Un anticorpo monoclonale per la lotta al coronavirus

Recentemente la corsa al vaccino anti-SARS-CoV2 sembra aver ricevuto un’accelerata decisiva: in studi di fase tre, i due sieri delle case farmaceutiche americane Pfizer e Moderna sono risultati efficaci in più 90% dei casi. Ma, oltre al vaccino, ci sono altre vie che ci potranno aiutare ad uscire una volta per tutte da questa pandemia globale? La risposta è sì: il 28 ottobre è stato pubblicato sul New England Journal of Medicine uno studio sull’utilizzo dell’anticorpo monoclonale LY-CoV555 (sempre di una casa farmaceutica americana, Ely Lilly). Questo riuscirebbe a ridurre l’ospedalizzazione dei malati Covid dal 70 al 90%.

Sede centrale di Eli Lilly ad Indianapolis (USA)

Prima di tutto: cos’è un anticorpo monoclonale?

Gli anticorpi o immunoglobuline sono glicoproteine prodotte normalmente dei nostri linfociti B, attivati a plasmacellule, in risposta all’incontro con antigeni patogeni. Gli anticorpi monoclonali hanno lo stesso obiettivo, ma li produciamo in laboratorio attraverso metodiche di ingegneria genetica.

Si tratta di una tecnologia nuova? No, tutt’altro. Dobbiamo la loro scoperta a Georges Koheler e Cesar Milner, che nel 1984 vinsero il Nobel per la medicina. La prima tecnica utilizzata per produrli è stata quella dell’ibridoma, che sfrutta cellule di origine murina e conta una serie di passaggi:

  1. Immunizzazione del topo attraverso l’iniezione dell’antigene verso cui vogliamo produrre gli anticorpi.
  2. Prelievo delle plasmacellule murine dalla milza.
  3. Fusione di queste cellule con cellule neoplastiche in coltura: si ottiene una cellula detta ibridoma, che produce una quantità elevata del nostro anticorpo.
  4. Quindi moltiplicazione dell’ibridoma in coltura.

Oggi esistono anticorpi monoclonali totalmente umani, così da superare completamente il rischio di immunogenicità.

Tipologie di anticorpi monoclonali in base alla composizione prevalentemente murina o umana

 

Alcuni esempi

Prima di parlare dello studio che ha dimostrato l’efficacia di LY-coV555 nei pazienti affetti da Covid-19, vediamo alcuni degli anticorpi monoclonali oggi utilizzati.

  • Omalizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro le IgE, ovvero le immunoglobuline coinvolte nelle reazioni allergiche. È indicato nel trattamento dell’asma allergico grave e dell’orticaria, quando le altre terapie non si sono dimostrate valide per il controllo della malattia.
  • Trastuzumab, anch’esso un anticorpo umanizzato, è rivolto contro il dominio extracellulare del recettore HER-2, utilizzato nei carcinomi mammari che lo iper-esprimono. Il settore oncologico è probabilmente quello in cui gli anticorpi monoclonali stanno portando le migliori innovazioni.
  • Infliximab è invece un anticorpo chimerico, il suo bersaglio è il fattore di necrosi tumorale e la FDA (Food and Drug Administration) lo ha approvato per alcune malattie autoimmuni, come il morbo di Crohn, la colite ulcerosa, la spondilite anchilosante, la psoriasi e l’artrite psoriasica.

Altro esempio è il Tocilizumab: questo agisce da immunosoppressore bloccando l’azione di una delle citochine chiave della risposta infiammatoria, ovvero l’interleuchina 6 (IL-6). È il gold standard nell’artrite reumatoide e, nel mese di aprile ad inizio della pandemia, era stato utilizzato con discreti risultati anche per il trattamento di alcuni pazienti affetti da Covid-19.

Il trial sull’anticorpo monoclonale LY-CoV555

LY-CoV555 ha un meccanismo d’azione molto semplice da spiegare, si tratta di un potente anticorpo anti-spike. Lega ad alta affinità il dominio della spike di SARS-CoV-2 che gli permette di penetrare nelle nostre cellule e lo neutralizza.

https://www.dailymail.co.uk/sciencetech/article-8285333/Antibody-prevents-COVID-19-virus-infecting-human-cells.html

Il trial della Ely Lilly ha coinvolto 452 pazienti provenienti da 41 centri degli Stati Uniti, tutti testati positivi al nuovo coronavirus e presentanti sintomi lievi o moderati. La popolazione in studio è stata suddivisa in due bracci: uno riceveva un’infusione endovenosa di LY-CoV555, mentre l’altro un placebo. Nel primo braccio possono essere distinti anche tre sottogruppi in base alla dose di farmaco ricevuta, rispettivamente 700 mg, 2800 mg e 7000 mg.

L’outcome primario dello studio era quello di calcolare la variazione della clearance virale all’undicesimo giorno rispetto al giorno dell’infusione. Entrambi i gruppi hanno mostrato un miglioramento, con una diminuzione media di -3,81 nell’intera popolazione dal valore basale. Coloro che avevano ricevuto il farmaco hanno mostrato un maggior decremento del gruppo “placebo”. In questo il sottogruppo ottimale è risultato essere quello con il dosaggio intermedio di LY-CoV555, ovvero 2800 mg.

Quali effetti su ricovero e sintomi? E quali effetti indesiderati?

Per quanto riguarda l’ospedalizzazione, al 29esimo giorno soltanto l’1,6% dei pazienti trattati era ancora in ospedale e di questi la maggioranza aveva un’età superiore a 65 anni ed un BMI superiore a 35, considerati comunque fattori di rischio aggiuntivi. Nel gruppo placebo il tasso di ospedalizzazione alla stessa data era invece del 6,3%.

Ulteriore risultato positivo riguarda i sintomi. Questi sono stati valutati clinicamente mediante uno score: ognuno stimato da 0 (nessun sintomo) a 3 (sintomi severi). Il punteggio totale raggiungibile era di 24 ed i principali sintomi considerati erano: tosse, perdita del respiro, febbre, fatica, mal di gola, mal di testa e perdita dell’appetito. LY-CoV555, a qualsiasi dosaggio, ha dimostrato di ridurre la durata del periodo sintomatico, come evidente nel grafico seguente.

Nel trial non si sono verificati effetti avversi gravi nei pazienti del gruppo “farmaco”, mentre per quanto riguarda gli effetti avversi non considerati gravi questi si sono manifestati nel 22,3%. Il più frequente riportato era la nausea (3,9%), seguita da diarrea (3,2%) e vertigini (3,2%).

Lo studio non ha coinvolto gravi ammalati e solo uno degli arruolati, appartenete al gruppo “placebo”, è finito in terapia intensiva. Altro punto a svantaggio di questa terapia è il costo degli anticorpi monoclonali e, come detto dalla virologa Ilaria Capua in una recente intervista, “è illusorio pensare che questa cura possa arrivare a tutte le persone in pochi mesi”Nel frattempo rispettiamo le regole, utilizzando le mascherine e mantenendo il distanziamento sociale.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://www.infomedics.it/servizi/biotecnologie/la-storia.html

https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2029849

http://www.informazionisuifarmaci.it/omalizumab

Stop allevamenti visoni in Italia. Ecco perché sono considerati pericolosi per la diffusione del Sars-CoV-2

Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato un’ordinanza con cui ha disposto la sospensione delle attività degli allevamenti di visoni su tutto il territorio italiano fino a febbraio 2021. L’obiettivo: ridurre il rischio di ulteriore diffusione del coronavirus.

Ove vi sia una sospetta infezione le autorità sanitarie dovranno disporre «il sequestro dell’allevamento, il blocco della movimentazione di animali, liquami, veicoli, attrezzature e l’avvio di una indagine epidemiologica». In caso di conferma del contagio, i visoni dell’allevamento dovranno essere abbattuti.

(fonte: IlFattoQuotidiano)

Il ministero specifica che «pur essendo il numero degli allevamenti in Italia molto ridotto rispetto ad altri paesi europei si è valutato di seguire il principio della massima precauzione in osservanza del parere espresso dal Consiglio Superiore di Sanità».

La causa di questa decisione deriva dal pericolo di trasmissione tra questi animali e l’essere umano, infatti durante gli ultimi mesi sono state numerose le segnalazioni di avvenuti contagi tra i visoni. Sono sei i paesi che hanno comunicato all’OMS di avere rilevato casi di coronavirus tra i loro allevamenti: Paesi Bassi, Danimarca, Svezia, Spagna, Italia e Stati Uniti. La Grecia ha avviato alcune verifiche dopo avere ricevuto notizia di alcune morti sospette. Pochi ma comunque registrati i casi di trasmissione verso gli allevatori. Per precauzione fino adesso sono stati abbattuti milioni di visoni.

