In Cina esplode la rabbia contro la politica zero Covid. Su Twitter il governo tenta la censura

Durante lo scorso fine settimana, in svariate città della Cina sono andate in scena una serie di proteste contro le restrizioni Covid, causando un’ondata a livello nazionale che non si vedeva dai moti pro-democrazia del 1989. A catalizzare la rabbia pubblica un incendio mortale (10 vittime) a Urumqi, la capitale della regione dello Xinjiang, dopo che molti hanno accusato le restrizioni sanitarie di aver reso impossibili le operazioni di soccorso.

Fonte: Wired Italia

È il culmine dell’insoddisfazione pubblica in costante crescita negli ultimi mesi nel Paese asiatico, uno degli ultimi al mondo ad applicare una rigida politica “zero covid”, che implica confinamenti continui e test molecolari quasi quotidiani della popolazione. Ma le manifestazioni di questo fine settimana hanno anche fatto emergere domande di maggiori libertà politiche, addirittura di dimissioni del presidente Xi Jinping, appena riconfermato alla testa del paese per un terzo mandato.

Slogan di protesta in tutta la Cina

Dopo l’incendio, la protesta scoppia prima sui social poi nelle strade: il 27 novembre una folla di manifestanti, rispondendo ad appelli sui social network, aveva espresso la sua rabbia principalmente a Pechino e Shanghai, prendendo alla sprovvista le forze dell’ordine. Tra gli slogan gridati all’unisono: “Basta test covid, abbiamo fame!”, “Xi Jinping, dimettiti! Pcc (Partito comunista cinese), fatti da parte!”, “No ai confinamenti, vogliamo la libertà”. Lo stesso giorno si sono svolte diverse manifestazioni a Wuhan (dove quasi tre anni fa è stato confermato il primo caso al mondo di Covid-19), a Canton, a Chengdu e a Hong Kong. Nella città meridionale di Hangzhou, due giorni fa le autorità hanno arrestato diverse persone bloccando un raduno sul nascere.

Fonte: Ansa

Nei giorni scorsi sono stati fermati anche alcuni giornalisti: domenica un cronista della Reuters, trattenuto per breve tempo prima di essere rilasciato, quindi Ed Lawrence, della Bbc. Un fatto “scioccante e inaccettabile” ha sottolineato il premier britannico Rishi Sunak. Per questa vicenda, ieri l’ambasciatore cinese a Londra è stato convocato dal Foreign Office. Nel frattempo, le proteste si sono estese anche davanti alle ambasciate cinesi di Londra, Parigi e Tokyo, oltre che alle università negli Stati Uniti e in Europa.

Il rigido controllo delle autorità cinesi sull’informazione e le restrizioni sanitarie sui viaggi all’interno del paese complicano la verifica del numero totale di manifestanti. Ma una sollevazione così estesa è rarissima in Cina, tenendo conto della repressione attiva contro tutte le forme di opposizione al governo: ciò fa credere che la mobilitazione è stata probabilmente la più grande dai disordini pro-democrazia del 1989. Tuttavia, “ci sono alcune differenze” tra le proteste in Cina di questi giorni e i fatti di Tiananmen del giugno 1989, quando le Forze di sicurezza cinesi hanno massacrato migliaia di studenti e cittadini che dall’iconica piazza della capitale chiedevano libertà e democrazia nel Paese. È il commento ad AsiaNews di Wei Jingshou, il “padre della democrazia” del colosso asiatico, attualmente in esilio negli Stati Uniti.

La rivolta dei fogli bianchi

La pagina bianca è diventata un elemento iconico del movimento di protesta, che molti ora chiamano «protesta del foglio bianco» o «protesta A4». Durante le varie manifestazioni, infatti, sono state viste parecchie persone esibire in mano un foglio di carta bianco, simbolo di tutte le cose che in Cina non si possono dire.

In un video virale – risalente a sabato, secondo quanto riferito – un uomo non identificato ha portato via uno di quei fogli di carta dopo che una donna dell’Università di Nanchino lo aveva sollevato. In un altro video di quella notte, dozzine di altri studenti sono state viste nel campus con in mano pezzi di carta bianca, in piedi in silenzio. Scene simili si sono verificate anche in altre grandi città durante il fine settimana.

