Parlamento Ue e lobbismo: Metsola corre ai ripari con un piano anticorruzione

Circa un mese dopo lo scandalo del Qatar per la presunta corruzione di alcuni eurodeputati e funzionari, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola ha presentato una riforma delle regole interne su lobbying e trasparenza alla Conferenza dei Presidenti di giovedì scorso (alla presenza di tutti i leader dei gruppi politici rappresentati al Parlamento europeo).

La Presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola. Fonte: Linkiesta

Quello del “Qatargate”, in effetti, è passato alla storia come il più grande scandalo delle istituzioni comunitarie degli ultimi decenni ed è tutt’ora oggetto di una inchiesta della procura federale belga. Quest’ultima già a dicembre aveva convalidato l’arresto per 4 indagati chiave (di cui 3 italiani), mentre dopo una prima convalida del mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia dell’ex eurodeputato Panzeri verranno estradate in Belgio. Una vicenda ignobile che ha sin da subito spinto ai ripari una democrazia europea sotto attacco.

Il piano di riforma non è stato ancora annunciato pubblicamente, ma alcuni suoi punti sono stati resi noti dai siti di testate quali Politico, Euractiv ed EuObserver.

I principali punti del piano di riforma

La proposta principe di Metsola è quella di estendere a tutti i parlamentari europei l’obbligo di registrazione dei loro incontri con i lobbisti in un portale pubblico. A dire il vero possono già farlo, ma l’uso del portale – fino a questo momento – è di fatto obbligatorio solo per i parlamentari con incarichi rilevanti, come i presidenti di commissione o i relatori di un certo provvedimento; tutti gli altri sono invece liberi di scegliere su base volontaria. Inoltre, il piano della Presidente richiede a tutti i membri del Parlamento di dichiarare propri eventuali conflitti di interessi nel momento in cui diventano relatori di un certo provvedimento.

Altri punti del piano includono l’obbligo di registrare i lobbisti che rappresentano gli interessi dei paesi extraeuropei nell’apposito Registro per la trasparenza, un database dell’Unione europea in cui figurano tutti i principali organismi di lobbying (attualmente coloro che rappresentano un paese terzo riescono a schivare la registrazione grazie a diverse scappatoie). Questo funziona più o meno allo stesso modo al Congresso degli Stati Uniti, mentre tanti altri parlamenti, come quello italiano, non consentono attività di lobbying nelle sedi delle istituzioni (con conseguente maggiore opacità).

Sarà inoltre vietato ricoprire incarichi formali all’interno di una ONG agli assistenti parlamentari e ai funzionari del Parlamento: una norma che sembra scritta per evitare casi come quello di Francesco Giorgi, assistente storico di Antonio Panzeri, l’ex parlamentare che secondo la Procura federale belga ha contribuito alla messa in piedi di una rete di corruzione interna a favore del Qatar.

Tuttavia, il piano non prevede una norma aggiornata sul lavoro extra-parlamentare degli attuali parlamentari europei, nonostante circa un quarto di essi abbiano mansioni da liberi professionisti che creano conflitto di interessi permanente con il loro mandato politico.

Cosa non va nell’attività di lobbying del Parlamento UE?

Nelle istituzioni europee il lobbismo è un’attività legale e regolamentata, svolta da gruppi di interesse di varia natura che desiderano contribuire al processo democratico. Sia le ONG che gli esperti di trasparenza temono però da tempo che il Parlamento europeo sia eccessivamente vulnerabile alle influenze esterne. Ad esempio, da parte di Paesi non democratici o ostili ai progetti di integrazione europea che vogliono condizionarne le decisioni a proprio vantaggio, come secondo la Procura belga avrebbe fatto negli ultimi mesi il Qatar.

