È morto Federico Carboni: il primo caso di suicidio assistito in Italia

Il decesso del 44enne tetraplegico di Senigallia, Federico Carboni è stato reso noto dall’Associazione Luca Coscioni. Si tratta del primo caso di suicidio assistito in Italia.

Federico Carboni è morto: tetraplegico da 12 anni, è il primo caso di suicidio assistito -Fonte:today.it

Federico Carboni, alias “Mario” è stato il primo italiano a richiedere ed ottenere l’accesso al suicidio medicalmente assistito. Il decesso, infatti, è avvenuto attraverso la somministrazione di un farmaco letale iniettato con un macchinario specifico. Accanto a Federico c’è sempre stata l’Associazione Luca Coscioni che lo ha affiancato sia nella battaglia legale, sia nella raccolta di fondi necessaria per sostenere il costo ingente. Per la prima volta è stato riconosciuto il pieno esercizio del diritto ad esprimere pienamente la propria volontà sulla propria vita.

Le procedure per procedere al suicidio assistito

Il tema del suicidio assistito è estremamente divisivo in Italia, ma necessita di essere conosciuto come testimonianza di una maturata convinzione della scelta adottata.

Nella lettera scritta da Federico Carboni lo scorso 2 maggio, il 44enne esprime il desiderio di porre fine ad una condizione che, a seguito di un incidente avvenuto 12 anni fa, lo ha reso tetraplegico.

“Non nego che mi dispiace congedarmi dalla vita, sarei falso e bugiardo se dicessi il contrario perché la vita è fantastica e ne abbiamo una sola. Ma purtroppo è andata così. Io sono allo stremo sia mentale che fisico. Ho fatto tutto il possibile per riuscire a vivere al meglio e cercare di recuperare il massimo della mia disabilità. Posso dire che, da quando a febbraio ho ricevuto l’ultimo parere positivo sul farmaco, sto pensando più e più volte al giorno se sono sicuro di quanto andrò a fare perché so che premendo quel bottone ci sarà solo un addormentarsi, chiudendo gli occhi senza più ritorno. Ma pensando ogni giorno, appena sveglio e fino alla sera quando mi addormento, come vivo, passo le mie giornate a domandare cosa mi cambierebbe. Rimandare non avrebbe senso. Non ho il minimo di autonomia nella mia vita quotidiana, sono in balia degli eventi, dipendo dagli altri su tutto, sono come una barca alla deriva nell’oceano. Sono consapevole delle mie condizioni fisiche e delle prospettive future quindi sono totalmente sereno e tranquillo per quanto farò. Non so se tutti capiranno e accetteranno mai la mia scelta, ma in queste condizioni ci sono io e parlarne da esterni è troppo facile.”

La richiesta di essere sottoposto a verifica delle proprie condizioni per poter procedere alla sua scelta è stata molto lunga. La sentenza della Corte Costituzionale condotta nell’agosto 2020, ha visto nel frattempo, l’avvio di due procedimenti giudiziari conclusi con la condanna dell’Azienda Sanitaria Unica Regionale Marche (ASUR). Essa ruota attorno alla convalida della capacità di Federico di autodeterminarsi, sulla necessità di trattamenti di sostegno vitale e sulla presenza di una patologia irreversibile e recante gravi sofferenze.

Nonostante l’arrivo del parere positivo da parte del tribunale di Ancona, mancava ancora l’approvazione del farmaco e le modalità per procedere, sopraggiunto solo il 9 febbraio 2022.

La raccolta fondi dell’Associazioni Luca Coscioni

Sebbene la sentenza della Corte Costituzionale preveda un obbligo per il Sistema Sanitario Nazionale di verificare le condizioni e le modalità più idonee per avviare la procedura, mancava di fatto una legge che desse a Federico Carboni l’esigibilità del diritto.

Si evince dunque la totale non curanza dello Stato italiano di coprire i costi di assistenza al suicidio assistito, nonché dell’erogazione del farmaco. Ad aiutarlo ad ottenere i fondi è stata l’Associazione Luca Coscioni, fondata nel 2002 dallo stesso Luca Coscioni, economista affetto da sclerosi laterale amiotrofica scomparso nel 2006. Ad oggi è tra le più note associazioni no profit di promozione sociale, portavoce di libertà civili e diritti umani, e sempre attiva per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni.

Associazione Luca Coscioni -Fonte:associazionelucacoscioni.it

L’associazione è riuscita in pochissimo tempo a raccogliere 5000 euro per comprare la strumentazione necessaria.

Il decesso di Federico Carboni

La procedura di suicidio medicalmente assistito è avvenuta alle 11:05 del 16 giugno, sotto la supervisione dell’anestesista e dirigente dell’Associazione, Mario Riccio, il quale spiega

“La somministrazione del potente barbiturico Federico l’ha attivata meccanicamente, io mi sono limitato a preparare la linea infusionale… la morte è sopravvenuta in pochi secondi.”