Basta zero Covid

Il sito della Bbc riporta un prospetto delle conseguenze nefaste che la politica zero Covid portata avanti dal governo cinese ha comportato nell’ultimo anno. Oltre all’incendio di Urumqi sopra menzionato, all’inizio di questo mese, una famiglia di Zhengzhou ha detto che il loro bambino è morto dopo che un’ambulanza è stata ritardata a causa delle restrizioni di Covid. Lo scorso settembre, ai residenti di Chengdu è stato impedito di lasciare le loro case durante un terremoto di magnitudo 6,6 che ha ucciso 65 persone. A ottobre, un padre ha riferito che la figlia di 14 anni ha sviluppato la febbre durante la quarantena nella provincia di Henan ed è morta dopo non aver ricevuto cure adeguate in un centro di quarantena. Durante il lockdown di Shanghai ad aprile, le persone si sono lamentate della mancanza di cibo e delle difficili condizioni in cui versano gli anziani, portati con la forza nei centri di quarantena.

“Le persone hanno raggiunto un punto di saturazione dato che non ci sono direzioni chiare sulla via per porre fine alla politica zero covid”, spiega all’Afp Alfred Wu Muluan, esperto di politica cinese all’Università nazionale di Singapore. “Il partito ha sottovalutato la rabbia della popolazione”, aggiunge.

In foto Mi Feng, portavoce e vice direttore del Dipartimento della comunicazione della Commissione sanitaria nazionale cinese. Fonte: italian.cri.cn

Il portavoce della Commissione sanitaria nazionale Mi Feng ha affermato che i governi dovrebbero “rispondere e risolvere le ragionevoli richieste delle masse” in modo tempestivo. Alla domanda se il governo centrale stia riconsiderando le sue politiche anti-Covid, Mi ha replicato che le autorità “hanno studiato e adattato le misure di contenimento della pandemia per proteggere al massimo l’interesse delle persone e limitare il più possibile l’impatto sulle persone stesse“.
Ma nonostante la replica evasiva di Mi Feng, all’inizio del mese la Cina ha annunciato 20 misure intese a semplificare i controlli sanitari e di prevenzione del Covid-19 e a correggere le “misure politiche eccessive” intraprese dalle autorità locali, sotto le costanti pressioni di Pechino per tenere sotto controllo il numero di casi di infezione nei propri territori.

Una valanga di spam come censura

Le proteste degli ultimi giorni – apertamente antigovernative e schierate contro il presidente Xi Jinping – sono molto insolite in Cina, dove il dissenso viene sistematicamente soppresso. Ed è per questo che, oltre a utilizzare gli agenti per stroncare sul nascere ulteriori manifestazioni, dal 28 novembre la censura delle autorità cinesi lavora per cancellare ogni traccia dell’ondata di proteste dei giorni precedenti: decine di milioni di post sui social sono stati filtrati, mentre lo Stanford Internet Observatory ha notato un aumento di “tweet spam” che mostrano contenuti porno, annunci di escort e giochi d’azzardo e che stanno oscurando la protesta dei cinesi. Secondo l’Osservatorio, oltre il 95% dei tweet contenenti il termine di ricerca “Pechino” provengono da account spam che diffondono questo tipo di informazioni.

Non a caso Twitter è balzata improvvisamente tra le app più scaricate in Cina: in seguito alla censura del governo, molti cittadini hanno usato le Vpn per accedere ai servizi Internet e ai social media come Twitter e Telegram per organizzare le proteste. Ma l’elevato volume di spam rende più difficile trovare informazioni legittime e utili sulle proteste e ha anche un impatto sugli utenti al di fuori della Cina che stanno cercando di ottenere informazioni sul campo riguardo gli eventi. Anche i media hanno sostituito le notizie sul Covid con articoli sui Mondiali e sui risultati delle missioni spaziali della Cina.

