Saranno i lama a salvarci dal nuovo Coronavirus?

Il SARS-CoV-2 ha messo il mondo moderno di fronte a una situazione senza precedenti. Rispetto agli altri Coronavirus si diffonde molto più rapidamente e causa stadi patologici molto critici. Gli scienziati di tutto il mondo stanno lavorando per porre fine ai danni che sta generando. Sono in atto tantissimi studi che promettono una cura efficace contro la COVID-19 e un vaccino che possa prevenirla. Ma se il segreto fosse nel sangue dei lama?

Come potrebbero aiutarci i lama

Gli anticorpi, l’esercito che ognuno di noi ha per poter combattere i patogeni, hanno una struttura formata da due catene leggere e due catene pesanti. Rispetto agli umani, i camelidi (lama, cammelli e alpaca) presentano anche una variante contenete soltanto le catene pesanti. Una porzione del loro anticorpo, quella che va a riconoscere l’antigene, è conosciuta come nanocorpo (nanobody). Grazie alle loro piccole dimensioni, stabilità e facilità di produzione sono spesso utilizzati in diagnostica in alternativa agli anticorpi convenzionali.

http://www.vitares.org/index.php/it/magazine/40-nano-anticorpi-una-lezione-imparata-da-cammelli-e-squali

Un gruppo di ricerca britannico ha focalizzato la sua attenzione su queste particolari strutture. Utilizzando anticorpi provenienti dal sangue di un lama hanno creato dei nuovi nanobody che riescono ad interagire con il SARS-CoV-2 bloccando il suo ingresso nelle cellule umane.

Lo studio

Pubblicato su “Nature Structural & Molecular Biology”, lo studio degli scienziati del Rosalind Franklin Institute approfondisce in particolare due nanobody: H11-D4 e H11-H4, i quali hanno avuto maggiore affinità per il virus.

Il genoma del SARS-CoV-2 codifica per le proteine Spike. Queste particolari proteine si trovano sulla superficie del virus e sono particolarmente importanti per poter infettare le cellule. Mediante il dominio legante il recettore (RBD) possono legarsi al ACE2 (enzima 2 convertitore dell’angiotensina), presente sulla superficie delle cellule umane, e successivamente invadere l’organismo. Infatti queste strutture (ACE2) rappresentano la porta di ingresso per il virus nelle cellule.

Il legame tra le due strutture, risulta essere molto più forte rispetto a quello dei precedenti Coronavirus, sottolineando la pericolosità del nuovo virus. Le proteine Spike hanno suscitato molto interesse per i ricercatori; andando a bloccarle era possibile evitare il loro legame con la cellula, di conseguenza inibire l’infezione.

Lo studio rivolge la sua attenzione proprio su questo aspetto. I nanocopri riescono a legarsi alle proteine Spike occupando la porzione della proteina che si lega con ACE2. In questo modo risulta impossibile per il virus infettare la cellula.

Inserendo il virus in una coltura di cellule umane, H11-D4 e H11-H4  hanno impedito che il virus entrasse all’interno delle cellule per potersi moltiplicare. Ciò ha dimostrato che le piccole strutture riescono a neutralizzare il virus. Tra le due si è osservato che H11-H4 è quello che  ha una maggiore potenza.

https://www.rfi.ac.uk/engineered-llama-antibodies-neutralise-covid-19-virus/

Sempre in questo studio gli scienziati hanno dimostrato che i nanocorpi possono trovare applicazione anche in combinazione con anticorpi umani. I “nanocorpi umanizzati” hanno dimostrato di essere più efficaci rispetto ai singoli componenti: diventa più difficile per il virus sfuggire alla terapia in queste condizioni.

Ottimismo per i nanocorpi

Abbiamo visto come il plasma convalescente ha migliorato notevolmente i risultati clinici in pazienti con COVID-19 suggerendo che l’immunizzazione passiva può essere utile come terapia. I nanocorpi  potenzialmente potrebbero essere utilizzati in un modo simile al plasma convalescente, avendo anche dei vantaggi. Essendo strutture molto più piccole rispetto agli anticorpi umani sono facili da produrre in laboratorio (potrebbero quindi essere sintetizzati su richiesta).

Le ricerche sono state condotte soltanto in coltura cellulare, quindi vanno ancora fatti approfondimenti prima di poter affermare l’efficacia sull’uomo. Nonostante ciò i ricercatori sono ottimisti e pensano che i loro nanocorpi potrebbero essere applicati in terapia per immunizzazione passiva di pazienti COVID-19 in gravi condizioni.

Eppure chi lo avrebbe mai pensato che la soluzione stava nel sangue del lama !

Georgiana Florea

Covid19: il sesso maschile è veramente piú a rischio?

Nonostante sia già da tempo noto come Sars-coV-2 riesca ad infettare l’organismo umano colonizzandone le cellule ospiti, non è ancora noto il motivo per il quale l’infezione abbia un impatto differente su diverse popolazioni di pazienti. Infatti, se da una parte il virus colpisce entrambi i sessi e soprattutto tutte le età, sembra emergere ultimamente da recenti studi che la malattia possa avere maggiore prevalenza nel sesso maschile, attaccandolo inoltre in maniera più aggressiva.

