Vaccini e trasmissibilità dell’infezione: cosa ci dicono i numeri?

Fin dai primi giorni della somministrazione del vaccino ad oggi una domanda aleggia tra la popolazione: sarà in grado di combattere la trasmissione del virusCiò che preme alla gente comune è sicuramente quello di tornare alla normalità, ma ciò non è possibile senza una riduzione dei contagi.
I detrattori interpretano l’incertezza della comunità scientifica come l’inconfutabile prova della poca efficacia del vaccino, ma le cose non stanno proprio così. Continua a leggere “Vaccini e trasmissibilità dell’infezione: cosa ci dicono i numeri?”

Olimpiadi Tokyo 2021. Commenti sessisti del presidente Mori

 
Fonte: Inews24.it

Oggi, venerdì 12 febbraio, il presidente del Comitato organizzatore delle Olimpiadi di Tokyo 2020, Yoshiro Mori, ha dato le dimissioni a sei mesi dai Giochi olimpici, posticipati al 2021 a causa della pandemia – dopo aver provocato un grande scandalo con dei commenti sessisti.
L’ex premier 83enne – primo ministro dal 2000 al 2001 – è stato travolto dalle accuse in seguito alle lamentele espresse durante l’incontro online con il Comitato olimpico giapponese, tenutosi mercoledì 3 febbraio. Si stava  manifestando l’intenzione di voler includere più donne nell’amministrazione, passando dall’attuale 20% al 40% delle presenze femminili.

Le ”infelici” dichiarazioni di Mori 

Le dichiarazioni di Mori non lasciano spazio a incertezze:

«Le riunioni a cui partecipano troppe donne in genere vanno avanti più del necessario e per via del loro forte senso di rivalità, se una alza la mano per parlare poi anche tutte le altre vorranno parlare». Ha poi anche aggiunto che «se si aumenta il numero di donne, poi bisognerà limitare in qualche modo il tempo in cui possono parlare, altrimenti non si fermeranno mai, che è un problema».

Proteste dei manifestanti. Fonte: Archyde

Le parole infelici dell’ex premier hanno chiaramente sollevato un forte imbarazzo e disapprovazione tra i presenti, scatenando una serie di critiche anche sui social media da parte di politici e sportivi.

Tra questi la direttrice del Comitato – oltre che campionessa di judo per dieci anni consecutivi tra il 1978 e il 1987 – Kaori Yamaguchi, la quale ha detto che «l’uguaglianza di genere e il riguardo per le persone con disabilità dovevano essere una certezza per i giochi olimpici di Tokyo».

Sono stati inoltre espressi dubbi da parte di importanti sponsor delle Olimpiadi circa l’intenzione di proseguire o meno il loro rapporto economico con i Giochi.

Le dimissioni dopo le critiche su Twitter

Nel corso della riunione Mori ha tentato di scusarsi per i suoi commenti inappropriati, dichiarando inoltre di non voler in alcun modo rappresentare un ostacolo all’organizzazione dei Giochi. In realtà, da qualche giorno stava circolando in Giappone su Twitter l’hashtag ‘’Mori, dimettiti’’. Il presidente, dopo un’iniziale resistenza, non ha quindi avuto altra scelta se non quella di rassegnare le sue dimissioni nelle scorse ore.
Il suo successore non è ancora stato designato, anche se si stanno già valutando diversi candidati.

I media locali suggeriscono come più probabili il ministro delle Olimpiadi Seiko Hashimoto e l’ex presidente della Federcalcio giapponese Saburo Kawabuchi.

Fonte: Corriere del Ticino

“Le mie dichiarazioni inappropriate hanno causato molto caos – ha dichiarato Mori in una riunione del board esecutivo e del consiglio di Tokyo 2020 – Desidero dimettermi da presidente oggi. L’unica cosa che importa in questo momento è che le Olimpiadi si svolgano a luglio, non deve succedere che la mia presenza diventi un ostacolo“.

Il commento di Bach

Mori era già stato protagonista di diverse gaffe, ma quest’ultima è stata particolarmente rovinosa, nel contesto di un Paese con forti disuguaglianze di genere e dove il tema dell’esclusione femminile dai posti di potere è molto sentito. Malgrado ciò, il Presidente del Comitato Olimpico Internazionale (Cio),  Thomas Bach ha ringraziato Mori:

“Il Cio rispetta pienamente la decisione di Mori di dimettersi e ne comprende le ragioni. Allo stesso tempo vorremmo ringraziarlo per il suo eccezionale contributo per l’organizzazione dei Giochi: Mori ha contribuito a rendere Tokyo la città olimpica meglio preparata di tutti i tempi”.

Gaia Cautela

Long-Covid: l’eredità del virus nei pazienti guariti dall’infezione

IN PILLOLE:

  • I pazienti guariti dal Covid-19 accusano sintomi anche molti mesi dopo la fine dell’infezione;
  • L’insieme di questi sintomi è stato definito Long-Covid o sindrome da post-Covid;
  • Nei pazienti guariti si evidenziano danni polmonari e la presenza di cellule plurinucleate (sincizi);
  • Si evidenziano danni al sistema cardiovascolare, ai reni e al sistema nervoso centrale;
  • Durante i mesi di lockdown sono aumentati i disturbi psichici presenti già in forma latente.

 

Sappiamo già che un tampone molecolare negativo sancisce la fine dell’infezione da Covid. Ma nessuna vittoria. Sono sempre più numerose le segnalazioni da parte di pazienti guariti che si rivolgono alle autorità sanitarie. Molti sintomi persistono anche a distanza di mesi dalla guarigione. Sindrome da post-Covid o Long-Covid è la definizione data a questo corteo di manifestazioni cliniche. Un Covid lungo sottolinea che le sequele accompagnano il paziente anche per molto tempo. A soffrirne 3 pazienti su 4 tra i ricoverati in UTI durante la fase acuta della malattia, come pubblicato su The Lancet.

STUDIO CINESE 

L’idea di un Covid lungo proviene da uno studio cinese effettuato a Wuhan su 1700 pazienti, ammalatisi tra gennaio e maggio. Ebbene, osservati per tutta l’estate, il 76% di essi accusava ancora almeno un sintomo fino a sei mesi dopo la fine dell’infezione. Le manifestazioni più comuni sono stanchezza e debolezza muscolare, disturbi del sonno, ansia e depressione. I pazienti usciti dalla terapia intensiva sono poi stati sottoposti a spirometria, ecografie e TAC del torace. Questi hanno mostrato una riduzione della capacità respiratoria e un calo della funzione renale.

TUTTO QUI?

La variabilità e l’intensità dei sintomi accusati non sempre correlano con la gravità dell’infezione iniziale. Esiste già una sindrome post terapia intensiva. Secondo questa, pazienti che sono stati in pericolo di vita accusano una diminuzione della salute mentale e delle funzioni fisiche anche dopo un anno. Tuttavia, sintomi come spossatezza, perdita del gusto e dell’olfatto, problemi della memoria e confusione mentale vengono riferiti da pazienti Covid che erano stati critici durante la fase acuta, tanto quanto da soggetti giovani e sani con infezione iniziale non grave. La causa ancora non è nota. Potrebbe essere riconducibile ad una risposta immunitario-infiammatoria impazzita, oppure un’attività virale ancora in corso.