https://twitter.com/WallStreetSilv/status/1597862999812734976

Per non parlare dei social network cinesi, dove tutte le informazioni riguardanti le manifestazioni del fine settimana sembrano già essere sparite.
Ad esempio, sulla piattaforma Weibo (una sorta di Twitter cinese) le ricerche “fiume Liangma” e “via Urumqi”, due dei luoghi di protesta del giorno precedente, non davano alcun risultato legato alla mobilitazione. Persino i video che mostravano gli studenti cantare e manifestare in altre città sono scomparsi dalla piattaforma WeChat: sono stati rimpiazzati da messaggi che avvertivano che il post era stata segnalato come contenuto sensibile contrario al regolamento.

A coronare il tutto, la pubblicazione di un articolo sul Quotidiano del popolo – il più diffuso e autorevole giornale della Cina – che mette in guardia contro la “paralisi” e la “stanchezza” di fronte alla politica zero covid, senza tuttavia accennarne un termine. D’altronde, come George Orwell insegna, la parola ha un enorme potere nella delimitazione dei confini del pensiero delle masse.

Gaia Cautela

Da domani, 1 maggio, diremo addio alla mascherina. O quasi.

Ci siamo. Da domani, 1 maggio, avrà inizio una fase che tutti noi attendavamo sin dal marzo 2020, ma che nessuno sapeva quando sarebbe realmente arrivata: fra circa 24 ore, diremo addio all’obbligo di mascherina, non dappertutto, ma in molti contesti.

A sancire il cambiamento delle regole finora attive, è l’ultimo decreto Covid del 24 marzo. Quest’ultimo avrebbe abolito totalmente l’uso – fatta eccezione per ospedali e Rsadelle mascherine, da domani, 1° maggio, ma il ministro della Salute, Roberto Speranza, il 28 aprile scorso, ha firmato un’ordinanza, con la quale si è stabilita la proroga dell’uso dei dispositivi di protezione in alcuni luoghi al chiuso, fino al 15 giugno.

Addio all’obbligo della mascherina in alcuni luoghi al chiuso (fonte: open.online)

Quando e dove continuare a usare la mascherina

Resterà in vigore l’obbligo di indossare le mascherine, fino al 15 giugno, solo per:

  • aerei, treni, navi, tram, metropolitane e autobus, dunque, su tutti i mezzi di trasporto locale e a lunga percorrenza;
  • sale teatrali e da concerto, cinema, teatri;
  • eventi e competizioni sportive al chiuso, come, ad esempio, quelle che si svolgano in palazzetti;
  • locali di intrattenimento e musica dal vivo e altri locali assimilati;
  • per lavoratori, utenti e visitatori di strutture sanitarie ed Rsa.

Per gli altri luoghi al chiuso, quali negozi, palestre e discoteche decadrà l’obbligo. Ciò varrà anche per i posti di lavoro, senza distinzione tra pubblico e privato. Per il privato, resterà possibile, per i singoli datori di lavoro, poter scegliere se, invece, continuare a mantenere la regola.

A scuola, invece, i dispositivi di sicurezza dovranno esser mantenuti fino alla fine dell’anno scolastico, previsto per l’8 giugno, ma anche durante gli esami di terza media e di maturità, dunque fino all’inizio di luglio, da tutti coloro che saranno coinvolti: studenti, ma anche docenti, personale Ata e altre persone che entreranno negli ambienti scolastici in quei giorni.

Per i luoghi religiosi, nonostante verrà meno anche in questi casi l’obbligo, la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha raccomandato l’uso della mascherina in chiesa e per lo svolgimento di tutte le attività che prevedono la partecipazione dei fedeli in spazi al chiuso, come per le catechesi.

Uso Ffp2: dove rimane attivo il divieto della mascherina di tipo chirurgico

Negli ultimi mesi, era stato introdotto l’obbligo specifico di indossare la mascherina di tipo Ffp2, con il conseguente divieto di usare quella chirurgica, in diversi contesti. Tale disposizione rimarrà attiva, fino al 15 giugno, per tutti i mezzi di trasporto, locali e non, sale teatrali e da concerto, teatri, cinema, eventi e competizioni sportive al chiuso, locali di intrattenimento e musica dal vivo.