I primi contagi nei paesi e la mutazione del ceppo

I primi casi di infezione tra i visoni sono stati rilevati nei Paesi Bassi lo scorso aprile. Le analisi in alcuni allevamenti, adoperati per la produzione di pellicce, avevano portato alla scoperta di casi di trasmissione tra uomo e animale oltre che tra gli operatori negli stabilimenti.

Il governo dei Paesi Bassi optò quindi per l’anticipazione della già programmata chiusura degli allevamenti a marzo 2021. Prevista inizialmente per il 2024 date le difficoltà del settore per garantire la salute degli animali.

Il governo olandese ha anche richiesto l’abbattimento dei visoni negli allevamenti contagiati, garantendo agli operatori l’erogazione di un risarcimento per le perdite.

Tra i paesi europei in cui il problema interessa particolarmente vi è la Danimarca, il secondo più grande esportatore di pelliccia di visone del mondo dopo la Cina. Gli allevamenti nel paese scandinavo, come nei Paesi Bassi, soffrono da diversi anni di una crisi legata alla riduzione della domanda.

Da mesi, il Governo danese ha avviato un esteso programma di analisi e controllo degli stabilimenti: il 4 novembre la prima ministra danese Mette Frederiksen aveva annunciato che tutti i visoni di allevamento del paese (tra i 15 e i 17 milioni di esemplari) sarebbero stati uccisi, in via precauzionale.

(fonte: Euractive Italia)

Nei visoni danesi è stata trovata una nuova variante del virus(“Cluster 5”) che si è rivelata con una sensibilità ridotta ai nostri anticorpi neutralizzanti, tuttavia l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che la mutazione non sarebbe di un’entità tale da rendere inutili i vaccini già sviluppati.

Lo Statens Serum Institut, listituto danese che si occupa di malattie contagiose, ha comunque annunciato che i lockdown e i test di massa hanno probabilmente determinato l’estinzione di Cluster 5.

Coronavirus e animali

Le prime informazioni risalgono agli anni Sessanta, quando, alcuni ricercatori, hanno scoperto che diversi tipi di coronavirus colpiscono anche gli animali, nonostante ancora non si comprendano le dinamiche della trasmissione. La pandemia ha permesso di approfondire tali ricerche. L’attuale coronavirus (SARS-CoV-2) può infettare primati non umani, cani, gatti (e felini in generale), pipistrelli, pangolini, criceti e diverse specie di mustelidi (tra i quali i visoni).

I contagi negli allevamenti se da un lato stanno accelerando il declino dell’economia legata ai visoni, dall’altro costituiscono anche una preziosa occasione per studiare la diffusione del coronavirus tra specie diverse, nonché i rischi annessi per l’uomo. La raccolta di campioni viene condotta sia sui visoni malati, sia su quelli sani, per rilevare l’eventuale presenza di anticorpi; in questo modo si può per esempio comprendere se possano esservi esemplari asintomatici

(fonte: askanews)

I visoni sono molto sensibili al coronavirus perché le membrane delle cellule del loro apparato respiratorio hanno un recettore (ACE2), presente anche in diversi tessuti del nostro organismo, che viene sfruttato dal virus per agganciare le cellule dell’epitelio respiratorio; successivamente il virus inocula il suo materiale genetico (RNA) e, sullo stampo di questo, vengono sintetizzate le proteine dello stesso.

Avendo una versione dell’ACE2 simile alla nostra, possono in alcuni casi essere contagiati da un essere umano, e possono di conseguenza contagiare altri esseri umani.

La diffusione è stata oltretutto accelerata anche dalle condizioni di vita di questi animali, i quali convivono in gabbie piuttosto piccole e affollate.

Il passaggio del virus da uomo ad animale prende il nome di spillover inverso. Con spillover, infatti, si intende un salto di specie che un agente patogeno opera dall’animale all’uomo: in questo caso avviene il contrario.

Date le differenze biologiche tra visone ed uomo, il rischio è quello dell’accumularsi di mutazioni genetiche nell’RNA virale.

Un aspetto da prendere in esame è quello immunologico: infatti potrebbe essere minata l’efficacia del vaccino, soprattutto in virtù del fatto che ve ne sono tre (Pfizer, Moderna, AstraZeneca) quasi arrivati a traguardo.

Inoltre, un eventuale cambiamento genetico potrebbe avere ripercussioni anche sulla immunità conferita dall’avvenuto contagio sull’utilizzo di anticorpi monoclonali in terapia e sulla probabilità di reinfezione.

Ad oggi, comunque, è opportuno precisare, non risulta alcuno studio pubblicato su riviste scientifiche a sostegno di quanto detto, per cui le misure adottate in Italia, seppur prive di riferimento scientifico, hanno il mero valore precauzionale.

La presenza di questo recettore è considerata un valido indicatore per valutare il rischio di contagio, ma ovviamente ogni specie possiede caratteristiche diverse, per cui non tutte patiscono allo stesso modo la presenza del coronavirus, vi possono essere, dunque, animali contagiati ma che non sviluppino poi sintomi a causa dell’infezione.

Le analisi riguardano, infatti, anche gli animali domestici che vivono negli allevamenti e nei pressi, come cani e gatti: nei Paesi Bassi sono stati trovati gatti infetti. Gli studi hanno comunque garantito la non trasmissibilità da parte di questi “animali da compagnia”, a differenza dei visoni, nei confronti dell’uomo.

Fino ad oggi, comunque, sono stati in tutto il mondo circa 20 casi verificabili di gatti risultati positivi al coronavirus e solo uno di questi sembra sia morto; sporadiche invece le segnalazioni di infezioni tra i cani, senza gravi conseguenze.

Per quanto riguarda gli animali allevati per le loro carni, il rischio di contagio sembra estremamente basso: suini e pollame non sono sensibili al coronavirus.

Elena Allegra

Manuel De Vita

Bibliografia:

https://www.alimenti-salute.it/notizia/who-variante-cluster-5-visoni-danimarca

https://www.nationalgeographic.it/scienza/2020/05/un-visone-ha-trasmesso-il-coronavirus-alluomo-ecco-cosa-sappiamo

https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/da-non-perdere/covid-19-e-visoni-cosa-sappiamo-dellultimo-caso-di-spillover-inverso

Regioni ed esperti critici contro l’indice Rt: sempre meno affidabile

Dall’entrata in vigore dell’ultimo DPCM, e dei famosi 21 parametri in base ai quali giudicare la situazione epidemiologica in una data regione, numerosi esperti hanno messo in dubbio l’affidabilità dell’indice RT. Si tratta dell’indice che mostra l’andamento della pandemia e che contribuisce a determinare le chiusure delle regioni. Molti sostengono che i principali problemi dell’indice consistano nella qualità dei dati utilizzati per calcolarlo.

Cos’è l’indice RT

L’indice di trasmissibilità netto (Rt) indica il numero medio di infezioni secondarie generate da una persona infetta in una certa data. Questo significa che il numero ci dice quante persone vengono contagiate da una sola persona, in media, e in un certo arco di tempo.

Chiarisce l’ISS -Istituto Superiore di Sanità- che: se RT dovesse essere pari a 4, in media ogni infetto contagerà quattro persone nel periodo considerato, e queste quattro persone ne contageranno altre quattro a testa nel periodo successivo, se l’indice dovesse rimanere costante.

Un ulteriore indicatore utilizzato per monitorare l’andamento dell’epidemia è invece l’indice R0. Questo secondo indice rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente. Misura dunque la potenziale trasmissibilità di una malattia infettiva prima che vengano inserite misure di contrasto. Quindi:

  • R0 mostra quanto può essere trasmessa una malattia all’inizio della pandemia.
  • RT misura la trasmissione dopo l’introduzione di misure di contrasto.

Per capire come la pandemia si evolverà è dunque importante monitorare le oscillazioni di tali indici.

  • Se ogni persona positiva contagia in media meno di una persona, la pandemia sta rallentando.
  • Se invece l’indice continua a rimanere sopra il valore 1, significa che la trasmissione del contagio è ancora elevata.

Secondo i dati fornitici dall’Istituto Superiore di Sanità: in Italia l’indice RT medio è da tempo sopra il valore 1, ma la notizia buona delle ultime settimane ci dice che è sceso da 1,72 a 1,43.