POLMONI

I polmoni sono tra i principali bersagli del Sars-CoV-2. Una volta guarita l’infezione, il più delle volte resta una fibrosi polmonare, cioè un irrigidimento del tessuto polmonare. L’effetto? Una riduzione degli scambi gassosi che avvengono fisiologicamente negli alveoli polmonari. Quanto detto spiegherebbe sintomi come stanchezza, fiato corto, difficoltà respiratoria.

Una ricerca pubblicata sulla rivista Lancet eBioMedicine e condotta fra Italia e Gran Bretagna ha portato all’evidenza alcune cellule anomale nei polmoni di soggetti post-Covid. Utilizzando la proteina Spike, il virus spinge le cellule infettate a fondersi con quelle vicine così da formare dei sincizi (elementi cellulari plurinucleati). Lo studio ipotizza che la persistenza dei sincizi contribuisca al danno polmonare. In più, nel 90% dei casi le autopsie hanno mostrato la presenza di trombi nei vasi polmonari, secondaria ad un’anomala attivazione della coagulazione. Farmaci che impediscono la formazione di aggregati cellulari sinciziali potrebbero rappresentare il prossimo obiettivo in terapia.

CUORE

I virus respiratori (influenza compresa) aumentano il rischio di eventi cardio e cerebrovascolari. Oggi si è scoperto che il nuovo Coronavirus determina un rapido aumento della risposta infiammatoria che può interessare cuore e vasi. Ciò potrebbe spiegare l’insorgenza di vasculiti e miocarditi, cause di aritmie spesso fatali. In vari pazienti si registra un aumento della troponina (marcatore di danno miocardico). Questo dato fa presagire l’arrivo di un danno ischemico. Non solo: questa risposta infiammatoria eccessiva altera le vie di attivazione della coagulazione e causa fenomeni tromboembolici. 

RENE

Anche i reni in ottima salute possono essere preda del virus. A dimostrarlo l’evidenza di insufficienza renale acuta in vari pazienti Covid. Le cause? L’infezione causa una micro-coagulazione del sangue già in vari organi e questa è la base dei vari danni ischemici. Inoltre, pare che l’enzima ACE2, cui il virus si lega mediante la proteina Spike e che è abbondantemente espresso nel rene, veicolerebbe il virus all’interno delle cellule. D’altronde, non è neppure esclusa una tossicità legata ai farmaci usati nel trattamento di pazienti Covid.

CERVELLO

E non finisce qui. Spesso i pazienti si presentano al PS deliranti o letargici. Accanto all’anosmia, sono descritte altre manifestazioni neurologiche associate, come la sindrome di Guillan Barrè, la nevralgia del trigemino, o forme di encefalopatia emorragica necrotizzante. Da qui l’ipotesi di un possibile danno cerebrale. Uno studio pubblicato sulla rivista Neurology ha dimostrato che in pazienti affetti da infezione grave, moderata e lieve si registra un aumento di due marcatori di danno neuronale. Ad aumentare sono la proteina GFAP (proteina acida fibrillare gliale) normalmente contenuta negli astrociti (cellule di supporto ai neuroni) e la NFl (proteina delle catene leggere del neurofilamento). In condizioni fisiologiche, esse sono contenute all’interno delle cellule nervose: se queste ultime vengono danneggiate, allora le proteine si riversano in circolo e aumentano nel sangue.

Le cause? Il cervello di certo soffre dell’ipossia dovuta all’insufficienza respiratoria causata dal virus. Inoltre, disturbi della coagulazione causano ictus ischemici ed emorragici. Ancora, l’eccessiva risposta infiammatoria sistemica attiva una risposta immunitaria. Non si esclude neppure che il virus infetti direttamente il cervello e le meningi.

SALUTE MENTALE

Quel che è certo è che i danni si contano anche su chi non ha mai contratto il virus. Si stima che siano almeno 300.000 in Italia i nuovi casi di disturbi d’ansia legati alla paura del contagio. Sale anche il numero dei suicidi e di esacerbazioni di disturbi psichici già pre-esistenti o latenti, conseguenze dei vari mesi di lockdown.

 

Elena Allegra

Coronavirus: cresce l’allerta per le varianti. Istituite nuove zone rosse locali

Sono stati emanati nuovi provvedimenti per le singole regioni con l’obiettivo di arrestare la corsa delle varianti da coronavirus. Alcune località italiane tornano in zona rossa.

Covid-19: Situazione in Italia –Fonte:salute.gov.it

Sebbene il “Bel Paese” presenti in prevalenza aree gialle, da inizio settimana non sono mancati degli spruzzi di colore rosso che testimoniano la presenza di comuni necessitanti forme di contenimento più stringenti rispetto a quelle previste nella grande fetta del territorio nazionale. La motivazione che ha portato alla riformulazione di “micro zone rosse locali” risiede nell’intenzione del ministro della salute Roberto Speranza di tutelare l’intera nazione al contenimento di forme diverse di coronavirus, come la variante “inglese”, “brasiliana” e “sudafricana”.

Attualmente le aree sotto i riflettori si trovano situate in Umbria, Alto Adige, Abruzzo, Molise, Toscana e Sicilia.

Parametri per determinare il colore delle regioni

 Il Consiglio dei ministri ha approvato il 16 gennaio un decreto legge valido fino al 5 marzo, che delinea i criteri per classificare le regioni ai diversi livelli di rischio epidemiologico.

Analisi del rischio dell’epidemia –Fonte:quotidiano.net

Vengono, così considerate tre macro aree:

  • Incidenza settimanale di contagi ogni 100 mila abitanti: la cui soglia è pari a 50 casi
  • Livelli di rischio: basso, medio e alto
  • Quattro scenari

Esistono così ben 24 combinazioni differenti, che vengono fuori dall’analisi di 21 indicatori, la cui valutazione si stabilisce attraverso nuovi focolai individuati grazie ai tamponi, all’andamento degli accessi al pronto soccorso per coronavirus, al tasso di occupazione dei posti letto nelle terapie intensive e all’efficienza del sistema di contact tracing. A determinare gli scenari è l’indice Rt che rappresenta il numero medio delle infezioni prodotte da ciascun individuo infetto, dopo l’applicazione delle misure di contenimento dell’epidemia stessa.

I quattro scenari –Fonte:lasicilia.it

  • Con indice Rt inferiore a 1 si va nello scenario 1
  • Con indice Rt tra 1 e 1,25 si va nello scenario 2
  • Con indice Rt tra 1,25 e 1,5 si va nello scenario 3
  • Con indice Rt superiore a 1,5 si va nello scenario 4

La presenza di varianti del coronavirus

A far preoccupare gli scienziati risultano essere proprio le varianti. Queste causano una maggiore propagazione del virus rispetto alla versione “originale”. Da ciò si testimonia la necessità di circoscrivere aree nazionali, con livelli di diffusione dell’epidemia differenziata. Secondo i ricercatori la mutazione del virus sarebbe stata registrata tra novembre e dicembre dello scorso anno, attraverso analisi di materiale genetico prelevato da alcuni soggetti. Uno di questi condotto nel Regno Unito ha portato alla scoperta del B.1.1.7 e che obbligò il Governo britannico alla reintroduzione di dure restrizioni e lockdown per il contenimento dei contagi in crescita.