Nature “Sex differences in SARS-CoV-2 infection rates and the potential

link to prostate cancer”

ll diverso grado di severità della malattia appariva già molto evidente dai primi studi cinesi dove si registrava una mortalità pari al 2,8% nel sesso maschile contro la percentuale di 1,7% relativa al sesso femminile. Seguono di pari passo gli studi riportati dagli Stati Uniti dove i dati risalenti allo scorso mese di Giugno, inerenti alla sola metropoli di New York, riportano una mortalità relativa al sesso pari al 42% nelle donne e al  51% negli uomini. I numeri del nostro Paese sembrano confermare quanto sostenuto da quelli precedenti con un rapporto di 3:1 a favore degli uomini. Ma cosa c’è alla base di questa evidente discrepanza? Proprio dalle ultime analisi che hanno iniziato a considerare in maniera importante questa correlazione, fino a qualche mese fa ignorata, sembrano emergere due importanti elementi rappresentati da:

– presenza di comorbiditá nel paziente

– età del paziente

Come influiscono le comorbiditá sul paziente maschio?

La relazione tra infezione da Sars-coV-2 e comorbiditá è complessa, ma basandoci su dati oggettivi sappiamo per certo che le comorbiditá sono presenti in circa il 71% dei ricoveri ospedalieri e nel 90% dei pazienti ricoverati in ICU. Nello specifico sembrano contribuire ad un esordio più severo della malattia e ad un altrettanto tumultuoso decorso nei pazienti ospedalizzati, secondo quanto riportato dagli ultimi studi cinesi: diabete, COPD, ipertensione e pregressa o attuale storia di cancro, tutti fattori di rischio statisticamente appannaggio dell’uomo. A sostegno di ciò un recentissimo articolo pubblicato sulla rivista internazionale ” Nature ” riporta uno studio eseguito su 168 pazienti severamente colpiti dalla malattia, dal quale si evince che i pazienti maschi percentualmente avevano più comorbiditá e soprattutto che gli uomini con comorbiditá dimostravano condizioni molto più critiche rispetto a quelli senza alcuna comorbiditá. Sicuramente in aumento, anche per via di un approccio multifarmacologico sempre piú efficiente, è lo scompenso cardiaco a proposito del quale si è visto che studi di coorte, effettuati su plasma di pazienti con scompenso cardiaco hanno rilevato che i livelli di ACE-2 nel plasma degli uomini erano sicuramente piú elevati rispetto a quelli delle donne nonostante la comune comorbiditá. Ultimo aspetto da non trascurare è la correlazione con il fumo di sigaretta, del quale storicamente hanno più abusato gli uomini e che sembra essere strettamente correlato ad una maggiore espressione di ACE2 a livello alveolare, il che tradotto in probabilità espone gli uomini ad un rischio più alto di sviluppare polmonite da Covid-19.

 

Fattore età e possibile correlazione con il carcinoma prostatico

L’età è sicuramente il fattore di rischio più importante ed è ben nota la correlazione tra l’ età avanzata e una mortalità precoce. Importante sembra essere anche la stretta correlazione tra sesso, comorbiditá ed età in quanto gli uomini in età avanzata hanno più comorbiditá rispetto alle donne e quindi un risvolto prognostico peggiore rispetto a queste ultime. In merito a ciò i dati provenienti dalla Cina indicano una mortalità 20 volte maggiore nei soggetti con un’ età superiore ai 60 anni rispetto ai più giovani, mortalitá che tenderebbe ad aumentare anche nella fascia tra i 60 e gli 80 dove gli ultraottantenni hanno un rischio raddoppiato rispetto ai sessantenni. Coerentemente con i dati riportati, il CDC ( Centre for Disease Control and Prevention) indica come principale fattore di rischio per i quadri più severi da Covid-19 l’età maggiore ai 65 anni subito seguita da malattie polmonari croniche, malattie cardiovascolari, obesità, diabete, soppressioni immunitarie e grave insufficienza renale.

Quale sarebbe allora il legame con il carcinoma prostatico?

Il carcinoma prostatico è un adenocarcinoma acinare oggi fortunatamente prevedibile che , insieme alla ipertrofia prostatica, riconosce due importantissimi fattori di rischio: etá avanzata e fattori di rischio quali ipertensione, fumo e diabete i quali come appare evidente notare sono gli stessi che aumentano l’incidenza di infezione da Sars-coV-2 nel maschio. A questo si aggiungono altri due importanti elementi:

– i pazienti con carcinoma della prostata sono molto più vulnerabili alle complicanze legate all’infezione a causa del loro stato di salute compromesso;

– gli uomini anziani con carcinoma prostatico e comorbiditá sono il gruppo più a rischio di infezione e complicanze annesse  rispetto a tutti quelli analizzati;

Fattori di rischio comuni tra covid-19 e carcinoma prostatico

In conclusione sembra importante anche il ruolo degli androgeni in ambedue le condizioni: se infatti questi da una parte hanno un ruolo nella risposta all’infezione virale dall’altra il recettore degli androgeni (AR) gioca un ruolo fondamentale nella regolazione della omeostasi prostatica, infatti una disregolazione androgenica o associata al recettore AR è responsabile di carcinoma prostatico. La sorprendente scoperta che rafforzerebbe oltremodo la correlazione deriva proprio da quest’ultima constatazione. Sembra infatti che una disregolazione androgenica sia altresì responsabile di un impatto sul sistema immunitario alterando l’attività delle cellule immunitarie implicate nella lotta contro il virus, rendendosi perciò responsabile di una vera e propria azione immunosoppressiva spianando perciò la strada all’infezione in soggetti con carcinoma prostatico in atto.