Ospedale militare di Baggio, Milano (ANSA)
Ospedale militare di Baggio, Milano  fonte: ANSA

Per arrivare a questi numeri servono calcoli che si basano sui dati raccolti ogni giorno dalle regioni: quanti sono i casi sintomatici e quando sono iniziati i sintomi. Qualora i dati forniti dalle regioni siano inaffidabili anche l’indicatore RT sarà inaffidabile. 

Le Regioni fanno muro ai 21 parametri

Diverse sono state le regioni che hanno avanzato la richiesta di riconsiderare i 21 parametri dell’indice RT.

Fronte unito è quello dei governatori che chiedono un incontro con l’esecutivo che potrebbe tenersi domani -giovedì 19 novembre- al fine di pensare a delle modifiche ai 21 indicatori introdotti dal governo.

Questo perché, le regioni sostengono, gli indicatori per definire il colore delle zone “non (sono più) adeguati al monitoraggio attuale”. Preferibile sarebbe invece un sistema semplificato impostato su 5 indicatori proposti dalle stesse Regioni.

I parametri proposti delle Regioni

  • Il primo parametro proposto dalle Regioni è la percentuale di tamponi positivi in rapporto a quelli effettuati;
  • il secondo indicatore è l’Rt, l’indice di trasmissione del virus, calcolato sulla base della sorveglianza integrata dell’Istituto superiore di sanità;
  • Il terzo fattore, di cui si dovrebbe tener conto secondo le Regioni, è il tasso di occupazione dei posti letto totali di terapia Intensiva per pazienti Covid-19;
  • Il quarto elemento è il tasso di occupazione dei posti letto totali di Area Medica per pazienti Covid-19;
  • Infine, ultimo punto, l’attività di controllo sul territorio (contact-tracing, isolamento e quarantena) ed il numero di professionisti impiegabili.

Il lavoro del Governo

Il Governo non ha mancato di ricordare che questi principi scientifici erano stati condivisi e che lo schema non può essere modificato in un momento in cui si è arrivati a superare la soglia delle 700 vittime in un giorno.

Serve una maggiore rete di protezione. La partita per ora si gioca sulla manovra ma si guarda anche avanti, in attesa che si sciolga il nodo del “Recovery fund”.

Come sempre, la tensione tra il governo e le regioni rischia di creare fibrillazioni non solo nella gestione dell’emergenza sanitaria ma anche nel Paese.

@GiuseppeConteIT
@GiuseppeConteIT

Nei prossimi giorni si riunirà la cabina di regia e si discuterà anche dell’eventualità di “allentare” la morsa di  alcune provincie, all’interno delle regioni nelle fasce a rischio, qualora l’indice RT registrasse in alcuni territori il valore inferiore a 1.

 

Maria Cotugno

Accordo tra Emergency di Gino Strada e Protezione Civile, si punta al riscatto della sanità calabrese

(fonte: ilfattoquotidiano.it)

Gino Strada e la sua ONG ‘Emergency’ hanno siglato l’accordo con la Protezione Civile nel pomeriggio del 17 novembre, subito dopo le dimissioni precoci dell’ormai ex-commissario Gaudio.

Eugenio Gaudio, medico ed ex rettore dell’università Sapienza di Roma, ha rassegnato le dimissioni un giorno dopo essere stato designato come commissario per la sanità della Regione Calabria lo scorso 16 novembre. “Per motivi di famiglia”, spiega a Repubblica, “Mia moglie non desidera trasferirsi a Catanzaro e vorrei evitare una crisi familiare”.

L’accordo mira alla gestione dell’emergenza sanitaria che affligge la Calabria ormai da anni, ma che si è intensificata per via del Covid.

Inizieremo domani mattina a lavorare a un progetto da far partire al più presto

ha scritto Strada, fondatore dell’ONG, sul proprio profilo Facebook la sera del 17 novembre.

Sembra che il governo Conte-bis, dopo due buchi nell’acqua (di cui abbiamo parlato qui), sia riuscito a soddisfare i desideri dei cittadini (e di parte della sinistra) che vedevano il filantropo al centro della gestione emergenziale in Calabria.

E’ infatti risaputo che il sistema sanitario della regione si trovi al collasso a causa di debiti e corruzione, per cui la vera sfida del fondatore di Emergency sarà – oltre alla battaglia contro il coronavirus – quella di restituire dignità alla sanità della regione.

Parole dure da destra a sinistra

Di diverso avviso sarebbero gli esponenti di destra profondamente critici della figura di Gino Strada, tra cui spicca il presidente della regione Nino Spirlì, che nella trasmissione di Radio 24 ‘La Zanzara’ ha rivolto parole durissime nei confronti della possibilità di un nuovo commissario: “Non arriva la nomina di Strada perché dovranno passare sul mio corpo per fare le nomine, non abbiamo più bisogno di commissari”.

Anche Matteo Salvini, leader di Lega Nord, ha espresso la propria opinione su Twitter, incoraggiando che la scelta ricadesse sul professor Pellegrino Mancini, responsabile per i trapianti della regione Calabria.

Diamo ai calabresi la dignità di gestire il loro presente, la loro salute e il loro futuro.

Successivamente ha richiesto le dimissioni del Ministro Speranza tramite Twitter.

Via Cotticelli, via Zuccatelli, ora via anche Gaudio. Attendiamo se ne vada anche Speranza.

Tra lo scetticismo degli esponenti di destra e le proteste dei sindaci calabresi – che hanno manifestato la volontà di recarsi a Roma per mettere fine ad un commissariamento lungo più di dieci anni -, altri hanno invece espresso tutto il proprio sostegno al progetto di Strada.

Andrea Scanzi, giornalista, ha definito sulla propria pagina Facebook il filantropo come “una delle persone più oneste, appassionate e competenti di questo Paese”, tessendone le lodi in un lungo post e non perdendo l’occasione per sbugiardare alcune voci sul suo conto che lo ritrarrebbero come un “comunista” (in senso dispregiativo).

Chi è davvero Gino Strada

Originario di Milano, è un medico, filantropo ed attivista fondatore dell’ONG ‘Emergency’ che dal 1994 si occupa della riabilitazione delle vittime della guerra e delle mine antiuomo.

(fonte: globalist.it)

Tra il 1989 e il 1994 vive diverse esperienze come medico di guerra in zone di conflitto come Pakistan, Somalia ed Afghanistan e questo lo spingerà a fondare l’associazione umanitaria assieme alla moglie Teresa (persa nel 2009); ma lo spingerà inoltre a rigettare profondamente il concetto di guerra ed avanzare aspre critiche nei confronti di uomini di politica tendenti ad atteggiamenti belligeranti: entrano nel suo mirino figure come Silvio Berlusconi, Enrico Letta, Matteo Renzi, Mario Monti e Giuseppe Conte.

Tuttavia, per difendersi da attacchi che lo ritraevano come un pacifista radicale e moralista, ha espressamente affermato di non essere pacifista – solo contro la guerra.

In attesa di nuovi sviluppi e con una situazione sempre più incontrollabile, Strada sembra essere l’ultima speranza per molti calabresi, mentre altri rimangono disillusi su un possibile miglioramento della situazione.

 

Valeria Bonaccorso

 

Covid-19: ipotesi virus in Italia già da settembre 2019. Si confrontano i dati

(fonte: fondazioneveronesi.it)

Uno studio italiano per la ricerca a favore della prevenzione del cancro ai polmoni ha, inaspettatamente, rivelato dettagli sconvolgenti sul Covid-19. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Tumori Journal” pochi giorni fa e riaprono il dibattito sulle origini del virus e sulla fase iniziale della sua diffusione nel mondo.

Lo screening per il tumore ai polmoni che ha rivelato dettagli sul Covid-19

La Fondazione Airc  (Associazione italiana ricerca sul cancro) ha promosso il progetto “Smile”, per il quale da settembre 2019 a marzo 2020, sono stati reclutati 959 volontari sani per sottoporli a Tac spirale ai polmoni e analisi del sangue.

“Uno studio sostenuto dalla Fondazione Airc, al centro del quale c’è lo screening per il tumore al polmone su persone sane con l’obiettivo di verificare se con la Tac spirale toracica e l’analisi di alcuni marcatori nel sangue, è possibile anticipare la diagnosi di un carcinoma polmonare” ha raccontato Ugo Pastorino, direttore della Struttura Complessa di Chirurgia Toracica dell’Istituto Nazionale Tumori di Milano (Int).

Il lockdown ha fatto interrompere lo screening, ma, nell’attesa, i ricercatori hanno deciso di usare i dati già raccolti. Così, controllando le immagini delle Tac di alcuni dei volontari, sono stati riscontrati deboli segni di lesioni subsolide, scoperti esser compatibili con gli effetti del Covid-19. Questo dettaglio ha spinto gli studiosi ad andare più a fondo.

