La storia di Anna: da studentessa Unime in Erasmus a volontaria in prima linea nella lotta al Covid19 a Bruxelles

Anna Maria Monachino è una studentessa Unime di Medicina e Chirurgia.

Lo scorso ottobre ha iniziato la sua esperienza Erasmus a Bruxelles, in Belgio, e cinque mesi più tardi l’emergenza Coronavirus capovolge la sua quotidianità. Lì, su iniziativa degli studenti vengono organizzate, nell’ospedale in cui faceva tirocinio, delle attività di volontariato in prima linea.

Per noi di UniVersoMe, Anna ha deciso di raccontarsi, condividendo la sua esperienza e rispondendo alle nostre domande.

La tua è una storia di coraggio, da cui tutti noi possiamo apprendere qualcosa. Decidere di lavorare in prima linea sarà stata una scelta difficile e non sarà mancata la paura.

Non sono un’eroina, sono solo una studentessa di Medicina che ha sentito una possibilità di formazione in questa attività di volontariato. Rimanendo a casa, in quarantena, avrei fatto sicuramente del bene ma nel mio caso, potevo dare effettivamente una mano. Non ho considerato l’adesione alle attività come un’opzione.La paura c’era. Ogni giorno mi chiedevo se stessi facendo la cosa giusta. I miei dubbi riguardavano l’ovvia preoccupazione dei miei cari sapendo che ero esposta. La paura per me stessa c’era, ma non eccessiva. Ero tranquilla perchè ci hanno assicurato delle ottime protezioni, al pari di medici e infermieri.

Questo riguarda anche la professionalità di chi è medico, o lo vuole diventare: aiutare gli altri è sentito come un dovere e si ha più coraggio ad esporsi in prima persona.

Sono d’accordo. Naturalmente il rischio deve essere preso sempre con intelligenza, perchè essere un buon professionista non significa vivere da temerario. Essere un buon professionista significa aiutare gli altri e per farlo bisogna prima tutelare se stessi. Non bisogna considerarli eroi.

Ecco, tutti danno l’appellativo di eroi ai medici e al personale sanitario. Tu cosa ne pensi?

Ci ho riflettuto molto e la mia è un’opinione personale. Sotto determinati punti di vista a me ha dato un po’ fastidio, perchè in Italia si è scoperto solo adesso che medici e infermieri fanno bene il loro lavoro. Mentre in precedenza, come molte notizie di cronaca hanno riportato, il sistema sanitario è stato attaccato con aggressioni ai pronti soccorso, maltrattamento del personale a tagli alla sanità. Non vorrei che, presi dell’emozione di questo periodo, li chiamino eroi e poi finito tutto si torna ai brutti vizi di prima.

Torniamo indietro. Ad ottobre è iniziata la tua esperienza Erasmus: come mai hai deciso di partire?

Riguarda la mia formazione: ho frequentato un Liceo Europeo e sono sempre stata educata nell’ottica internazionale. L’Erasmus era un’occasione che non potevo perdermi. Avere la possibilità di conoscere realtà diverse dalla mia ha dato la possibilità di apprezzare un po’ di più quello che ho a casa e di arricchirmi come persona e come studentessa.

Il Belgio è entrato in quarantena nella seconda metà di marzo. Come si è aggravata la situazione lì? E soprattutto, com’è stata la percezione del pericolo?

In termini statistici il Belgio risulta essere uno dei paesi con il rapporto più alto nella relazione di vittime sul totale degli abitanti.

Sciensano is the leading scientific institution in the epidemiology of infectious diseases. 

La percezione del pericolo non è mai stata come in Italia. Noi ragazzi italiani abbiamo visto come si sviluppava l’emergenza in Italia mentre qui non veniva preso alcun tipo di provvedimento. Ci sembrava quasi che la stessero prendendo sottogamba, poi fortunatamente il governo ha preso precauzioni simili al nostro paese.

A proposito di oggi, del presente. In Italia stiamo per entrare nella fase 2 e i contagi sembrano essersi stabilizzati. Qual è la situazione attuale in Belgio?

Anche qui, il 4 maggio, inizierà una fase 2. Riapriranno i negozi e la gente potrà muoversi più liberamente. Si pensava che il Belgio prolungasse la quarantena almeno fino all’11 maggio, come la Francia. Questa decisione è motivata dal fatto che qui hanno una possibilità più elevata di posti in terapia intensiva. Credo siano più fiduciosi perchè non sono arrivati mai ad averli tutti occupati.

Parlando della tua esperienza: di cosa ti sei occupata durante l’attività di volontariato?

Mi sono occupata di accogliere i pazienti al pronto soccorso e qualche volta ho fatto ECG a pazienti in unità Covid. C’era anche una parte amministrativa: dovevamo raccogliere i dati dei pazienti positivi da una parte e comunicare i risultati negativi dei tamponi ai soggetti che avevano effettuato il test. L’attività vera e propria è stata quella del triage in tenda (lavoravamo all’aperto) : dovevamo somministrare un questionario ai soggetti sospetti Covid e decidere se mandarli a casa o farli proseguire con altri esami.

Sono compiti di forte e seria responsabilità. Lo potremmo definire un battesimo del fuoco. Trovarsi in una situazione simile quando si è ancora alle prime armi deve essere sconvolgente. Come pensi abbia influito sulla tua carriera e formazione di medico?

Sì, è stato un battesimo del fuoco ma sono felice di averlo fatto. Anche se voglio specializzarmi in altro, è stata un’esperienza che mi porterò dietro per sempre, mi ha arricchito molto.

C’è qualcosa che ti ha colpita? Qualche incontro particolare?

Sì, al triage mi è capitato di incontrare tantissime persone. Ricordo di una bambina dolcissima che aveva un taglio in testa ma che fortunatamente era ancora vigile. E poi l’incontro di una signora, che era lì per un ascesso. Avevo visto un ematoma sotto il suo occhio e un taglio in fronte. Le ho chiesto cosa le fosse accaduto ed ha ammesso di essere stata picchiata dal marito. Non mi era mai capitato di avere direttamente a che fare con una vittima di violenza. È stato emotivamente forte.Quello che mi rimane è sicuramente l’esperienza umana, prima di qualsiasi vantaggio formativo.

Sempre a proposito dei compiti delicati che ti hanno affidato: coinvolgervi è stato qualcosa dettato dell’emergenza o è un approccio belga?

Credo sia la mentalità belga, quella di coinvolgere chi è alle prime armi. Quando facevo tirocinio, prima del Coronavirus, in reparto chiarivano subito quale fosse il mio lavoro. Sono abituati ad avere tirocinanti. Questo è uno degli aspetti più belli dell’Erasmus: ho capito che qui tengono molto alla nostra formazione pratica.

Cosa hai provato stando a contatto con i malati?

La parte più difficile era dire ai cari di dover lasciare il paziente lì e non poter rimanere con lui.

La tua attività di volontariato sta per terminare. Cosa farai d’ora in poi?

Mi aspetta una quarantena di studio per sostenere gli esami! E poi, quando tornerò in Italia, ne dovrò fare sicuramente un’altra. 

