Dalla forma d’arte all’individuo: nasce @rt.me, laboratorio di arte digitale

“La vera arte non ha bisogno di proclami e si compie in silenzio.”                                                                                                                                                                -Marcel Proust

Il laboratorio di arte digitale @rt.me è un progetto che unisce i settori dell’arte e della tecnologia proponendosi come un vero e proprio movimento artistico.  I due ambiti si sposano perfettamente creando un ecosistema aperto e dinamico che ambisce a coinvolgere tutta la società civile, varcando i confini dell’Ateneo Peloritano. La vera arte non è esclusivamente impregnata di colori ad olio o calcestruzzo; l’arte può nascere anche dal cursore di un mouse o dalla tastiera di un computer.

Fonte: artme.unime.it

La tecnologia digitale permette di esprimere il cambiamento della modernità in base all’ambiente circostante e rende possibile l’espansione multimediale delle opere d’arte facendo sì che siano mutevoli e modificabili nel tempo. Inoltre, in tal modo esse divengono interattive e gli spettatori stessi possono sentirsi parte integrante dell’opera.

La peculiarità dell’arte digitale consiste nella creazione di una realtà virtuale e aumentata, come quella rappresentata nei videogiochi, che permette allo spettatore di fruire di un ambiente surreale e al contempo stesso altamente realistico che possa trarlo fuori dalle preoccupazioni quotidiane e renderlo un vero e proprio protagonista.

D’altro canto, le forme tradizionali d’arte utilizzano le tecnologie digitali come parte del processo creativo; ad esempio per la realizzazione di un film si ricorre agli effetti speciali digitali e alle animazioni grafiche, mentre per la realizzazione di un contenuto musicale vengono utilizzati effetti sonori digitali.

Art.me: un progetto rivolto a tutti

Il progetto è rivolto agli amanti dell’arte e della tecnologia; che si tratti di studenti, programmatori, docenti, ricercatori o artisti, è solo un insulso dettaglio. Chiunque può farne parte, scegliere di mettersi in gioco nell’arte digitale e renderla un’esperienza unica grazie ai docenti dei dipartimenti MIFT e COSPECS di UniMe che hanno contribuito alla creazione del laboratorio, di questo spazio interattivo in cui vi è la possibilità di esprimersi liberamente.

Fonte: artme.unime.it

Fondamentale inoltre, le combinazioni di valori che stanno alla base del progetto:

  • Curiosità, competenza, conoscenza;
  • Creatività, fantasia, originalità, passione;
  • Collaborazione, disponibilità, socialità e spirito di gruppo;
  • Autenticità, fiducia, trasparenza.
Fonte: artme.unime.it

Gli obiettivi di Art.me

Tra gli obiettivi di questo innovativo progetto primo fra tutti troviamo quello di fare arte: creare progetti, individuali o di gruppo, che dimostrino le capacità dell’arte digitale e che possano appassionare anche il pubblico. Di conseguenza, bisogna anche imparare a collaborare e a mantenere una certa disponibilità e solidarietà nei confronti dell’altro.

Importante è inoltre, cercare di incoraggiare studenti e docenti a partecipare, studiare e diffondere la cultura digitale. Il progetto dunque non ha solo lo scopo di diffondere concetti e far apprendere contenuti, ma anche quello di far emergere e dare visibilità a queste opere creando una vera e propria galleria d’arte online.

Alessandra Cutrupia

SCIPOG e COSPECS celebrano la notte Europea della geografia!

Venerdì 5 aprile 2019. I Dipartimenti SCIPOG – Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche e COSPECS – Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli Studi sociali sono stati i protagonisti di una serie di eventi nell’ambito della “Notte Europea della Geografia”. Le attività si sono susseguite a partire dalle ore 10.30 sino alla ore 20.00.

L’iniziativa ideata nel 2016 dal Comitato Francese di Geografia che ha ricevuto il supporto, in Italia, del Comitato Italiano dell’Unione Geografica Internazionale, del Coordinamento SOGEIsocietà di Information and Communication Technology del Ministero dell’Economia e delle Finanze , della Rete LabGeoNet – Rete dei Laboratori Geografici Scientifici Italiani e dell’ Associazione Italiana di Geografia fisica e Geomorfologia.