Le campagne di influenza straniera, in particolare, rappresentano una delle forme meno regolamentate di lobbying all’interno dell’Unione Europea e pertanto una delle più problematiche. Non è un caso se gli ex eurodeputati sono sempre particolarmente richiesti come lobbisti: per via dei loro ruoli precedenti, come l’italiano Antonio Panzeri, arrestato in seguito all’inchiesta del Qatar, possono entrare in Parlamento in qualsiasi momento senza doversi registrare come lobbisti.

Fonte: Euronews

«Il diritto internazionale prevede che i paesi possano influenzare i rispettivi processi decisionali», spiega Alberto Alemanno, esperto di trasparenza e fondatore dell’organizzazione The Good Lobby , «ma a livello europeo manca un regime che renda trasparente questa attività».

Nelle istituzioni europee il lavoro di lobbying è disciplinato da un codice di condotta abbastanza generico, e sebbene ogni istituzione europea si sia dotata nel tempo di un proprio codice etico e di trasparenza, storicamente il Parlamento europeo resta quello con le regole «decisamente più ridotte», spiega Alemanno:

«I parlamentari non hanno l’obbligo di dare conto di chi incontrano, né esiste un divieto di avere lavori paralleli: circa un quarto dei parlamentari europei mantiene incarichi da libero professionista, e questo crea un conflitto di interessi permanente».

Anche la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, è sembrata riferirsi a questo problema quando lunedì 12 dicembre, durante una conferenza stampa, ha detto:

«Per noi è importante non solo avere delle regole nette ma che le stesse regole coprano tutte le istituzioni europee, e che non esistano eccezioni».

L’estradizione di Silvia Panzeri

Sempre nell’ambito dell’inchiesta Qatargate, la Corte d’appello di Brescia ha deciso che Silvia Panzeri, figlia dell’ex eurodeputato Antonio, dovrà essere estradata in Belgio, dando così il via libera alla consegna della donna alle autorità del Paese, in attesa della decisione definitiva della Cassazione. La donna si trovava già ai domiciliari, come sua madre – Maria Colleoni, per la quale è arrivata anche l’autorizzazione all’estradizione – la procura di Bruxelles aveva chiesto l’estradizione dopo essere stata destinataria di un mandato di arresto europeo. Le due donne sono state accusate di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio di denaro.

Qatargate, ok all’estradizione di Silvia Panzeri. Fonte: tgcom24

Intanto su richiesta dell’autorità giudiziaria di Bruxelles all’Eurocamera è partita la procedura per la revoca dell’immunità di Marc Tarabella, eurodeputato eletto in Belgio, e Andrea Cozzolino, suo collega italiano. Toccherà alla commissione Juri (aiuta il Parlamento a elaborare una posizione informata sulle questioni giuridiche) prendersi carico del dossier nei prossimi giorni, mentre il Parlamento europeo continua a pensare a come evitare casi simili in futuro.

Fonte: Transparency.org

Fra l’altro il gruppo parlamentare dei Socialisti e Democratici, il più colpito dallo scandalo, sta già pensando a regole più severe, sicché non è nemmeno certo che il piano presentato da Metsola venga approvato così com’è. Anche la ONG Transparency International ha diffuso un commento alla proposta alquanto critico:

«Il piano continua a basarsi interamente sull’auto-imposizione. Sappiamo che questa dinamica non funziona: serve un coinvolgimento di enti esterni e indipendenti a tutti i livelli del processo di riforma», a riprova del fatto che il confine fra diplomazia e influenza è sottile, e a volte non così chiaro da tracciare.

Gaia Cautela

Parlamento UE sotto accusa: mazzette da parte del Qatar. In manette la vice Kaili e tre italiani a capo di ONG

Domenica quattro persone affiliate al Parlamento Europeo sono state arrestate con l’accusa di corruzione e riciclaggio di denaro a seguito di un’inchiesta della procura belga riguardante un’attività di lobbying condotta, come si presume, da parte del Qatar, paese che sta ospitando i Mondiali di calcio 2022 e che si trova già sotto pesanti accuse per violazione dei diritti umani.