Se la correlazione con il sesso maschile appare insindacabile occorre comunque approfondire la vera suscettibilità dei pazienti con carcinoma prostatico a Covid-19 la quale, nonostante le recenti evidenze di sovrapposizione biologica e comorbiditá , necessita comunque di  ulteriori studi a riguardo.

Saro Pistorìo

 

Per approfondire:

 

 

 

Il Coronavirus nel continente Americano: gli ultimi sviluppi

In Italia l’emergenza Coronavirus sembra essersi attenuata. Tuttavia i contagi continuano a crescere a dismisura negli altri paesi.
Il continente Americano è al momento quello più colpito. Oggi infatti l’Organizzazione mondiale della sanità conta quasi 6,500,000 casi.
Di seguito ecco spiegata la situazione nelle nazioni più colpite:

Gli Stati Uniti

Gli Stati Uniti sono il paese più colpito.
I dati OMS aggiornati quest’oggi rilevano un totale complessivo di 3,000,000 casi. Di questi solo 130,000 a Los Angeles.

Dati OMS
Dati OMS

Secondo un’analisi della Johns Hopkins University, nelle ultime 24 ore, si sono registrati 66.528 nuovi casi, facendone degenerare l’andamento.

Questi dati preoccupano anche il presidente Trump che per la prima volta si mostra i pubblico indossando la mascherina. In questi mesi infatti si era dimostrato diffidente nei confronti dei dispositivi di protezione personale.
Recentemente però ha visitato, poco lontano dalla Casa Bianca, l’ospedale militare Walter Reed a Bethesda nel Maryland indossando la mascherina insieme ai membri del suo staff.

Il Brasile

In Brasile si registrano 1,800,827 casi in totale. Soltanto venerdì 1.214 decessi e 45.048 contagi.

Dati OMS

Il presidente Bolsonaro si era fin da subito opposto ad ogni forma di lockdown, negando la pericolosità del virus.
Martedì scorso ha annunciato di aver contratto il virus e adesso sui social afferma di stare bene grazie alla cura fatta con idrossiclorochina. Tuttavia si dubita fortemente che egli abbia contratto il virus, e ancor più che la sua cura funzioni.
Intanto il Brasile sta vivendo una profonda crisi interna, dovuta al crollo del Pil.

Il Perù

Al contrario del Brasile, il Perù non ha minimamente sottovalutato l’emergenza e il suo presidente, Vizcarra, ha attuato fin da subito diversi provvedimenti. Il Lockdown è iniziato a marzo ma la fascia di popolazione più povera è stata aiutata, fornendo sostegno in cibo e denaro.

Dati OMS

Tuttavia non è stato abbastanza: ad oggi i casi sono più di 300.000, con una media di 8 mila al giorno.
Il sistema sanitario è crollato molto presto.

Il Cile

Anche in Cile si contano poco più di 300.000 casi.

Dati OMS

Il lockdown sta colpendo pesantemente l’economia interna, scendo crescere di molto il tasso di disoccupazione. La popolazione ha risposto scendendo in piazza a protestare e le violenze sono state affrontate dalle forze di polizia in uno scontro diretto.
Durante un discorso sulla tv nazionale il presidente Sebastián Piñera ha ammesso che il paese non è pronto ad affrontare un’emergenza simile.
Numerosi membri del governo sono stati posti in quarantena dopo essere stati in contatto con dei parlamentari risultati positivi al virus.

Il Messico

Il Messico invece conta un totale di 289,000 casi, con 7.280 nuovi casi nelle ultime 24 ore, secondo i dati del ministero della Salute.

Dati OMS

Angela Cucinotta

Luciana Lamorgese lancia l’allarme: rabbia sociale come conseguenza della crisi

Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese interviene sui temi più discussi del momento e lo fa ad Agorà Estate su Rai 3 e lancia l’allarme della “rabbia sociale” come conseguenza della crisi economica dovuta alla chiusura del paese e afferma: “Il rischio è concreto, a settembre vedremo l’esito di questa crisi che ha colpito le aziende. Vediamo negozi chiusi, cittadini che non hanno la disponibilità di provvedere ai propri bisogni quotidiani. Il Governo ha posto in essere tutte le iniziative per andare incontro a queste necessità. Il rischio però è concreto. Vedo oggi un atteggiamento di violenza verso le nostre forze di polizia, a cui deve andare il ringraziamento di tutti gli italiani. Le forze di polizia tutelano l’ordine democratico e tante volte non viene inteso in questi termini’’ e continua dicendo “comportamenti violenti nei confronti di chi ci tutela sono assolutamente da condannare”. Si esprime in merito anche alle misure per fronteggiare l’emergenza, e pone come obiettivo “del governo evitare il crearsi di nuovi focolai”. Non esclude neppure l’arrivo di nuovi contagi:  “Non possiamo ignorare la possibilità di un ritorno del virus, come la comunità scientifica ci sta purtroppo dicendo, ma proprio per questo i nostri atteggiamenti devono essere ancora più responsabile perché dobbiamo evitare un nuovo lockdown: con il nostro comportamento dobbiamo essere responsabili e contenere un eventuale nuovo focolaio a ottobre”

Il ruolo europeo sui migranti

Papa Francesco nel corso della celebrazione della messa nella cappella di Casa Santa Marta, in occasione dei sette anni dalla sua visita a Lampedusa dell’8 luglio 2013, ha denunciato infatti come con la Libia “ci dà una versione distillata, non immaginate l’inferno che si vive lì, nei lager di detenzione “. Il ministro ha voluto commentare dicendo “Mi colpiscono sicuramente, però vorrei dire che già parecchi giorni fa ho scritto al ministro degli Esteri Di Maio, che mi ha risposto prontamente, sull’esigenza di procedere ai corridoi umanitari a livello europeo per liberare i campi di detenzione in Libia”. Ed sottolinea che l’argomento non sarà sottovalutato “in questo semestre di presidenza tedesca. Spero che questo semestre possa dare un segnale di vicinanza dell’Europa di tutti e 27 i Paesi membri su questo tema. L’Italia e gli altri Paesi” del Mediterraneo “non possono essere lasciati soli”.