La Notte Europea della Geografia si è prefissata l’obiettivo  di migliorare e accrescere la conoscenza del sistema Terra, dare consapevolezza della ricchezza comune derivante dalla ricerca geografica, sensibilizzare l’uomo verso le discipline geografiche per costruire una spazializzazione sostenibile e percorsi di  cittadinanza attiva, essenziali per una corretta educazione ambientale.

La manifestazione si è svolta in simultanea in quasi tutte le sedi universitarie italiane ed europee, con il fine di aprire alla popolazione i principali Atenei italiani, facendo in modo che i partecipanti potessero scoprire il mondo attraverso gli occhi del geografo. I vari eventi, proprio per questo, erano tutti fruibili a titolo gratuito.

ll programma previsto presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, intitolato Notte Europea della Geografia tra “rema montante e rema scendente” ha avuto lo scopo di presentare la complessità territoriale nei suoi aspetti culturali e di sensibilizzare l’opinione pubblica all’educazione ambientale, presentando la disciplina, i geografi e il loro ‘mestiere’ per coinvolgere cittadine e cittadini di tutte le età nella sperimentazione le diverse forme e metodi di rappresentazione/documentazione del territorio. Dopo i saluti istituzionali del Magnifico Rettore, Prof. Salvatore Cuzzocrea, del Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, Prof. Mario Calogero e della Prof.ssa Elena Di Blasi, è stata eseguita la premiazione degli alunni delle scuole superiori che hanno aderito al concorso “GEOSELFIE, la tua idea di Geografia”. A questi alunni è stato richiesto di realizzare un selfie attraverso il quale rappresentare in modo originale la propria idea di Geografia e in particolare il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Map contest, cartografie, proiezioni, percorsi tematici ed espositivi hanno animato l’intera giornata.

Mentre, il programma previsto dal Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli Studi sociali portava il titolo di “Cinema e Paesaggio in Sicilia. Le attività sono state inaugurate alle ore 16.00, anch’esse dai saluti istituzionali, ed hanno annunciato un percorso sul racconto cinematografico del paesaggio siciliano, finalizzato alla sensibilizzazione nei confronti dei beni ambientali e culturali locali e isolani. Mostre fotografiche, proiezioni, recital, tavole rotonde ed incontri tematici sulla trasposizione fotografica della Messina storica, ed infine, la premiazione del Photo Contest hanno costituito l’intero itinerario della ricorrenza.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Convegno su psicologia e psicopatologia della maschera

Martedì 2 aprile dalle ore 8.30 alle 12.30, presso l’Aula Magna dell’Aulario di via Pietro Castelli, il Cospecs e il dipartimento di Biomorf organizzano un convegno di studi dal titolo “Psicologia e Psicopatologia della Maschera”.
Ai saluti istituzionali seguirà il dibattito introdotto dal prof. S. Settineri.
Relazioneranno: P. Perconti, R. Vilardo, G. F. La Torre, M.C. Martinelli, E. M. Merlo. e F. Frisone.
La maschera in psicologia rappresenta un medium tra mondo esterno e mondo interno. In tal modo regola le relazioni sia con gli oggetti esterni (relazioni interpersonali) sia con gli oggetti interni (rappresentazioni). Conosciuta o sconosciuta, la maschera favorisce l’adattamento in chiave dimensionale, se troppo utilizzata determina l’inautenticità invece se poco determinata rivela al mondo esterno quello che allo stesso dovrebbe restare celato, proprio per questo gli estremi dimensionali della maschera possono essere oggetto di psicopatologia.

Programma:
– Saluti delle Autorità Accademiche
– Introduzione (prof. S.Settineri)
– “Visi e Facce “ (prof. P. Perconti)
– “Contesto ambientale e politica museale: il Polo Regionale delle isole Eolie (dott. R.Vilardo)
– Le maschere teatrali e il culto di Dioniso a Lipari ( prof. G. F. La Torre)
– La collezione delle maschere del Museo Archeologico “Luigi Bernabò Brea” a Lipari (dottssa. M.C. Martinelli)
– La fobia adolescenziale come “oggetto” maschera (dott. E. M. Merlo)
– Maschera come epifenomeno del complesso in psicoterapia ( dott. F. Frisone, prof. S. Settineri)

Una vita meravigliosa pur partendo da un forte dolore: Lucio Presta, un uomo “Nato con la camicia”

