Neuroestetica: la scienza dietro l’arte

La disciplina che concilia le neuroscienze e l’estetica, intesa come sfera del sensibile in riferimento all’arte, e che si promette di studiare con metodo scientifico i processi neurofisiologici coinvolti nel godimento dell’opera d’arte.

Origini della Neuroestetica

Si tratta di un ambito di ricerca relativamente nuovo, proposto dal neurobiologo Semir Zeki nei primi anni del Duemila e formalmente definita come “studio scientifico delle basi neurali per la contemplazione e creazione di un’opera d’arte” in occasione della fondazione dell’Istituto di Neuroestetica (2002).
Il significato della disciplina è sostenuto dal suo fondatore con l’argomentazione che non può esistere una teoria estetica completa senza la totale comprensione dei fondamenti neuronali.
Zeki inoltre sostiene che vi sia un percorso parallelo per artisti e neuroscienziati della vista e un fine comune di scoprire le distinzioni del mondo visivo e, simultaneamente, i meccanismi cerebrali coinvolti.

Meccanismi cerebrali

Si può quindi comprendere per quale ragione molte volte i dipinti violano le leggi della fisica del mondo reale nell’ambito di ombre, colori e contorni: l’obiettivo dell’artista non sarebbe tanto la rappresentazione fedele al mondo esterno, quanto ricreare le scorciatoie percettive usate dal cervello.

La “manipolazione” cerebrale sfruttata dagli artisti risiede nel percorso compiuto dall’informazione visiva. Tutto inizia a livello della corteccia visiva primaria, dove i neuroni registrano informazioni come linee e curve del campo visivo.

L’informazione poi procede secondo due percorsi, distinti ma collegati, verso l’area ventrale e dorsale del cervello, coinvolte nell’elaborazione visiva: la corrente ventrale, o “via del Cosa”, si estende dalla corteccia visiva primaria alla corteccia temporale inferiore ed è associata al riconoscimento di forme, colori e in generale della rappresentazione degli oggetti.

La seconda è la corrente dorsale, anche detta “via del Dove” o “via del Come”, e ha inizio nella corteccia primaria visiva (V1) con termine nella corteccia parietale posteriore. La sua funzione è di localizzare l’oggetto all’interno del campo visivo grazie anche ad informazioni complementari come luce e movimento, oltre ad essere un’importante componente per afferrare oggetti.

Da cosa è costituita l’opera d’arte?

Gli elementi che compongo l’opera d’arte sono colore, forma, texture e disegno, ma ancora più semplicemente distinguiamo colore e luce: il primo esprime emozioni e simboli, la seconda descrive le forme, il tratto e la texture.

Mentre il colore è un aspetto dell’opera costantemente analizzato e approfondito, la luce, nonostante possieda un ruolo chiave nella composizione artistica, è ancora poco sfruttata dagli artisti stessi.
Un perfetto esempio di ciò è rappresentato dalla corrente impressionista; si affaccia sul mondo dell’arte figurativa verso la fine del XIX secolo a seguito della diffusione del neoclassicismo, avvenuta qualche decennio prima, da cui prende le distanze, facendo dell’uso sperimentale di luce e colore un manifesto.

Un esempio di studio

Si prenda in esame il quadro di Claude Monet “Impressione, levar del sole” (1872), da cui derivò il nome della corrente.
Lo si confronti con una versione monocroma della stessa opera e si rimuova uno dei due elementi chiave, il colore. E’ possibile così soffermarsi maggiormente sulla luce del dipinto e in particolare su come il sole e le nuvole siano stati rappresentati con la stessa luce dall’artista e volutamente.

Se, infatti, Monet fosse rimasto fedele alla realtà raffigurando quindi un sole più chiaro e luminoso dello sfondo su cui si staglia, paradossalmente sarebbe risultato meno brillante rispetto alla versione definitiva.

Tre versioni del dipinto di Monet “Impressione, levar del sole”: originale (in alto), monocromatico (centro), con la luminosità del sole resa realistica (in basso). Fonte: Light Vision

Il fenomeno pittorico appena illustrato si può spiegare a livello cerebrale prendendo in esame l’elaborazione separata dell’informazione visiva convogliata dalle due correnti.

Laddove la via del Cosa trasmette informazioni riguardo al colore, la via del Dove è insensibile al colore.
La seconda è tra i due il sistema più antico e in grado di rilevare con maggiore precisione la luce e le sue variazioni. Come conseguenza, registra anche il movimento e la profondità degli oggetti rispetto allo sfondo.