Un resoconto sulla procedura è stato integrato anche dalla legale e segretaria dell’Associazione Coscioni, Filomena Gallo, sostenendo che sia stato preparato un sistema che permettesse a Federico di premere il bottone e far partire l’infusione del farmaco. Aggiunge poi “il tutto è stato filmato, il video sarà esclusivamente a disposizione della magistratura se vorrà verificare la correttezza dell’operato.”

Primo suicidio assistito. Federico Carboni, per tutti Mario -Fonte:mister-x.it

Il decesso di Federico mostra come le regole debbano essere costruite con saggezza e convergenza di intenti sul dovere, al fine di garantire maggior tutela a tutte le persone rese fragili dalla malattia e dalla disabilità da qualunque ombra di abuso o di induzione a chiedere di farla finita. Si aggiunge un appello non solo alle istituzioni sanitarie di fornire a tutti cure di qualità ed assistenza all’altezza delle esigenze, ma anche alla società, che possa percepire la stessa sofferenza che per anni ha accompagnato Federico.

Giovanna Sgarlata

L’incontro-dibattito sulla giustizia costituzionale e sui diritti fondamentali con Marta Cartabia e Gaetano Silvestri

Grande successo ha riscosso l’incontro-dibattito, svoltosi ieri nella sontuosa ed elegante Aula Magna del Rettorato, sul tema “Giustizia costituzionale e diritti fondamentali nel contesto dell’integrazione europea” organizzato dal Dipartimento di Giurisprudenza, in particolar modo dalle cattedre di Diritto Costituzionale.

Ospiti illustri erano l’attuale Ministra della Giustizia Professoressa Marta Cartabia, eminente costituzionalista e prima donna a ricoprire il ruolo di Presidente della Corte Costituzionale ed il Professore Gaetano Silvestri, anch’egli è stato Presidente della Corte nonchè ex Rettore dell’Ateneo Peloritano.

Saluti istituzionali

A fare gli onori di casa è stato il Rettore Professore Salvatore Cuzzocrea, il quale ha esordito con queste affermazioni:

Ringrazio la Ministra Cartabia per la sua presenza, motivo di ulteriore spinta per il percorso in area giuridica del nostro Ateneo. Nel tempo questo cammino si è arricchito di risorse, studi e ricerche che proseguiranno, adesso, con rinnovato vigore. Un grazie va rivolto anche al Prof. Silvestri che ritorna all’Università di Messina per affrontare un tema importante come quello odierno.

Di seguito i saluti del Direttore del Dipartimento di Giurisprudenza Professor Francesco Astone:

È per me un onore portare il saluto del Dipartimento di Giurisprudenza in occasione di questo incontro su un tema di grande fascino ed interesse. L’ordinamento comunitario nella zona europea ha costituito grande sviluppo e sono lieto che tutto questo possa essere approfondito, oggi, di fronte ad una vasta platea che è indice della voglia di ripartire e conoscere.

Da sinistra: la Prof.ssa Sorrenti, la Ministra Cartabia, il Rettore Cuzzocrea, il Prof. Silvestri, il Prof. Saitta – Fonte: unime.it

Introduzione al convegno

Si entra così nel vivo del tema del dibattito. I lavori vengono introdotti dal Prof. Antonio Saitta, ordinario di Diritto Costituzionale.

Ciò che emerge è che gli interessi della società non devono essere governati solo nell’ottica della dimensione nazionale del diritto. La tutela dei diritti fondamentali deve andare oltre, deve essere assicurata in un’ottica sovranazionale, a livello comunitario e internazionale.

A tal punto il Professore Saitta cita l’importante contributo lasciato dalla Giurisprudenza Costituzionale, nei periodi di presidenza del Prof. Silvestri e della Professoressa Cartabia, che ha incentivato il dialogo tra le Corti (Corte Costituzionale, Corte EDU, CGUE n.d.r.) e in un certo qual modo anche tra le Carte dei diritti fondamentali interne, comunitarie e internazionali.

Il giurista di oggi, nel momento in cui opera, non ha come pilastro del diritto soltanto la Costituzione Italiana del’48 ma adesso ha anche la CEDU.

Prosegue sulla stesa scia la Professoressa Giusi Sorrenti, ordinaria di Diritto Costituzionale, che ribadisce ancora come i diritti umani siano il terreno più fertile per gli scambi tra le Corti.

Si giunge quindi agli illustri ospiti e il primo a prendere la parola è il Professore Gaetano Silvestri:

“Mi unisco al coro di gratitudine per la presenza della Ministra Cartabia, alla quale mi lega un rapporto di amicizia, stima e comunanza di prospettive di ricerca in ambito giuridico e costituzionalista. Abbiamo avuto molti confronti fruttuosi, riguardo ai diritti fondamentali, alla loro effettività e non solo, che sono stati ricchi di osservazioni e riflessioni rivelatesi utili in occasione di molte sentenze”.