Inoltre, dal Ministero della salute è contemporaneamente giunta la raccomandazione di valutare di indossare i dispositivi, preferendo quelli di tipo Ffp2, in situazioni di rischio assembramento in luoghi dove l’obbligo non sarà più attivo.

 

Green pass, obbligo vaccinale e le regole per i viaggi

Le novità riguardano anche il Green pass e l’obbligo vaccinale. Sarà quasi la fine per la certificazione verde, la quale non dovrà essere più esibita per poter accedere a tutti i luoghi al chiuso dove finora l’accesso era regolato proprio dalla stessa. Di seguito ricordiamo quali, nello specifico:

  • bar;
  • ristoranti;
  • feste;
  • ricevimenti;
  • discoteche;
  • trasporto pubblico locale;
  • trasporto a lunga percorrenza;
  • palestre;
  • stadi;
  • concorsi pubblici;
  • sale gioco;
  • centri benessere;
  • centri universitari;
  • mense;
  • palazzetti dello sport;
  • tutti i luoghi di lavoro pubblici e privati.

Sottolineiamo che la decadenza dell’obbligo nei suddetti casi riguarda sia il Green pass (3-4 dosi) “rafforzato” che quello “base” (due vaccinazioni, guarigione o tampone negativo), mentre l’obbligo rimane per accedere a ospedali e Rsa. La certificazione necessariamente richiesta sarà quella che attesti un ciclo vaccinale completo, di tre dosi di vaccino anti-Covid, quindi il Super Green pass. L’obbligo è stato esteso fino al prossimo 31 dicembre.

In caso di viaggi a lunga percorrenza, potrebbe essere necessario essere in possesso della certificazione, ma basterà quella base. Le regole variano a seconda dei Paesi di destinazione, ma per l’ingresso nei Paesi Ue rimane, a livello generale, obbligatorio esibire la certificazione verde all’arrivo.

 

L’attenuazione delle limitazioni in nome della fiducia ai cittadini

Il ministro Speranza (fonte: tpi.it)

Lungo e pieno di confronti all’interno dell’esecutivo è stato il percorso fino alla firma da parte del ministro Speranza, il 28 aprile. Quest’ultimo puntava a mantenere lo stesso livello di prudenza per le prossime settimane, così consigliato anche dal suo consulente, il dottor e docente di Igiene Pubblica all’Università Cattolica, Walter Ricciardi , che aveva messo un freno all’ipotesi di liberarsi in modo definitivo di uno dei principali strumenti per la protezione dal covid.

ma altri, tra i quali lo stesso sottosegretario alla Salute, Andrea Costa, spingevano per una linea di maggior libertà:

«L’inizio di questa fase nuova – ha commentato Costa- è coerente con la responsabilità dimostrata dagli italiani che hanno imparato a convivere con il virus con grande consapevolezza. Si tratta di un atteso messaggio di fiducia per tutti.».

Alla fine, dunque, il compromesso è stato trovato tra le due posizioni, in nome di quella fiducia nel buon senso dei cittadini italiani, i quali sembra abbiano dimostrato prudenza, la stessa che non si deve abbandonare proprio ora, nel primo vero passo verso il ritorno a una vita senza limitazioni.

 

Rita Bonaccurso

 

Robot in corsia: come la tecnologia aiuta la medicina

La medicina si avvicina sempre di più al suo obiettivo principale: comprendere ‘’la macchina’’ quasi perfetta qual è il corpο umano e scoprire nuovi modi per poterla riparare. Nel ventunesimo secolo, i robot aiutano medici e chirurghi a compiere tale passo. Messina è l’esempio di come si possa effettivamente arrivare dove l’uomo non può.