L’opera impressionista riesce dunque ad ingannare la via del Dove. Davanti agli oggetti isoluminanti (come il sole e il mare, con intensità luminosa uniforme), non potendo contare sull’aspetto cromatico, non riesce a registrarne la posizione o la profondità.  Il risultato di questo fenomeno è quella sensazione di apparente movimento delle onde e dello scintillio del sole riflesso sull’acqua.

Rafforza l’illusione la tecnica pittorica scelta da Monet: tante pennellature brevi sulla tela, che richiedono all’osservatore di essere unite in tratti unici.

L’antitesi classicista

Una controprova della teoria si ha osservando un’opera che rappresenta una scena d’azione, ottenuta facendo uso di luce a diverse intensità: ne “Il ratto delle Sabine” di Nicolas Poussin (1638), l’eccesso di movimento e dettagli raffigurati dall’autore finiscono per avere un effetto paralizzante. 
Il cervello dell’osservatore si sofferma a studiare il maggior numero possibile di particolari. Esso, però, ontemporaneamente fissa le figure sullo sfondo, perdendo così la sensazione di slancio delle figure.

La Neuroestetica non si ferma qui

la Neuroestetica si dimostra promettente verso future applicazioni, specie nella comprensione dell’impatto dell’opera sull’osservatore nel campo dell’arte visiva; ma anche nel mondo architettonico per la costruzione di edifici abitativi e in ambito clinico riguardo gli effetti di malattie neurodegenerative sulla percezione artistica.

Eleonora Calleri

FONTI:

Neurobiology of sensation and reward, Chapter 18, A. Chatterjee: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK92788/#ch18_r52
Light vision, M. Livingstone: https://switkes.chemistry.ucsc.edu/teaching/CROWN85/literature/lightvision.pdf
Neuroaesthetics: an introduction to visual art, T.S. McClure, J.A. Siegel: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1745691615621274
The neuroaesthetics of architectural spaces, A. Chatterjee, A. Couburn, A. Weinberger: https://doi.org/10.1007/s10339-021-01043-4
Art produced by a patient with Parkinson’s disease, A. Chatterjee, R.H. Hamilton, P.X. Amorapanth: https://doi.org/10.1155/2006/901832

Neuroni specchio: un nuovo modo di comprendere gli altri

Il linguaggio verbale, l’empatia, la capacità di imparare velocemente mediante imitazioni, sono tutte peculiarità che rendono l’uomo un essere “speciale”.

https://www.genteditalia.org

Una nuova scoperta

I neuroni specchio forniscono un semplice meccanismo neurale per comprendere le azioni degli altri.
Infatti, la loro scoperta ha portato a un nuovo modo di pensare a come generiamo le nostre azioni e come monitoriamo e interpretiamo quelle degli altri.
Inoltre, permette di comprendere l’empatia come partecipazione immediata e compassionevole ad una risposta, consentendo la comprensione dei sentimenti delle altre persone.

Una nuova scoperta

Cosa sono?

Prove sperimentali

Immedesimarsi senza sforzo

Un vantaggio evolutivo

Neuroni specchio in alcuni disturbi neurologici

Il campo dell’Autismo

Conclusione

Cosa sono?

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che modulano la loro attività sia quando un individuo esegue uno specifico atto motorio, come afferrare un oggetto, sia quando osserva passivamente lo stesso o un simile atto compiuto da un altro individuo.
Sono stati segnalati per la prima volta circa 20 anni fa nell’area premotoria ventrale del macaco F5.
Oggi alcuni studi affermano che siano presenti anche nel cervello umano, in tutto il sistema motorio: cortecce premotoria ventrale e dorsale e la corteccia motoria primaria, oltre ad essere presenti in diverse regioni della corteccia parietale. Questo sistema è alla base dei meccanismi di apprendimento per imitazione.

https://www.stateofmind.it

Prove sperimentali

La prova dell’esistenza di un sistema specchio nell’uomo, proviene da studi di neuroimaging e indagini neurofisiologiche non invasive (elettroencefalografia, magnetoencefalografia e stimolazione magnetica transcranica). Il neuroimaging ha dimostrato l’esistenza di 2 reti principali con proprietà specchio.
Una rete risiede nel lobo parietale e nella corteccia premotoria più la parte caudale del giro frontale inferiore (sistema specchio parietofrontale) coinvolto nel riconoscimento del comportamento volontario.
L’altra è formata dall’insula e la corteccia frontale mesiale anteriore (sistema specchio limbico), dedicato al riconoscimento del comportamento affettivo.
È opinione diffusa che i neuroni specchio siano un adattamento genetico per la comprensione dell’azione. Si pensa infatti che siano stati progettati dall’evoluzione per svolgere una specifica funzione socio-cognitiva.