Vertice posticipato

E’ stato invece rinviato al pomeriggio di martedì 14 luglio il vertice di maggioranza (Leu-Pd-Iv-M5S) al Viminale con col ministro Lamorgese sulla revisione dei decreti Sicurezza a causa dei lavori dell’aula alla Camera.

Paola Caravelli

Coronavirus e gruppo sanguigno: un’analisi del genoma per capire meglio la loro correlazione

Dopo aver passato la prima parte di 2020 quasi totalmente in lockdown, stiamo imparando a convivere con il virus e contemporaneamente stiamo conoscendo la sua storia e le sue caratteristiche.  È recente la notizia del riscontro di tracce del suo RNA nelle acque di Milano e Torino già a dicembre (per saperne di più clicca qui).Ma abbiamo mai pensato che un indizio potrebbe essere celato nel DNA delle nostre cellule? Chissà se anche l’infezione da Coronavirus SARS-CoV-2 colpisce preferibilmente pazienti con determinate mutazioni?

Molte patologie dell’uomo, infettive e non, sono correlate ad una predisposizione genetica. La mutazione di un gene, ereditata dai genitori o successivamente acquisita, può rendere un individuo più suscettibile ad una determinata malattia. Pensiamo, ad esempio, alle malattie autoimmuni che sono spesso associate all’espressione di un particolare aplotipo del complesso maggiore di istocompatibilità (HLA, Human Leukocyte Antigen).
Un gruppo di ricercatori europei, spinto dalla voglia di conoscere a 360° SARS-CoV-2, ha eseguito uno studio di associazione sull’intero genoma (GWAS, dall’inglese genome-wide association study). Si tratta di un particolare tipo di indagine eseguita in epidemiologia genetica con lo scopo sequenziare il genoma dei partecipanti per individuarne differenze e somiglianze.

Come si è svolta l’indagine?

Sono stati reclutati 1980 pazienti affetti da covid-19 diagnosticata mediante la ricerca tramite PCR dell’RNA di SARS-CoV-2 sui tamponi nasofarigei. Le nazioni coinvolte sono state le due più colpite dalla pandemia in Europa, almeno nei primissimi mesi, ovvero Italia e Spagna. Sono stati scelti pazienti ricoverati in terapia intensiva o nei normali reparti che hanno sviluppato insufficienza respiratoria, definendo tale evenienza come il ricorso all’ossigeno-terapia o alla ventilazione meccanica almeno una volta durante la degenza. Inoltre si è fatto un raffronto dei dati ottenuti con quelli di un gruppo di controllo di 2381 italiani e spagnoli, scelti tra donatori di sangue e volontari sani, di cui solo 40 avevano sviluppato anticorpi anti-coronavirus.

Dopo l’estrazione del DNA, la fase investigativa ha portato all’analisi di circa 9 milioni di polimorfismi di singolo nucleotide (SNP), sia nella coorte italiana che in quella spagnola.
I risultati ottenuti hanno dimostrato una frequenza maggiore di mutazioni in due loci genici: il primo sul braccio corto del cromosoma 3, l’altro su quello lungo del 9.

Locus 3p21.31

Questo locus comprende sei geni che potrebbero avere un’azione rilevante nella patogenesi della Covid-19. Il principale indiziato è SLC6A20 codificante per un cotrasportatore sodio-prolina che interagisce con il recettore ACE2, proprio il recettore di SARS-CoV sulla superficie cellulare. Inoltre altre proteine potenzialmente mutate in relazione allo stesso locus sono recettori per le chemochine, come CXCR6. Questo peraltro regola l’azione dei linfociti della memoria T CD8 residenti nel polmone contro i patogeni aerei.

Locus 9q34.2

Veniamo alla curiosità che ha destato più sorpresa dello studio. Il locus individuato sul cromosoma 9 è quello in cui si trovano i geni per gli antigeni del sistema principale dei gruppi sanguigni, ovvero AB0. Facciamo un piccolo off topic per capire il suo significato. I soggetti di gruppo sanguigno A sono quelli che esprimono sulla membrana plasmatica dei globuli rossi solo l’antigene A, mentre il gruppo B è determinato dall’antigene B. Coloro con gruppo AB presentano entrambi gli antigeni ed infine 0 (zero) indica l’assenza di antigeni sulla membrana degli eritrociti.

I risultati dicono che tra i partecipanti allo studio la maggioranza presentava gruppo sanguigno A, definito come un fattore di rischio che aumenta del 50% circa la possibilità di trattamento intensivo. Invece avere gruppo 0 assume addirittura il ruolo di fattore protettivo per forme critiche di Covid-19. Difatti i pazienti affetti da Covid-19 con gruppo sanguigno 0 raramente necessitano di ventilazione od ossigeno. Del resto anche in Cina ad inizio pandemia si erano resi conto che il nuovo coronavirus colpiva in prevalenza il gruppo A, ma non avevano approfondito ulteriormente.