Viene ripreso il concetto della massima espansione della tutela dei diritti fondamentali che può avvenire solo dopo un bilanciamento tra questi stessi diritti, perciò non potremmo avere un diritto che è tiranno rispetto ad altri. Tutti i diritti costituzionalmente sanciti e protetti si equilibrano tra di loro.

Dibattito tra giovani costituzionalisti e la Ministra

E finalmente è la volta della Ministra Cartabia che, nel porre un saluto alla platea, non esita a ricordare il rapporto di stima che la lega al Prof Silvestri con cui ha condiviso anni di lavoro all’interno della Corte:

Nutro molto affetto e riconoscenza nei confronti del Prof. Silvestri. Con lui, alla Corte Costituzionale ho trascorso anni memorabili e stimolanti. Per me ha rappresentato un faro dall’alta statura professionale ed umana. Quando mi ritrovo a parlare di diritti fondamentali, sottolineo sempre l’importanza del bilanciamento e del giusto equilibrio nel rapporto fra diritto nazionale ed europeo.

La Ministra Professoressa Marta Cartabia- Fonte: unime.it

Il convegno è stato arricchito dagli interventi di elevato spessore da parte dei dottorandi, dei dottori di ricerca e ricercatori nelle materie costituzionalistiche che, ponendo quesiti alla Professoressa Cartabia, hanno stimolato acute riflessioni.

In particolar modo sono intervenuti i dottorandi di ricerca Erika La Fauci, Cosimo Lotta, Demetrio Scopelliti e Francesco Torre; i dottori di ricerca Antonino Amato e Roberto Ravì Pinto; i ricercatori in Diritto Costituzionale Antonio Ignazio Arena, Giuseppe Donato e Alessia Fusco.

Parlando di giusto equilibrio all’interno del rapporto tra diritto nazionale ed europeo, dalle domande poste  vengono fuori diverse tematiche tra cui: omogeneizzazione culturale nella tutela dei diritti fondamentali da parte della Corte Ue.

Secondo la Professoressa Cartabia i diritti umani appartengono a tutti gli uomini, quindi tendono all’universalità, ma allo stesso tempo sono radicati nella storia e nella civiltà in cui nascono. Nell’UE abbiamo diverse civiltà con una diversa storia. L’Ue è unione nelle diversità, è Europa che è Stati Nazionali; quindi non omogeneizzazione di diritti ma armonizzazione di diritti all’interno dell’Ue.

E si parla ancora di dialogo tra Corte Costituzionale e Parlamento Italiano in merito a casi che hanno ad oggetto diritti fondamentali. Il giudice delle leggi, anziché decidere direttamente, ha sospeso il giudizio e ha chiesto al Parlamento di intervenire entro un certo limite d tempo. Si è discusso a lungo se questa potesse essere considerata un’ingerenza della Corte all’interno delle prerogative del Parlamento. Secondo la Ministra, la Corte con questo tipo di decisione dimostra di avere rispetto per quella che è la discrezionalità del Parlamento in merito a diritti fondamentali.

L’incontro-dibattito ha dato luce a rilevanti chiose e riflessioni in merito a questioni di diritto, che apparentemente potrebbero sembrare astratte, ma che riguardando la tutela dei diritti fondamentali si ripercuotono quotidianamente nella nostra società.

                                                                                                                     Ilenia Rocca

La Polonia mette in dubbio il primato del diritto europeo sulla Costituzione. Ecco cosa potrebbe succedere

Polonia, migliaia di sovranisti scendono in piazza con lo slogan ”Io resto Ue”. Fonte: Sky TG24

Varsavia, Cracovia, Poznań: l’intera Polonia pullula di manifestanti nelle piazze dopo che la Corte costituzionale polacca ha emesso una sentenza che mette fortemente in dubbio il primato del diritto europeo sulle leggi nazionali, minando di fatto uno dei principi fondanti dell’Unione e sollevando interrogativi circa la stessa adesione della Polonia all’Ue.

Manifestazioni pro-Ue in tutto il Paese

Le iniziative pro-Ue si sono svolte tra sabato e domenica in 120 località del Paese con cento cortei e la partecipazione di migliaia di cittadini, ma resta il rischio legato ai focolai nazionalisti che potrebbero essere alimentati in Italia così come in altri Paesi esteri che contestano l’ingerenza di Bruxelles.

A sostenere la protesta di domenica 10 ottobre c’erano diversi partiti e organizzazioni, fra cui Piattaforma civica, guidata dall’ex presidente del Consiglio europeo e maggiore leader dell’opposizione Donald Tusk, in nome di una Polonia ”indipendente, europea, democratica, che si attiene alle leggi e onesta”.

https://youtu.be/0n5eIixfexs

La Corte di Varsavia rigetta i trattati Ue

Tutto è cominciato alla fine della scorsa settimana quando la più alta corte polacca, capeggiata dalla giudice Julia Przylebska, ha decretato che alcuni articoli del Trattato sull’Unione europea sono incompatibili con la Costituzione dello Stato polacco e che le istituzioni dell’Unione “agiscono oltre l’ambito delle loro competenze”.