(fonte: inail.it)

I dati

Nel laboratorio di Siena, è stata, dunque, effettuato il sierologico sui campioni di sangue. 111 sono risultati positivi, 16 all’immunoglobulina G e 97 all’immunoglobulina M. Di questi, la positività di 23 risale a settembre, 27 a ottobre, 26 a novembre, 11 a dicembre, 3 a gennaio e 21 a febbraio. I positivi provengono da 13 regioni italiane diverse, ma la metà dalla Lombardia, seguita da Piemonte, Lazio, Emilia-Romagna, Toscana, Veneto. 6 sono risultati positivi anche agli anticorpi neutralizzanti il virus, 4 dei quali già a inizio ottobre.

Perciò i sintomi dell’infezione, non così espliciti, hanno in molti casi fatto pensare ad un’influenza o un banale raffreddore. I primi campioni con positività risalente a settembre appartengono ad abitanti del Veneto (3), Emilia Romagna (1), Liguria (1), Lombardia (2) e Lazio (1). Dalla fine di settembre il 56,5% dei campioni sono della Lombardia (13), seguita da Veneto (3), Piemonte (2), e 1 ciascuno in Emilia Romagna, Liguria, Lazio, Campania e Friuli Venezia Giulia. Gli altri soggetti con anticorpi per il virus sono persone della Sardegna, Sicilia, Toscana, Val d’Aosta e Puglia. Due i picchi di positività riscontrati: il primo tra la fine di settembre e tra la seconda e terza settimana di ottobre; il secondo nella seconda settimana di febbraio.

Covid-19 in Italia già da settembre 2019, ma i dati sono attendibili?

Lo studio ora apre, però, una contraddizione con altre ricerche, comprovanti il passaggio del Sars-Cov2 dall’animale all’uomo ad ottobre 2019, quindi un mese dopo rispetto agli anticorpi più “vecchi” riscontrati, dimostrando che il virus ha iniziato a circolare in Italia in modo asintomatico, molto prima che venisse identificato il famoso Paziente 1, Mattia, a febbraio a Codogno.

“Già da novembre 2019, molti medici di medicina generale hanno iniziato a segnalare la comparsa di gravi sintomi respiratori in persone anziane e fragili con bronchite bilaterale atipica, che è stata attribuita, in assenza di notizie sul nuovo virus, a forme aggressive di influenza stagionale” si legge nello studio.

Le date fornite da molte indagini sarebbero a rischio confutazione, come quella indicata da uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità, realizzato sull’analisi delle acque di scarico, raccolte prima che il virus si manifestasse esplicitamente in Italia. Anche i Giochi Mondiali militari, svoltisi in Cina ad ottobre 2019, i quali sono stati al centro di numerosi sospetti, sembrerebbero, alla luce di ciò, passare in secondo piano come prova utile alla ricostruzione delle prime fasi.

Il parere degli esperti

Per alcuni dottori ed esperti del settore, c’è da considerare la considerevole “imprecisione” del test sierologico.

Dottor Galli (fonte: ilfattoquotidiano.it)

Questo produce falsi positivi, come emerso da mesi di utilizzo, dimostrando positività anche nel caso di contatto con altri coronavirus. E’ stato, inoltre, provato che alcune persone sviluppano gli anticorpi contro Sars-CoV2 dopo essere state infettate da un altro coronavirus responsabile di raffreddori. Ciò renderebbe la positività dei volontari per lo studio, un dato potenzialmente inutile. Massimo Galli, direttore di Malattie infettive del Sacco di Milano, crede veramente difficile pensare che il virus sia così “vecchio”, non spiegandosi l’assenza di focolai prima di marzo e considerata l’esplosività del virus, che “quando arriva in ospedale fa decine di infezioni se non lo gestisci”. Una cosa è certa: mancano ancora alcuni tasselli e ci vorrà forse molto tempo per ritrovarli e metterli al giusto posto. Inoltre, le difficoltà nel reperire notizie dalla Cina, soprattutto nella fase iniziale della diffusione pandemica, desta sospetti, ma soprattutto crea nuove incertezze potenzialmente dannose per la ricerca sul vaccino.

 

Rita Bonaccurso

Vaccino Pfizer: arriva la firma UE per 300 milioni di dosi, 27 all’Italia. Borse in rialzo e Trump all’attacco

Una luce in fondo al tunnel si è accesa con l’annuncio dell’efficacia al 90% del vaccino prodotto dall’industria farmaceutica americana Pfizer in collaborazione con la società tedesca Biontech.

Sarebbe semplicistico pensare di essere giunti alla resa dei conti nella lotta contro la pandemia. Troppe sono le incertezze intorno all’efficacia e alla possibilità di distribuzione del nuovo vaccino che rendono la soluzione al problema ancora lontana.

Si tratta di un vaccino innovativo, che stimola la risposta genetica nella lotta al virus sfruttando il MRNA. Per tutti i dettagli sulle caratteristiche tecniche del vaccino Pfizer e degli altri vaccini anticovid in via di sperimentazione vi rimandiamo a questo articolo.

Al momento si parla solo di una speranza che, comunque, non ha tardato a suscitare entusiasmo e fervore.
La prima a rispondere positivamente? La borsa.

L’impatto economico dell’annuncio di Pfizer

L’annuncio dell’efficacia del vaccino ha avuto una forte incidenza sui mercati azionari di tutto il mondo: le principali borse hanno registrato un rialzo.
I guadagni, superiori al 5%, hanno coinvolto in particolare il settore del turismo, il settore aereo e quello petrolifero, i grandi sacrificati dal Covid. Si apre invece una fase di discesa per i colossi che hanno trainato l’economia durante tutta la pandemia: a Piazza Affari è il caso di Diasorin, società leader nella produzione di test sul Covid e tamponi; una battuta d’arresto si ripercuote anche su Amazon e Netflix. Lo conferma Equita:

Riteniamo che la notizia abbia risvolti positivi per alcuni settori come petroliferi, finanziari e consumi discrezionali e negativi per healthcare e consumer staples”.

Il Ftse Mib negli ultimi 12 mesi, Borsa Italiana – Fonte: it.businessinsider.com

Secondo gli esperti di Barclays, la banca internazionale britannica, l’eliminazione dei due fattori principali di incertezza, cioè l’elezione del presidente americano e la ricerca di un vaccino, potrebbe provocare una “rotazione settoriale”, dalle obbligazioni e dai beni di rifugio, come l’oro, verso investimenti più rischiosi.

La teoria del complotto di Donald Trump

L’impatto si è fatto sentire, in particolare, negli Stati Uniti d’America, dove l’annuncio ha innescato, all’indomani delle elezioni presidenziali, forti polemiche. Protagonista della scena è Donald Trump che non ha esitato ad utilizzare la notizia del vaccino come un’ulteriore arma di contestazione dell’esito delle elezioni.

Trump sostiene la teoria del complotto su Twitter – Fonte: www.express.co.uk

Il presidente ancora in carica ha accusato la casa farmaceutica statunitense di aver aspettato il risultato delle elezioni per dichiarare l’efficacia di un vaccino che, come confermato dal vicepresidente Mike Pence, sarebbe stato finanziato da lui stesso.
Trump si dichiarerebbe vittima di una cospirazione pianificata da Pfizer: se la notizia fosse stata divulgata prima del tre novembre, Joe Biden non avrebbe avuto alcuna possibilità di conquistare la Casa Bianca. Ne è sicuro Trump Jr., il quale definisce la tempistica dell’annuncio “nefarious”.

Il figlio di Trump sostiene la teoria del complotto – Fonte: www.dailymail.co.uk

Non è la prima volta che la Pfizer si distacca dall’azione del quasi ex presidente. Adesso respinge le accuse e nega di aver ricevuto dei fondi pubblici. A quanto detto dalla casa farmaceutica, la sperimentazione del suo vaccino non avrebbe niente a che fare con l’operazione Warp Speed, l’iniziativa statunitense di collaborazione tra pubblico e privato per lo sviluppo di vaccini, terapie e test diagnostici contro il coronavirus. Lo ha chiarito Kathrin Jensen:

Non siamo mai stati parte di Warp Speed. Non abbiamo mai preso denaro né dal governo Usa né da nessuno”.

Gli unici fondi pubblici utilizzati sarebbero quelli tedeschi versati a Biontech. Pfizer avrebbe invece attinto esclusivamente a fondi privati.