Quali saranno i risvolti positivi di questa scoperta?

Sicuramente le informazioni acquisite con l’analisi genomica avranno un vantaggio non indifferente nella stratificazione del rischio nella popolazione. Potremmo infatti così individuare i soggetti suscettibili a complicanze più gravi della Covid-19 ed organizzare campagne di prevenzione rivolte nei loro confronti.

È importante ribadire che i risultati dello studio non indicano che chi ha gruppo A ha un rischio maggiore rispetto agli altri di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2. Piuttosto ci dicono che se sono di gruppo A e contraggo il coronavirus ho una probabilità maggiore di sviluppare una polmonite più aggressiva.
Comunque il meccanismo biologico con cui il gruppo sanguigno A influenzi negativamente l’infezione da coronavirus non è stato del tutto chiarito. Spetterà a nuove ricerche investigare in questo settore per sviluppare magari protocolli diagnostici e terapeutici migliori.

Antonio Mandolfo

 

 

 

Bibliografia

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2020283
https://www.assocarenews.it/primo-piano/ultim-ora/sanita/coronavirus-gruppo-sanguigno
https://www.medrxiv.org/content/10.1101/2020.03.11.20031096v2
https://www.ilpost.it/2020/06/19/gruppo-sanguigno-covid-19-coronavirus/

Coronavirus, il Ministro Speranza valuta il TSO per i trasgressori dell’isolamento

Dopo la rabbia manifestata da diversi governatori delle regioni italiane, che a gran voce e con forza polemica e fattiva, hanno chiesto misure più dure e restrittive per impedire che si ripetano casi di rifiuto arbitrario dell’isolamento, anche il Ministro della Salute, Roberto Speranza, sta vagliando l’eventualità del ricovero coatto per tutti coloro che si rifiutano di sottoporsi alla quarantena obbligatoria in caso di contagio.

Dunque, per i trasgressori che mettono a serio rischio l’incolumità di tutti, tolleranza zero.

Il risultato che si deduce dalla lettura degli ultimi dati a disposizione del Ministero della Salute è che il virus circola ancora, finché sarà così non potremo considerare superato il dramma del contagio.

A tal proposito il ministro Speranza ha manifestato grande accortezza: “Lavoriamo ogni giorno perché non si torni mai più al livello di sofferenza di marzo, per questo, su ogni atto, seguo il principio della massima prudenza”.

Nonostante il tema della prudenza evocato dal ministro responsabile della tutela della pubblica, perdura il dubbio circa l’efficacia delle pene per chi trasgredisce alle disposizioni governative atte a garantire il rispetto delle regole.

Oggi, la legge, per una persona positiva al Covid-19 che non resta in isolamento prevede una sanzione penale da 3 a 18 mesi di carcere, ed una multa fino a 5.000 euro.

Speranza ha citato il caso del focolaio di Vicenza “come un comportamento inaccettabile”, al quale è opportuno rispondere con estrema durezza e velocità.
Negli uffici legislativi del Ministero della Salute si sta discutendo concretamente dell’ipotesi di effettuare trattamenti sanitari obbligatori (TSO) nei casi di persone che pur dovendosi curare non lo fanno.

Alla fine del lockdown si è percepito un rilassamento da parte di tutta la popolazione, atteggiamento che, se diffuso, potrebbe esporre il Paese a nuovi rischi in vista della seconda ondata prevista per l’autunno.

“Ho il terrore di vanificare gli enormi sforzi fatti durante il lockdown”, queste le sintetiche ma eloquenti parole del Ministro Speranza.

In tal senso Speranza si è detto orgoglioso dell’incremento delle risorse (3 miliardi e mezzo) sulla sanità attuato dal decreto Rilancio.

Ad essere premiate dalle queste nuove potenzialità finanziarie saranno la rete territoriale e l’assistenza domiciliare, la velocità d’esecuzione dei test, E per l’aumento dei posti in terapia intensiva.

C’è fiducia negli ambienti del Ministero riguardo il rientro in sicurezza nelle classi a settembre, tema che è stato definito dal Governo come “prioritario”.

“La mia proposta è di ricostruire un rapporto organico tra scuola e sanità”, ha detto con convinzione Speranza, che ha poi precisato “ci saranno test sierologici-molecolari sulla popolazione scolastica, un monitoraggio costante”.

Antonio Mulone

Recovery Fund. Ecco cos’è e perché è la chiave dell’intesa UE

Dopo aver parlato nelle settimane precedenti di PEPP e di MES e SURE, adesso è necessario analizzare il Recovery Fund, data l’importanza di effettuare degli investimenti pubblici oculati che permettano una crescita futura del sistema e una sostenibilità del debito pubblico, a fronte del basso tasso d’interesse che dovremo riconoscere in questi anni grazie agli interventi della BCE.

Spesso discusso dai media da quando, lo scorso aprile, il Presidente del Consiglio Conte aveva definito il Recovery Fund come “una parte essenziale nella trattativa con l’UE”, il 27 maggio sono state delineate le basi di questa forma di sostegno economico. La Commissione Europea, con a capo Ursula von der Leyen, ha infatti dato voce ad una proposta da 750 miliardi di euro.