La mia strada è ancora lunga.

L’esperienza di chi è stato in prima linea è preziosissima. Noi stiamo vivendo l’emergenza da dietro lo schermo del televisore. Cosa ti senti di dire, agli studenti Unime, da giovane a giovani?

La calma è la virtù dei forti, dice il detto. Non dobbiamo sottovalutare l’emergenza, anche se siamo giovani. La cosa migliore da fare è rimanere a casa, del resto siamo abituati a quarantene di studio.L’atto d’amore più grande che possiamo fare per i nostri nonni è limitarci a far loro una telefonata.

Ricordiamoci anche che essere giovani non significa essere immuni.

Noi di UniVersoMe ringraziamo Anna per essersi prestata a raccontare la sua storia e anche per quello che ha fatto in Belgio. Il suo contributo lì, in spirito europeo, ha un grande valore per tutti noi: è bella la storia di una ragazza italiana che ha aiutato gli abitanti di un paese, nostro fratello europeo.

Angela Cucinotta

Il rischio “seconda ondata” è reale, gli studi lo confermano: esclusa una riapertura totale

Abbiamo sperato di riaprire tutto. Dalle nuove indicazioni per la “fase 2” ci si attendeva delle scelte che mirassero verso una ripartenza senza mezzi termini, ma così non è stato. In molti se ne sono chiesti la ragione sottostimando, talvolta con un velo polemico, i potenziali rischi. Analizzando alcuni studi e i documenti che hanno supportato la scelta, cerchiamo di far più chiarezza su quali siano state le ragioni che hanno escluso una riapertura totale. Allo stesso tempo, cerchiamo di fornire qualche ipotesi su cosa accadrebbe prolungando il lock-down per un periodo ancora maggiore. In entrambi i casi la preoccupazione è la medesima, ed è reale: una tanto discussa e temuta “seconda ondata“.

Una seconda ondata prevista già mesi fa

Partiamo da un lavoro dell‘Imperial College di Londra, noto per essere stato lo studio che è piombato come un secchio d’acqua ghiacciato sulle teste di Boris Johnson e Donald Trump. I due leader erano orientati verso un approccio senza rigide misure di distanziamento, mirando a una sorta di “immunizzazione di massa”. Le conclusioni della previsione sono severe, e ci proiettano verso un’evoluzione ancora verosimile e che giustifica la cautela nei confronti di un’immediata ripartenza.

Previsione a 18 mesi dell'Imperial College di Londra
Fonte: Imperial College di Londra – Andamento epidemico a 18 mesi

Lo studio, che si riferisce alla popolazione britannica, ci mostra come in un periodo di diciotto mesi si potranno avere delle riattivazioni cicliche dell’epidemia. L’obiettivo è evitare una risalita troppo brusca che possa mettere in crisi gli ospedali e precludere le cure ad alcuni pazienti. Si potrà capire quando (ri)chiudere sulla base dei flussi in ingresso nei reparti di terapia intensiva, indice reale della diffusione del virus nella popolazione. Almeno finché non verranno sviluppati strumenti terapeutici in grado di dare, finalmente, una conclusione al fenomeno.

Il Comitato Tecnico Scientifico ci mette di fronte alla realtà

Un documento del CTS, emerso poco dopo la presentazione delle nuove misure di contenimento (“fase 2”), lascia spazio a pochi dubbi. Il comitato taglia corto sulla riapertura delle scuole. Infatti, “aumenterebbe in modo significativo il rischio di ottenere una nuova grande ondata epidemica con conseguenze potenzialmente molto critiche sulla tenuta del sistema sanitario nazionale”.

Il comitato analizza varie ipotesi, tra cui anche quella di una riapertura totale: manifattura, settore edile, commercio, ristorazione, settore alberghiero e togliendo i limiti ai contatti sociali, alle possibilità di spostamento e alle capacità dei mezzi di trasporto ma mantenendo le scuole chiuse e il telelavoro lì dove possibile. Saremmo comunque proiettati verso uno scenario disastroso con un picco di oltre ottantamila ricoverati in terapia intensiva orientativamente nel mese di Settembre. Ciò determinerebbe un alto numero di decessi. Riaprire le scuole e tornare integralmente al lavoro aprirebbe ad uno scenario ancor più disastroso, anch’esso analizzato nello studio. Ciò ci fa apparire più chiaro comprendere come difficilmente si potrà avere “tutto e subito”.

La soluzione sta nel tenere sotto controllo l’R0: “indice di contagiosità”

Si discute molto dell’indice R0 che rappresenta il numero di persone contagiate in media da un singolo infetto. L’obiettivo è mantenerlo a valori inferiori o comunque prossimi ad 1. Valori superiori, come si evince dalle oltre novanta simulazioni presentate nel documento, avrebbero un impatto notevole e a tratti drammatico sul sistema sanitario nazionale.

Aumento R0 in caso di riapertura scuole
Fonte: Documento del CTS- Aumento R0 in caso di riapertura delle scuole

Riaprire le scuole con l’impostazione tradizionale farebbe schizzare R0 a livelli difficilmente gestibili del SSN. Il rischio sarebbe quello di creare dei cluster epidemici familiari che potrebbero far ripartire il contagio in scala nazionale.

Effetto della riapertura di alcuni settori
Fonte: Documento del CTS – Effetto della riapertura di alcuni settori

Una delle possibili soluzioni per far ripartire le attività produttive ed evitare (nuovamente) il collasso della sanità prevede una riapertura parziale che però impone dei limiti cautelativi sull’età, con delle limitazioni nei trasporti e nella circolazione. Tutto ciò nell’ipotesi di un’efficienza di protezione (non certa secondo il comitato) da parte delle mascherine. Il governo ha di fatto seguito quest’indicazione, senza però imporre limiti sull’età.

La soluzione non è neanche restare chiusi per sempre

L’ipotesi di prolungare delle restrizioni estese fino a nuove possibilità terapeutiche sarebbe comunque insostenibile da un punto psicologico, economico e sociale. Probabilmente non sarebbe neanche la migliore soluzione da un punto di vista scientifico in quanto spegnere il lockdown richiederebbe mesi, con la possibilità di importazioni future del virus e ripartenze di focolai epidemici. In assenza di possibilità terapeutiche risolutive, che sono promettenti ma non certe, riaprire anche a distanza di un anno potrebbe causare una riattivazione dell’epidemia.

Andamento dell'epidemia con l'attuale contenimento
Fonte: Nature Medicine, Giulia Giordano et al. – Sarebbero necessari mesi per azzerare i positivi attivi

Un recente articolo italiano pubblicato su Nature Medicine, prestigiosa rivista del settore, prevede un modello in cui l’azzeramento dei casi nel nostro Paese non si verificherebbe prima di quasi un anno dall’inizio dell’epidemia. L’articolo prevede, allo stesso tempo, che un prematuro allentamento delle restrizioni con valori di R0 vicini ad 1 condurrebbe a decine di migliaia di morti entro la fine dell’anno.