  1. La macchina intelligente
  2. Dove si trova?
  3. Come funziona?
  4. Dove possiamo utilizzarlo?
  5. Benefici per i pazienti
  6. Vantaggi per medici e ospedale
  7. Le parole speranzose del DG Mario Paino
  8. Tecnologia Medica
  9. Conclusioni

La macchina intelligente

L’ingegneria medica caratterizza questo campo già dalla seconda metà del ventesimo secolo, rivelando quanto fondamentale sia la sua impronta. Lo dimostra un braccio robotico, presente anche nella nostra città, il quale guida la mano del chirurgo permettendo una precisione del 98,9% negli interventi più delicati, tra cui quelli alla colonna vertebrale.  

Dove si trova?

Questo braccio robotico si trova solo in 4 città in Italia, di cui 3 al Nord Italia: Bologna, Venezia e Torino. Anche l’Azienda Ospedaliera Papardo gode di questa brillante opera ingegneristica. Messina è l’unica città a poter usufruire di questa tecnologia, la quale rende il Papardo un Centro sanitario di eccellenza del Centro-Sud Italia.

infobreast.it

Come funziona?

Il braccio robotico è una delle invenzioni tecnologiche in campo medico più fruttuosa e intelligente mai realizzato. Inoltre, semplifica enormemente interventi che per le capacità e conoscenze limitate del chirurgo sono molto complesse. Il medico segue alcuni step prima di eseguire l’intervento, tra cui l’analisi delle immagini tridimensionali ottenute dalla TAC e l’utilizzo del Gps. La macchina robotica, grazie alle immagini ottenute e alla localizzazione data dal Gps, sa con precisione millimetrica dove operare e posizionare le viti.

Dove possiamo utilizzarlo?

La patologia traumatica, così come quelle neoplastiche vengono interessate dal suo utilizzo. Queste ultime sono trattate, in particolar modo, a livello del sacro e dell’anello pelvico. Il braccio permette di trattare sfaldature dell’osso causate da traumi di una certa intensità e tumori particolarmente aggressivi. Infine, può essere d’aiuto anche nelle malattie degenerative della colonna vertebrale.

Benefici per i pazienti

Questa innovazione rende meno invasivo l’intervento. Il medico spesso deve ricorrere a tagli lunghi e cicatrici che rovinano in alcuni casi l’aspetto estetico del paziente, prolungando notevolmente l’ospedalizzazione. Il robot esegue dei tagli di qualche centimetro, senza sfigurare la pelle e permettendo un recupero veloce. Infatti, può essere dimesso entro 72h dall’intervento.

Vantaggi per medici e ospedale

Il robot costituisce lo strumento ideale per permettere ai giovani medici, soprattutto specializzandi, a familiarizzare con la chirurgia spinale. È possibile ottenere le immagini in 3D da una TAC intraoperatoria molto particolare, un’altra invenzione tecnologica di cui dispone lo stesso Papardo: O-Arm. La macchina ha delle funzioni molto simili a quelle di una TAC, ma emana minori radiazioni, evitando di sottoporre alle stesse gli operatori sanitari. Anche l’ospedale trova numerosi vantaggi, tra cui i costi ridotti. Qualora l’intervento umano non dovesse andare bene, l’ospedale viene sottoposto ad un lungo e tortuoso processo legale. Con il braccio robotico si hanno meno errori e quindi la percentuale di costi riparativi viene diminuita sensibilmente.

Le parole speranzose del DG Mario Paino

Il Direttore Sanitario dell’Azienza Ospedaliera Papardo, Mario Paino, commenta questa innovazione tecnologica:

Gli investimenti in tecnologie come queste, rappresentano l’argine migliore contro la migrazione sanitaria. Ancora troppe persone del Centro-Sud Italia, ogni giorno, salgono su treni ed aerei diretti al Nord per andare a curarsi. Noi invece, pensiamo che trattamenti sicuri e di qualità siano un diritto per tutti e in tutto il Paese. Il Papardo rafforza la propria vocazione all’eccellenza. Personale medico-sanitario altamente formato assieme alle tecnologie mondiali più innovative sono la formula per garantire le cure migliori ai pazienti”.