Del resto, sarebbe difficile immaginare una collaborazione tra Trump e la casa farmaceutica: i rapporti erano già da tempo in rotta di collisione, soprattutto dopo la battaglia intrapresa dal presidente, nel luglio del 2018, contro l’aumento del prezzo dei farmaci sostenuto da Pfizer. Di certo all’azienda farmaceutica non mancava una ragione per provare astio nei confronti di Trump: l’annuncio avvenuto dopo le elezioni potrebbe essere, come sostenuto dal presidente, la vendetta di Pfizer? Non abbiamo alcun dato certo né per confermarlo né per smentirlo. Certa e innegabile è però la slealtà di Trump che, pur di portare acqua al suo mulino, sarebbe capace di inventare qualsiasi menzogna: un dato che sembra far crollare la teoria del complotto.

Il vaccino Pfizer in Europa

Nessuna teoria e congettura, invece, in Europa dove, come affermato da Eric Mamer, portavoce dell’esecutivo comunitario, in queste ore l’Ue dovrebbe firmare con Pfizer un contratto per avere 300 milioni di dosi. Il collegio dei commissari dell’Ue ha dato già il via libera a sottoscrivere il contratto.

La distribuzione del vaccino, come spiegato dalla Commissione Ue

avviene sulla base della popolazione di ciascun Stato membro rispetto al totale degli abitanti dell’Ue”.

L’Italia dovrebbe ottenere il 13,5 % della prima tranche di dosi, cioè 27 milioni di dosi, già disponibili fra fine dicembre e inizio gennaio, previsione confermata anche dall’approvazione dell’Ema, l’agenzia europea per i medicinali.

Rassicuranti questi dati che danno l’immagine di una speranza che ha intrapreso la strada della realtà.

Chiara Vita

Vaccini COVID-19: non solo Pfizer, ma necessari tempo e cautela

Immagine tratta da Società Italiana di Farmacologia

Una soluzione semplice ad un fenomeno così complesso, come la pandemia da SARS-nCOV-2, farebbe gola a molti. Il vaccino, talvolta figlio di un profondo scetticismo, ma fondamentale strumento della sanità pubblica moderna, potrebbe permettere di dimenticare un virus che non conosce confini o classi sociali. Ciò garantirebbe un pieno e completo ritorno alla normalità. Ma il vaccino non è affatto una soluzione semplice, al contrario di come si potrebbe pensare: infatti, dietro ogni formulazione farmaceutica, ci sono anni di tentativi e ricerca scientifica. Nonostante gli annunci positivi che si susseguono non si tratterà probabilmente neanche di una soluzione immediata, con buona pace di chi pensava di impostare un conto alla rovescia.

Ad ogni modo, mai come in questo periodo, l’attività di ricerca scientifica e farmaceutica sta convergendo verso lo stesso obiettivo: ovvero il trattamento e la prevenzione dell’infezione da parte del Coronavirus. Sono infatti in corso oltre 3000 studi per il trattamento e la gestione della malattia. Per quanto riguarda la prevenzione si contano undici vaccini in fase finale di sperimentazione e cerca 150 in fase di valutazione preclinica. Stupiscono in particolare gli sforzi che si stanno compiendo per rendere i percorsi di approvazione più rapidi, a fronte dei circa dieci anni normalmente richiesti affinché un farmaco venga messo in commercio.

Sviluppo di un farmaco: come si sta tentando di accelerare il percorso di approvazione

NEJM – Accelerating Development of SARS-CoV-2 Vaccines

Normalmente, come rappresentato nell’immagine, lo sviluppo, la sperimentazione, l’approvazione e la produzione in larga scala di un farmaco richiedono tempi difficilmente compatibili con una pandemia che può sconvolgere la società in tempi, invece, molto brevi. Lo sviluppo preclinico, ovvero quello che si fa in laboratorio, può richiedere, da solo, anni. A ciò si aggiunge lo studio del farmaco sull’uomo (che si articola in tre diverse fasi), l’approvazione da parte degli enti regolatori (FDA in America, EMA in Europa) e la produzione e distribuzione commerciale. Tutto ciò può richiedere normalmente anche più di dieci anni.

Come gestire quindi la pandemia da Coronavirus? Le parole chiave sono idee collaudate, sovrapposizione e anticipazione. Riguardo al vaccino, infatti, tutte le formulazioni si basano su un’idea di base già nota che permette di ridurre la durata della fase preclinica, come vedremo successivamente.

Lo sviluppo clinico, che vien effettuato sull’essere umano, è anch’esso più breve. A ciò si sovrappone, in caso di risultati incoraggianti, un inizio anticipato della produzione in larga scala che permetterà una distribuzione immediata dopo l’approvazione da parte degli enti regolatori. Questi ultimi, una volta conclusi gli studi, possono impiegare anche svariati mesi per approvare definitivamente la commercializzazione: è lecito attendersi che nel caso della pandemia COVID-19 anche tale fase risulterà molto più rapida.

Analizziamo le tappe che hanno condotto alcuni dei vaccini più promettenti ad essere molto vicini all’approvazione e alla successiva commercializzazione.

Moderna: un vaccino ad RNA per sconfiggere il Coronavirus

Uno dei vaccini giunti ad una fase molto avanzata di sperimentazione è quello di Moderna, azienda biotecnologica statunitense. Impegnata dal 2010 nello sviluppo di farmaci e successivamente, dal 2014, nella progettazione di vaccini. L’azienda basa la sua ricerca su particolari molecole. chiamate RNA messaggeri, che entrano all’interno delle singole cellule, rendendole capaci di esprimere delle proteine virali. Il sistema immunitario del paziente riconosce queste proteine , immunizzandosi anche nei confronti del virus.

La tecnologia utilizzata, in studio già da molti anni, ha permesso di ridurre la durata delle fasi precliniche. Dal prototipo prodotto a Febbraio, già a Luglio i primi risultati hanno evidenziato l’effetto positivo del vaccino nel controllare l’infezione in 24 esemplari di macaco rhesus, un primate non umano. Anche i primi risultati su esseri umani sani (fase 1) sono ottimistici, con una risposta immunitaria ottenuta in tutti i partecipanti ed effetti collaterali definiti come moderati o lievi (dolore nel sito di inoculo, mialgie, spossatezza, febbre). Non sono stati segnalati gravi effetti collaterali.

Ad Ottobre è stato completato il reclutamento di 30000 partecipanti per la terza e ultima fase di sperimentazione, i cui risultati preliminari sono attesi in un periodo prossimo. L’approvazione potrebbe avvenire entro la fine del 2020, con una campagna vaccinale che si svolgerebbe nel corso del 2021.

Ad ogni modo l’azienda non ha mai, in passato, ottenuto risultati importanti con la tecnologia ad RNA: il vaccino rappresenterebbe, infatti, il primo successo di Moderna. Le premesse ci sono tutte, attendiamo la conferma da parte dei dati preliminari.

Pfizer & BioNTech: altro vaccino a RNA dai risultati preliminari incoraggianti

Il progetto condiviso tra Pfizer, multinazionale farmaceutica, e BioNTech, azienda biotecnologica tedesca, si concretizza nel mese di Maggio. Nella prima fase clinica vengono messe alla prova due formulazioni contenti RNA messaggeri, sfruttando la stessa strategia biologica di Moderna. I primi risultati hanno identificato nella versione BNT162b2 del vaccino il principale candidato per le fasi successive della sperimentazione. Nel mese di Luglio è stato annunciata l’inizio della fase 3 dello studio clinico che prevedeva il reclutamento di 30.000 partecipanti, successivamente ampliati a 43.000. In seguito alla somministrazione di due dosi di vaccino, si sarebbe dovuto attendere che un numero statisticamente sufficiente di partecipanti si infettasse casualmente col virus per valutarne l’efficacia.

Nel mese di Settembre Pfizer annuncia che dei risultati preliminari significativi si sarebbero avuto entro il mese di Ottobre. L'(ex) presidente Trump sfrutta la notizia affermando che un vaccino sarebbe stato approvato entro il mese di Novembre. Affermazione presto smentita da uno dei responsabili dello studio.

Qualche giorno fa, l’8 Novembre, l’azienda pubblica un’analisi dei primi 94 casi di infezione, di cui soltanto nove su soggetti vaccinati, e 83 su non vaccinati. Questo porta l’efficacia di protezione al 90%, con un numero di casi significativo per presentare i risultati agli enti regolatori per un’iniziale valutazione. Gli effetti collaterali segnalati sono stati soltanto moderati o lievi (mal di testa, dolore al sito di inoculazione, mialgie, o febbre), senza nessun effetto collaterale grave.