Giovedì 28 marzo 2019. Ore 16.30.  Piazza Pugliatti. Rettorato. Accademia Peloritana dei Pericolanti. Lucio Presta, agente e produttore dello spettacolo, ha presentato il suo nuovo libro dal titolo “Nato con la camicia”. Libro dai forti tratti autobiografici, scritto in collaborazione con la cugina, nonché coautrice: Annamaria Matera. La storia di Lucio Presta è quella di un’Italia che ci piace raccontare e conoscere – cita il Magnifico Rettore prof. Salvatore Cuzzocreaun uomo del Sud che inizia la sua storia parlando di un momento difficile, che, nel corso della sua vita, ha comunque contribuito a rendere forte il legame con la sua terra. L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito delle attività del Corso di Laurea triennale in Scienze dell’Informazione: Comunicazione pubblica e Tecniche giornalistiche, ed ha coinvolto anche alcuni studenti del DAMS.

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’autore, orfano di madre sin dalla nascita, ha scritto questo libro spinto dal desiderio fortissimo di raccontare una persona così diversa da quella percepita dall’opinione pubblica e da quello che è il suo mondo lavorativo e non. Come lui stesso ha dichiarato durante l’incontro:

Lo dovevo ai mie figli. Volevo che i miei figli conoscessero da dove sono partito e com’ero arrivato a loro. Sono partito dalla curiosità di conoscere cosa fosse successo la notte della mia nascita, cioè cose terribili e straordinarie nello stesso tempo, che mi hanno regalato una vita meravigliosa pur partendo da un forte dolore. Poter condividere con gli altri la possibilità di dimostrare che da un dolore può nascere una storia bellissima era davvero necessario; potevo raccontarlo solo in prima persona.

©SofiaCampagna (incontro con Lucio Presta), Accademia Dei Pericolanti – Messina, Marzo 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nero su bianco viene descritta la perdita della figura materna, nel giorno della sua nascita, tra la notte del 13 e 14 febbraio 1960, la scoperta di un fratello sconosciuto, il difficile rapporto con il padre, la zia che lo ha cresciuto come un figlio, la morte della prima moglie, madre della sua prole. Le donne della sua vita, capaci di comprendere che dietro al professionista inflessibile si celava un uomo fragile che non ha mai realizzato il sogno di ricevere il bacio tanto desiderato della madre. Un viaggio nel tempo, uno sfogo per narrare a penna ciò che non è in alcun modo facile spiegare a parole, una storia privata, intima, fatta di momenti felici ed episodi drammatici, sicuramente saturi di significato che lo hanno portato ad essere un uomo “nato con la camicia”. Da qui il titolo del “diario-romanzo” edito da Mondadori Electra. Nelle sue parole è presente il sud, ha un forte senso di appartenenza: cosentino di nascita e di madre di origini messinesi. C’è un amore viscerale per quella terra che è l’unico luogo in cui si sente davvero sicuro. Emozioni, esperienze, sensibilità che non riescono ad essere contenute.

Quasi due ore di dialogo in cui il brillante manager si è messo a nudo e ha portato alla luce una storia tanto triste quanto bella. All’incontro erano presenti oltre al Magnifico Rettore, prof. Salvatore Cuzzocrea, il Direttore del Dipartimento DICAM, prof. Giuseppe Giordano, ed il prof. Marco Centorrino, docente di Sociologia della Comunicazione.

 Gabriella Parasiliti Collazzo

Presentazione volume vincitore del premio Limina: “L’età dello schermo largo. Il cinema Italiano e la rivoluzione widescreen”

Mercoledì 20 marzo, alle ore 11, presso l’Aula Magna del dipartimento COSPECS, nel quadro del ciclo di eventi “Scene di carta”, verrà presentato il volume di Federico Vitella “L’età dello schermo largo. Il cinema italiano e la rivoluzione widescreen” (ETS, Pisa, 2018).

L’opera ha vinto il Premio Limina per il miglior saggio italiano di studi cinematografici pubblicato nel 2018.

Questa la sinossi del libro: “il cinema moderno ha sposato l’orizzontalità come cifra di formalizzazione del visibile. Nel corso degli anni Cinquanta, nel tentativo di differenziare l’offerta spettacolare hollywoodiana da quella della televisione, il sobrio formato quadrato dello schermo classico viene rimpiazzato da un’immagine grandiosa, dalla base assai più estesa dell’altezza. Questo libro ricostruisce per la prima volta il processo culturale di adozione dello schermo largo (widescreen) da parte dell’industria cinematografica italiana, nella convinzione che si tratti della terza grande rivoluzione tecnologica del mezzo dopo sonoro e colore.”