I soggetti che si trovano sotto arresto sono Eva Kaili, politica greca e vicepresidente del Parlamento Europeo (adesso sospesa); Pier Antonio Panzeri, ex europarlamentare dei Socialisti e Democratici tra il 2004 e il 2019; Francesco Giorgi, compagno di Kaili, assistente parlamentare e fondatore della ong Fight Impunity; Niccolò Figà-Talamanca, a capo della ong No Peace Without Justice. Sottoposte al mandato di arresto europeo anche la moglie e la figlia di Panzeri, col vincolo di associazione a delinquere.

(La vicepresidente dell’Europarlamento Eva Kaili / fonte: euranet_plus @ Flickr.com)

L’inchiesta

Lo scorso 9 dicembre due giornali belgi, Le Soir e Knack, hanno scritto che la procura federale belga stesse mandando avanti già da luglio un’indagine su un giro di corruzione e riciclaggio che si sarebbe svolto proprio dentro il Parlamento Europeo, con vari protagonisti tra cui «quattro italiani». Il procuratore federale Eric Van Duyse, a Knack, avrebbe poi parlato genericamente di «uno Stato del Golfo» senza volerne rivelare l’identità, ma tutti i sospetti sono inevitabilmente caduti sul Qatar.

L’accusa a questo Paese sarebbe di aver tentato per mesi di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento UE tramite il versamento di ingenti somme o regali a terze parti con un grande ascendente sul Parlamento.

Per questa ragione, il 9 dicembre (giorno in cui, quasi paradossalmente, si festeggia la Giornata Internazionale contro la Corruzione), la procura belga ha operato sedici perquisizioni nelle case degli assistenti dei vari membri del Parlamento indagati, dove sono stati sequestrati computer e smartphone ed, in un caso, anche seicentomila euro in banconote.

Il Qatar nel mirino

Le ragioni per cui, tra tutti i Paesi del Golfo, i sospetti siano caduti proprio sul Qatar sono intuibili: questo Paese negli anni scorsi è infatti riuscito ad ottenere l’assegnazione dei Mondiali di Calcio 2022, ma non senza importanti polemiche. Perplessità si sono trasformate in vere proteste quando è stato fatto presente il poco riguardo che questa nazione avrebbe dei diritti umani, in particolare delle categorie più deboli come quelle rappresentate dalla comunità LGBTQ+.

Non meno importante, un grande scandalo ha riguardato la costruzione dei vari stadi dove oggi vengono ospitate le partite di calcio. Migliaia di morti sul lavoro sarebbero avvenute durante questa fase, per non parlare delle esimie condizioni in cui la manodopera era costretta a lavorare.

(fonte: carlosmorejon.net)

In sostanza, il Qatar avrebbe tutto l’interesse a dare una “rinfrescata” alla propria immagine, facendosi promuovere proprio da soggetti vicinissimi alle cause per i diritti umani e mostrarsi come uno Stato – addirittura – democratico. Ed infatti, numerose personalità coinvolte nell’inchiesta avevano rilasciato dichiarazioni pubbliche a sostegno del Qatar che destavano non poco sospetto. La stessa vice Eva Kaili, dopo un incontro col Ministro qatariota del Lavoro, aveva detto che «Il Qatar sarebbe stato in prima linea per i diritti dei lavoratori».

Ad ogni modo, un esponente ufficiale del Qatar ha negato qualsiasi coinvolgimento del suo governo nella vicenda, affermando di aver sempre agito secondo i dettami delle norme internazionali.

L’importante ruolo delle ONG

Ciò che rende ancor più complessa la vicenda sarebbe l’utilizzo, per gli scopi illeciti degli indagati, delle rispettive posizioni di forza e di garanzia di cui godevano, nonché delle due ONG No Peace Without Justice, capitanata da Niccolò Figà-Talamanca, e Fight Impunity, presieduta da Antonio Panzeri. La sede di quest’ultima è stata oggetto di perquisizione da parte della polizia belga.