Tecnologia Medica

Le innovazioni tecnologiche non interessano il solo campo chirurgico. Anche durante la pandemia da COVID-19, i supporti robotici sono stati fondamentali per fornire assistenza a medici e pazienti. Ad esempio, i robot hanno aiutato a pulire e mantenere sterili le stanze, riducendo così la possibilità di entrare a contatto con agenti patogeni. I robot possono aiutare anche nello spostamento di letti, diminuendo notevolmente gli sforzi richiesti dal personale sanitario. Esistono, inoltre, tecnologie disposte di una particolare telecamera: il medico la sfrutta per poter vedere all’interno del corpo del paziente. I macchinari robotici possono anche sostituire parti del corpo.

smartworld.it

Conclusioni

I riscontri positivi vengono confermati anche dai trenta mila interventi eseguiti fino ad ora su scala mondiale, i quali risultati sottolineano l’importanza degli avanzamenti tecnologici in campo medico. L’avvento della Tecnologia e delle Biotecnologie, ci ha consentito di rivoluzionare il mondo medico, permettendo di staccarci dalla medicina classica così come noi la conosciamo.

Con la tecnica gli uomini possono ottenere da sè quello che un tempo chiedevano agli dei. Umberto Galimberti

 Dario Gallo

Per approfondire:

Robotica nel settore sanitario: il futuro dell’assistenza medica –… (intel.it)

Chirurgia vertebrale, al Papardo un sistema robotico rivoluzionario (insanitas.it)

Il braccio robotico del DARPA controllato con il pensiero (video) | SmartWorld

Paralizzati: tornano a camminare grazie ad elettrodi nel midollo spinale

Shanghai, 25 milioni di persone tornano in lockdown. Il malcontento degli abitanti

Dopo due anni di pandemia e l’arrivo dei primi, seppur flebili, bagliori di speranza sull’essere prossimi al lasciarsi alle spalle uno dei più tristi e scombussolanti capitoli della storia moderna, tornare a parlare di lockdown è difficile. A fine marzo, il governo di Pechino ha reputato necessario tornare ad attuare tale misura nella città di Shanghai, in seguito a un esponenziale aumento dei contagi dalla variante Omicron.

25 milioni di persone in lockdown (fonte: ilmattino.it)

 

Il lockdown è entrato in vigore il 28 marzo. Era stato pensato per essere articolato in due diverse fasi: dal 28 marzo all’1 aprile per i distretti ad est del fiume che attraversa la città (il fiume Huangpu); dall’1 al 5 aprile per i distretti ad ovest. Tale predisposizione, secondo la previsione iniziale, avrebbe dovuto permettere di tenere sotto controllo la nuova ondata di contagi, evitando la totale paralisi della città.

Invece, oggi, in quello che è uno dei più importanti hub commerciali e finanziari della Cina si sta attuando, di fatto, la più grande chiusura dai tempi di Wuhan.

 

Record di contagi

Negli scorsi giorni il governo ha deciso di estendere le restrizioni all’intera città. Una misura drastica, ma necessaria per far fronte al picco di contagi registratosi lunedì 4 aprile, quando sugli account ufficiali della città erano stati segnalati 13.146 asintomatici e 268 nuovi positivi sintomatici.

Tamponi a tappetto in tutta la città (fonte: ilmessaggero.it)

Numeri in realtà in linea con altre esperienze nel panorama internazionale, ma che sono stati ritenuti sufficienti per far scattare l’allarme da Pechino.

«Attualmente, i nuovi casi locali di Covid confermati e le persone infette che sono asintomatiche stanno crescendo rapidamente e la trasmissione comunitaria in alcune aree non è ancora arginata – ha detto Mi Feng, portavoce della Commissione Nazionale della Sanità – il numero di infezioni rimane a un livello elevato e la situazione di prevenzione e controllo è seria e complessa.».

Nelle ultime 24 ore, la Cina ha annunciato un record di 20.472 infezioni, anche se 19.089 sono asintomatici, la maggior parte delle quali, l’80%, proprio a Shanghai, la città più grande del Paese e centro finanziario. Ora, ci si sta preparando per aprire un gigantesco ospedale da campo da 40mila posti. Fonti da Pechino, inoltre, riferiscono che altre città sono state mobilitate per accogliere fino a 60 mila pazienti evacuati da Shanghai.