Chiudere quando serve, chiudere quanto basta

Come afferma l’autrice dello studio in realtà, non abbiamo solo il lockdown come possibile contromisura. Un’altra potrebbe essere quella di effettuare test sierologici e tamponi a tappeto sull’intera popolazione e un tracciamento accurato dei contatti, in modo da poter isolare qualunque focolaio emergente dal principio. Isolare infetti, fornire cure e arrestare la diffusione.

Questa considerazione riassume le intenzioni emerse dalle dichiarazioni del governo. Attento tracciamento dei contagi, tamponi e test sierologici sulla popolazione, zone rosse isolate se superati certi valori soglia critici che presto dovrebbero essere resi noti.

Di fronte ad una situazione senza precedenti le considerazioni e le valutazioni degli esperti rendono chiaro come una riapertura totale sia, al momento, soltanto uno slogan che mira al consenso popolare piuttosto che alla salute pubblica. Fidiamoci di cosa ci viene suggerito e non cediamo facilmente ad ipotesi che, per quanto desiderabili, potrebbero essere potenzialmente disastrose.

Antonino Micari

Il 4 maggio il via alla fase due: distanza sociale e graduale ripartenza

Forza, coraggio, metodo e rigore.

Sono queste le parole-chiave con le quali il Presidente del Consiglio Conte ha esordito nella conferenza stampa di ieri sera convocata per l’annuncio del nuovo attesissimo Dpcm.

Rivolgendosi, come forse mai aveva fatto direttamente ai cittadini, il Premier ha esposto le misure, le disposizioni e le prescrizioni relative alla «fase 2» dell’emergenza coronavirus, la fase della convivenza con il nemico invisibile.

Evitare il rischio (scellerato e che non possiamo permetterci) che arrivi una seconda ondata di contagi: questo il “claim” fondamentale che ha attraversato in parallelo tutto il discorso trasmesso in diretta nazionale.

Conte ha ribadito la stringente necessità di rispettare le precauzioni, anche nelle relazioni con i propri familiari.
L’unico modo responsabile ed efficace per convivere con il virus è di mantenere la distanza sociale almeno un metro: «se vuoi bene all’Italia devi evitare la diffusione del contagio».

Le diposizioni del nuovo Dpcm per la Fase 2 saranno valide dal 4 al 17 maggio 2020; alle imprese che potranno riaprire verrà permessa la ripartenza mediante attività propedeutiche a partire dal 27 aprile.

Sarà possibile spostarsi, all’interno della propria regione, anche per visitare i propri familiari, nel rispetto delle distanze e con l’utilizzo delle mascherine. Resta in vigore l’autocertificazione.

E’ consentito tornare alla propria residenza, fare sport lontano da casa purché si rispetti la distanza di due metri.

Non sarà però ancora possibile spostarsi in altre regioni, eccezion fatta per urgenti motivi di salute o di lavoro.

Graduale ed appannata ripartenza anche per il settore della ristorazione, dove sarà aggiunta alle attività di servizio a domicilio anche la possibilità  di asporto.

Dal 4 Maggio, inoltre, potranno riaprire parchi e giardini pubblici (nel consueto rispetto della distanza di sicurezza); si potranno celebrare funerali con la partecipazione di non più di 15 persone (dotate dei presidi di sicurezza).

Confermato con rigore il divieto assoluto per tutte le modalità di assembramento in luoghi pubblici e privati.

 

Per la vendita al dettaglio ed i luoghi di cultura (musei, istituti d’arte) dovremo pazientare fino al 18 maggio.

Più dure e rigorose le misure prescrittive per le attività che si prestano naturalmente allo sviluppo di dinamiche di relazione sociale come bar, esercizi commerciali legati alla ristorazione e centri estetici potranno tornare ad essere frequentati dal 1 giugno.

Quanto alle scuole, Conte ha spiegato che tenere chiuse le scuole significa seguire con rigore e lungimiranza le indicazioni scientifiche degli esperti; riaprire irresponsabilmente gli istituti scolastici ed universitari comporterebbe una potenziale nuova esplosione di contagi, che rischierebbe di vanificare gli sforzi ed i sacrifici prodotti dagli italiani.

Il presidente del Consiglio ha dedicato un passaggio del suo discorso anche al tema caldissimo dell’Unione Europea.

Conte ha parlato del Recovery Fund come di un risultato storico, che adesso va traslato in termini di lavoro tecnico, affinché si eviti che questo strumento si trasformi in una macchina crea-debito.

L’arma della ragionevolezza, della pacatezza lucida e della lungimiranza pare stia iniziando a dare i suoi frutti nel contesto delle trattative europee.

Seguiranno sicuramente settimane difficili ma che, se affrontate con responsabilità e senso civico, potrebbero rivelarsi decisive nella prospettiva di una lenta e difficile guerra al coronavirus che pare, purtroppo, solo all’inizio.

Antonio Mulone

Coronavirus e l’estate: ombrelloni distanziati e spiagge a numero chiuso

In prossimità dell’estate, una delle tante domande poste tra i giovani  e non solo riguarda la possibilità di andare a mare, piscina, o comunque nelle strutture balneari,  a seguito dell’emergenza covid-19. Le risposte non sono certe. Non è stata presentata nessuna disposizione concreta per il momento , ciò che rimane certo è il cambiamento rispetto alla nostra tipica idea di estate. Molto spesso estate è sinonimo di divertimento, lunghi bagni, after in spiaggia, color party, gruppi di animazione per i più piccoli e quant’altro.
Siamo davanti ad un’estate del tutto nuova. Per far fronte al coronavirus l’Istituto Superiore di Sanità e il ministero della Salute ha chiesto la consulenza della Società Nazionale di Salvamento, società fondata 150 anni fa a Genova e oggi presieduta dal professor Giuseppe Marino. La società da una decina d’anni si occupa anche di medicina di balneazione ed insieme al ministero sta studiando un piano ragionato su come poter aprire le attività balneari con regole che verranno poi dettate dal governo.

Chiariamo fin da subito che il mare non è di per se contaminato dal coronavirus , ma è l’uomo che rischia di portarlo. Una delle domandi più frequenti riguarda la possibilità di contagio quando si va a fare il bagno a mare. Innanzitutto c’è da dire che il caldo cosi’ come il mare è un antivirale per eccellenza. Succede come con ogni altro microorganismo, che a contatto con l’acqua il virus non potrà avere una quantità di forza infettante sufficiente.

Vale il discorso di una goccia nel mare, anche se uno lo elimina in acqua, il mare è così grande che non ci saranno problemi di infettarsi, e ciò è valido non solo per il coronavirus ma anche per ogni altro tipo di virus», spiega Matteo Bassetti direttore della clinica di malattie infettive dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine, e ora da pochi mesi nuovo direttore dell’Unità operativa della clinica malattie infettive al Policlinico San Martino di Genova.