Immedesimarsi senza sforzo

I neuroni specchio interagiscono anche con le aree emotive del cervello, come l’insula e l’amigdala che sono i motori fisiologici dell’empatia.
Una scienziata inglese, Tania Singer, ha per esempio utilizzato la risonanza magnetica funzionale per esaminare l’attività cerebrale di un gruppo di giovani donne.
Ha scoperto così che aree del cervello che si attivano quando percepiamo un dolore sono le stesse che reagiscono quando una persona alla quale siamo legate riceve lo stesso trattamento.
La scoperta dei neuroni specchio dimostra così che immedesimarsi negli altri non comporta nessuno sforzo particolare: è un meccanismo che l’evoluzione ha selezionato perché vantaggioso.

https://lh3.googleusercontent.com

Un vantaggio evolutivo

Comprendere il potenziale vantaggio evolutivo del meccanismo dei neuroni specchio ha permesso di spiegare una serie di competenze precoci, una sorta di programma innato parziale come lo è il pianto o la sensibilità alla voce umana.
Questo permette di spiegare come mai un neonato già dopo poche ore dalla nascita è in grado di riprodurre movimenti della bocca e del volto della mamma.

Neuroni specchio in alcuni disturbi neurologici

Il fenomeno dei neuroni specchio sta acquisendo rilevanza clinica nel campo dei disturbi dello spettro autistico e dell’apoplessia celebrale (ictus), ovvero l’arresto improvviso delle funzioni cerebrali provocato da un’emorragia. Infatti un aspetto di possibile rilevanza clinica del sistema specchio è la riabilitazione degli arti superiori dopo ictus.

Esistono inoltre evidenze, sebbene ancora preliminari, di un possibile sottosviluppo o menomazione del sistema specchio nell’autismo e in quei disturbi psichiatrici in cui la competenza sociale è compromessa.

https://culturaemotiva.it

Il campo dell’Autismo

Clinicamente, alcuni deficit funzionali tipici del disturbo dello spettro autistico, come l’isolamento sociale e i deficit nell’imitazione, nell’empatia emotiva e nell’attribuire intenzioni ad altri, potrebbero dipendere anche da un cattivo funzionamento dei neuroni specchio.
Il neurofisiologo Vilayanur Ramachandran è arrivato a queste conclusioni attraverso un particolare esperimento. Lo studioso ha misurato tramite elettroencefalogramma (EEG) nel cervello dei bambini una particolare onda cerebrale chiamata “onda Mu“.
Questa si blocca ogni volta che una persona compie un movimento volontario, ma anche quando si osserva qualcuno compiere la stessa operazione.
L’EEG dei bimbi autistici esaminati ha dimostrato che essi presentavano l’interruzione dell’onda Mu quando si muovevano (non avevano infatti problemi motori) ma non quando osservavano gli altri compiere gli stessi movimenti.
Ramachandran ha quindi dedotto che nelle persone autistiche il sistema dei neuroni specchio possa essere deficitario.

Conclusione

In conclusione ciò che accomuna la capacità di commuoversi davanti a un film, di intuire al volo il significato di un gesto, di apprezzare un’opera d’arte, sono i neuroni specchio.
Essi sono chiamati così perché, proprio come uno specchio, hanno la particolarità di riflettere all’interno di ognuno di noi il mondo esterno.
Sono loro a consentirci di interpretare molto rapidamente le azioni degli altri, a farci sapere se la persona che abbiamo di fronte sta prendendo una tazzina per bere un caffè o invece per sparecchiare, se sta sollevando una mano per colpirci o per accarezzarci.

        “ L’unico modo per capire le persone è sentirle dentro di te”

                                                John Ernest Steinbeck

 

Ludovica Dibennardo

Bibliografia:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3898692/

https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rstb.2013.0169?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rstb.2013.0169?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://elibrary.de/doi/10.13109/prkk.2012.61.5.322?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/796996