Interloquiranno con l’autore i docenti Dario Tomasello, Francesco Parisi, Laura Busetta.

DAMS e LUX in collaborazione per il bene del mondo: il buon cinema in sala

26 febbraio 2019. Messina. Via Largo Seggiola. Si è svolta la giornata pilota della seconda edizione della rassegna cinematografica “il DAMS in sala”, a cura del prof. Federico Vitella, insegnante di Storia del Cinema presso il Dipartimento di scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali, in collaborazione con Umberto Parlagreco, gestore dei cinema LUX  e IRIS di Messina. Rassegna dedicata ai grandi classici della storia del cinema.

Federico Vitella e Umberto Parlagreco spiegano come nasce la loro collaborazione ed il perché:

“la nostra collaborazione nasce innanzitutto perché siamo appassionati di cinema e poi come avrà ben notato facciamo dei mestieri in linea con questo progetto che stiamo portando avanti, io sono per l’appunto un professore di Storia del Cinema e Umberto è un esercente. Il nostro obiettivo comune – commenta ironicamente il Prof. F. Vitella – è lavorare per il BENE DEL MONDO! Perché abbiamo sempre più bisogno di cinema e sempre più bisogno di BUON cinema; Ci teniamo molto affinchè il cinema venga visto al cinema soprattutto ora, in un momento come questo, di grande difficoltà, ove le sale cinematografiche chiudono un giorno sì e l’altro pure, pensare di riportare i grandi classici sul grande schermo è quasi un atto rivoluzionario, anzi, è un atto rivoluzionario.

La collaborazione è questa, ma chiaramente non finisce qui, faremo molto altro…abbiamo solo deciso di iniziare dai  Fratelli Lumière poiché sono considerati gli inventori del cinema, gli inventori dell’apparecchio cinematografico, i primi grandi produttori cinematografici, che hanno fatto film per un decennio, dal 1895 al 1905. In sala è stato proiettato un montaggio di oltre 100 film restaurati dagli archivi francesi del Centre National de la Cinématographie ad opera dell’Istituto Lumière di Parigi.”

Umberto Parlagreco interviene dando maggiori delucidazioni tecniche e spiegando che non è un evento esclusivo e riservato o di nicchia, anzi, è aperto all’intero pubblico cittadino ad un prezzo modico per far sì che i grandi capolavori di ogni tempo tornino ad essere prime visioni:

“La struttura del LUX ospiterà in totale 6 appuntamenti che ripercorrono tutta la storia del cinema, i film sono aperti a tutti gli studenti universitari e gli studenti delle superiori con una corsia preferenziale che consiste in un prezzo ultra scontato di € 3.50. Per chi non appartenesse a queste due categorie il prezzo sarà di € 5.00 con la possibilità di fare anche un abbonamento di € 15.oo per tutta la rassegna.”

Attraverso la visione condivisa davanti a un grande schermo si recupera l’aurea magica di questi film. Si tratta di pellicole restaurate negli ultimi anni con tecnologia digitale, pertanto risultano di una nitidezza visiva mai raggiunta prima. Ogni proiezione è introdotta e commentata da docenti del dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali specializzati in materia. I prossimi appuntamenti saranno: Metropolis di Fritz Lang, Luci della città di Charlie Chaplin, Ladri di biciclette di Vittorio de Sica, Il disprezzo di Jean-Luc Godard e Toro scatenato di Martin Scorsese.