In sintesi fare il bagno a mare dovrebbe essere un’operazione sicura, dato che le capacità infettive sono fortemente ridotte in mare aperto. Al contrario bisogna evitare determinate zone adiacenti allo sversamento e le acque reflue di scarichi organici , a causa della trasmissione fecale, spiega Alfredo Rossi, medico e direttore sanitario della Società Nazionale di Salvamento. Inoltre il dottore spiega che qualora ci dovesse essere un individuo portatore e uno sano, la trasmissione non avviene attraverso l’acqua, ma attraverso l’acqua espirata. Una persona infetta infatti può rilasciare il virus nella fase espiratoria mentre nuota. E’ molto probabile, però, che il virus non sopravviva e non si diffonda  grazie anche all’azione delle correnti, dei raggi ultravioletti e grazie alla salinità dell’acqua, creando  un ambiente sfavorevole in  grado di far disperdere facilmente la carica virale. Resta importante comunque mantenere le distanze di sicurezza proprio per evitare il contagio esattamente come accade fuori dall’acqua attraverso tosse, starnuti e respirazione ravvicinata.Prime prove di distanziamento al lido Bacino grande di Porto Cesareo in provincia di Lecce

Oltre a quanto scritto sopra, ci sono vari altri accorgimenti da rispettare.
Sono da escludere spiagge super affollate e ombrelloni distanti gli uni dagli altri di qualche mentre – si parla anche di 4 metri di distanza- anche se, come sostenuto dal dottor Bassetti, potrebbe essere eccessivo dato che il virus colpisce in un raggio molto piccolo.
Si è parlato anche di spiagge a numero chiuso, con accessi scaglionati  e prezzi di listino differenti in base alle fasce orarie.

Sanificazione di lettini e sdraio ( possibile fonte di contagio) ogni cambio persona,  attraverso l’ipotesi di tunnel igienizzanti .
Un altro aspetto riguarda l’acceso a queste aree attraverso corridoi abbastanza lunghi , accompagnati da erogatori lungo le pedane, per spruzzare disinfettanti a base di ozono.

Tunnel Sanificanti e Box Igienizzanti - Tunnel sanificazione Covid-19

In attesa delle direttive del governo, i gestori degli stabilimenti balneari si stanno già mettendo in moto per organizzarsi. E’ partita nei giorni scorsi la manutenzione dei lidi per non farsi trovare impreparati alla Fase 2 che dovrebbe partire il 4 maggio. In Puglia, addirittura, in alcuni lidi del Salento sono state fatte già le prime prove di distanziamento.  Bisogna trovare delle soluzioni ideali che permettano di fronteggiare la situazione, soprattutto per un altro aspetto importante: quello economico .

Andiamo in spiaggia anche più tardi ma andiamoci, qui si tratta di proteggere 25 mila posti di lavoro” ha dichiarato Alessandro Berton, presidente dell’associazione Unionmare Veneto.

Eleonora Genovese

Estate e Covid-19: il caldo rallenterà la pandemia?

Gli studiosi si sono posti un importante quesito riguardante il Covid 19, cioè se l’estate, per via delle alte temperature, possa essere utile nel contenere e rallentare la pandemia.

Non esiste ancora una risposta chiara, ma un’analisi del “Massachusetts Institute of Technology” suggerisce che la trasmissione del SARS-CoV-2 possa ridursi in modo non indifferente nei Paesi con il clima più mite.

Amante del freddo?

Gli studi del MIT hanno evidenziato che in un periodo compreso tra il 22 gennaio 2020 e il 21 marzo 2020 il 90% dei contagi di COVID-19 sarebbe avvenuto in un range specifico di temperatura compreso tra i 3 e i 17 °C, e a un livello di umidità assoluta tra i 4 e i 9 g/m³.

Il numero di casi dei positivi erano inferiori tra 0° e 30° latitudine Nord rispetto al numero dei casi registrati tra 30° e 50° latitudine Nord.

Si possono elencare varie ipotesi per spiegare questo minor numero di casi registrati nei paesi più caldi, alcune esulano dal semplice aspetto climatico come ad esempio il minor numero di tamponi eseguiti per valutare l’aumento del 2019-nCoV. Difatti il numero dei tamponi effettuati nei paesi tropicali con un’elevata densità demografica (India, Brasile, Indonesia etc.) sono stati molto bassi ed è presumibile che la differenza di casi tra i paesi del Nord e quelli del Sud possa essere proprio legato a questo.

Un’altra potrebbe riguardare il notevole sviluppo di infrastrutture sanitarie e validi protocolli di quarantena successivi all’epidemia SARS del 2003 a Hong Kong, Singapore e Taiwan e questo può aver contribuito a contenere l’aumento del virus in questi paesi.

Altre ipotesi però sostengono che il basso numero di casi fino ad ora registrati nei paesi ad alta densità popolare tra 0°N e 30°N (con una popolazione totale di circa 3 miliardi di persone) possa essere realmente causato da fattori naturali e che la trasmissione virale sia quindi più bassa ad alte umidità e alte temperature; difatti la maggior parte dei paesi tra 0°N e 30°N hanno climi temperati e umidi.

Uno studio pubblicato da un team guidato da ricercatori dell’Università di Beihang in Cina, ha evidenziato che le alte temperature ed elevata umidità riducevano la trasmissione del COVID-19 entrambe con un livello di significatività statistica dell’1%. Questa scoperta va di pari passo con l’evidenza che le alte temperature e l’alta umidità riducano la trasmissione dell’influenza, e ciò può essere spiegato con due possibili motivi:

  1. Il virus dell’influenza è più stabile alle basse temperature, e le droplets, come contenitori del virus, rimangono infettive più a lungo nell’aria secca.
  2. Il clima freddo e secco può anche indebolire le proprie difese immunitarie e rendere le persone più suscettibili al virus.

Queste osservazioni possono anche essere applicate alla trasmissione del COVID-19 e sono anche avvalorate dal fatto che l’alta temperatura e umidità hanno ridotto anche la diffusione della SARS.

Previsioni matematiche

Nello stesso studio, secondo il modello osservato in Cina, i ricercatori hanno creato due cartine che mostrano la diffusione del virus nel mondo a marzo e la previsione (su stima solo matematica) di come sarebbe a luglio se considerassimo che il virus seguisse la variabile clima nel modo ipotizzato.

Cautele su più fronti

Nessuno di questi articoli ha ricevuto una revisione scientifica cosiddetta “da pari” e le correlazioni tra diffusione e condizioni climatiche potrebbero essere dovute a variabili di altro tipo: ad esempio le risposte dei governi, le linee di contagio, la mancanza di test da sottoporre alla popolazione.

In un recente post, Marc Lipsitch, direttore del Center for Communicable Disease Dynamics presso la Harvard School of Public Health, ha fatto eco a questa analisi: «Anche se possiamo aspettarci modesti ribassi nella contagiosità di SARS-CoV-2 in condizioni climatiche più calde e umide, non è ragionevole aspettarsi che questi ribassi da soli rallentino la trasmissione abbastanza da creare l’abbassamento della curva». Anche gli scienziati inoltre sottolineano che tra l’11 e il 19 marzo si è osservato un aumento del numero di casi in regioni con temperatura> 18 ° C di almeno 10mila persone.