Al centro del contenzioso vi si colloca nello specifico la riforma sulla magistratura voluta dal partito al governo Diritto e giustizia (Psi), conservatore ed euroscettico, del leader Jaroslaw Kaczynski. Tale riforma prevede un nuovo sistema di disciplina dei giudici che secondo l’Ue mina l’indipendenza del sistema giudiziario stesso.

Lo Stato polacco e il primato del diritto costituzionale

Mentre le preoccupazioni dell’Unione Europea sono alte, a Varsavia il governo del Primo ministro Mateusz Morawiecki ha accolto favorevolmente la decisione della Corte che conferma “il primato del diritto costituzionale sulle altre fonti del diritto”: secondo il portavoce Piotr Muller, la sentenza si riferisce alle competenze dello Stato polacco non trasferite agli organi Ue.

Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki. Fonte: Formiche.net

Ma l’Unione Europea non è chiaramente d’accordo, e infatti la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jourova, ha oggi dichiarato nel suo intervento al Forum 2000:

“Il principio dello stato di diritto è che nessuno è sopra la legge, per questo noi siamo ferrei su questo. Lo stato di diritto – ha spiegato – è anche la limitazione dei poteri, principio alla base degli Stati membri. Ora, dopo la decisione della Corte costituzionale polacca, devo dire che se non confermiamo il principio nell’Ue che regole uguali sono rispettate allo stesso modo in ogni parte dell’Europa, tutta l’Europa comincerà a collassare”.

Alle origini dell’Unione europea, i principi

25 marzo 1957: a Roma nasce la Comunità economica europea. Fonte: Secolo d’Italia

Dal 1957, la costruzione europea si basa sul principio del primato del diritto europeo, il cui ordine giuridico comunitario è stato riconosciuto nel 1963 e 1964 dalla Corte di giustizia.

Entrando volontariamente nell’Unione Europea, qualsiasi Paese deve formulare e negoziare politiche e leggi con gli altri membri. La costruzione giuridica dell’Unione crollerebbe nel momento in cui uno Stato membro decidesse all’improvviso di rifiutare di rispettare e applicare una legge europea in nome di un principio interno o introducendo una legge nazionale.

In poche parole, l’individualismo nazionalista finirebbe col sovrastare quel patto politico fondamentale di fiducia reciproca alla base del successo europeo. In Polonia, membro dell’Ue dal 2004, è accaduto proprio questo.

Von der Leyen: ”Il diritto europeo prevale”

La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, si dichiara

«profondamente preoccupata» per la sentenza della Corte costituzionale polacca e ha garantito che la Commissione userà «tutti i poteri che abbiamo in base ai trattati per assicurare» il primato del diritto Ue su quelli nazionali, incluse «le disposizioni costituzionali. È quello che tutti gli Stati membri dell’Ue hanno sottoscritto come membri dell’Unione».

Fonte: Europa Today

La presidente ha poi sottolineato: «L’Ue è una comunità di leggi e di valori: è questo che tiene l’Unione insieme e che ci rende forti». Conclude poi evidenziando l’impegno della Commissione nell’assicurare la protezione dei diritti cittadini polacchi e dei benefici derivanti dall’appartenenza Ue.

Le destre europee in difesa di Varsavia

In seguito alla sentenza, per i giudici polacchi ci sono tre opzioni: cambiare la costituzione, cambiare i Trattati o uscire dall’Unione europea.

Il premier polacco si è premurato di confermare la volontà di restare nell’Ue ma questo non è bastato a placare le formazioni politiche a sostegno di tale decisione: da tempo il premier ungherese Victor Orbán contesta le decisioni di Bruxelles, l’estrema destra francese di Marine Le Pen ha difeso la Polonia che «esercita il suo diritto legittimo e inalienabile alla sovranità» e in Italia Giorgia Meloni sostiene che «si può stare in Europa anche a testa alta, non solo in ginocchio come vorrebbe la sinistra».

Giorgia Meloni dalla parte della Polonia. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Possibili sanzioni alla Polonia

In seguito alla decisione della Corte polacca, la Commissione europea – preoccupata sull’integrità dello stato di diritto polacco – è restia ad approvare i finanziamenti per il piano di risanamento. Il Recovery Fund per la Polonia è infatti vincolato al rispetto dello stato di diritto polacco, indebolito già da diverso tempo rispetto agli standard europei.