Gabriella Parasiliti Collazzo

 

Sulla nostra pelle: a Messina il film-evento su Stefano Cucchi

È agghiacciante pensare a quanto male immotivato venga giornalmente perpetuato dagli esseri umani a danno di altri esseri umani, ma è ancor più tremendo riflettere sulle modalità con cui questa inflizione di dolore venga concepita dalla collettività circostante. In un’atmosfera di apatia generale, il danneggiamento fisico e morale viene spesso meccanicamente inglobato in quella spirale di noncuranza e indifferenza a cui ormai l’intera società sembra essersi assuefatta. E proprio per combattere questo mostro crudele che è l’indifferenza, l’Università di Messina ha deciso di prendere parte all’iniziativa che ormai da qualche mese anima le città italiane: la proiezione del film Netflix di Alessio Cremonini “Sulla mia pelle, gli ultimi sette giorni di Stefano Cucchi”. L’evento, a cura delle docenti Paola di Mauro e Domenica Bruni, presentato dal Cospecs e dall’Associazione Stefano Cucchi Onlus, si è svolto martedì 20 novembre 2018 presso l’Aula Magna del Dipartimento di Scienze Cognitive Psicologiche Pedagogiche e degli Studi culturali dell’Università di Messina. Moltissimi sono stati gli studenti universitari coinvolti, tra i circa 200 spettatori presenti. L’iniziativa infatti, come precisa il Direttore del Cospecs Pietro Perconti, si pone innanzitutto come occasione educativa per discutere non esclusivamente di un fatto di attualità, ma di un intero sistema evidentemente imperfetto. Si sono confrontati con il pubblico i relatori Stefania Mazzone, insegnante di Storia delle Dottrine politiche presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali di Catania, Pierpaolo Montalto, avvocato penalista e Pietro Saitta, docente di Sociologia del Cospecs.

La proiezione del film è stata preceduta dalla visione di un breve video, inviato dall’attore Alessandro Borghi, che nel film interpreta Stefano in una maniera giudicata impeccabile dagli stessi famigliari. Borghi non nasconde la grande soddisfazione provata nel lavorare per questo film, afferma emozionato: “Dico grazie alla famiglia Cucchi per essersi fidata di me, per avermi permesso di interpretare Stefano.” Famiglia che ha tratto dal film, uscito lo scorso 12 settembre 2018 e presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, la forza di continuare strenuamente quella lotta iniziata ben nove anni fa e volta a restituire  verità e dignità all’uomo Stefano Cucchi, vittima di quella che la prof.ssa Mazzone ha definito “società carcerata”, dominata dal proibizionismo e dall’assoluto monopolio della violenza da parte dei più forti a danno dei più deboli. Da un tale contesto, che si riflette in misura ristretta nel meccanismo carcerario, nessuno di noi può dirsi escluso, né come vittima, né come carnefice. In questa dimensione di sopraffazione emerge chiaramente la volontà, insita in ogni uomo, di abusare ingiustamente del proprio potere, simboleggiato da una divisa che perde inevitabilmente di valore se di essa si abusa. È quanto testimonia il caso Cucchi che purtroppo, come ricorda l’avvocato Montalto, non rappresenta un’eccezione nell’odierno panorama giudiziario, ma una “drammatica regola”.

da sin. Di Mauro, Mazzone, Montalto, Saitta

Tutto ha inizio il 15 ottobre 2009, quando il ragioniere romano Stefano Cucchi, dopo essere stato fermato dai carabinieri, viene perquisito e trovato in possesso di 12 confezioni di hashish, 3 confezioni di cocaina e una pasticca di un medicinale per l’epilessia di cui soffriva. Dopo sette giorni di custodia cautelare, trascorsi tra il carcere Regina Coeli di Roma e il reparto di Medicina protetta dell’Ospedale Sandro Pertini, il 22 ottobre 2009 Stefano Cucchi muore. Già dalla mattina dell’udienza immediatamente successiva all’arresto Stefano presenta evidenti segni di percosse sul viso, mostra di avere difficoltà a camminare, ha un respiro affannato, presenta malessere e dolori evidenti dovuti alla rottura in due punti della colonna vertebrale. Nei successivi sei giorni di agonia Stefano entra in contatto con 150 pubblici ufficiali, ma tutti sembrano preoccuparsi più di se stessi che delle condizioni del ragazzo. Come sottolinea il prof. Saitta, la storia di Cucchi diviene in tal senso “storia di consegna”, in cui ognuno sembra curarsi esclusivamente dell’atto immediatamente precedente a quello in cui Stefano viene posto sotto nuova custodia. Tuttavia, nessuno sembra andare oltre quel gretto sostrato di pregiudizi che impedisce di vedere l’uomo Stefano, debole, spaventato e bisognoso di aiuto che urla silenziosamente nel tentativo, purtroppo fallimentare, di sovrastare il Cucchi carcerato. Tutto questo è il risultato di un “processo di disumanizzazione della relazione”, dettato dal dominio incontrastato della “violenza strutturale” operata da parte dell’intera società a danno della vittima Stefano. Essa, come spiega il prof. Saitta, è quel tipo di violenza che viene esercitata in modo indiretto, che non ha bisogno di un attore per essere eseguita perché prodotta dall’organizzazione sociale stessa. Tale definizione non giustifica tuttavia l’assenza di carnefici, quasi come se si volesse attribuire ogni responsabilità all’astratto paradigma sociale vigente. Al contrario, come chiarisce l’avvocato Montalto, “il responsabile della morte di Stefano è lo Stato”, rivelatosi incapace di custodire un cittadino nel momento in cui questo viene posto sotto la sua tutela. Ma la verità, così evidente agli occhi di tutti e contestualmente tanto celata, è stata confessata solo lo scorso 11 ottobre, dopo nove anni  di estenuante lotta condotta dalla famiglia Cucchi, a cui non sono state risparmiate pesanti critiche, insulti, diffamazioni. È stato il carabiniere Francesco Tedesco a confessare quanto accaduto la notte del 15 ottobre nella caserma di Roma Casilina, dove Stefano era stato condotto immediatamente dopo l’arresto. Il pestaggio è avvenuto ad opera dei carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, imputati insieme a Tedesco per omicidio preterintenzionale. Il contenuto della deposizione, spaventosamente agghiacciante nella sua veridicità, è stato letto dalla docente Paola Di Mauro:

«Allora D’Alessandro diede un forte calcio a Cucchi con la punta del piede all’altezza dell’ano. Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro, poi ci fu una spinta di Di Bernardo in senso contrario, che lo fece cadere violentemente sul bacino. […] Io spinsi via Di Bernardo, ma prima che potessi intervenire D’Alessandro colpì Cucchi con un calcio in faccia (o in testa) mentre era sdraiato in terra».

La sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, che non sarebbe eccessivo definire l’Antigone dei tempi moderni, ha definito questa testimonianza il tassello mancante in grado di sgretolare quel muro di indifferenza costruito fino a quel momento dagli assassini di Stefano. Il film di Alessio Cremonini sembra conferire ancor più vigore a quel vento distruttivo che sta irruentemente intaccando questa fortificazione di omertà. Tale possibilità è offerta dalla spiazzante ma veritiera brutalità che caratterizza la pellicola definita da un esponente dell’Associazione Stefano Cucchi Onlus “vera, basata interamente sugli atti processuali”, ma soprattutto in grado di far emergere “la solitudine e la paura provate da Stefano e, dall’altro lato, l’indifferenza altrui”.

Questo film turba lo spettatore, lo destabilizza totalmente, lo colpisce con la stessa violenza usata contro Stefano. Durante la visione è impossibile non avvertire su di sé la crudeltà delle botte, l’impassibilità degli sguardi, la pressoché costante assenza di cura nei confronti di un essere umano privato della propria dignità. È impossibile, cioè, non avvertire sulla propria pelle ciò che Stefano ha provato e subito in ben sei giorni di agonia, condensati negli intensissimi 200 minuti che Alessio Cremonini e Alessandro Borghi ci regalano. Ma la sensazione di ossa rotte, la rabbia mista ad impotenza e il senso di colpa non devono sparire immediatamente dopo la visione del film, come si disperdessero nuovamente in quell’usuale noncuranza quotidiana. È necessario ricordare che, purtroppo, questo film è la trasposizione cinematografica di una triste realtà. È necessario assumere su di sé la consapevolezza che la pelle di Stefano è anche la nostra pelle, che la sua morte è la morte di ognuno di noi, che il lutto della famiglia Cucchi è un nostro lutto. Ogni singolo spettatore non può fare altro che provare la dovuta indignazione nel constatare che Stefano, ancor prima che dalle botte, è stato ucciso dall’omertà, da quel devastante silenzio avente in sé la carica distruttiva di un esplosione. È evidente allora che questo tragico epilogo non è stato conseguenza di eventi casuali o di giustificabile superficialità, bensì della volontà di rimanere sordi e mostrarsi cechi dinnanzi all’animalesco esercizio della violenza. Perché anche di essere indifferenti si è sempre pienamente responsabili.

©GIULIAGRECO per UniVersoMe – 2018

Giusy Mantarro