In particolare, Fight Impunity è un’organizzazione che si propone l’obiettivo di «promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale». Molti sono i nomi che hanno deciso di abbandonare a seguito dello scandalo: da Federica Mogherini, ex Alta Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, all’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve, all’ex Commissario Europeo per le Migrazioni Dimitris Avramopoulos, fino alle eurodeputate Cecilia Wikström ed Isabel Santos.

(Logo di Fight Impunity / fonte: fightimpunity.com)

Molti di questi soggetti erano esclusivamente membri onorari dell’organizzazione, non avendo al suo interno alcun ruolo effettivo.

Quanto a No Peace Without Justice, membro di spicco (e fondatrice) è la politica italiana Emma Bonino, a sua volta membro onorario di Fight Impunity, che però non si è espressa sull’accaduto.

Lo sconforto della politica

Fino a prova contraria, per tutti i soggetti sotto arresto vige la presunzione d’innocenza. Eppure, la vicenda si presta già ad essere «il più grande caso di presunta corruzione interna al Parlamento UE degli ultimi decenni», come affermato dal Direttore della Trasparenza Internazionale dell’Unione Michiel van Hulten. E rivela a Politico:

Il Parlamento ha creato una cultura dell’impunità, con una combinazione di regole finanziarie e controlli lassisti ed una totale mancanza di supervisione etica indipendente.

Infine, la Presidente del Parlamento Roberta Metsola ha affermato che «l’Assemblea si schiera fermamente contro la corruzione e sta attivamente cooperando con le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie per favorire il corso della giustizia».

Valeria Bonaccorso

La caserma degli orrori: torture, abusi, droghe e lesioni a Piacenza

Dopo mesi di indagini condotte dalla guardia di finanza per conto della procura della repubblica della cittá emiliana, é stato possibile ricostruire passo dopo passo l’esistenza di una vera e propria organizzazione criminale di cui facevano parte Giuseppe Montella, Salvatore Cappellano, Angelo Esposito, Giacomo Falanga, Daniele Spagnolo, Marco Orlando e Stefano Bezzeccheri. L’operazione denominata Odysseus ha portato alla luce all’interno della caserma Levante di via Caccialupo a Piacenza un sistema di corruzione, dallo spaccio di droga all’estorsione e lesioni personali. Sistema andato avanti nella vendita di droga anche durante la pandemia covid-19, nonostante la città di Piacenza fosse uno dei  centri più colpiti .FLASH Ndrangheta, 14 arresti tra Corsico e Reggio Calabria per ...

Operazione Odysseus

L’operazione Odysseus è nata a seguito del racconto di un militare, il quale durante una testimonianza alla polizia per un’altra inchiesta, si era ricollegato ad alcuni avvenimenti brutali della caserma Levante, raccontati da un uomo che li aveva subiti in prima persona. Le indagini durate sei mesi avevano riconosciuto tra le altre cose uno dei sei carabinieri accusati, a bordo di un auto con dei spacciatori al casello di Milano sud durante l’emergenza coronavirus. Questo è stato solo uno dei campanelli di allarme che hanno condotto la guardia di finanza a una maxi investigazione attraverso intercettazioni telefoniche.

Le intercettazioni

Un sistema di corruzione svelato grazie alle opere di intercettazione telefoniche e telematiche. Un captatore informatico installato sui dispositivi degli indagati, in modo da garantire l’accesso segretamente alle foto e alle conversazioni audio di quest’ultimi. Una rete di corruzione ruotante intorno allo spaccio di droga. Era Montanella stesso che si preoccupava di rifornire direttamente i pusher alle sue “dipendenze”acquistando ingenti quantitativi di stupefacente, chili in alcune occasioni, trasportati anche a bordo della sua auto fino all’abitazione degli spacciatori o in alternativa la droga sequestrata veniva presa dai carabinieri e data in parte all’informatore per compensarlo della soffiata e in parte agli spacciatori con i quali poi dividere i guadagni della vendita in piazza . Tra le intercettazioni si vede:

“Ho fatto un’associazione a delinquere ragazzi (…) in poche parole abbiamo fatto una piramide (…) noi siamo irraggiungibili”, aggiungendo: “Abbiamo trovato un’altra persona che sta sotto di noi. Questa persona qua va tutti da questi gli spacciatori e gli dice: “Guarda, da oggi in poi, se vuoi vendere la roba vendi questa qua, altrimenti non lavori” e la roba gliela diamo noi!”.