Variante Covid-19 –Fonte:quotidiano.net

Il 501Y.V2 , invece, noto come variante africana, è stato scoperto nella provincia del Capo Orientale tra le zone più povere del Sudafrica. Anche questa, come la precedente, aveva la capacità di “colpire” più rapidamente gli individui in un’area.

Mutazioni coronavirus –Fonte:huffingtonpost.it

La trasmissibilità di queste due mutazioni è pari al 50% in più rispetto alle altre varianti di coronavirus presenti nel mondo. Ci si è chiesti cosa abbia causato queste trasformazioni e la risposta è stata trovata nei processi di replicazione del codice genetico, che non sempre avviene in modo corretto. Quando questo viene copiato, può crearsi un refuso che si trasmette alle generazioni successive. Rassicuranti sono le analisi condotte sul siero (porzione di sangue che contiene gli anticorpi prelevati da un soggetto affetto da Covid-19) che non hanno segnalato alcuna minore capacità di sviluppare una reazione immunitaria, che sottolinea l’efficacia dei vaccini Pfizer-BioNTech e Moderna.

Divieti da zone rosse

Le “micro zone rosse locali” presentano delle restrizioni simili a quelle della zona rossa nazionale. È così previsto:

  • Divieto di uscire dalla propria abitazione se non per comprovati motivi di lavoro, salute o necessità urgente
  • Chiusura delle scuole di ogni ordine e grado
  • Chiusura di attività commerciali come negozi, bar e ristoranti

Covid, nelle zone rosse scattano più divieti –Fonte:tgcom24.mediaset.it

Oltre a ciò vige una certa “libertà” per le regioni di stabilire la necessità di applicare misure più stringenti o più permissive. È necessario perciò consultare adeguatamente i siti ufficiali dei propri comuni o delle regioni.

Quali sono le località rosse in Italia

Sul territorio nazionale le macchie rosse sono presenti in:

Provincia di Bolzano –Fonte:qualitytravel.it

Alto Adige nella provincia autonoma di Bolzano, il cui provvedimento preso dal presidente Arno Kompatscher ha valenza fino al 28 febbraio, ricoprendo tutti i comuni della provincia. Secondo gli ultimi dati registrati, è stata individuata la più alta incidenza in Italia di positivi, aggravata a seguito delle vacanze natalizie. Lo stesso presidente della Provincia Autonoma di Bolzano conferma che:

“Nonostante questo, abbiamo dovuto constatare che negli ultimi giorni la curva non si è piegata. Pensavamo che dopo le feste ci sarebbero stati degli innalzamenti fisiologici ma poi un abbassamento. Purtroppo c’è stato un lieve ma continuo aumento, legato anche a delle novità”

Umbria, mappa dei divieti –Fonte:lanazione.it

In Umbria le misure restrittive, previste per due settimane, abbracciano la città di Perugia e sei comuni nella provincia di Terni: Amelia, Attigliano, Calvi dell’Umbria, San Venanzo, Lugnano in Teverina e Montegabbione. Dal confronto con il comitato tecnico scientifico nazionale e l’Istituto Superiore di Sanità, la presidente della regione Donatella Tesei ha deciso di applicare il principio di massima precauzione per “evitare che il virus possa dilagare anche nel resto dell’Umbria e alle regioni limitrofe”.

Comune di Chiusi –Fonte:comune.chiusi.si.it

In Toscana, il presidente Eugenio Giani, ha ordinato la zona rossa solo nel comune di Chiusi, per il notevole aumento di contagi dalle varianti “brasiliana” e “sudafricana”. È stato già previsto uno screening di massa per individuare i positivi e isolarli nel comune infetto.

Zona rossa in Basso Molise –Fonte:rainews.it

28 sono i comuni del Basso Molisano a subire restrizioni fino al 21 febbraio. Rispetto alle altre aree nel territorio italiano, qui ancora non è stata accertata la presenza di varianti, ma il notevole aumento di contagi e ricoveri hanno convinto Donato Toma della necessità di dichiararle aree a rischio maggiore.

Abruzzo in zona rossa –Fonte:comune.manoppello.pe.it

In Abruzzo i tamponi effettuati hanno riscontrato la presenza della variante inglese, i cui divieti toccano i comuni di Atessa, San Giovanni Teatino (CH) e Tocco da Casauria (PE). Marsilio Marco ha così firmato l’ordinanza correttiva valida per una settimana, in cui sono consentiti solo gli spostamenti per motivi di lavoro.

…e in Sicilia?

 

Coronavirus: aggiornamento della situazione –Fonte:tortorici.gov.it

Da venerdì 5 a lunedì 14 febbraio, il comune Tortorici in provincia di Messina sarà segnato dal colore rosso, mentre il resto della regione rimane zona arancione. L’ordinanza del Presidente della regione Nello Musumeci, stabilita insieme all’assessore alla salute Ruggero Razza prevede:

  • Divieto di accesso e di allontanamento dal territorio comunale, con mezzi pubblici o privati; fatta eccezione per gli spostamenti dovuti da comprovate esigenze lavorative, di salute o necessità;
  • Sarà consentito il transito agli operatori sanitari e socio-sanitari, al personale impegnato nell’assistenza alle attività inerenti l’emergenza, nonché il fruire dell’ingresso e dell’uscita di prodotti alimentari, sanitari e di beni e servizi essenziali;
  • Sospensione in presenza delle attività scolastiche e didattiche di ogni ordine e grado, degli uffici pubblici tranne quelli necessari per l’erogazione dei servizi essenziali e di pubblica utilità;
  • Chiusura di strutture di vendita, fatta eccezione per generi alimentari e di prima necessità;
  • Rimangono aperte edicole, tabaccai, farmacie e parafarmacie che seguono il loro ordinario orario di lavoro.

Provvedimenti nazionali

Istituto Superiore di Sanità –Fonte:ciriesco.it

Il direttore della Prevenzione del ministero della Salute Giovanni Rezza, durante la conferenza tenutasi lo scorso venerdì sull’analisi dei dati regionali, ha fatto riferimento della “corsa contro il tempo” e dell’attivazione di un sistema di “sorveglianza epidemiologica e molecolare basato sui centri di riferimento regionale e altri laboratori, tra cui quelli universitari, per aumentare la capacità di monitoraggio”. Ed è proprio grazie a questi studi che è possibile prendere provvedimenti più rapidi affinchè la presenza di varianti possa essere circoscritta attraverso “mini lockdown temporanei”.

Giovanna Sgarlata

Recovery Fund, le novità delle ultime settimane. Il sindaco De Luca diffida il governo: pochi fondi per il Sud

Il Recovery Fund, il “fondo di recupero” formulato per il rilancio delle economie schiacciate dalla pandemia, ha dovuto e sta affrontando durante l’iter per la sua approvazione numerose sfide. I 27 Stati membri dell’Unione europea si sono spesso scontrati, nonostante la prima parte del 2020 si fosse chiusa con una flessione del Pil per molti di essi. Ancora molti sono i punti di rottura che si creano al riguardo. In questi giorni, si parla di equa divisione dei fondi europei all’interno dell’Italia, per evitare che ancora una volta il Sud si ritrovi svantaggiato.

(fonte: money.it)

Cos’è il Recovery Fund e perché se ne discute tanto

Inizialmente, la discussione si è aperta tra i rigidi Paesi del Nord, restii a ogni forma di debito pubblico condiviso perché meno colpiti dalla pandemia, e quelli del Sud, più penalizzati, come l’Italia.

Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) ed eurobond sono gli altri due punti su cui ci si è molto confrontati.

In un secondo momento, la strada ha iniziato ad esser spianata da Francia e Germania, le quali hanno avanzato una prima proposta basata esclusivamente su concessioni di denaro a fondo perduto. Poi sono subito arrivati un progetto di Olanda, Austria, Danimarca e Svezia, e uno della Commissione europea, nel quale sono stati inseriti sia finanziamenti che concessioni a fondo perduto.

In estate ha visto la luce anche la proposta di Charles Michel, a una settimana dal summit del 17-18 luglio. Il presidente del Consiglio europeo, presentò una nuova bozza negoziale, nel tentativo di trovare un compromesso. Il testo prevedeva un sottile bilanciamento tra gli interessi nazionali, una riduzione del bilancio – da 1100 miliardi a 1074 miliardi di euro – e un nuovo meccanismo di controllo sull’uso del denaro europeo a livello nazionale.

Successivamente, si è verificato un braccio di ferro con Polonia e Ungheria, contrarie alla condizione del rispetto dello Stato di diritto e i basilari principi di democrazia, imposto a tutti i Paesi beneficiari. Per superare lo stallo, l’Ue ha assicurato l’impegno ad elaborare linee guida chiare sulla sua interpretazione e la possibilità di invocare la Corte di Giustizia Europea sulla sua validità, arrivando al compromesso nel Consiglio del 10 dicembre.

750 miliardi di euro: 390 miliardi di sovvenzioni, 360 miliardi di prestiti.

Questi i soldi stanziati, che verranno reperiti tramite il meccanismo dell’emissione di debito garantito dall’Ue, in questo primo trimestre del 2021.

Il nuovo capitolo che ora si apre, vede protagonisti i singoli Stati, a cui spetta elaborare dettagliati piani di spesa nazionali. In soldoni, verrà deciso come verranno spesi questi fondi europei.

 

L’utilizzo dei fondi europei in Italia accende i primi scontri

L’Italia sta definendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) , nel quale le risorse sono suddivise per diversi ambiti di destinazione, che deve esser finito e presentato a Bruxelles entro aprile.

In questi giorni, è stata sollevata una polemica al riguardo, proprio dal “non-più-dimissionario” sindaco di Messina, Cateno De Luca.

L’1 febbraio, convoca una conferenza stampa, presso il Salone delle Bandiere del Palazzo Zanca, per annunciare l’intenzione di diffidare il governo nazionale e la Regione Sicilia, proprio a causa del Recovery Fund.

De Luca, Previti e Puccio durante la conferenza (fonte: qds.it)

Analizzando i dati, per il sindaco, il Mezzogiorno, sarebbe stato ancora una volta beffeggiato. Nello specifico, i 209 miliardi del Recovery destinati all’Italia, non sarebbero stati divisi seguendo i tre parametri suggeriti dall’Europa, Pil pro capite, tasso medio di disoccupazione e popolazione. Il governo avrebbe sfruttato solo l’ultimo dei criteri; così, solo il 34% dei fondi – dunque 71 miliardi – sarebbero stati assegnati al Sud e il restante 66% alle regioni dal Lazio in su.

“Se si tiene conto dei tre indicatori che l’Europa ha stabilito, la percentuale arriva al 75% e quindi alle città metropolitana da Roma in giù spetterebbero 156 miliardi. Ma il governo ha ignorato il diktat tenendo di conto di fatto solo del fattore popolazione” ha detto De Luca, sostenendo che, in realtà, la maggior parte dei fondi destinati al nostro Paese, dovrebbero andare al Sud.

Affiancato dal vicesindaco e assessore ai Fondi europei Carlotta Previti e dal dirigente tecnico della città metropolitana di Messina, Salvo Puccio, ha segnalato ulteriori anomalie: molte opere per il Sud, introdotte nel piano che l’Italia ha redatto per l’utilizzo dei fondi, risultano esser già finanziate, come, ad esempio, la nuova linea ferroviaria Messina-Catania-Palermo. Perciò, esigono che le risorse nazionali siano aggiuntive e non sostitutive rispetto a quelle messe a disposizione con il Recovery, rispettando il “principio di addizionalità” previsto dalla Commissione Europea nelle linee guida.

“Il Sud esce penalizzato da queste scelte. E’ un furto bello e buono!” ha dichiarato De Luca.

Il sindaco pensa anche a una diffida collettiva, suggerendo ai sindaci delle sei regioni meridionali – Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Sardegna – di mettere la popolazione a conoscenza della questione affinché possa protestare per una maggiore attenzione.

Una diffida collettiva dalle regioni meridionali per spingere l’Ue a intervenire.

Pesanti le dichiarazioni di De Luca anche contro la Regione che non sembra averlo coinvolto nell’aspetto decisionale della formulazione delle proposte per la Sicilia.

Il sindaco, infatti, ha individuato progetti per Messina e provincia, quantificabili in 632 milioni di euro. Tra questi compare anche il famoso ponte sullo Stretto, mai realizzato. Nove schede progetto, tra cui anche il risanamento delle baracche, misure per la transizione green e quella digitale. Sono stati indicati tutti i dettagli per la realizzazione, compreso un preciso cronoprogramma.

Il sindaco è stato aspramente criticato per questa mossa da Sicilia Futura, che lo accusa di star facendo solo propaganda politica e non il bene della città, nonostante l’essenza stessa del Recovery sia quella anche di misura politica, per evitare che vi siano troppe diseguaglianze nell’Europa post-covid.

Dunque, due diffide: una al governo nazionale sicché apporti tutte le modifiche segnalate, con un aumento della quota di risorse per il Mezzogiorno fino al 75%, e una al governo regionale perché apporti tutte le modifiche da lui indicate nel suo Atto di Diffida, avviando, inoltre, la concertazione di tutti soggetti istituzionali, locali, interregionali e nazionali per la definizione delle linee di intervento, ma soprattutto la condivisione, per lui mancata, di queste.

Sulla scrivania di Draghi anche la bozza del Recovery

Draghi, neo premier incaricato da Mattarella (fonte: lagazzettadelsud.it)

L’avvento di Draghi premier cambierà lo sviluppo del Piano che l’Italia dovrà presentare obbligatoriamente entro aprile a Bruxelles. Ormai conosciamo bene il concetto di debito buono, portato avanti dal neo premier incaricato. L’intento è quello di pensare a interventi che possano giovare a lungo termine, senza lasciarsi tranquillizzare troppo dalla liquidità istantanea che si riuscirà a portare in Europa. Il rischio, infatti, è quello di investire male e finire per ritrovarsi con un debito ancora più grande in futuro. Non solo, dunque, tamponare le emergenze attuali, ma creare nuove reali opportunità per l’Italia.

Draghi non mancherà di definire ogni punto con estrema precisione. Da Bruxelles, infatti, avevano fatto sapere che la bozza italiana mancava di alcune precisazioni significative su obiettivi, entità di spesa, impatto sul PIL. Il capitolo di spesa relativo alla scuola della bozza potrebbe essere modificato, anche quello su pubblica amministrazione, piuttosto “nebuloso” e quello sulle infrastrutture, tema, molto caro anche a tutti i partiti.