Gi enti regolatori, in un periodo di tempo variabile ma auspicabilmente breve, valuteranno in maniera indipendente l’efficacia e il profilo di sicurezza del vaccino. Nel frattempo lo studio proseguirà (fino al 2022) per ottenere dati statisticamente significativi, cosa che potrebbe accadere in breve tempo (servono poco più di 150 infezioni). Il vaccino dovrebbe raggiungere la popolazione nel corso del 2021. L’accordo iniziale prevede una fornitura iniziale di 200 milioni di dosi per l’Unione Europea, 100 milioni per gli Stati Uniti e 120 milioni per il Giappone.

Sfortunatamente i vaccini ad mRNA tendono ad essere instabili, infatti dovrà essere conservato a -70 °C fino al momento prima dell’inoculazione. Questo potrebbe determinare dei problemi logistici, ma si stanno già cercando di costruire delle “catene del freddo” che possano garantire la distribuzione.

AstraZeneca e Università di Oxford: un virus ingegnerizzato che protegge dal Coronavirus

La scienza alla base di questo vaccino, come abbiamo visto già per altri, non è frutto di una scoperta recente ma risale a due decenni fa. Negli anni 2000 gli scienziati della Merck (altra multinazionale farmaceutica) lavoravano ad un vaccino basato su un virus di scimpanzé (nello specifico, un adenovirus). Il progetto fu abbandonato e ripreso proprio ad Oxford, dove fu brevettato allo scopo di sviluppare vaccini in futuro.

Dopo l’isolamento del Coronavirus gli scienziati dell’Università lavorarono fin da subito ottenendo un risultato chiamato ChAdOx1, candidato agli studi clinici. La strategia biologica prevede di rendere innocuo l’adenovirus e modificarlo aggiungendo dei “frammenti” di SARS-CoV-2 che stimolano il sistema immunitario del paziente a produrre una risposta antivirale.

L’università realizza trova la soluzione per lo sviluppo commerciale attraverso un accordo con l’azienda AstraZeneca. Nel mese di Maggio vengono pubblicati i risultati iniziali relativi alla somministrazione del vaccino su scimmie macaco rhesus che dimostrano l’efficacia nel prevenire la polmonite da SARS-CoV-2.

I dati su essere umano non tardano ad arrivare: nel mese di Luglio 2020 vengono pubblicati i risultati dello studio di fase 1/2 su 1077 partecipanti di cui la metà hanno ricevuto il vaccino. C’è la conferma di una risposta antivirale con lo sviluppo di anticorpi (molecole che legano il virus riducendone le capacità infettive) e anche di una risposta cellulare del sistema immunitario.

I risultati sono positivi anche per le persone più anziane, inclusi gli over 70. Questo dettaglio è di fondamentale importanza in quanto la risposta immunitaria è generalmente più facile da ottenere in soggetti giovani.

Lo studio di fase 3 è in corso in varie parti del mondo, con 30.000 partecipanti. Nel mese di Settembre l’azienda ha interrotto tutti i test relativi al vaccino per approfondire un potenziale effetto collaterale insorto in uno dei partecipanti. In studi clinici così estesi non è raro avere delle battute di arresto per effetti avversi. Tuttavia un comitato di scienziati indipendenti ha analizzato l’evento ed è emerso che il volontario aveva ricevuto il placebo. Nel mese di Ottobre tutti gli studi sono ripresi e in attesa dei primi risultati entro il mese di Dicembre.

Già a Giugno l’Italia, insieme a Francia, Germania e Olanda, ha firmato un accordo con AstraZeneca che garantirà 400 milioni di dosi da fornire gratuitamente ai cittadini.

Johnson & Johnson: l’unico vaccino in fase avanzata che prevede una sola dose

Anche la Johnson & Johnson, azienda farmaceutica statunitense, sfrutta un sistema simile a quello di AstraZeneca. Si tratta infatti di un adenovirus ingegnerizzato, il cui sviluppo iniziò già una decade fa da parte dei ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston.

Gli studi iniziali con singola dose su scimmie dimostrano l’immunogenicità del vaccino che garantisce una protezione quasi completa nei confronti dell’infezione polmonare da SARS-CoV-2.

I primi risultati nell’uomo sembrerebbero essere altrettanto promettenti, con una risposta immunitaria potenzialmente efficace già dopo due settimane dalla singola dose.

Nel mese di Luglio inizia la fase 3, che prevede 60.000 partecipanti. Il trial è stato momentaneamente sospeso nel mese di Ottobre e poi successivamente ripreso. L’Unione Europea ha recentemente siglato un accordo per assicurare fino a 400 milioni di dosi di vaccino disponibili.

Una volta approvato il vaccino non otterremo “tutto e subito”

Approvare e commercializzare il vaccino non significherà comunque raggiungere e immunizzare tutta la popolazione in tempi brevi. I problemi sono vari: ci sono, per esempio, limiti logistici relativi alla capacità delle stesse aziende di produrre una sufficiente quantità di dosi in breve tempo. Anche la distribuzione potrebbe essere difficoltosa: basti pensare, come detto prima, alle formulazioni che devono essere mantenute a basse temperature per garantirne la stabilità.

Ci sono anche limiti di natura politica ed economica: non tutti gli stati avranno la capacità di assicurarsi il vaccino in tempi brevi. Inoltre, data per scontata l’efficacia, potrebbero crearsi delle zone nel pianeta in cui la popolazione non avrà la possibilità di essere vaccinata (Paesi più poveri o remoti) che potrebbero fungere da “incubatori naturali” del virus. L’iniziale fase di distribuzione sarà comunque probabilmente dedicata a soggetti fragili e agli addetti ai lavori. Ciò potrà garantire una riduzione della mortalità e dei ricoveri, e contenere il fenomeno dei contagi in ambito ospedaliero e sanitario.

Sarà da valutare anche la durata dell’immunizzazione. Il virus ha infatti un comportamento subdolo e sembrerebbe avere la capacità di reinfettare soggetti che hanno contratto la malattia precedentemente. La scienza dietro ai vaccini ha come obiettivo quello di garantire un’immunizzazione più duratura che possa proteggere almeno per tutta la stagione invernale. I soggetti che hanno ricevuto le dosi nelle prime fasi cliniche sono costantemente monitorati per ottenere dati temporali sull’immunità acquisita.

Altro limite potrebbe essere dettato anche dall’aderenza della popolazione alla campagna vaccinale. A Giugno l’Università Cattolica pubblica uno studio in cui si stima che il 41% della popolazione si dichiara poco o per niente propensa a ricevere una futura vaccinazione. Saranno necessarie campagne di sensibilizzazione al fine di ottenere percentuali di copertura sufficienti a limitare la circolazione del virus.

Sebbene la ricerca medica e farmaceutica sia riuscita a raggiungere traguardi impensabili in periodi di tempo così brevi ad oggi non è comunque possibile fornire date o scadenze certe. Il vaccino rischia di essere strumentalizzato economicamente e politicamente, ma una cosa è certa: soltanto una distribuzione equa che raggiunga l’intera popolazione lo renderà efficace. Nel frattempo, senza farsi troppe illusioni, seguiamo l’evoluzione del fenomeno che ci riserverà sicuramente delle sorprese positive.

Antonino Micari

Visoni e Covid: allarme allevamenti in Italia. La LAV lancia una petizione per la chiusura

fonte: ilmattino.it
Fonte: ilmattino.it

La Lav acronimo di Lega Anti Vivisezione, è un’associazione animalista italiana, scesa in campo negli ultimi giorni mostrando attraverso dei video alcune violazioni delle norme sanitarie in due allevamenti in Lombardia di visoni. Video che non lasciano spazio a interpretazione, centinaia di visoni rinchiusi in gabbie metalliche, al buio e privati di qualsiasi assistenza.

Strage di visoni in Danimarca

La Danimarca nelle ultime settimane è stata la carnefice dell’uccisione di oltre 1 milione e mezzo di visoni. Il paese noto produttore di pellicce a livello mondiale, di fronte alla sensibilità dei visoni al Sars Cov 2 ha ordinato l’abbattimento non solo degli animali contagiati ma di tutti quelli allevati nelle circostanze. Il destino brutale di questi animali, uccisi per via della loro pelliccia, risulta ancora più a rischio dal momento in cui vengono considerati un pericolo per la società , poiché portatori di coronavirus.