 

Le proteste degli abitanti per le nuove misure di contenimento

Dopo le chiusure selettive, il passaggio al lockdown totale e l’inasprimento delle misure anti-contagio, stanno facendo montare la rabbia dei cittadini. Molte le problematiche nei centri per quarantena, affollati e con problemi di igiene, oltre alle difficoltà a reperire cibo o medicinali per tutti i cittadini.

Le lamentele si sono acuite per la decisione di separare i bambini positivi dalle proprie famiglie. Sono scoppiate delle proteste, finché, alla fine, è stata modificata la disposizione e ora ai genitori è permesso stare insieme ai propri piccoli in isolamento, previa firma di un documento in cui ci si assumono i rischi e ci si impegna a seguire le regole rigide delle strutture.

Però, il malcontento generale non si placa. La gestione nella megalopoli di oltre 25 milioni di abitanti si è dimostrata più complessa del previsto per le autorità locali. Una dirigente del Centro di prevenzione del distretto di Pudong ha detto: «la gestione politica del coronavirus ci sta facendo impazzire».

Nella città, le strutture per l’isolamento non bastano più. Per questo motivo si stanno intraprendendo i lavori per convertire il grande dormitorio Covid National Exhibition and Convention Center in un ospedale da campo da 40mila posti letto.

Foto di una tenda presso un posto di lavoro (fonte: informazione.it)

Molte persone sono costrette a trascorrere la quarantena presso la propria attività lavorativa, dormendo in sacchi a pelo e tende da campeggio, come testimoniano le foto che compaiono sui social network.

 

Le possibili ripercussioni sulla leadership di Xi Jinping

Il ritorno alla normalità per la megalopoli era stato previsto per l’inizio di aprile, ma la situazione ha spinto le autorità a riaffermare il regime restrittivo. Si avvicina il Congresso nazionale del Partito comunista cinese (Pcc), evento politico che determinerà la nuova leadership politica per il Paese.

Le conseguenze dell’inasprimento dell’epidemia potrebbero essere usate dai rivali del presidente Xi Jinping per contrastare la sua carica.  Il lockdown totale di Shanghai conferma che il governo cinese non ha portato il Paese veramente oltre l’emergenza della pandemia, nonostante le rigide misure di prevenzione e controllo attuate dal 2019 a oggi.

Shanghai non è l’unico grande focolaio attualmente presente in Cina: ci sono altri casi problematici, tra cui quello della provincia di Jilin, ma sicuramente è il più importante sul piano geopolitico. Shangai, che come enuncia il suo stesso nome, città “sul mare”, si trova in prossimità del delta del fiume Yangtze, terzo corso d’acqua più lungo al mondo e arteria idrica più importante della Cina, e intorno al suo delta si concentra oltre il 20% del Pil nazionale cinese.

Inoltre, la città rappresenta un teatro fondamentale per le lotte di potere intestine al Paese. Il suo porto è il più grande del mondo per flusso di merci ed è luogo di riferimento della cerchia politica intorno all’ex presidente cinese, Jiang Zemin, detta “gang di Shanghai” e rivale di quella dello Zhejiang, guidata da Xi.

A partire dal 2013, l’attuale presidente ha primeggiato all’interno del Pcc e delle Forze armate; ha posizionato i suoi fedelissimi nei centri nevralgici del Paese, anche a Shanghai, dove il capo di partito è Li Qiang.

Ad oggi, Pechino ha tolto il posto ad alcuni funzionari locali per non aver contenuto correttamente l’epidemia, ma l’incarico di Li non è stato ancora messo in discussione, ma non è escluso che, l’aggravarsi della situazione e le conseguenti difficoltà economiche possano ripercuotersi irrimediabilmente.

 

Rita Bonaccurso

 

 

Covid: dall’11 febbraio inizia una nuova fase con lo stop all’obbligo di mascherina all’aperto

Da ieri, 11 Febbraio, abolito l’obbligo di mascherine all’aperto e riaperte le discoteche. Questa la prima tappa di un percorso  delineato dal governo che dovrebbe terminare entro la data del 15 giugno prossimo, quando scadrà l’obbligo vaccinale per gli over 50.