(fonte: open.online.it)

Oltre giovani e lotta alla disuguaglianza sociale, parità di genere – soprattutto riguardo l’aspetto occupazionale – istruzione e ricerca sono punti fondamentali per l’ex banchiere. Si vocifera anche dell’istituzione di una task force ad hoc e persino di un ministro per l’amministrazione dei fondi, ma, comunque certa è la supervisione di Draghi e sicuro che con lui il Recovery Fund cambierà e anche velocemente.

 

Rita Bonaccurso

Piano vaccini modificato, fase 3 anticipata. Ecco le nuove modalità di somministrazione e prenotazione

Sono cambiati i criteri di distribuzione regionale dei vaccini. La somministrazione agli under 55 avverrà con qualche anticipo.

Coronavirus, vaccino AstraZeneca –Fonte:ilmessaggero.it

Il 3 febbraio, a seguito della distribuzione delle forniture delle dosi di Pfizer-BioNTech e Moderna, si è assistito ad un cambiamento del piano che regola la campagna vaccinale contro la diffusione dell’epidemia da coronavirus. Ciò è avvenuto a seguito dell’esortazione dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) sulla somministrazione del vaccino di AstraZeneca primariamente alla fascia della popolazione tra i 18 e i 55 anni. Questo ha notevolmente contribuito a modificare gli accordi prestabiliti nel mese di dicembre, in cui la visione ottimistica faceva ben sperare ad una capacità maggiore delle aziende farmaceutiche, alla produzione di milioni di dosi necessarie nel più breve tempo possibile.

Inizio della somministrazione dei vaccini

Vaccini anti Covid –Fonte:lombardianotizie.online

Già dal 27 dicembre scorso sul territorio italiano era stata avviata la distribuzione dei vaccini prodotti da Pfizer-BioNTech. La presenza di ritardi riscontrati già dai primi giorni di gennaio e il conseguente rallentamento della diffusione della dose, ha cambiato “le carte in tavola” obbligando le regioni a modificare i loro piani originari.

Campagna vaccinazione anti covid 19 –Fonte:governo.it

L’Italia perciò sta adesso attraversando l’ultima parte della fase 1, in cui i soggetti sottoposti a vaccino sono tutte le persone con un’età superiore ad 80 anni. Il territorio nazionale si presenta però a macchie di leopardo, facendo si che vi siano alcune regioni in cui si è dato inizio alla prenotazione degli appuntamenti, come in Lazio e in Campania, restandone scoperte molte altre che non hanno ancora ben chiare le modalità di coinvolgimento degli anziani.

Motivazioni che hanno comportato i mutamenti del piano

L’incontro del 3 febbraio tra il Commissario straordinario per l’emergenza Domenico Arcuri, il ministro della Salute Roberto Speranza, il ministro agli Affari regionali Francesco Boccia e i presidenti delle regioni hanno mostrato con chiarezza la complessità delle variazioni dei criteri di distribuzioni delle dosi, focalizzandosi soprattutto sui tempi erogazione delle stesse. È stato previsto che

  • La fase 3 partirà in parallelo all’ultima parte della fase 1
  • La fase 2 sarà caratterizzata da categorie specifiche da sottoporre per prima al vaccino

Speranza convoca il Cts –Fonte:ilmattino.it

La principale motivazione che spiega il perché sia avvenuto questo mutamento sostanziale, risiede nella non garanzia di produzione e della consegna delle dosi della Pfizer previste dal contratto firmato con l’Unione Europea. Ad inizio anno l’azienda già presentava un ritardo del 9% sulla distribuzione delle dosi, causato dagli interventi strutturali nella fabbrica belga di Puurs, necessari per aumentare la produzione nei prossimi mesi. Oltre a ciò è sopraggiunto un ridimensionamento dei numero di flaconi consegnati, causato dall’autorizzazione all’estrazione di sei dosi anziché cinque da ciascun flacone. Rassicurante è il ritorno alla “normalità” avvenuta già dalla scorsa settimana ulteriormente incoraggiata dall’aumento delle dosi prevista dall’azienda dal 15 febbraio.

Vaccino Covid: l’inverno del nostro ritardo –Fonte:repubblica.it

Ad aver influito negativamente al rispetto del patto originario è importante il taglio comunicato dall’azienda del vaccino di AstraZeneca, sviluppato attraverso la collaborazione con l’università di Oxford, dovuto ad alcuni rinvii nei siti produttivi nei Paesi Bassi e nel Belgio contribuendo ad alimentare il clima di tensione con l’Unione Europea. Lo scorso venerdì l’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) e la Commissione Europea hanno esposto parere favorevole sul prodotto e così l’AIFA ha autorizzato il vaccino consigliando

 “un utilizzo preferenziale, in attesa di acquisire ulteriori dati, in soggetti tra i 18 e i 55 anni, per i quali sono disponibili evidenze maggiormente solide”

Si dovrà attendere la prossima settimana per l’arrivo delle prime dosi nel territorio nazionale.

Cambiamenti del piano

Le fasi che caratterizzano la campagna vaccinale rimangono per il numero invariate a quelle presenti nel piano iniziale. Queste si articolano in:

  • Fase 1: operatori sanitari, i dipendenti delle strutture sanitarie e gli ospiti delle RSA, gli anziani con più di 80 anni
  • Fase 2: le persone con più di 60 anni, gruppi a rischio più elevato di malattia grave e il personale scolastico “ad alta priorità”
  • Fase 3:– in contemporanea con la fase 1 – lavoratori presso i servizi essenziali, i detenuti, le persone in comunità e chi soffre di una malattia cronica
  • Fase 4: il resto della popolazione.

Campana vaccinale in Italia –Fonte:tgcom24.mediaset.it

Significativa risulta essere al decisione presa di attuare in parallelo all’ultima parte della prima fase con la terza che comprende:

  • Personale scolastico ed universitario al di sotto dei 55 anni (circa 1 milione e 107 mila)
  • Carcerati e dipendenti del sistema carcerario (97 mila)
  • Lavoratori delle forze armate sotto i 55 anni (551 mila)
  • Individui in comunità (200 mila)
  • Coloro che adempiono “servizi essenziali” (2 milioni e 167 mila)

In totale la fetta di popolazione coinvolta tocca quota di 3 milioni e 894 mila persone in aggiunta ai 4,4 milioni di anziani previsti dalla Fase 1.

Come avverrà la nuova distribuzione

A seguito della riunione, si è stabilito che le consegne non avverranno più basandosi sul parametro demografico della popolazione, bensì ci si focalizzerà sul fabbisogno effettivo che necessita ogni regione.

Dall’inizio del processo di vaccinazione in Italia sono state somministrate 2,2 milioni di dosi di cui 867 mila richiami. Ciò mostra come gli obiettivi iniziali a cui puntava il ministro Roberto Speranza siano andati in fumo, facendo si che il paese ottenesse solo un numero pari alla metà dei 16 milioni di dosi AstraZeneca predisposte all’origine.