Riferimenti chiari che non lasciano spazio ad interpretazioni; è questo il quadro che si evince a seguito della maxi inchiesta ad opera della guardia di finanza.

carabinieri-arrestati-piacenza

Modus operandi

Un modus operandi senza scrupoli che si conforma a ciò che dovrebbe reprimere, in virtù della divisa che si porta. Ed ecco che chi dovrebbe farci sentire al sicuro, far credere nelle istituzioni, ci lascia ancora una volta con l’amaro in bocca. Una lista lunga di reati, che non tiene conto di niente e nessuno, neppure una pandemia, che ha portato oltre un milione di morti; è riuscita a fermare i carabinieri di Piacenza. Mentre l’Italia era completamente bloccata quella che sarà denominata come la caserma degli orrori agiva liberamente fornendo autorizzazioni per gli spostamenti ai  fornitori, permettendo di raggiungere la piazza di Milano per comprare la droga. Droga che veniva depositata in un garage stando alle intercettazioni su Montanella. “Vabbè senti a me ascolta me, tu prendi questo, tanto v’ho messo il timbro”, dice il carabiniere. Era il 17 marzo quando l’autocertificazione è stata consegnata davanti alla stazione dei carabinieri di Piacenza Levante e il 19 marzo il galoppino è tornato con 3 chili di marijuana trasportati con la stessa auto con cui era partito.

Gli abusi di potere

Nell’ordinanza di arresto sono emersi oltre allo spaccio di droga, torture e lesioni all’interno della caserma. In particolare il pestaggio di un cittadino accusato e arrestato ingiustamente di spaccio di droga mediante prove false, organizzate appositamente per giustificare l’arresto. Emerse anche foto contenenti dei selfie con le persone che venivano maltrattate, oltre intercettazioni in cui si sente un carabiniere dare ordine agli altri di ripulire dopo un pestaggio. Sulle brutalità commesse dalla caserma emiliana è intervenuto anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, assumendo tutti i provvedimenti necessari e consentiti dalla legge nei confronti del personale  in questione.

 

Eleonora Genovese

L’offensiva di Anonymous vuole rivelare cosa si nasconde dietro il sistema giudiziario americano

Dopo la notizia della morte dell’afroamericano George Floyd , avvenuta la scorsa settimana,  per mano degli agenti di polizia di Minneapolis, il popolo americano non è rimasto con le mani in mano ma ha deciso di scendere in piazza a protestare. Il video dell’arresto, infatti, è fin da subito diventato virale sul web, mostrando la brutalità degli agenti americani e, in particolare, del poliziotto Derek Chauvin.
Questo è solo uno dei tanti casi di razzismo che negli anni hanno portato alla morte di persone nere, per mano di poliziotti americani. Dopo un primo rapporto in cui si dichiarava di essere davanti ad un incidente medico e che George avesse posto resistenza al fermo dei poliziotti, il tutto è stato smentito. “Morto per asfissia dovuta a compressione del collo e della schiena”, come rivelato dall’autopsia indipendente che la famiglia di George Floyd ha fatto eseguire sul corpo del 46enne.La morte di George Floyd e la società della "supremazia bianca"

Cos’è Anonymous?

La protesta per la morte di George non ha interessato solo i cittadini americani, ma anche l’organizzazione Anonymous.