Non vi sono quindi chiare evidenze scientifiche, ma si tratta di ipotesi basate su diverse osservazioni. In ogni caso per l’emisfero settentrionale la strada da percorrere non cambia: isolamento e distanziamento sociale più la chiusura quasi totale, misure che sembrano funzionare al di là delle bizze del tempo. Peraltro non potremmo – noi in Italia – permetterci di non agire per aspettare l’estate. La buona notizia è che se il clima contasse, anche la natura sarà a nostro favore nei prossimi mesi.

Carlo Reina

Bibliografia

https://arxiv.org/ftp/arxiv/papers/2003/2003.05003.pdf

https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3556998

 

In quarantena tutti pazzi per la cucina: perché? Risponde la psicologia

Ammettiamolo: anche noi abbiamo cucinato qualcosa durante la quarantena. Oppure siamo rimasti sorpresi nel vedere che tante persone si sono cimentate nella realizzazione di ricette complesse. Ci hanno provato anche quelli che sapevano solo riscaldare il latte! Ma perché tutti (o quasi) sentono il bisogno di cimentarsi nella cucina durante l’isolamento forzato? La psicologia ci risponde.

 

Partiamo da un presupposto…

Cucinare non è solo una necessità ma anche un rituale che ha una funzione sociale e psicologica. La cucina (soprattutto in Sicilia) è parte integrante dell’identità dei popoli e dei singoli. La condivisione del pasto è un momento di socializzazione, chiedere il piatto preferito dell’altro diventa motivo di conversazione. Addirittura “smascherare” un vegano ci porta a discutere. L’essere umano e il cibo sono legati in maniera indissolubile.

Cucinare ci consente di essere concentrati su un compito specifico, grazie all’ attenzione selettiva. Così ci troviamo focalizzati nel qui” ed ora” (come avviene nella meditazione mindfullness). Escludiamo, cioè, dal nostro campo di coscienza momentaneo tutto il resto. Infatti, le notizie sul numero delle vittime, le previsioni circa la situazione economica, gli ammonimenti dei medici ecc vengono momentaneamente ignorati. Ciò significa che siamo totalmente sommersi nell’ esperienza che stiamo vivendo.

Inoltre, cucinando  si attiva il nostro locus of control interno. Esso è il processo tramite il quale la persona ritiene di poter gestire gli eventi che riguardano la propria vita. Ciò sta ad indicare che, di fronte alla precarietà di questo momento storico, cerchiamo di salvaguardaci. Come? Auto-inducendoci un senso di calma e di prevedibilità tramite la messa in atto del rituale del cucinare.

La “danza dei fornelli” è la versione evoluta della “danza della pioggia”! Gli antichi cercavano di controllare gli eventi soprannaturali con il rito. Noi, invece, tentiamo di gestire le emozioni  negative (ansia, rabbia, frustrazione) legate a questa quarantena imposta (e quindi non controllabile, come la pioggia).

Per cucinare una ricetta dobbiamo “stick to the plan

Ovvero “attenerci al piano” come dice lo chef Gino D’Acampo. Bisogna usare specifici ingredienti, metodi e tempi per ciascun piatto. Seguire un piano già predefinito è uno dei pochi elementi certi in questo periodo e ci aiuta a ridurre l’ansia e a favorire il buon umore. Oltre alla concentrazione, mettiamo in atto processi di pianificazione per tutti i processi da eseguire. A volte può capitare di non avere a disposizione tutti gli ingredienti necessari o di voler apportare delle modifiche alla ricetta. In questi  casi facciamo appello alla flessibilità cognitiva, la quale ci consente di essere creativi e di cambiare le carte in tavola. Per il nostro cervello diventiamo dei piccoli artisti anche quando cambiamo la quantità del sale!

Se cuciniamo da soli creiamo un legame con noi stessi. Cioè? Semplicemente ci percepiamo maggiormente, ci confrontiamo con le nostre abilità e comprendiamo meglio le nostre preferenze. Se, invece, cuciniamo in compagnia rinforziamo i legami con gli altri. Cucinare con una persona cara significa condividerci del tempo, svolgere un lavoro di squadra per la riuscita della ricetta, collaborare per adottare le strategie migliori. Praticamente alleniamo la nostra abilità di team working (una delle varie skills richieste dagli annunci di lavoro). E ancora, cucinare per qualcuno significa prendersene cura. Possiamo preparare un pasto per amore, affetto, vicinanza, per dimostrare che ci siamo e che non siamo passivi nel rapporto.

Cucinare vuol dire impegnarsi concretamente nella trasformazione del prodotto. Sviluppiamo le nostre capacità di tolleranza alla frustrazione (quando la ricetta non riesce come dovrebbe) e l’abilità del pazientare (i risultati non sono immediati). Quando cuciniamo,infatti, siamo sia attori che pubblico. Attori perché interveniamo direttamente nell’ atto e ne siamo protagonisti, pubblico perché osserviamo dall’esterno come si evolve il nostro lavoro.

Cucinare, in questo momento, assume anche una valenza collettiva

Lo facciamo tutti perché ci sentiamo parte di un unico gruppo (quello degli isolati) e funge da collante sociale. Anche se non possiamo vederci fisicamente, siamo tutti legati da questo filo invisibile. Attuare un rituale collettivo (cucinare, cantare dal balcone, condividere i tik tok ecc) ci aiuta a sopravvivere socialmente (sostiene il nostro senso di appartenenza). Condividere le foto delle nostre prelibatezze è un modo per dire che facciamo le stesse cose. Svolgere le stesse attività significa appartenere ad un gruppo e non esserne esclusi, quindi non rimanere da soli. Questi elementi sono centrali per un animale sociale, come l’essere umano.

cervello con alimenti

Le aree cerebrali maggiormente coinvolte mentre cuciniamo

-Corteccia prefrontale dorso laterale (pianificazione, working memory,controllo attenzionale, astrazione, comportamento strategico, flessibilità cognitiva);

-Corteccia prefrontale ventrale (controllo delle risposte emotive e dei processi decisionali);

-Corteccia cingolata anteriore (controllo della motivazione,inibizione di stimoli interferenti);

-Corteccia somatosensoriale (memoria delle informazioni provenienti dai sensi: gusto, olfatto ecc.);

-Sistema limbico (memoria delle emozioni provocate dai sensi).

Che aspetti? Corri a cucinare!

Chiara Fraumeni

Sintomi neurologici da covid-19: alterazioni di gusto e olfatto

 

La malattia da Coronavirus SARS-CoV-2, nota col nome Covid-19, comporta principalmente un quadro clinico caratterizzato da sintomi respiratori. L’evenienza più grave, come ben sappiamo, è rappresentata dalla polmonite interstiziale, ma questo virus ha la capacità di diffondersi anche in altri distretti. In particolare il sistema nervoso sembra poter essere interessato precocemente e le manifestazioni lievi connesse potrebbero aiutare a velocizzare il processo diagnostico. Ciò sarebbe utile a discriminare i soggetti che non svilupperanno polmonite ma sono portatori attivi dell’infezione.