Le somme del Next Generation Ue ammonterebbero a 58,7 miliardi di euro fra prestiti e sussidi. Ma il via libera di Bruxelles non è stato ancora dato e, date le condizioni, ora più che mai è inimmaginabile:

“l’Ue e gli Stati membri devono intraprendere un’azione legale, politica e finanziaria urgente e chiarire che questi principi fondamentali non sono aperti a negoziati o al gioco”, sostiene Eve Geddie, direttrice della sede europea di Amnesty International.

Gaia Cautela

Nuovi passi per nuova legge sull’eutanasia ma la maggioranza si mostra divisa. Ecco in cosa si articolerà il testo base

È stato compiuto il primo passo a Montecitorio a favore dell’approvazione di un testo base per la legge sul suicido assistito. La nuova norma, però, divide la maggioranza. Nel frattempo l’Associazione Luca Coscioni raccoglie le firme per indire un referendum.

Suicidio assistito –Fonte:ilmanifesto.it

Dopo mesi di stallo, lo scorso 6 luglio la Commissione Giustizia della Camera ha accolto il testo base della nuova legge per l’eutanasia. Nonostante debba essere ancora candelarizzata, la sua accettazione segna un importante passo in avanti volto a smuovere la situazione di incertezza che vigeva fino a poche settimane fa. Le polemiche pronunciate, ricalcano uno scenario molto simile a quello in corso per il ddl Zan.

Il voto dei partiti

Il maggiore assenso è provenuto dal fronte del centro sinistra, primamente dal Movimento 5 Stelle, sostenuto da PD, Liberi e Uguali, Azione e +Europa. Pur trattandosi di un testo base, il provvedimento dovrà passare attraverso le votazioni degli emendamenti sia della commissione che dell’aula. I reazionari che hanno votato contro sono stati Lega e Forza Italia, sostenendo il contesto di sospetti, sgambetti e presunte prevaricazioni.

Muro contro muro su eutanasia: le destre frenano il Parlamento –Fonte:lanotiziagiornale.it

A dare l’annuncio del “via libera” è stato il Presidente della Commissione Affari Costituzionali, Giuseppe Brescia (M5S), esponendo che

“Dopo la sentenza della Corte Costituzionale il Parlamento ha il dovere di intervenire con coraggio, il M5S è in prima linea per una legge di civiltà, attesa da troppi anni. Vedremo se chi oggi ha votato a favore manterrà il suo impegno durante il percorso. Non si può giocare su questi temi.”

La sentenza della Corte costituzionale del 2019

La possibile regolamentazione dell’eutanasia, permetterebbe di risolvere il problema costituzionale. Essa infatti, fino ad oggi è stata acconsentita solo in pochissimi casi. Importantissima fu la sentenza della Corte Costituzionale del 2019, il cui intervento riguardava la morte di Fabiano Antoniani, noto come “DJ Fabo”.

Sentenza Corte Costituzionale –Fonte:associazionelucacascioni.it

Concretamente è stato stabilito che in Italia si può aiutare una persona a morire senza rischiare ripercussioni penali, solo se il soggetto si ritrovi in determinate condizioni irreversibili, se la patologia generi sofferenze fisiche o psicologiche per il paziente intollerabili, se la persona si trova in uno stato in cui è capace di intendere e di volere e se è tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale. Si definisce così una forma di eutanasia non punibile.

Il contenuto del testo base

Nei mesi precedenti alla sentenza appena detta, il Parlamento ha più volte tentato ad approvare una legge sull’eutanasia ottenendo però scarsi risultati. Il testo base accolto in questa settimana combacia a grandi linee con i parametri richiesti per il suicidio assistito dalla Corte Costituzionale, prevedendo altresì la clausola di una prognosi infausta, ossia di una malattia terminale che esclude la sopravvivenza del soggetto.

Il testo e la proposta di legge –Fonte:corriere.it

Affinchè la pratica per la richiesta del suicidio assistito venga accolta, il documento prevede la creazione di una commissione volta ad esaminare ciascuna richiesta. Attraverso un comunicato il Presidente della commissione Giustizia alla Camera, Mario Perantoni (M5S) fa comprendere come l’esistenza di un ottimo testo, possa realmente chiarificare ogni perplessità e appianare le differenze.

Il ruolo dell’Associazione Luca Coscioni

Associazione Luca Coscioni –Fonte:quotidianosociale.it

L’Associazione Luca Coscioni è un’associazione no profit di promozione sociale nata nel 2002, che rientra in quelle associazioni ed enti per i quali è stata riconosciuta la legittimazione ad agire per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni. Tra le sue priorità vi sono:

  • l’affermazione delle libertà civili e i diritti umani, in particolare quello alla scienza, l’assistenza personale autogestita;
  • l’abbattimento della barriere architettoniche;
  • le scelte di fine vita;
  • la ricerca sugli embrioni;
  • l’accesso alla procreazione medicalmente assistita;
  • la legalizzazione dell’eutanasia;
  • l’accesso ai cannabinoidi medici;
  • il monitoraggio mondiale di leggi e politiche in materia di scienza e auto-determinazione.

