legislativa”, cioè la possibilità di approvare, abrogare o modificare leggi, soltanto in un numero limitato di ambiti: riforme costituzionali, disposizioni sulla tutela delle minoranze linguistiche, referendum, enti locali e politiche europee. In tutti gli altri, la Camera legifererà in maniera autonoma: per approvare una legge, quindi, non ci sarà più bisogno di un voto favorevole da parte di entrambi i rami del Parlamento ma basterà il voto della Camera. Il Senato potrà chiedere modifiche dopo l’approvazione della legge, ma la Camera non sarà obbligata ad accettarne gli emendamenti. Insieme alle competenze, cambierà anche la composizione del Senato, che passerà da 315 a 100 membri. I senatori non saranno più eletti direttamente come avviene oggi, ma saranno scelti dalle assemblee regionali tra i consiglieri che le compongono e tra i sindaci della regione. In tutto il Senato sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci e cinque senatori nominati dal presidente della Repubblica che resteranno in carica per sette anni, non percepiranno stipendio, ma avranno le stesse tutele dei deputati. I dettagli su come saranno eletti i senatori provenienti dalle regioni non sono specificati nel ddl Boschi: servirà una legge che determini esattamente come avverrà la loro elezione.

Titolo V La seconda parte più importante della riforma riguarda la riduzione dell’autonomia degli enti locali a favore dello stato centrale. Questa riduzione si otterrà con la modifica del Titolo V della seconda parte della Costituzione, che contiene le norme fondamentali che regolano le autonomie locali. Il Titolo V era già stato modificato con la riforma Costituzionale del 2001, quando alle regioni fu garantita autonomia in campo finanziario (con cui poter decidere liberamente come spendere i loro soldi) e organizzativo (con cui poter decidere quanti consiglieri e quanti assessori avere e quanto pagarli). Con il ddl Boschi, molte di quelle competenze torneranno in maniera esclusiva allo Stato, mentre le competenze concorrenti (cioè condivise tra Stato e regioni) scompariranno completamente. La competenza principale che rimane alle regioni sarà la sanità. Nella riforma sono anche contenute clausole che permettono allo stato centrale di occuparsi di questioni esclusivamente regionali, nel caso lo richiede la tutela dell’interesse nazionale. La riforma porterà anche all’abolizione definitiva delle province, che negli ultimi anni sono già state progressivamente svuotate delle loro principali funzioni.

Elezioni del presidente della Repubblica e abolizione del CNEL e referendum La riforma prevede anche una serie di cambiamenti di portata meno rilevante, ma comunque importanti. Il presidente della Repubblica sarà eletto dalle due camere riunite in seduta comune, senza la partecipazione dei 58 delegati regionali come invece avviene oggi. Sarà necessaria la maggioranza dei due terzi fino al quarto scrutinio, poi basteranno i tre quinti. Solo al nono scrutinio basterà la maggioranza assoluta (attualmente è necessario ottenere i due terzi dei voti fino al terzo scrutinio; dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta: Napolitano e Mattarella sono stati eletti così). Il ddl Boschi prevede anche l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, un organo previsto dalla Costituzione (all’articolo 99). Il CNEL è un “organo consultivo”, con la facoltà di promuovere disegni di. È composto da 64 consiglieri, in parte nominati dal Presidente della Repubblica e dal presidente del Consiglio (dieci persone), in parte dai rappresentanti delle categorie produttive (48 membri) e in parte dai rappresentanti di associazioni e volontariato (6 membri). Con l’abolizione delle province, del CNEL, e la riduzione dei senatori, è prevista una riduzione dei costi, ma non sono state fornite stime esatte sull’ammontare di questi risparmi, si calcola che possano essere nell’ordine di poche centinaia di milioni di euro, su un bilancio pubblico di circa 800 miliardi di euro.

Referendum e leggi d’iniziativa popolare La riforma lascia aperta la possibilità di introdurre referendum propositivi, cioè per proporre nuove leggi (oggi invece i referendum possono solo confermare o abrogare leggi già approvate). Il quorum che rende valido il risultato di un referendum abrogativo resta sempre del 50 per cento più uno degli aventi diritto al voto, ma se i cittadini che propongono la consultazione sono 800mila, invece che 500mila, il quorum sarà ridotto: basterà che vada a votare il 50 per cento più uno dei votanti alle ultime elezioni politiche, non il 50 per cento più uno degli aventi diritto. Per proporre leggi d’iniziativa popolare non saranno più sufficienti 50000 firme, ma ne serviranno 150000.