Quali sono i sintomi neurologici del coronavirus?

La risposta arriva da dove ci si sta avviando ad una lenta ripresa delle attività dopo la fase critica dell’epidemia, ovvero dalla Cina. Proprio uno studio cinese, recentemente pubblicato su JAMA Neurolgy, ha portato alla luce possibili sintomi e complicanze neurologiche della Covid-19. I partecipanti allo studio sono stati 214 pazienti ospedalizzati SARS-CoV-2 positivi, sia uomini che donne, sia con infezione severa che non. Di questi, 78 pazienti (il 36,4%) mostravano una sintomatologia neurologica, più frequente in coloro con malattia grave. In base alla sede coinvolta, hanno distinto i sintomi in:
– Manifestazioni del sistema nervoso centrale: mal di testa, perdita della coscienza, accidenti cerebrovascolari acuti (coinvolti il 24,8% dei pazienti oggetto di studio, ictus nel 6%).
Manifestazioni del sistema nervoso periferico: compromissione del senso del gusto (ageusia: perdita della capacità di discriminare i sapori) e dell’olfatto (anosmia: mancanza della percezione degli odori nell’aria), ma anche problemi visivi (8,9%).
– Danni ai muscoli scheletrici, con coinvolgimento del 10,7% della popolazione studiata.
La maggior parte dei sintomi neurologici si sono mostrati precocemente, anche in assenza del classico quadro respiratorio, potendo costituire quindi un elemento utile al riconoscimento precoce ed un miglior trattamento. Comunque un grande limite di questa analisi è la bassa numerosità del campione in esame.

Quali riscontri nel vecchio continente?

Anche in Europa sono in corso delle ricerche a riguardo. Uno studio condotto su 417 pazienti ricoverati in 12 località diverse si è soffermato sulle disfunzioni di gusto ed olfatto. Il 34,5% dei soggetti studiati era nella fase acuta della malattia. Le principali comorbilità del gruppo erano rinite allergica, asma, ipertensione arteriosa ed ipotiroidismo.
Per quanto riguarda i sintomi olfattori i risultati sono stati i seguenti:
– L’85,6% della popolazione campione presentava disordini dell’olfatto, di cui la maggior parte lamentava anosmia.
– La fantosmia, ovvero la percezione di un odore per il quale nell’ambiente non è presente alcuna molecola, interessava il 12,6% dei soggetti durante il decorso clinico.
– Mentre la parosmia, cioè lo scambiare un odore per un altro, veniva lamentata dal 32,4%.
– In 247 pazienti con infezione clinicamente risolta, in cui erano scomparsi tutti i sintomi “canonici”, le disfunzioni olfattive persistevano per un tempo indeterminato nel 63% delle persone.
Riferendoci alle alterazioni del gusto, queste hanno dato manifestazioni nell’88,8% dei pazienti. Consistevano in una riduzione o distorsione della percezione di alcuni sapori, in particolare salato, dolce, amaro ed acido.
Basandoci sui risultati dello studio, i disturbi olfattivi e gustativi sono risultati essere sintomi significativi dei pazienti Covid-19 europei. Inoltre possono rappresentare, in alcuni casi, anche gli unici sintomi in assenza di complicanze e per questo necessitano di essere riconosciuti per aiutare nella limitazione della diffusione del contagio.

Trattamento anosmia
Opzioni terapeutiche adottate in questo studio europeo per i pazienti con problematiche dell’olfatto (Da https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas ).

 

Come SARS-CoV arriva al sistema nervoso?

L’esame del liquor cefalorachidiano è in genere negativo, quindi il virus non attraversa la barriera emato-encefalica. Certo, sono possibili eccezioni, ma non sono state riscontrate frequentemente meningiti o encefaliti, come invece può avvenire con gli Herpes virus. Per identificare le porte di ingresso del Coronavirus al SNC le ipotesi sono due.
La prima prende in considerazione la possibilità che il virus possa risalire dai neuroni del bulbo olfattivo. Questo spiega l’elevata frequenza di anosmia riscontrata negli studi sopra citati ed è una via già utilizzata da altri virus respiratori.
Secondo l’altra ipotesi il danno neurologico non sarebbe diretto, bensì scatenato dalla tempesta di citochine sistemica dovuta all’infezione. Le nostre difese immunitarie iperattivate andrebbero fuori controllo e coinvolgerebbero altri distretti, fra cui il sistema nervoso ma anche il cuore (possibilità anche di miocarditi).

Struttura delle vie olfattive
Bulbo olfattivo ed epitelio olfattivo nel naso separati solo dalla lamina cribrosa dell’osso etmoide (Da Stanfield, Fisiologia umana)

 

Anche i neurologi possono quindi essere aggiunti alla lista degli specialisti che, insieme ad infettivologi e pneumologi (oltre ai medici di medicina generale), potranno avere contatti con pazienti covid già alla prima diagnosi od essere coinvolti durante il loro trattamento. Già si sta cercando di scrivere delle linee guida ad hoc che permetteranno di affrontare l’infezione da coronavirus dal punto di vista multidisciplinare. Così da prepararci al meglio a quella che sarà la fase 2, di cui iniziamo a vedere gli spiragli, in cui si auspica la messa in funzione dei Covid hospital. Si tratterà di centri interamente dedicati ai pazienti covid con l’obiettivo di facilitare anche la ripresa degli altri reparti ospedalieri, le cui attività ambulatoriali sono state momentaneamente sospese.

Antonio Mandolfo

 

 

Bibliografia

https://link.springer.com/article/10.1007/s00405-020-05965-1#citeas
https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/2764549
https://www.focus.it/scienza/salute/la-covid-19-da-anche-manifestazioni-neurologiche

Quando l’infezione da COVID-19 si ‘traveste’ da ictus o da stato confusionale

Coronavirus: le previsioni del contagio zero regione per regione

Le ultime stime prevedono che l’azzeramento della curva epidemiologica dei contagi dal Coronavirus si verificherà non prima di fine Giugno.

Le regioni del Centro-Nord, nelle quali la tragica diffusione del Covid-19 è scoppiata prima, saranno probabilmente le ultime ad uscire dalla situazione pandemica di emergenza.

Secondo le previsioni dell’Osservatorio sulla salute, le prime regioni orientate verso la fase 2 ( la fase di convivenza col virus) potrebbero essere Basilicata e Umbria il 21 aprile; il Lazio dovrà attendere almeno il 12 maggio; Veneto e Piemonte il 21 maggio; Emilia Romagna e Toscana non prima della fine di maggio, mentre il Sud Italia potrà procedere con le nuove misure previste dalla fase 2 tra la fine di aprile e l’inizio di maggio.

La mappa delle proiezioni (elaborata dall’Osservatorio nazionale sulla salute nelle regioni italiane, coordinato da Walter Ricciardi direttore dell’Osservatorio e consulente del Governo per questa fase di emergenza, e da Alessandro Solipaca direttore scientifico dell’Osservatorio) ha evidenziato che l’uscita dell’emergenza Covid-19 in Italia potrebbe avere tempistiche diverse nelle regioni in relazione ai territori più o meno esposti alla potenza del contagio epidemico.