La segretaria dell’associazione, Filomena Gallo e il tesoriere Marco Cappato, però hanno criticato il testo base, in quanto esclude di fatto sia i malati di tumore, in quanto nella maggioranza dei casi non sono sottoposti a trattamenti di sostegno vitale, sia perché elude la possibilità dell’eutanasia attiva, cioè il compimento di un “omicidio mirato” a ridurre le sofferenze di un’altra persona. Il medico o un terzo somministra intenzionalmente al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte.

L’associazione prevede altresì l’indizione di un referendum abrogativo di una parte dell’articolo 579 del codice penale, volto a punire l’assistenza al suicidio. In tal modo si acconsentirebbe anche all’eutanasia attiva, oltre che un ampliamento di applicazione del suicidio assistito. La raccolta firme già avviata resterà attiva fino al 30 settembre, con l’obiettivo di riuscire ad ottenere 500 mila firme da presentare presso la Corte di Cassazione. Se tale pronostico si dovesse realizzare la Corte Costituzionale, in seguito al controllo di legittimità della legge, potrebbe indire il voto entro il 2022.

Giovanna Sgarlata

 

Carcere ai giornalisti: la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità della pena detentiva

Durante la seduta del 22 giugno, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13 della legge n.47 del 1948, la cosiddetta “Legge sulla stampa”. Il disposto prevedeva l’obbligo di pena detentiva da uno a sei anni ed il pagamento di una multa per i giornalisti condannati per diffamazione commessa a mezzo stampa. Ad affermarlo, il comunicato stampa rilasciato da Palazzo della Consulta subito dopo la fine della seduta del 22 giugno.

Le questioni sottoposte al vaglio Costituzionale

La Corte Costituzionale ha discusso sulle questioni di legittimità sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari circa l’art.13 della suddetta legge e circa l’art.595, comma tre, del Codice Penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa.

(fonte: giornalismocostruttivo.com)

I Tribunali avevano sollevato le questioni di legittimità sulla base degli artt. 3212527 Cost. e art. 117, c. 1 Cost. in relazione all’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Sono poi stati addotti ulteriori profili:

  • per violazione degli artt. 3 e 21 Cost., in quanto «manifestamente irragionevole e totalmente sproporzionata rispetto alla libertà di manifestazione di pensiero, anche nella forma del diritto di cronaca giornalistica, fondamentale diritto costituzionalmente garantito dall’art. 21 Cost., la cui tutela, in assenza di contrari interessi giuridici interni prevalenti, non può che essere favorevolmente estesa nelle forme stabilite dalla giurisprudenza della Corte EDU, eliminando così, salvi i “casi eccezionali”, anche la mera comminazione di qualunque pena detentiva»;
  • per violazione del principio di offensività, desumibile dall’art. 25 Cost., «in quanto totalmente sproporzionata, irragionevole e non necessaria rispetto al bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici in questione, ovvero il rispetto della reputazione personale»;
  • per contrasto con la funzione rieducativa della pena di cui all’art. 27, terzo comma, Cost., perché la sanzione detentiva sarebbe inidonea a garantire il pieno rispetto della funzione generalpreventiva e specialpreventiva della pena stessa»; essendo sproporzionata ai principi enunciati dalla giurisprudenza della Corte EDU, risulterebbe in concreto inapplicabile e, perciò, inidonea a orientare la condotta sia della generalità dei consociati, sia del singolo giornalista.

La sentenza della Corte ed il suo iter

Quanto alla decisione, i giudici hanno dichiarato l’incostituzionalità dell’art.13 della L. 47/1948 facendo salvo, invece, l’art. 595, comma tre, del Codice Penale, affermando che «quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità».

Ma le questioni erano state discusse dalla Corte ancor prima della giornata di ieri e, più precisamente nella seduta del 9 giugno 2020. Dal comunicato stampa di allora risaltava un esempio di «incostituzionalità prospettata», espediente utilizzato in precedenza nel processo Cappato. In particolare, con questo espediente la Corte lascia intendere l’incostituzionalità della norma in questione concedendo però al Parlamento un certo margine di tempo per ovviarvi.

(fonte: stamparomana.it)

Anche in questo caso, l’ordinanza successiva alla seduta del giugno 2020 aveva sancito la necessità di un intervento legislativo che introducesse una «complessa operazione di bilanciamento tra la libertà di manifestazione del pensiero e la tutela della reputazione della persona, diritti entrambi di importanza centrale nell’ordinamento costituzionale». Ribadendo, poi, l’orientamento della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che ha condannato l’Italia ben quattro volte negli ultimi quindici anni per l’incompatibilità delle pene detentive per i reati di diffamazione a mezzo stampa con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo.