Somministrazione dei vaccini nelle regioni –Fonte:ilgiornaledivicenza.it

Affinchè ci possa essere una più rapida somministrazione, il Governo tenterà di stipulare un nuovo accordo nazionale con i medici di famiglia, il cui compromesso dovrà essere stabilito su base regionale. Questa trattativa ha avuto avvio da poche ore e già la prima bozza di protocollo trova dei nodi sui dovuti compensi da dovergli retribuire. Si è pensato perciò ad un riconoscimento pari a 10 euro a dose somministrata negli studi medici e a quota 28 euro per quelle a domicilio. Tale progetto secondo Bonaccini costituirà il punto cruciale poichè

Non c’è tempo da perdere, le regioni sono pronte a offrire la massima collaborazione perché la campagna vaccinale ritorni ai ritmi delle prime settimane e anzi venga velocizzata”

Come potersi prenotare

Coronavirus, potenziato il numero 1500 –Fonte:ilgazzettinovesuviano.com

La prenotazione potrà avvenire attraverso un’app o il numero verde nazionale. Sarà perciò necessario inserire tutti i dati necessari, in modo da rendere più celere la fase di accettazione della domanda. Una volta ottenuta la data per la somministrazione della dose, vi si dovrà presentare presso la sede abilitata alla distribuzione del vaccino, dotati di documento di identità. Sarà poi necessario restare per un periodo sotto osservazione in modo da poter intervenire in caso in cui il soggetto abbia sviluppato alcuni effetti collaterali al farmaco.

Giovanna Sgarlata

Varianti del nuovo coronavirus: quanto dobbiamo preoccuparci?

  1. Le varianti
    1. La variante inglese
    2. La variante brasiliana
    3. La variante sudafricana
  2. Perché è importante tenerle sotto controllo?
  3. E i vaccini?
  4. Quanto dobbiamo preoccuparci?

I virus mutano.
Questa è una realtà con cui la comunità scientifica è stata costretta a confrontarsi sin dagli albori della loro scoperta.
Ma mai come adesso quelle piccole variazioni nella sequenza genetica fanno tremare le ginocchia.
Quando il vaccino è stato annunciato, il mondo è entrato in una nuova fase, fatta di speranze e desiderio di scrollarsi di dosso questa interminabile pandemia.
L’ombra delle varianti di SARS-CoV-2 però si è presto abbattuta sulle campagne vaccinali, smorzando l’allegria generale e seminando incertezza.
Molti si sono chiesti, a giusta ragione: quanto dobbiamo preoccuparci?

Le varianti

Ad oggi le varianti saltate agli onori della cronaca sono tre. Cercheremo di riassumerne brevemente le caratteristiche:

  • La variante inglese, B.1.1.7, con un numero inusuale di mutazioni, in particolare nel dominio che lega il recettore (RBD) della proteina spike in posizione 501.
    Si diffonde molto più velocemente delle altre, ma non c’è alcuna evidenza (supportata da uno studio) della sua maggior letalità. Questa variante è stata scoperta a settembre 2020 ed ha già infettato un cospicuo numero di individui.
  • La variante brasiliana chiamata P.1, scoperta in due viaggiatori all’aeroporto di Haneda in Giappone. Ha un set di mutazioni che potrebbero inficiare il suo riconoscimento da parte degli anticorpi.
  • La variante sudafricana chiamata B 1.351, scoperta intorno a ottobre, ha alcune mutazioni in comune con quella inglese pur essendo insorta indipendentemente.

Queste varianti di coronavirus si diffondono molto più velocemente rispetto alle altre e si teme possano provocare una impennata dei casi, così come successo in Gran Bretagna nelle prime settimane di gennaio.
Ripetiamo, non è tuttavia chiaro se queste varianti siano correlate a una maggiore mortalità o morbilità.

Perché è importante tenerle sotto controllo?

Le conseguenze dell’insorgenza di nuove varianti sono ben intuibili, prima tra tutte una maggior rapidità di penetrazione all’interno della popolazione generale.
Maggior penetranza significa nuovi casi e più si allarga il bacino di pazienti, più probabilità ci sono che aumenti la pressione sugli ospedali.
Un’altra, giusta, preoccupazione degli scienziati è che il virus mutato riesca ad evadere la risposta anticorpale dell’organismo, montata in seguito al vaccino o ad una precedente infezione.
La prudenza non è mai troppa, vista la natura a volte aggressiva della malattia.

E i vaccini?

Chiaramente non ci sono ancora trial clinici che possano verificare l’efficacia al 100% degli attuali vaccini sulle nuove varianti.
Le case farmaceutiche stanno cercando di capire se queste mutazioni, a volte minime, a volte più corpose, come nel caso della variante inglese, possano inficiare l’immunizzazione di massa.
Moderna in particolare è fiduciosa sull’efficacia del proprio vaccino sia nei confronti di B.1.1.7 che di B 1.351, mentre Pfizer ha per ora rilasciato dati solo riguardo B.1.1.7.

Quanto dobbiamo preoccuparci?

Tendere l’orecchio alle notizie che arrivano dalla comunità internazionale non è mai sbagliato, ma farsi prendere dal panico è controproducente.
Come già affermato, le mutazioni attuali del SARS-CoV-2 sono troppo esigue per mettere davvero a repentaglio la funzionalità di questi nuovi vaccini.
Nel caso peggiore, avendo già alle spalle un anno di studi e conoscendo l’intera sequenza genetica sia del ceppo originario che delle varianti, non dovrebbe essere un problema sintetizzare, se necessario, dei nuovi vaccini.
Tutto questo avviene già per il virus dell’influenza stagionale, che ogni anno protegge contro i ceppi più frequenti e virulenti, sempre diversi tra loro.
Importante sarà certamente la ripresa, il prima possibile, della campagna di vaccinazione di massa, una volta risolti i problemi con le case farmaceutiche, ma lasciamo questa discussione ad altre sedi.

 

Maria Elisa Nasso

Contagi da Covid sottostimati del 50%. Un dossier rivela la reale situazione

Secondo un dossier dell’intelligence, lo strumento di cui lo Stato si serve per raccogliere, custodire e diffondere ai soggetti interessati – siano essi pubblici o privati – le informazioni rilevanti per la tutela della sicurezza delle Istituzioni, dei cittadini e delle imprese, affermerebbe che i contagi da Covid in Italia sarebbero sottostimati del 50%. Stando a queste informazioni, i positivi giornalieri si aggirano nella realtà sul 40-50 % in più rispetto a quelli dichiarati in via ufficiale. Di conseguenza, la curva epidemiologica non starebbe indirizzandosi verso il basso, come attestato dai bollettini giornalieri, diramati dal ministro della Salute.

Fonte-La Repubblica: Contagi sottostimati del 50
Fonte-La Repubblica: Contagi sottostimati del 50%

Gli analisti pongono l’attenzione su due punti principali: in primo luogo sulla verosimiglianza della curva epidemiologica, la quale appunto non starebbe decrescendo, al contrario di quanto appare nelle comunicazioni ufficiali; in secondo luogo, un ulteriore elemento, mette in discussione l’attendibilità dei dati, cioè l’inserimento, nel conteggio dei tamponi, dei test antigenici (test rapidi), con la conseguente difficoltà di realizzare un adeguata analisi della situazione, impedendo un confronto con le serie storiche passate e l’adozione di misure adatte al contenimento del virus.

L’inizio di questa situazione sarebbe avvenuto poco prima di Natale. La curva, che in realtà era tornata a salire, comprovata dal fatto che i numeri dei pazienti a rischio vita negli ospedali non diminuiva, ma continuava a rimanere stabile secondo le comunicazioni ufficiali. La situazione è stata sottovalutata, nei bollettini ministeriali,  addirittura, da un picco dichiarato raggiunto il 13 novembre (+40.902 contagiati), in avanti, il numero dei positivi era andato gradualmente diminuendo (ad eccezione di un incremento improvviso intorno al 25): figurava il contrario di quella che era la reale situazione.