Cos’è il Recovery Fund?

Così come suggerisce il termine stesso, il Recovery Fund è un fondo di recupero per arginare l’impatto devastante del Covid-19, posto a sostegno dei Paesi maggiormente colpiti.

Ancor prima della proposta UE alcuni Paesi, tra cui Francia e Germania, avevano avanzato una prima proposta sul fondo di recupero, prevedendo concessione di denaro a fondo perduto, cioè denaro da non restituire, interessi a parte.

Tuttavia, per i Paesi più solidi dell’UE, tra cui Olanda, Austria, Danimarca, Svezia, ma anche dalla stessa Commissione, il recovery fund non avrebbe dovuto prendere le sembianze di contributi a fondo perduto ma di finanziamenti. Questo perché, altrimenti, si creerebbe un rischio di “debito perpetuo” europeo.

Infatti, è stato designato come un fondo con il compito di emettere Recovery Bond, con la garanzia del bilancio UE 2021-2027 che proprio per questa occasione aumenterà la propria portata, cioè verranno inserite delle imposte comunitarie come la carbon tax e la web tax per raccogliere maggiori risorse. Si tratta di condividere il rischio guardando il futuro, senza mutualizzare il debito passato.

Com’è finanziato?

Il Recovery Fund riceve i fondi grazie ad una raccolta di liquidità data dall’emissione di Recovery Bond. Una volta ricevute le risorse, queste sono distribuite agli Stati membri. I 750 miliardi di euro saranno suddivisi in 500 miliardi di sovvenzioni e 250 miliardi di finanziamenti, all’Italia dovrebbe spettare il 22,5% di queste risorse poiché è uno dei paesi più colpiti dalla crisi Covid. In termini numerici, all’Italia spetteranno 172 miliardi di euro di cui 90 in prestiti e 82 in sovvenzioni.

Come abbiamo visto la scorsa settimana, MES e SURE sono interventi a breve termine, poiché il loro utilizzo dovrebbe essere quello di potenziare le strutture sanitarie e di erogare i sussidi di disoccupazione per i lavoratori che maggiormente soffrono la crisi. Il Recovery Fund, invece, al contrario di Mes e Sure, guarda più a lungo termine. Infatti, il Recovery Plan che bisogna presentare per ottenere tali fondi deve prevedere un progetto di importanti investimenti in infrastrutture, innovazione e ricerca.

In termini semplici, se l’Italia decidesse di spendere questi fondi in una nuova Quota 100 – ovvero in pensionamenti anticipati – non potrebbe accedervi. Questi fondi devono essere spesi per investimenti che stimolino fortemente la crescita economica, investimenti in infrastrutture, potenziamento del sistema d’istruzione; pensate se ci fossero delle autostrade nuove e senza interruzioni, significherebbe non solo maggiore sicurezza ma anche più facilità e tempi brevi nel trasporto di merci e persone.

Perché è così importate stimolare una costante crescita economica?

Dopo aver esaminato il quadro completo, è possibile addentrarsi in un’analisi più specifica. Da sempre si parla del problema del debito pubblico italiano, come ben sappiamo elevatissimo, con la possibilità di raggiungere quasi il 160% del PIL a seguito di questa crisi. Ma l’importante, secondo gli economisti, non è il livello del debito pubblico sul PIL, quindi il numeratore, ma la sua tendenza, cioè se questo numero tende a diminuire o ad aumentare ancora; da cosa vediamo questa tendenza? Dalla differenza tra il tasso d’interesse pagato sul debito e la crescita del PIL.

Il progetto del Recovery Fund è ancora lontano dall’essere totalmente definito nella sua interezza, ma l’opinione comune dei Paesi è potersi rialzare grazie a strumenti solidi e duraturi in un’ottica di lungo periodo.

Contenuto realizzato in collaborazione con Starting  Finance

Rossana Arcano
Marco Amato

 

Sars-Cov-2 nelle acque reflue di Milano e Torino da Dicembre 2019: studio in fase di pubblicazione

Secondo le varie fonti scientifiche i primi casi di Covid-19 si sono verificati in Cina tra ottobre e novembre 2019, per poi aumentare esponenzialmente intorno agli inizi di gennaio e diffondersi nel resto del mondo.
Ma è proprio questo il nodo cruciale: quando esattamente è iniziato il contagio negli altri Paesi?
Si sarebbe potuto evitare?
Il sospetto che il nuovo coronavirus fosse arrivato nel nostro Paese prima del famoso “paziente zero” ha più volte sfiorato le menti dei ricercatori, ma all’atto pratico ancora nessuno è riuscito a venire a capo di questo enigma.
Una risposta potrebbe arrivare dallo studio della presenza del virus nelle acque reflue di alcune delle città più colpite.

Lo studio

Tra i primi a effettuare queste analisi sono stati i ricercatori spagnoli, con il prelievo e lo studio delle acque reflue di due impianti di trattamento di Barcellona.
I risultati dimostravano la presenza di materiale genetico del Sars-Cov-2 già in campioni risalenti al 12 marzo 2019. Se la scoperta si rivelasse attendibile, potrebbe essere molto utile per tracciare il percorso che il virus ha seguito nella sua diffusione.
Questo vorrebbe inoltre dire che molti contagiati avrebbero potuto avere i sintomi della Covid-19 ma essere scambiati per semplice influenza.
Casi passati in sordina ma che adesso potrebbero pesare come macigni.