L’art.10 della Convenzione fa salvo il disposto dell’art.13 della legge del ’48 soltanto in casi eccezionali, vale a dire quelli di grave lesione di altri diritti fondamentali, come ad esempio nel caso di diffusione di discorsi d’odio o di istigazione alla violenza. E secondo questo orientamento si è pronunciata anche la nostra Corte Costituzionale.

Legge di riforma sulla stampa, ma quando?

Dall’ordinanza della Corte Costituzionale di giugno 2020, il Parlamento non ha ancora emanato una legge di riforma. Il ddl Caliendo in materia di diffamazione a mezzo stampa – tra l’altro aspramente criticato dall’Ordine dei Giornalisti così come da FNSI e FIEG (federazioni legate all’Ordine dei Giornalisti) – ha iniziato il suo iter nel 2018 e giace presso la Commissione permanente di Giustizia da luglio 2020. In sostanza, l’iter rimane lento e travagliato nonostante le numerose sollecitazioni della Corte Costituzionale sia nell’ordinanza 2020 che in quella del 2021.

 

Valeria Bonaccorso

La Corte Costituzionale verso il no all’ergastolo ostativo: la “fine pena mai” è incostituzionale

Con un comunicato stampa del 15 aprile la Corte Costituzionale italiana ha riconosciuto l’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo (Art 4 bis Legge sull’Ordinamento Penitenziario), norma che impedisce di liberare, in via assoluta, i boss mafiosi condannati all’ergastolo che non collaborino con la giustizia.

La Corte, infatti, afferma che rendere la collaborazione come l’unica via per recuperare la libertà rende la normativa in palese violazione con la dignità della persona.

Nel farlo ha però ha scelto di rinviare la decisione a maggio 2022, concedendo al Parlamento un anno di tempo per poter intervenire sull’articolo 4-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario, tenendo conto «della peculiare natura dei reati connessi alla criminalità organizzata di stampo mafioso, e delle relative regole penitenziarie, sia della necessità di preservare il valore della collaborazione con la giustizia in questi casi»

(fonte: La Legge per Tutti)

Le ragioni storiche-giuridiche dell’introduzione dell’ergastolo ostativo

L’ergastolo ostativo venne introdotto nell’ordinamento penitenziario italiano nel 1992, a seguito delle stragi di Capaci e via D’Amelio, nelle quali furono uccisi i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino; tali avvenimenti spinsero il legislatore verso l’attenuazione del principio rieducativo della pena (art 27 Costituzione), inasprendo la normativa dell’ordinamento penitenziario.

(fonte: Antimafia Duemila)

È regolato dall’articolo 4 bis dell’ordinamento penitenziario e stabilisce che le persone condannate per alcuni reati di particolare gravità, come mafia, terrorismo ed eversione, che rifiutano di collaborare con la Giustizia, non possano essere ammesse ai cosiddetti “benefici penitenziari” né alle misure alternative alla detenzione.

Per queste persone è escluso l’accesso alla liberazione condizionale o anticipata, al lavoro all’esterno, ai permessi-premio e alla semilibertà; dunque, la pena coincide con l’intera vita del condannato: motivo per cui viene utilizzata spesso l’espressione “fine pena mai”.

Tuttavia, il termine “ergastolo ostativo” non compare in nessuna norma: è un’espressione coniata dalla dottrina, per indicare casi gravissimi in cui la pena detentiva è irriducibile, e solo la volontà di collaborare comproverebbe il distacco del condannato dai legami con l’associazione mafiosa; il rifiuto di collaborazione, di contro, è considerata una presunzione assoluta di pericolosità del condannato.

L’aggettivo “ostativo” serve a distinguerlo dall’ergastolo comune, per il quale invece è ammesso un progressivo miglioramento del trattamento penitenziario, direttamente proporzionale con la crescita dell’attività di rieducazione del reo (il condannato).

L’incostituzionalità dell’ergastolo ostativo

Sono passati più di 70 anni da quando, con l’introduzione della Costituzione italiana– approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1º gennaio 1948- venne abolita definitivamente la pena di morte, in quanto contraria a quanto disposto dal comma terzo dell’art 27 della stessa Costituzione:

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato 

Giovedì 15 aprile si è assistito ad un ulteriore piccolo passo sulla via della civiltà giuridica: la Corte costituzionale nel suo comunicato ha anticipato il contenuto di un’ordinanza, con cui rinvia la trattazione della questione relativa all’ergastolo “ostativo” a maggio 2022.

Secondo la Corte, tale ergastolo «preclude in modo assoluto, a chi non abbia utilmente collaborato con la giustizia, la possibilità di accedere al procedimento per chiedere la liberazione condizionale, anche quando il suo ravvedimento risulti sicuro», si ravvisa dunque un contrasto tra la preclusione assoluta di accedere alla liberazione condizionale degli ergastolani di questo tipo e i principi costituzionali di eguaglianza e rieducazione (articoli 3 e 27 della Costituzione), nonchè con l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La corte afferma comunque che l’incostituzionalità non sarà dichiarata dunque nell’ordinanza in quanto «l’accoglimento immediato delle questioni rischierebbe di inserirsi in modo inadeguato nell’attuale sistema di contrasto alla criminalità organizzata»; una sentenza mal si presta a sciogliere determinati nodi politici e operativi e contrasterebbe uno dei principali pilastri dell’intero sistema antimafia.