La causa delle sottostime, secondo l’intelligence, va rintracciata intorno alla diminuzione del numero dei tamponi. Poco prima di Natale nella settimana tra l’11 e il 17 novembre ne sono stati processati un milione e mezzo, il numero più alto registrato fino ad allora. Da novembre, il numero dei test svolti sono diminuiti progressivamente arrivando a 868mila della settimana tra il 23 e il 29 dicembre, per poi riprendere un incremento di 1.4 milioni dal 13 gennaio in poi, includendo nel conteggio anche i tamponi rapidi.

(fonte: toscana-notizie.it)

Inizialmente per determinare la situazione complessiva, venivano presi in considerazione solamente i tamponi molecolari. Solo in seguito, il Ministro della Salute ha ammesso anche gli altri. Questo è stato il punto cruciale, che secondo il dossier dell’intelligence ha complicato il quadro, determinandone il caos.

“L’introduzione dei test rapidi ha reso impossibile un confronto con le serie storiche passate. Alcune Regioni, inoltre, non fanno distinzione tra il molecolare e il rapido, è ciò ha evidenti ripercussioni sul calcolo di tutti i valori, tra cui il rapporto positivi/tamponi”.

Gli analisti sostengono che il rapporto andrebbe rivisto, eliminando l’inclusione dei rapidi, e di quelli svolti per confermare l’avvenuta guarigione, nel conteggio finale. Solo i tamponi di prima diagnosi mostrano realmente la situazione epidemiologica, e risultano attendibili per un analisi efficace. A partire da metà novembre si è assistito ad un calo di questa tipologia. Ad oggi i test di conferma sarebbero il 65% del totale: troppi per non alterare sensibilmente la rappresentazione della curva del contagio.

Eleonora Genovese

 

Pfizer risponde alle accuse sui ritardi, mentre la Germania guarda a possibili cure alternative

Dopo lo scoppio della polemica e numerose proteste per i ritardi delle consegne del vaccino in Europa, Pfizer ha risposto pubblicamente, precisando alcuni aspetti della vicenda, secondo le quali la situazione sembrerebbe ribaltarsi.

(fonte: avvenire.it)

Il ricalco del numero di dosi estraibili per fiala

“Pfizer ha ridotto il numero di fiale, ma non di dosi previste, che resta lo stesso. Quello che sta accadendo è frutto di un fraintendimento nel conteggio delle dosi che non è il conteggio delle fiale.” cita un comunicato dell’azienda.

Stando a questa dichiarazione, la casa farmaceutica, avrebbe ridotto la produzione a causa dei lavori presso il sito produttivo belga di Puurs, ma i numeri pattuiti negli accordi con gli Stati europei sarebbero stati rispettati, anzi raggiunti e superati, almeno fino al periodo 8-18 gennaio. Come è possibile?

I numeri specificati negli accordi stipulati con l’Ue e anche gli Usa – quelli non rispettati secondo gli Stati europei – sarebbero relativi alle dosi, non alle fiale da distribuire.

Pfizer continua a sottolineare che ogni fiala prodotta conterrebbe 6 e non 5 dosi, però, perché ciò sia possibile, è necessario l’utilizzo delle “famose” siringhe di precisione, su cui da tempo si discute. Su questo, dai centri vaccinali italiani è arrivata una conferma.

Un ricalcolo riconosciuto anche dall’Ema (l’autorità europea del farmaco), che aveva già riformulato le autorizzazioni a fine dicembre, e il 6 gennaio negli Stati Uniti, dopo settimane, dall’omologa dell’ente europeo Food and Drug Administration.

Ieri, Pfizer ha aggiunto di poter fornire 2 miliardi di dosi, anziché 1.3 miliardi come preventivato, entro il 2021.

La reazione alle nuove dichiarazioni di Pfizer

Il commissario straordinario Arcuri si è detto indignato per le dichiarazioni del colosso americano, verso cui l’Italia ha intrapreso le vie legali. Sarebbe un tentativo di distrarre i cittadini dal reale mancato rispetto degli accordi.

(fonte: fanpage.it)

“Dopo aver letto dotte disquisizioni sul numero di dosi per fiala, sei anziché cinque, apprendiamo che il problema sarebbe tornato ad essere la mancanza di siringhe di precisione”.

Ha aggiunto che negli ultimi giorni, in Italia, si è provveduto a distribuire un numero inferiore di siringhe solo per le consegne ridotte e che quando queste riprenderanno a regime, “proprio le siringhe non saranno a mancare”.

Ha pesantemente attaccato Pfizer, ma anche AstraZeneca per i ritardi:

“Stanno trattando ventisette Paesi europei come dei poveracci. Queste aziende non producono bibite e merendine”.

Il commissario si è, poi, espresso anche su delle voci – non confermate – secondo le quali, un certo numero di dosi riservate ad alcuni Stati Europei, tra cui l’Italia, siano andati ai Paesi più ricchi dell’Unione o in altri continenti.

Il ministro degli Affari Regionali, Francesco Boccia, ha dichiarato che l’Italia pretende che i numeri pattuiti siano ripristinati e che i tutti gli eventuali problemi produttivi siano adeguatamente segnalati. Sull’ipotesi che i vaccini non recapitati siano invece andati ad altri Paesi più ricchi, ha detto:

“Spero che questo non sia vero. So che all’Europa sono stati dati meno vaccini di quanto doveva riceverne e che con la vita delle persone non si gioca.”.

I ritardi faranno, così, slittare di circa 4 settimane la vaccinazione degli over 80 e, di 6-8 l’inizio di quella del resto della popolazione. Intanto le dosi disponibili verranno usate per il richiamo – che è necessario sia effettuato nei tempi previsti – a coloro che sono stati già sottoposti alla prima somministrazione.

Si dovrà ancor di più per l’immunità di gregge, che si può avviare in sicurezza solo con un’alta percentuale di persone vaccinate. A tal proposito, il commissario Arcuri ricordava l’obiettivo di 45milioni di italiani vaccinati entro l’autunno, che ora pare stia sfumando.

Il patto riservato con Israele

(fonte: ilmanfesto.it)

Un’altra polemica, che si inserisce nello scenario delle vaccinazioni contro il coronavirus, ha come protagonista lo Stato d’Israele. Il primo ministro Netanyahu – che nel suo ufficio conserva a vista la siringa con cui gli è stata somministra la prima dose Pfizer – pare abbia firmato un accordo di venti pagine con la società americana, per la consegna di una quantità di fiale sufficienti ai due terzi della popolazione (9.2 milioni di persone) entro marzo, esclusi i più giovani sotto i 16 anni. Un’intesa simile sarebbe stata finalizzata anche con Moderna. Dal 20 dicembre, oltre 2.5 milioni di cittadini sono stati vaccinati. Per assicurare la consegna di tutte le dosi nei tempi prestabiliti, pare che Israele abbia pagato tanto e di più di tanti Paesi Ue. Ciò per permettere che i cittadini possano andare al voto, come previsto – per la quarta volta in due anni – il prossimo 23 marzo.