Veniamo a noi

Secondo uno studio in fase di pubblicazione, nelle acque reflue di Milano e Torino sono state ritrovate tracce del virus a dicembre 2019.
Lo studio ha previsto l’analisi di alcuni campioni prelevati tra dicembre 2019 e gennaio 2020 e altri di controllo, prelevati in un periodo antecedente al presunto inizio della pandemia.
I risultati, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati nelle suddette città, così come a Bologna.
Nelle stesse città sono stati trovati campioni positivi prelevati nei mesi seguenti, mentre i campioni di ottobre e novembre 2019, come pure tutti i campioni di controllo, hanno dato esito negativi.

Le dichiarazioni dei ricercatori

“Dal 2007 con il mio gruppo portiamo avanti attività di ricerca in virologia ambientale e raccogliamo e analizziamo campioni di acque reflue prelevati all’ingresso di impianti di depurazione” spiega Giuseppina La Rosa del Reparto di Qualità dell’Acqua e Salute del Dipartimento di Ambiente e Salute dell’Istituto Superiore di Sanità, che ha condotto lo studio in collaborazione con Elisabetta Suffredini del Dipartimento di Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità pubblica veterinaria. “Lo studio – prosegue La Rosa –  ha preso in esame 40 campioni di acqua reflua raccolti da ottobre 2019 a febbraio 2020, e 24 campioni di controllo per i quali la data di prelievo (settembre 2018 – giugno 2019) consentiva di escludere con certezza la presenza del virus. I risultati, confermati nei due diversi laboratori con due differenti metodiche, hanno evidenziato presenza di RNA di SARS-Cov-2 nei campioni prelevati a Milano e Torino il 18/12/2019 e a Bologna il 29/01/2020

Questo cosa comporta?

Ovviamente il ritrovamento del virus non implica che le catene di trasmissione principali che hanno portato all’epidemia nel nostro Paese si siano originate proprio da questi primi casi.
Adesso non è ancora il momento delle certezze, tuttavia, una rete di sorveglianza sul territorio può rivelarsi preziosa e questo studio che è stato condotto ha posto le basi per mettere in atto degli interventi di controllo dell’epidemia.
Come afferma Luca Lucentini, direttore del Reparto Qualità dell’Acqua e Salute “Passando dalla ricerca alla sorveglianza sarà indispensabile arrivare ad una standardizzazione dei metodi e dei campionamenti poiché sulla positività dei campioni incidono molte variabili quali per esempio il periodo di campionamento, eventuali precipitazioni metereologiche, l’emissione di reflui da attività industriali che possono influire sui risultati di attività ad oggi condotte da diversi gruppi”.
Attendiamo dunque fiduciosi nuovi sviluppi nel campo della ricerca, poiché il tempo al momento è l’unico che potrà dirci in che direzione andrà questa seconda parte del 2020.

Maria Elisa Nasso

Usa, ultime stime Coronavirus: probabili 23 milioni di contagiati

Gli Stati Uniti affermano di star riaprendo in sicurezza e in maniera responsabile, nonostante un’impennata dei casi in alcune aree del sud del Paese.

Lo ha detto il vicepresidente americano Mike Pence, quasi un messaggio inviato a Bruxelles e all’Europa nelle ore in cui la commissione UE sta decidendo se riaprire i propri confini ai turisti americani.

Per Pence l’aumento dei casi è proporzionale al numero elevato di test condotti, tesi condivisa da Donald Trump, smentita solo in parte dagli esperti, perché le stime allarmanti di queste ore dove sarebbero in realtà 10 volte maggiori i contagi negli Usa si basano sui campioni di sangue raccolti su scala nazionale, provette che rivelano la presenza di anticorpi, come spiegato dal Cdc.

Anthony Fauci, il virologo a capo della task force organizzata della Casa Bianca, ha espresso grande preoccupazione per quello che è diventato “un grave problema”, così ha definito il boom di contagi in alcuni Stati.

Le parole arrivano, stridenti, subito dopo la tentata rassicurazione sulla situazione.

“Indossate la mascherina per non diffondere il virus”, ha ribadito con vigore l’epidemiologo Fauci, affinchè venga contrastata la diffusione del Covid.

Tutte alte sfere della Casa Bianca hanno espresso la ferma volontà che il Paese riapra e che l’economia riparta, ma tutto ruota attorno alla grave e destabilizzante possibilità che si possa propagare il virus in modo inconsapevole.

In un suo tweet Donald Trump ha fatto riferimento al tasso di mortalità come “uno dei più bassi del mondo”, richiamando il dato dei decessi da Covid in netto calo.
Il cinguettio è stato poi concluso col solito spirito provocatorio:

 La nostra economia sta ripartendo e non sarà chiusa di nuovo.

Il comunicato social di Donald Trump suona come un monito a quegli stati Usa che, travolti da un’ondata di contagi stanno cominciando a frenare sul ritorno alla normalità.

Le parole del capo della White House sono apparse subito in contrasto con le stime promulgate dal direttore del Centers for Disease Control and Prevention: per ogni caso di Coronavirus accertato ci sarebbero almeno altre dieci persone infette, questo l’allarme lanciato da Robert Redfiled, massima autorità federale in materia di salute pubblica.

Anthony Fauci, il massimo esperto ingaggiato come consulente medico gestionale dal governo americano, ha ammesso che dal punto di vista strategico qualcosa non sta funzionando.