“La Corte Costituzionale ha deciso che l’ergastolo ostativo è incostituzionale e che la perduta gente, come la definì Dante, non lasci ogni speranza ma venga riammessa al consesso civile. Non vorremmo che venisse dichiarata incostituzionale anche la credenza cristiana sull’esistenza dell’inferno.” E’ la riflessione che effettuata da mons. Filippo Ortenzi, legale rappresentante della Chiesa Ortodossa Italiana che si domanda “Niente pena eterna neppure per criminali come Josef Stalin, Adolf Hitler, Pol Pot e Osama Bin Laden? “

(fonte: La Repubblica

La questione di costituzionalità, era già stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale nel 2003, ma venne respinta in quanto, sostenevano i Giudici, gli ergastolani che rifiutavano di collaborare con la giustizia esercitavano una propria scelta, dunque non vi era alcun automatismo. Non erano esclusi dai benefici in via definitiva, era sufficiente un mutamento di idee sulla volontà di collaborare con la Giustizia.

Tuttavia, tale ragionamento non era esente da critiche in quanto non andava a modificare quel binomio a base dell’esclusione dei benefici: il rifiuto della collaborazione e la prova della persistenza dei legami con l’associazione criminale. Infatti, spesso, il rifiuto di collaborazione scaturiva da altre motivazioni: il timore di ritorsioni sulla propria famiglia, di dover accusare amici e parenti o di peggiorare il proprio quadro processuale.

Un primo cambio di posizione si ebbe con la sent. 149/201 2018, in cui la Corte riportò al centro dell’ordinamento penitenziario il principio di rieducazione del reo: venne dichiarato illegittimo l’art. 58 quater ord.pen. che, come l’ergastolo ostativo, escludeva dai benefici penitenziari gli ergastolani condannati per sequestro di persona a scopo di terrorismo od eversione o a scopo di estorsione da cui fosse derivata la morte della vittima

La Corte riconobbe simultaneamente un’irragionevole disparità di trattamento con gli ergastolani condannati per altri reati, e l’illegittimità di un meccanismo automatico di preclusione previsto dalla legge, senza alcuna valutazione del giudice sul percorso individuale del detenuto.

Contro l’ergastolo ostativo si è espressa poi, nel 2019, anche la Corte europea per i diritti umani (CEDU) di Strasburgo- il Caso Marcello Viola contro Italia-, che aveva invitato l’Italia a rivedere la legge che prevedeva una forma di pena disumana o degradante, ritenendola in contraddizione con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani, e condannato l’Italia a porvi rimedio.

Quello stesso anno la stessa Corte Costituzionale lo aveva definito “parzialmente incostituzionale”: la sentenza era arrivata in merito a due questioni di costituzionalità sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia, riguardo a due condannati per mafia all’ergastolo ostativo e a cui venivano quindi negati anche i permessi premio.

La Corte costituzionale, di risposta, dopo aver negli anni scorso ribadito in via delle eccezionali circostanze di fatto la non incostituzionalità dell’ergastolo ostativo (dichiarata norma eccezionale), con la sentenza 253/2019 (fra i cui giudici vi era l’attuale Ministro della Giustizia Marta Cartabia) dichiarò l’illegittimità dell’art. 4 bis ord. pen. “nella parte in cui non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia, anche se sono stati acquisiti elementi tali da escludere sia l’attualità della partecipazione all’associazione criminale sia, più in generale, il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata”.

Questo passaggio della pronuncia del 2019 ha minato irreversibilmente la presunzione assoluta di pericolosità del reo che rifiuta di collaborare trasformandola in relativa ed ha aperto alla possibilità che il giudice compia una valutazione caso per caso.

La collaborazione non deve essere condizione pregiudiziale per accedere ai benefici, e la rieducazione non può presupporre l’autoaccusa o l’accusa altrui, in quanto può essere frutto anche di un percorso strettamente interiore e personale.

La decisione di ieri invece ha portata generale, e riguarda l’istituto dell’ergastolo ostativo in quanto tale e dunque si estende a ogni forma di impedimento alla liberazione condizionale e al recupero sociale del detenuto.

Dunque, per quanto i principi in gioco siano di fondamentale importanza per i diritti dei singoli, la scelta della Corte Costituzionale di dare tempo al Parlamento, appare rispettosa sul piano del dialogo istituzionale, ed equilibrata nel salvaguardare le esigenze di tutela della collettività, evitando di indebolire il sistema di contrasto della mafia.

Manuel De Vita