Studio Paesi Bassi

Seppur ancora non ci sia una corrispondenza certa tra i visoni, possibili trasmettitori del virus e le persone (possibili contagiati), uno studio condotto nei Paesi Bassi ha trovato una correlazione tra visoni e persone; almeno due persone di quattro allevamenti di visoni nel paese hanno contratto il virus dagli animali. Secondo questi studi, dunque, il passaggio del virus potrebbe essere avvenuto da uomo ad animale, e non viceversa. Cosi come gli animali possono trasmettere infezioni all’uomo (zoonosi), possiamo assistere anche al processo inverso, la trasmissione di malattie infettive dagli uomini ad altre specie viventi: zoonosi inversa. E’ il caso della Danimarca, dove sono stati abbattuti milioni di visoni a causa dell’identificazione di un nuovo ceppo di covid-19 dovuto ad una probabile mutazione del virus durante questi passaggi.
La mutazione del virus è quello che si teme di più: ricordiamo essere già avvenuta diversificando il virus cinese da quello europeo, dove quest’ultimo risulta essere molto più contagioso. Un’ennesima mutazione potrebbe portare il vaccino ad essere inefficace, laddove ad esempio, venisse a modificarsi proprio la proteina spike.

Le pessime condizioni degli allevamenti

Fonte: adnkronos.com
Fonte: adnkronos.com

I video pubblicati dalla Lav mostrano le condizioni dei visoni in due allevamenti in Lombardia. Rinchiusi in gabbie molto piccole metalliche (privati delle possibilità di scavare, arrampicarsi e nuotare), costretti a stare tra i loro escrementi, privati delle cure mediche necessarie (animali con ferite che urlano e animali morti lasciati nelle gabbie insieme a quelli ancora vivi). Non solo, i video mostrano come gli operatori del caso che dovrebbero accudirli, non indossino mascherina, guanti, occhiali di protezione, tutte violazioni delle norme di biosicurezza finalizzate a evitare la trasmissione del coronavirus provenienti da questi allevamenti. Inoltre la Lav tiene a precisare che i video diffusi siano stati registrati in uno degli allevamenti dove lo scorso agosto ci sono stati i primi casi documentati in Italia di visoni positivi al Covid-19.  In Italia in tutto ci sono 8 allevamenti di visoni: 3 in Lombardia, 2 in Veneto, 2 in Emilia Romagna, 1 in Abbruzzo.

Petizione Lav

Le associazioni animaliste si battono da anni per la chiusura degli allevamenti di visoni rimasti. La Lav ha lanciato una petizione per fare pressione sul governo, nel rispetto dei diritti dei milioni di visoni che vengono sterminati per la loro pelliccia. Peta, organizzazione no profit a sostegno dei diritti animali ha ribadito:

«Gli allevamenti di animali da pelliccia sono terreno fertile per la diffusione di pandemie. Proprio come gli allevamenti di visoni in Danimarca, Olanda, Spagna e Stati Uniti – che sono stati soggetti a focolai – gli allevamenti in Italia sono gremiti di animali malati, stressati e sofferenti che vivono in condizioni antigeniche, facilitando pertanto la diffusione della malattia. Invitiamo ancora una volta l’Italia a seguire le orme di tanti Paesi europei e chiudere tutti gli allevamenti».

Al momento la preoccupazione maggiore che proviene da questi animali, non riguarda la tutela della loro vita, ma il ruolo di serbatoio di virus che possono svolgere infettando l’uomo. Il virus trova terreno fertile in questi allevamenti a causa degli spazi estremamente limitati e delle condizioni di igiene pessime, con la possibilità come detto sopra di replicarsi e subire mutazioni. La possibile mutazione del virus, potrebbe comportare cambi di proprietà e di conseguenza una maggiore capacità infettiva ( più mortale). Sorge un nuovo interrogativo a proposito del mutamento del virus nei visoni:” è possibile che le mutazioni nei visoni abbiamo effetto sull’interazione tra virus e uomo, permettendo al virus di sfuggire agli anticorpi monoclonali utilizzati per difendersi da questo? La risposta al riguardo non è ancora chiara. Stiamo assistendo all’adattamento del virus in diverse specie (processo darwiniano), con la creazione di diverse mutazioni, però siamo ancora lontani dal dichiarare inefficaci vaccini o anticorpi monoclonali.

Eleonora Genovese

il DPCM del 4 novembre: l’Italia divisa in fasce

“Non ci saranno chiusure generalizzate ma sarà un “lockdown light”, simile al modello tedesco. Il tentativo è di non paralizzare il paese, anche se è abbastanza complicato fare una misura delle restrizioni da adottare basata su zone”.

fonte: il Corriere della Sera

Nel corso della notte il Presidente del consiglio Giuseppe Conte ha firmato il nuovo DPCM. Le misure contenute nel decreto entreranno in vigore venerdì e rimarranno valide fino al 3 dicembre. Al momento sembra scongiurato il rischio di un lockdown nazionale generale ma il governo ha reputato necessario intervenire in maniera più decisa rispetto alle scorse settimane. Gli ultimi dati forniti dalla Protezione Civile parlano infatti di 30.550 nuovi contagi da Coronavirus registrati nelle ultime 24 ore.

A differenza di quanto avvenuto a marzo si è deciso di adottare differenti gradi di intervento per diverse zone del territorio. A seconda del tipo di zona e il relativo rischio le misure e le limitazioni potranno essere più o meno stringenti. Alle soluzioni previste per le singole zone si accostano poi quelle che invece avranno portata generale e che quindi dovranno trovare applicazione su tutto il territorio italiano.

 

Misure in vigore in tutta Italia

Gli interventi che varranno per tutta Italia si vanno ad aggiungere a quelli già in vigore, come la chiusura dei bar e ristornati alle ore 18. Il meccanismo individuato dal decreto è quello di una prima linea di “misure nazionali, più leggere e valide per tutti”. Tra queste:

  • il divieto di spostamenti dalle 22 alle 5 del mattino salvo comprovate esigenze lavorative, di necessità o di salute da accertare con autocertificazione;
  • la chiusura dei centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi;
  • la chiusura dei corner di giochi e scommesse all’interno di bar e tabacchi;
  • lo stop ai musei e allo svolgimento delle mostre;
  • la riduzione dall’80 percento al 50 percento della capienza sui mezzi pubblici (fatta eccezione per i mezzi di trasporto scolastico);
  • la didattica a distanza al 100% per gli studenti delle superiori e obbligo di mascherine per gli altri ordini e gradi;
  • la didattica a distanza anche per le università, eccetto alcune attività per le matricole e laboratori.
  • sospensione di tutte le prove scritte in presenza per concorsi pubblici, privati e di abilitazione, eccetto area medico-sanitaria e Protezione Civile.
  • resta ferma la raccomandazione di evitare spostamenti non necessari.

Le misure in questione sono le uniche che troveranno applicazione nelle “zone gialle” individuate nel decreto. L’eventuale adozione di misure più dure dovrà avvenire da parte del Presidente della Regione interessata di concerto con il ministro della salute Roberto Speranza, che aggiorneranno lo “status” di ciascuna regione in base a parametri oggettivi valutati nel tempo.

 

Divisione in zone di rischio del territorio nazionale

A fronte di un diverso trend di diffusione del virus il provvedimento prevede misure differenziate per le regioni sulla base di diversi fattori: l’indice Rt (vedi prossimo paragrafo) e 21 indicatori fissati dagli esperti (tra cui la percentuale dei tamponi positivi, il numero di nuovi focolai e l’occupazione dei posti letti sulla base della disponibilità). In base a questi fattori sono state individuate tre diverse fasce di rischio e, di conseguenza, tre aree di intervento: “zona rossa” (rischio molto elevato), “zona arancione” (rischio alto) e “zona gialla” (rischio medio-alto).

Cos’è l’indice Rt e in che fascia si colloca la Sicilia

L’indice Rt (indice di trasmissibilità) ci aiuta a capire la misura della trasmissibilità di una malattia infettiva e, sulla base di esso, ci consente di valutare l’efficacia delle misure di contenimento del contagio. Nella settimana tra il 19 e il 25 ottobre, per esempio, l’indice Rt nazionale era di 1,7. Al momento sono poche le regioni ad avere un indice di trasmissibilità inferiore all’ 1,5 e tra queste vi è la Sicilia. La nostra regione secondo gli ultimi report avrebbe un indice Rt pari a 1,42 che, tenendo in considerazione anche gli altri 21 fattori, la collocherebbe in fascia arancione, quindi con rischio alto.

fonte: Quotidiano.net

 

Zone arancioni e relative misure

Tra le regioni rientranti in uno scenario intermedio vi sono la Sicilia e la Puglia. In queste saranno in vigore le seguenti misure aggiuntive:

  • sarà vietato ogni spostamento, in entrata e in uscita, dalla Regione salvo che per comprovate esigenze. Saranno però consentiti gli spostamenti necessari allo svolgimento della didattica nel rispetto dei limiti in cui è consentita. Sarà consentito il rientro nel proprio domicilio o nella propria residenza;
  • sarà vietato ogni spostamento in un comune diverso da quello di residenza, domicilio o abitazione, salvo che per comprovate esigenze di lavoro, studio, necessità e salute oltre che per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi e non disponibili nel proprio comune;
  • saranno sospese le attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie), ad esclusione delle mense e del catering. Resta consentita la consegna a domicilio senza limiti di orario e l’asporto fino alle 22.