Timore confermato del resto dai numeri usciti questo week-end che ha fatto registrare 400 mila nuovi casi e 2.500 vittime.

Le autorità sanitarie stanno dunque vagliando un nuovo approccio, quello dei “pooltesting”: fare i test su più persone contemporaneamente per individuare più rapidamente i casi di contagio e procedere con il conseguente ed immediato isolamento.

La task force guidata dal VP Mike Pence starebbe lavorando all’abolizione dell’ObamaCare, la riforma sanitaria di Barack Obama ritenuta incostituzionale, con l’amministrazione Trump che ha chiesto alla Corte Suprema americana di cancellarla. Un colpo basso con finalità elettorale, che significherebbe privare dell’assicurazione sanitaria milioni di americani in piena pandemia, quello che è stato definito come un vero e proprio “atto di incomprensibile crudeltà”.

La situazione si fa sempre più drammatica in Florida e Texas, dove sono scoppiati un boom di 9000 nuovi contagi ed oltre 16 mila casi in tre giorni nella zona texana; rimane invece critico il contesto newyorkese, con la metropoli letteralmente in ginocchio.

L’America, apparentemente grande e invincibile, soffre e combatte un nemico invisibile ed un Presidente che pare essere più interessato alle elezioni che alla salute del suo paese.

Antonio Mulone

Dal 1 luglio l’UE riapre le frontiere internazionali. “USA no, Cina forse”: ecco i 15 Paesi “affidabili”

Negli ultimi giorni si è discusso sulla riapertura delle frontiere extra-europee, da cui si è determinata una vera e propria lista dei paesi “sì” contro quelli “no”. I paesi  membri dell’Unione europea si sono riuniti inizialmente giovedì 25 giugno, a Bruxelles, per poi proseguire la riunione il giorno successivo. I 27 hanno dibattuto a lungo sul da farsi, e il tema ancora oggi risulta aperto.

Si stanno ricercando, infatti, criteri comuni, che garantiscano la massima oggettività e si basano su fattori certi, quali i dati epidemiologici. La prima stesura della lista aveva ben visto 54 paesi considerati “positivi” contro 47 considerati “negativi”. Se inizialmente ci si è soffermati sul cercare di non escludere quei paesi che per varie ragioni, economiche e turistiche, occupano un posto “privilegiato”, l’Italia ha invece optato per un atteggiamento più prudente, che considerasse altri aspetti e non solo “quelli strategici”nelle stesura delle liste.

No a riduzione e stop dei voli notturni", la sentenza a Ciampino ...

A favore di quanto appena detto sono prevalsi tre indicatori:

  • un tasso di nuovi contagi ogni 100 mila persone nelle ultime due settimane non superiore a 16,1, che è la media europea;
  • un trend di questi contagi decrescente o per lo meno non in crescita;
  • un indice di affidabilità del sistema sanitario di X paese superiore a 57.

Quest’ultimo è il criterio su cui si è dibattuto di più. Più precisamente questo indice di “affidabilità” varia su una scala da  1 a 100 (parametri stabiliti dall’International Health Regulations dell’Organizzazione Mondiale della Sanità), e misura la capacità di affrontare da parte di ciascun paese “emergenze sanitarie di rilevanza internazionale”. In sintesi, questo indice valuta il numero dei medici in rapporto alla popolazione, numero dei posti letto in ospedale e terapia intensiva, norme preventive in rigore, qualità delle cure e così via fino ad ottenere un punteggio medio di 57.

La determinazione di questi criteri per valutare in maniera oggettiva la possibilità di entrare a far parte della lista, ha condotto ad un restringimento considerevole degli iniziali 54 paesi considerati “buoni”. In conclusione sono solo 15 i paesi che attualmente rientrano nei criteri stabiliti.

L'Ue riapre a macchia di leopardo dopo il lockdown

Algeria, Australia, Canada, Georgia, Giappone, Montenegro, Marocco, Nuova Zelanda, Ruanda, Serbia, Corea del Sud, Thailandia, Tunisia e Uruguay sono i superstiti che dall’1 luglio potranno riaprire le frontiere.

Un discorso a parte è fatto per la Cina. Quest’ultima che dichiara tasso di contagio 0 è un caso speciale, poichè avrà il via libera solo se farà altrettanto con gli europei ( al momento non previsto). Come possiamo vedere non rientrano nella lista gli Stati Uniti, la Russia, il Brasile, l’Israele. Un duro colpo questo, come dichiarato dal New York Times

“questa prospettiva, secondo la quale gli americani sarebbero nell’elenco degli “indesiderati”, come russi e brasiliani, è un duro colpo per il prestigio americano alla gestione dell’emergenza negli Usa da parte del presidente Trump”.

L’America, infatti, è attualmente il paese con i tassi di mortalità e contagio maggiori.

Ovviamente le liste non sono definitive, ma verranno costantemente riviste ogni due settimane qualora si registrassero dei miglioramenti. E’ giusto sottolineare che ancora l’accordo definitivo non c’è stato, e come in ogni caso la gestione delle frontiere  rimane prerogativa degli Stati. Ogni paese, infatti, ha nelle sue possibilità quella di chiudere le frontiere ai cittadini di un altro paese che rientra nella lista dei “buoni”. Allo stesso tempo però tutti i 27 paesi non accetteranno arrivi di cittadini  provenienti dalla “lista cattiva”

Eleonora Genovese