Pare dunque fondamentale in questo momento di pianificazione e successivo sviluppo della fase 2,  fornire valutazioni concrete ed aggiornate sulla gradualità e sull’evoluzione della curva epidemiologica, affinchè si possano supportare con adeguati riferimenti scientifico-medici le scelte politiche, che nelle prossime settimane, saranno più decisive che mai.

L’obiettivo che l’Esecutivo si è posto non è individuare la data esatta, bensì la data prima della quale è inverosimile prevedere l’azzeramento dei nuovi contagi.

Il processo di indagine ed analisi è stato prodotto dal coordinamento con i dati che la Protezione Civile quotidianamente mette a disposizione.

I modelli statistici stimati per ogni regione fanno riferimento ad un fenomeno (non lineare) di probabile regresso in correlazione all’andamento dei nuovi casi osservati nel tempo.

Chiaramente, come evidenziato dagli specialisti, l’attendibilità e la conseguente precisione delle proiezioni previsionali è fortemente influenzata dalla corretta rilevazione dei nuovi contagi.

Il pericolo dietro l’angolo è che questi dati potrebbero essere sottostimati a causa dei casi da contagio asintomatico o dal numero insufficiente di tamponi effettuati.

Come accade spesso in questi contesti di incertezza, quando tutto poggia su previsioni variabili che dipendono da diversi fattori, c’è chi nell’ambiente scientifico non concorda sulle stime e prevede che il coronavirus continuerà a circolare anche se in basse intensità.

Si potrebbe dunque non avere mai effettivamente zero contagiati poiché il virus, sebbene in maniera contenuta, continuerà a circolare anche durante il periodo estivo.

Precarietà e surrealtà continuano a caratterizzare questa primavera, che sa di tutto fuorchè di libertà.

Ci attendono le ultime settimane di profondo sacrificio e di grande responsabilità, unici strumenti concreti nella battaglia la nemico invisibile. 

Antonio Mulone

Eparina e Covid-19: come e perchè della nuova sperimentazione AIFA

Negli ultimi giorni è stata data molta attenzione all’utilizzo dell’eparina nella terapia contro il SARS-CoV-2. Descritta da alcune testate giornalistiche con titoli sensazionalistici come “cura contro il Coronavirus” o letteralmente “molecola di Dio”l’eparina è davvero una novità tanto importante? Importante lo è senz’altro, ma una novità certamente no, vediamo perché. 

Cos’è l’eparina e quando viene utilizzata

L’eparina è una molecola con funzione principale di anticoagulante naturale. Si lega a un fattore del sangue, l’antitrombina III (AT-III), che a seguito del legame con l’eparina stessa cambia conformazione esponendo il suo sito attivo. L’AT-III attivata a sua volta inattiva la trombina, il Fattore X, e altre proteasi coinvolte nella coagulazione del sangue. Per la sua funzione biologica l’eparina viene utilizzata da decenni in casi di infarto miocardico, fibrillazione atriale, trombosi venosa profonda, embolia polmonare ed altre condizioni in cui si formano trombi nel circolo sanguigno.  

Perché utilizzare l’eparina in una polmonite virale

Non bisogna pensare che, in corso di polmoniteil resto dell’organismo non sia coinvolto. Possono essere variamente interessati cuore, reni, fegato, cervello e nervi, sistema emopoietico (ecco un articolo divulgativo della Fondazione Veronesi). Ciò può avvenire per azione diretta del virus, o anche per azione indiretta. La spiegazione è semplice: in corso di polmonite, specie se di grave entità, vengono rilasciate elevate quantità di chemochine e citochine pro-infiammatorie che agiscono a livello sistemico e alterano, tra gli altri, il normale equilibrio della coagulazione. Infiammazione e coagulazione sono strettamente correlate e si influenzano vicendevolmente, anche a livello polmonare. 

Queste complesse interazioni molecolari sono state comprovate clinicamente da diversi studiRicerche condotte nell’ambito del “MEGA study” (Multiple Environmental and Genetic Assessment of risk factors for venous thrombosis), uno degli studi più estesi mai compiuti per lo studio di fenomeni trombotici, hanno confrontato 4956 pazienti affetti da TVP (trombosi venosa profonda) o EP (embolia polmonare) contro oltre 6000 controlli. Nell’ambito di tali gruppi, è stato dimostrato come, nella sottopopolazione di pazienti affetti da polmonite, il rischio di andare incontro a TVP fosse di 3-4 volte maggiore e il rischio di EP, con o senza TVP, fosse da 6 a 10 volte maggiore.  

Per queste ragioni, già note, l’utilizzo di eparina a scopo preventivo è indicato dall’OMS in corso di COVID-19 fin da inizio gennaio. 

Le caratteristiche della COVID-19 che fanno ben sperare

Sono state riscontrate alcune peculiarità che hanno catturato l’attenzione della comunità scientifica. 

Premettendo che il fulcro del discorso sono i pazienti ricoverati in terapia intensiva, e non tutti i soggetti positivi al SARS-CoV-2, un recente studio ha evidenziato come oltre il 30% dei soggetti ammessi in ICU manifesti complicanze trombotiche. Si tratta di un’incidenza molto significativa che non va sottovalutata.  

Inoltre è stato dimostrato che il Sars-Cov-2 lega l’eparan-solfato e l’eparina endogena prodotti dal nostro organismo e localizzati soprattutto nella membrana basale delle arterie polmonari. Il legame avviene tramite il dominio RBD della proteina Spike S1 e provoca un’importante alterazione conformazionale che inattiva tali molecole. Non solo le molecole endogene, ma anche l’eparina esogena subisce lo stesso effetto. Questo apre le porte a diversi ragionamenti: da un lato il virus provoca direttamente, oltre che scatenando un’intensa risposta infiammatoria, un’alterazione dei processi emocoagulativi; dall’altro l’eparina potrebbe avere un ruolo nel “sequestrare” il virus inibendone l’ingresso nelle cellule.  

Non a caso si sta ipotizzando la somministrazione del farmaco per via inalatoria, nebulizzata, per sfruttare questa sua azione diretta “antivirale”. 

L’eparina non è solo un anticoagulante

La sperimentazione dell’eparina in casi di ALI (Acute Lung Injury), come può essere la ARDS (Sindrome da Distress Respiratorio Acuta) da qualsiasi causa, è in corso da oltre un decennioIl razionale di ciò è che tale molecola ha dimostrato in numerosi studi molte altre proprietà oltre a quella anticoagulante 

In vitro l’eparina è in grado di inibire la cascata di trasduzione del fattore NF-κB e di ridurre così l’espressione di molteplici mediatori pro-infiammatori nei macrofagi alveolari e negli pneumocitiIn vivo, attraverso studi su topi con ALI indotto, sono stati dimostrati effetti simili di inibizione del NF-κB e del TGF-β, ma anche di riduzione del reclutamento di granulociti neutrofili e dell’edema alveolare, tramite somministrazione per via inalatoria. Inoltre ridurrebbe la disfunzione endoteliale avendo un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare.