Nell’accordo si teme figurino troppi dettagli sensibili relativi ai cittadini e ogni singola dose, nel suo tragitto fino al braccio in cui era stata destinata ad essere iniettata. Il governo ha risposto assicurando che, in realtà, a Pfizer vengono forniti solo dati statistici generali. Di questo sono poco convinte alcune associazioni e organizzazioni che si occupano di tutela della privacy. Così, queste hanno firmato una petizione presentata in tribunale che ha costretto il Ministero della Sanità a rendere pubblico l’accordo, documento approvato senza che la Commissione di Helsinki – preposta a definire le regole per le sperimentazioni mediche sugli esseri umani – potesse prima revisionarlo. Nonostante ciò, alcuni passaggi rimangono ancora riservati.

Si cerca l’alternativa al vaccino

In questo scenario, nelle ultime ore è arrivata la notizia che la Germania inizierà a utilizzare, negli ospedali universitari già dalla prossima settimana, il trattamento sperimentale a base di anticorpi monoclonali, con cui l’appena-ex presidente americano Trump fu curato quando fu malato di Covid. Lo ha annunciato domenica il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn: “Il governo ha acquistato 200mila dosi” ha detto al quotidiano Bild am Sonntag.

La strada verso la fine della pandemia è ancora lunga, ma gli ultimi avvenimenti sono stati prova del fatto che la comunità scientifica non si è ancora arresa nella ricerca di cure alternative ai vaccini.

 

Rita Bonaccurso

Ritardo Pfizer. Ue e Italia non transigono e chiedono il rispetto dei patti

Nei giorni scorsi, da parte di Pfizer era arrivato un appello affinché si lavorasse più velocemente per l’approvazione degli altri vaccini ancora nelle ultime fasi di sperimentazione. Il motivo fornito è l’impossibilità, da parte dell’azienda, di produrre il vaccino per tutto il mondo nei tempi necessari al contenimento del covid.

Non ha tardato la reazione dell’Ue, la quale ha annunciato di non ammettere eventuali ritardi sulla consegna delle dosi, facendo intendere che questi sarebbero stati, dunque, provocati dalla produzione, non da disposizioni diverse, e ricordando che l’azienda tedesca è stata finanziata con 100 milioni di euro dalla Comunità.

Gli obiettivi raggiunti con le campagne di vaccinazione

(fonte: agendadigitale.eu)

Molti Stati, tra cui l’Italia hanno raggiunto già ottimi traguardi con le somministrazioni. Il nostro Paese si trova al nono posto nella classifica mondiale e al primo in Europa, sono un milione e 120mila gli italiani che hanno ricevuto la prima dose di vaccino. Uno dei prossimi obiettivi – nonostante i dati confortanti di questa prima fase della vaccinazione – è che possano essere utilizzati, dopo tutte le fasi di sperimentazione e di certificazioni, anche le dosi di Reithera. Ciò è previsto avvenga a giugno. L’approvazione del vaccino italiano è attesissima: grazie alla sua formulazione, basterebbe una sola dose per ottenere l’immunità al virus e gode di più facile conservazione, che può avvenire anche in un normale frigo a 4 gradi. Ma di questo vaccino, l’azienda, stima di poter produrre 100 milioni di dosi all’anno al massimo.

La somministrazione di una dose Pfizer (fonte: milano.corriere.it)

 

Le reazioni in Europa dopo l’annuncio ufficiale dei ritardi

Intanto l’annuncio del ritardo della distribuzione del vaccino Pfezeir-Biontech è arrivato come temuto, il 16 gennaio, alle ore 15.38 con un comunicato ufficiale. La Pfizer aveva avvisato che, a partire dalla giornata odierna, avrebbe consegnato all’Italia circa il 29% di fiale di dosi in meno rispetto ai piani concordati con gli uffici del Commissario straordinario Arcuri e con le Regioni italiane. Inoltre, ha, unilateralmente, deciso in quali centri di somministrazione sul suolo nazionale ridurrà le fiale inviate e in quale misura. Analoga comunicazione è pervenuta a tutti gli altri Paesi della Unione. Inizialmente, l’Ue ha temuto un ritardo delle consegne pari a 3-4 settimane.

“La campagna vaccinale italiana è partita con il piede giusto, siamo il primo paese dell’Unione europea. Le cose si sono messe nel modo giusto, ma chiediamo a Pfizer di rispettare i patti, chiediamo serietà e rigore” ha detto il ministro della Salute Roberto Speranza, durante un suo intervento durante il programma televisivo Stasera Italia Weekend.

Il commissario Arcuri (fonte: corriere.it)

Lo strano suggerimento di Pfizer

Alla vigilia dell’annuncio del cambio di programma, Pfizer aveva, inoltre, ufficialmente suggerito di procedere con l’estrazione, presso gli hub vaccinali dove sono state fornite le siringhe di precisione, anche di una sesta dose dalle fiale consegnate. Una soluzione per consentire di ottenere il 20% di dosi in più rispetto a quelle finora iniettate, il 66% di quelle disponibili. Intanto chi ha partecipato al V-Day del 27 dicembre, fra ieri e oggi, dovrebbe aver ricevuto la seconda dose. Per i richiami già programmati si era programmato l’utilizzo della riserva del 30%, ma dove in via di esaurimento, anche, se necessario, la somministrazione di fiale del vaccino Moderna, compatibile con il Pfizer.

Ci sarebbe la necessità di ristrutturare l’impianto belga di Puurs per aumentare il ritmo produttivo, dietro le incertezze di Pfizer. “Appena ho saputo del ritardo nella produzione di Pfizer – ha dichiarato il presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen – ho chiamato l’amministratore delegato: mi ha rassicurato che tutte le dosi previste per l’Ue saranno consegnate nel primo trimestre”.

Un piano per ridurre il ritardo

Così, anche dopo la richiesta del commissario Arcuri di “rivedere i propri intenti”, auspicando “di non essere costretto a dover tutelare in altro modo il diritto alla salute dei cittadini italiani”, Pfizer e BioNTech hanno poi comunicato di aver un piano per ridurre a una settimana i ritardi annunciati.

In un comunicato si legge che questo “permetterà di aumentare la capacità di produzione in Europa e di fornire molte più dosi nel secondo trimestre. – e ancora – Torneremo al calendario iniziale di distribuzione all’Ue a partire dalla settimana del 25 gennaio, con un aumento delle consegne dalla settimana del 15 febbraio. Per farlo, alcune modifiche al processo di produzione sono ormai necessarie.”

La preoccupazione per le “varianti”

Ad aumentare la tensione, contribuisce la preoccupazione per le varianti inglese e brasiliana del virus, più aggressive e contagiose.

L’Istituto zooprofilattico di Abruzzo e Molise (Izsam) ha individuato 51 contagi, nella provincia di Chieti, riconducibili alla variante inglese.

Le autorità, già preoccupate per la più facile contagiosità della variante inglese, stanno monitorando attentamente anche la variante brasiliana, su cui vi sono ancora meno certezze che sull’altra.

Inizialmente, vi era anche il sospetto che la Pfizer stesse ritardando proprio a causa della scoperta delle varianti, poi smentito a causa dell’obiettiva insostenibilità nel produrre dosi per tutto il mondo.

Sulla parziale o completa inefficacia dei vaccini già somministrati su queste varianti, non vi è assoluta certezza, ma l’attenzione è comunque altissima per il rischio.

In ogni caso, in tutti questi mesi, abbiamo – o almeno avremmo dovuto – imparare che è meglio non abbassare mai la guardia con questo virus.

 

 

Rita Bonaccurso