Innanzitutto chiariamo cos’è ANONYMOUS. Si tratta di un’organizzazione di cyber attivisti composta da membri anonimi. I cosiddetti hacktivisti condividono una sorta di codice etico basato sulla libertà d’espressione e sulla lotta contro ogni tipo di ingiustizia. Questi giustizieri intraprendono proteste e altre azioni sotto l’appellativo di “Anonymous”  e più genericamente anche per riferirsi ai sostenitori e ai seguaci della subcultura di internet. Il noto gruppo di hacker agisce attraverso la pubblicazione di materiale riservato o attacchi informatici, mantenendo l’anonimato attraverso l’uso della maschera di di Guy Fawkes, resa famosa dal film “V per Vendetta” e che si ispira al cospiratore inglese che nel 1605 tentò di fare esplodere il Parlamento.

L'offensiva di Anonymous contro Trump e la polizia

Anonymous e la controffensiva

Il gruppo di Cyberattivisti ha deciso di esporsi nella vicenda legata alla morte di George Floyd, dichiarando di voler fare luce sul sistema delle forze dell’ordine americane (additando il dipartimento di Minneapolis come il peggiore). L’organizzazione, oltre a postare un video in cui annuncia il proprio intervento per mostrare i reati commessi dalle forze dell’ordine (insabbiati negli anni), ha pubblicato un documento riguardante il presunto coinvolgimento del presidente americano Donald Trump nella rete di traffico e stupro minorile, che ha visto come principale protagonista Jeffrey Epstein, criminale statunitense morto in circostanze misteriose in un carcere di New York. Morte di cui si ignorano i mandanti, visto le numerose accuse rivolte a Trump sulla presunta partecipazione alla cospirazione a Epstein; avvenuta (presumibilmente)  per insabbiare il passato misterioso sul traffico di minori e abusi sessuali che vedrebbe come protagonista il presidente Americano.

Il filmato in rete

Il filmato che in poche ore è diventato centrale sui media, mostra il solito uomo incappucciato con la voce modificata che accusa il sistema delle forze di polizia americane, (in particolar modo riferendosi al distretto di Minneapolis) di essere colpevole di omicidi e corruzione. Morti oscure come quelle di Jamar Clark, Justine Diamond,Thurman Blevins Brian Quinones, in cui video e altre testimonianze mostrano le bugie della polizia. Ma non solo: continua sostenendo di come i poliziotti della città abbiano il consenso da parte delle élite al potere per reprimere la popolazione e creare un regime basato sull’oppressione.

“Negli ultimi vent’anni 193 persone sono state uccise dalla polizia nel Minnesota”, dice l’esponente di Anonymous nel video puntualizzando che “purtroppo, nella maggior parte dei casi, l’unico rimasto a raccontare la storia è l’agente che ha ucciso la persona”.

Un ciclo che continua a ripetersi. Assassini che portano una divisa, dichiarando di voler proteggere la popolazione, quando forse è la popolazione a dover proteggersi da loro. Si tratta di pedine mosse dalle lobby al potere, pedine che non pagheranno mai per i crimini commessi, perchè solo la base di un sistema più ampio.

Nella parte finale del video gli attivisti annunciano di voler rivelare al mondo intero i vari crimini insabbiati commessi dal sistema giudiziario corrotto.

Poche ore dopo il sito della polizia è andato in down. Anonymous dai vari profili social rivendica di essersi introdotto nel sistema radio della polizia di Chicago diffondendo la canzone “Fuck the police” sulle frequenze utilizzate dalle forze dell’ordine per le comunicazioni e di aver diffuso un documento che coinvolgerebbe il presidente americano. Non sappiamo ancora se la causa del down sia stata una mossa strategica da parte della polizia di Minneapolis per prevenire l’attacco o sia il frutto dell’hackeraggio del noto gruppo di cyber attivisti. Ciò che percepiamo è di come il popolo americano sia stanco di queste continue violenze e repressione e forse stia cominciando a capire ciò che nascondono dietro.

Eleonora Genovese