Anche se questi effetti ottenuti in vitro e su modelli animali non hanno avuto lo stesso riscontro in studi clinici applicati a pazienti sotto ventilazione meccanica, in pazienti con ARDS manifesta la somministrazione di eparina ha ridotto il numero di giorni di ventilazione meccanica necessari per il recupero. Inoltre, una meta-analisi ha evidenziato come il trattamento per via inalatoria con eparina a basso peso molecolare entro i primi 7 giorni di ALI/ARDS riducesse il rischio di mortalità del 48% entro la prima settimana e del 37% entro il primo mese, migliorando anche l’efficacia degli scambi gassosi polmonari, specie nei pazienti trattati con alte dosi. Gli stessi autori dichiarano però che il basso numero di studi e di pazienti esaminati potrebbe rendere i risultati fuorvianti, per cui sono necessari ulteriori dati clinici da analizzare.  

Il punto della situazione

Premessa l’assenza di una terapia efficace contro la COVID-19, lelevata incidenza di complicanze trombotiche nei pazienti affetti e le potenziali azioni multiple dell’eparina hanno portato l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ad approvare un nuovo protocollo di sperimentazione 

Il documento dell’AIFA descrive come la COVID-19 segua schematicamente tre fasi di malattia 

  • una fase precoce con sintomi simil-influenzali;  
  • una parte di pazienti passa ad una seconda fase che si caratterizza per una polmonite interstiziale spesso bilaterale;  
  • in una terza fase, in un numero di casi limitato, si può evolvere verso un quadro clinico ingravescente dominato dalla cosiddetta tempesta citochinica, con uno stato iperinfiammatorio che può sfociare in ARDS grave e in alcuni casi in CID (Coagulazione Intravascolare Disseminata).  

In tale complesso quadro le EBPM (eparine a basso peso molecolare) si collocano: 

  • Nella fase iniziale della malattia, quando è presente la polmonite, a dose profilattica con lo scopo di prevenire il tromboembolismo venoso, come già noto.  
  • In fase avanzata, in pazienti ricoverati in terapia intensiva, per contenere i fenomeni trombotici conseguenza dell’iperinfiammazione. In tale caso le EBPM dovranno essere utilizzate a dosi terapeutiche.   

14 centri italiani sono stati coinvolti nello studio; il farmaco sarà fornito gratuitamente dall’azienda farmaceutica Techdow Pharma e somministrato a 300 pazienti ammessi alla sperimentazione per via sottocutanea. Un primo gruppo di 200 pazienti con dose di profilassi (pari a 4.000 U.I.) e un secondo di 100 partecipanti con dosi terapeutiche intermedie (di 6.000, 8.000 o 10.000 U.I. in base alla massa corporea).  

Si spera così di rispondere ai quesiti irrisolti sui potenziali effetti terapeutici e non solo preventivi dell’eparina nei pazienti con COVID-19. Va però sottolineato che si tratta di tutt’altro che una novità o un farmaco miracoloso, come è stato pubblicizzato. Ma potrebbe rivelarsi una potenziale speranza in più, al pari di molti altri farmaci di cui si è discusso, in pazienti in fase avanzata di malattia per i quali purtroppo, ad oggi, la medicina non può far altro che andare per tentativi. 

Davide Arrigo

 

Bibliografia:

https://www.aifa.gov.it/documents/20142/0/Eparine+Basso+Peso+Molecolare_11.04.2020.pdf/31ad4388-05aa-956b-c1a3-10cbd5354fc3
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1111/j.1538-7836.2012.04732.x
https://www.thrombosisresearch.com/article/S0049-3848(20)30120-1/pdf
https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.02.29.971093v1.full.pdf
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC5799142/#r11
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/jth.14821
http://www.ijcem.com/files/ijcem0057580.pdf

Nuove misure e limitazioni a Messina: ordinanza spiegata punto per punto

È con l’ordinanza 144 che il Comune di Messina recepisce le nuove disposizioni nazionali per il contenimento del Covid-19.

Il documento è stato presentato nella diretta dell’altro ieri, 14 marzo, alla presenza degli assessori Dafne Musolino e Alessandra Calafiore.

Questa volta si è trattato di un’integrazione e un perfezionamento di molte delle misure già adottate.

L’obiettivo è infatti di garantire maggiore sicurezza, contenimento della diffusione e per rendere giustizia all’efficacia di una quarantena già estesa fino al 3 maggio.

L’ordinanza spiega dettagliatamente e per punti tutti i settori di interesse. Di seguito le categorie:

facebook.com/delucasindacodimessina/

Spostamenti

Gli spostamenti sono ancora consentiti solo ed esclusivamente per comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità. A tal proposito è necessario essere muniti di autocertificazione valida.

I soggetti positivi al virus hanno l’obbligo di non lasciare la propria abitazione.

Posso spostarmi in una seconda casa o in una casa vacanza?

No, non è possibile effettuare questo genere di spostamenti. È anche fatto divieto di trasferimento in comuni diversi da quello di residenza se non per comprovati motivi.

Posso uscire a fare sport in solitaria?

L’ordinanza riporta, al punto e, il divieto assoluto di passeggio e attività fisica in luogo pubblico.

Sono consentite solo le “passeggiate terapeutiche” per i soggetti diversamente abili accompagnati dai familiari.

Eventi sociali e luoghi pubblici

Il documento riporta le misure già adottate in precedenza ribadendo la sospensione assoluta di manifestazioni sportive, spettacoli, eventi in ogni luogo, pubblico o privato.

L’obiettivo è limitare l’assembramento di persone.

Cinema, teatri, sale giochi e scuole di ballo restano chiusi.

Le cerimonie civili e religiose sono sospese, funerali compresi.

Parchi e ville rimarranno chiusi.

Strutture sanitarie

Gli accompagnatori di pazienti al pronto soccorso non possono sostare nelle sale d’attesa.

Sono vietate le visite dei familiari presso qualsiasi struttura ospedaliera.

Alimentari e ristorazione

Si era già appreso della sospensione di servizi di ristorazione (bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie) ma ci sono importanti novità.

È stata precisata la possibilità da parte di questi esercizi commerciali di effettuare il servizio di consegna a domicilio, nel rispetto delle norme igieniche.

Tale provvedimento è stato attuato visti i risultati positivi ottenuti nelle aree di maggior contagio, in cui il servizio a domicilio ha limitato di molto la diffusione.

Gli esercizi alimentari dovranno rispettare le seguenti regole:

-apertura dal lunedì al sabato

-con orario di apertura dalle 7 alle 18

Altre attività commerciali

Tornano a riaprire i negozi di elettronica, gli ottici, le ferramente, le cartolerie, le librerie e le lavanderie. Questi devono rimanere aperti solo dalle 8 alle 14.

Rimangono sospese le attività di centri estetici e parrucchieri.

Chiusura domenicale

Sono esclusi dalla chiusura domenicale soltanto le farmacie.

 

Angela Cucinotta