Zone Rosse

Le Regioni che invece si trovano in uno scenario di massima gravità e con un livello di rischio molto alto sono la Lombardia, il Piemonte, la Calabria e la Valle d’Aosta. Per queste regioni scatterà di fatto un lockdown simile a quello di marzo ed avrà una validità di 15 giorni. In queste è previsto:

  • Blocco totale della mobilità interna ed esterna (salvo spostamenti per motivi di lavoro, salute o necesità)
  • Chiusura dei negozi al dettaglio, tranne alimentari, farmacie, parafarmacie tabaccherie, edicole.
  • Parrucchieri, barbieri e lavanderie rimarranno aperte.
  • Smart working per tutte le attività con eccezione per le attività indifferibili
  • Chiusura delle università salvo specifiche eccezioni (corsi di medicina e relativi tirocini).
  • È sempre consentito il rientro nel proprio comune di domicilio o residenza e la possibilità di accompagnare i propri figli a scuola. Si potranno fare attività motorie sportiva in prossimità della propria abitazione, ed esclusivamente individuale.
  • Continuerà la didattica in presenza solo per la scuola dell’infanzia, elementare e prima media.
  • Sospensione di tutte le competizioni sportive e le attività all’interno dei centri sportivi, salvo quelle riconosciute di interesse nazionale dal CONI.

 

É bene ricordare infine che il meccanismo di collocamento delle regioni nelle varie fasce è “semiautomatico”: ciò significa che l’applicazione delle relative misure avverrà sulla base dei criteri oggettivi indicati all’interno del medesimo decreto, escludendo di fatto qualsiasi forma di discrezionalità da parte del Governo o dei Presidenti di Regione.

Maria Cotugno

 

Il musicale dell’Ainis in protesta. L’intervista: “Vogliamo quel 25%. La videocamera uccide la musica.”

(fonte: gazzettadelsud.it)

Arrivano nuove reazioni alle misure restrittive imposte, a partire dal 24 ottobre, dall’ultimo DPCM e dalle ordinanze dei vari consigli regionali. Avevamo già parlato qui delle proteste dei lavoratori; oggi sono le scuole a prendere la parola.

In particolare, gli studenti dell’indirizzo musicale del Liceo Emilio Ainis di Messina si sono assentati per due giorni, 26 e 27 ottobre, dalle lezioni in via telematica in segno di protesta contro la D.A.D. (Didattica a Distanza). Hanno inoltre emesso un comunicato, firmato da 87 degli studenti in questione, che è stato pubblicato da diverse testate giornalistiche.

Per approfondire meglio la questione, abbiamo deciso di ascoltare i pareri di alcuni dei diretti interessati.

Come nasce l’iniziativa

“Tengo a sottolineare che è un iniziativa degli studenti del musicale e non sono stati affatto indirizzati dai docenti. Dal punto di vista logistico, ci sono delle discipline che presuppongo il contatto diretto con lo strumento, della presenza dell’insegnante che fa strumento o musica d’insieme, forme laboratoriali per cui hanno delle difficoltà in più.”

Afferma il professore Cesare Natoli, insegnante di storia e filosofia presso l’indirizzo musicale del Liceo Ainis.

“Noi viviamo di musica e fare una lezione di strumento in D.A.D. non è la stessa cosa. In primo luogo perché sarebbe necessaria una strumentazione costosissima, dal momento che le classiche attrezzature tendono a ‘tagliare’ frequenze, sia alte che basse, per comprimere il suono. Dunque, non si sentirebbe allo stesso modo. Le materie che più ne risentono, oltre Strumento, nell’ambito musicale sono – ad esempio – tecnologie musicali. Anche Teoria di analisi e composizione è una materia che necessita di un approccio di presenza.”

Aggiunge lo studente Emanuele Arena, rappresentante degli studenti del Liceo Emilio Ainis.

Le richieste degli studenti

Quando gli abbiamo chiesto a cosa mirasse la loro iniziativa, la risposta è stata secca:

“Noi puntiamo tutto su quel 25%. Uno schermo, una videocamera uccidono la musica.”

Ed in effetti, il 25% è la percentuale che il DPCM aveva concesso per le lezioni in presenza. Gli istituti superiori siciliani si sono tuttavia dovuti conformare all’ordinanza regionale del presidente Musumeci che prevede un 100% di D.A.D. fino al 13 novembre. La richiesta è proprio quella di adeguarsi alla normativa nazionale. D’altro canto, una recente comunicazione del Presidente Regionale prevede che, per motivi logistici di particolare esigenza (e potrebbe rientrarvi il caso del liceo musicale) e per gli studenti con gravi disabilità sia possibile svolgere la didattica in presenza. Sarebbe per loro un risultato già significativo.

Alla protesta dei ragazzi si sono uniti anche molti genitori e professori, che continuano ad accompagnarli in questa situazione di criticità. A tal proposito, il professor Natoli, portavoce del gruppo ‘Scuola in presenza’, assieme ai colleghi intende organizzare una manifestazione di protesta che si svolgerà – nel rispetto delle misure anti-covid – giorno 7 novembre presso Piazza Unione Europea (Municipio). I dettagli sono reperibili sull’omonimo gruppo Facebook. Essa intende coinvolgere il mondo della scuola (docenti, studenti, personale ATA, genitori), dell’università e gli operatori culturali del teatro e della musica (ricordiamo le associazioni concertistiche messinesi come l’Accademia Filarmonica, la Filarmonica Laudamo e l’Associazione Bellini. Questi ultimi settori, colpiti dall’ultimo DPCM, sono stati costretti a chiudere dopo aver compiuto molti sacrifici per adattarsi alle misure anti-virali promosse negli ultimi mesi dal Ministero della Salute e dal comitato tecnico scientifico.

“Il fatto che siano stati minati i centri di cultura come i teatri, per noi che amiamo la musica e lo spettacolo e tutto ciò che è annesso, è stato un colpo. Noi rendiamo di questo, dopotutto.”

Continua Emanuele, tenendo in considerazione anche i risvolti che tali misure potrebbero avere sul futuro lavorativo di questi studenti.

(fonte: tg24.sky.it)

Il futuro della società e l’importanza dell’arte

Il professore si abbandona poi ad una riflessione: “Quale umanità stiamo difendendo?”, si domanda, prendendo spunto dalla riflessione di uno dei maggiori filosofi italiani, Giorgio Agamben.

“Il bios, il restare in vita, è senza dubbio sacrosanto. Tuttavia, non possiamo limitarci solo a questo poiché l’umano eccede il bios, va oltre il semplice restare in vita. Se tutto il resto viene trascurato, allora ci stiamo degradando. Il covid, probabilmente, ha semplicemente scoperchiato la questione. Ma si tratta di un processo che affonda le proprie radici lontano nel tempo.”

(fonte: stateofmind.it)

Nell’esprimere la propria preoccupazione per il futuro della cultura e dell’uomo come animale sociale, il professore ha offerto anche una propria visione di quelli che potranno essere i possibili scenari di una società post-covid. Ad una visione (considerata ‘idilliaca’) del ritorno alla normalità si accosta la possibilità che, da scelte così drastiche e necessarie, derivino conseguenze altrettanto importanti anche per la vita in società.

“Bisogna fare in modo che l’emergenza rimanga emergenza”

Ossia che non si trasformi in normalità. Fondamentale è ben soppesare i rischi derivanti da un non adeguato controllo dell’epidemia ai rischi derivanti da altre cose, come le questioni legate allo sviluppo relazionale dell’individuo.

Ed in tal senso, si sa, l’arte ha la straordinaria capacità di unire oltre ogni barriera.

“L’arte è libertà d’espressione.”

Afferma, infine, Emanuele alla domanda su cosa essa rappresenti per un qualsiasi ragazzo.

Guai a dimenticare il valore dell’arte, linguaggio universale capace di unire i popoli laddove l’incomprensione li divide.

 

Valeria Bonaccorso