Da ieri, 11 febbraio, stop alle mascherine all’aperto, tranne che in caso di assembramento (fonte: triesteallnews.it)

Via le mascherine all’aperto, ma attenzione agli assembramenti

Inizia una nuova fase, che parte proprio dall’abolizione della mascherina all’aperto. Bisognerà, però, sempre portarle con sé e metterle in caso di assembramenti o situazioni dove non sia possibile stare a distanza dalle altre persone.

I dati sulla pandemia sono finalmente confortanti. Sembra che, nonostante le drammatiche cifre raggiunte durante questi mesi, la situazione epidemiologica stia migliorando davvero. Però, per ora, come consigliato dagli esperti è giusto guardare con ottimismo agli attuali miglioramenti, seppur ancora timidi.

Il vaccino è stata la nostra più grande arma contro questo virus e continuerà ad esserlo ancora, infatti si pensa a un richiamo annuale. Il nostro organismo sarebbe pronto a convivere con la malattia, senza che questa, costituisca nella maggior parte dei casi, un pericolo insormontabile. Quindi sarebbe giunto il momento di voltare pagina, seppur con cautela.

«Siamo verso l’uscita ma dobbiamo avere cautela, continuare con i comportamenti prudenti» ha dichiarato il ministro Roberto Speranza.

Questa decisione è carica anche di significato simbolico, testimonia una virata concreta verso la fine delle restrizioni. L’introduzione delle mascherine all’aperto è una misura che era stata deliberata con il decreto del 13 ottobre del 2020, dall’allora premier Giuseppe Conte.

L’obbligo di indossare le mascherine al chiuso, invece, rimarrà ancora fino al 31 marzo, data in cui è stata fissata la fine dello stato di emergenza.

Il testo del provvedimento enuncia:

«Fino al 31 marzo 2022 è fatto obbligo sull’intero territorio nazionale di indossare i dispositivi di protezione delle vie respiratorie nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private».

Rimangono, comunque, esenti dall’obbligo: i bambini di età inferiore ai sei anni; le persone con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché le persone che devono comunicare con un disabile che e non possono fare uso del dispositivo; tutte le persone mentre svolgono attività sportiva.

«Oggi finalmente lanciamo via l’obbligo delle mascherine all’aperto nell’attesa di farlo presto anche al chiuso. Gli ospedali non sono più in affanno per il Covid e si vede una luce all’orizzonte sempre più forte. Torniamo alla vita che abbiamo sempre fatto prima del Covid.».

Bassetti invita all’ottimismo (fonte: profilo Instagram ufficiale di Matteo Bassetti)

Queste le parole del direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, scritte sui suoi profili social, in merito alla disposizione del governo. Ha pubblicato una foto che lo ritrae come forse non ci saremmo facilmente aspettati: lo si vede, infatti, lanciare in aria proprio una mascherina, accompagnata da altre parole: «Finiamola di pensare alla positività Covid come l’anticamera del patibolo». L’infettivologo ha infatti ricordato ancora una volta il grande aiuto che ci hanno dato i vaccini: «Hanno depotenziato gli effetti gravi di questo virus. Bisogna tornare a uscire a cena, a viaggiare, a divertirsi, a ballare e a pensare al futuro in maniera positiva. Viva la vita!».

 

In Campania l’obbligo resta

Il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, è contrario a questa disposizione. Lo ha dichiarato in una diretta, nella stessa giornata di ieri.

Quando si passeggia in una strada commerciale, come si fa a distinguere l’assembramento dal non assembramento? È più semplice indossarla, visto che è obbligatoria sui mezzi di trasporto, nei locali al chiuso e nei negozi. Quindi, è preferibile fare un gesto di prudenza ancora per qualche settimana, saltare un po’ il periodo di Carnevale e mantenerci tranquilli per evitare di far riaccendere il contagio.

De Luca, dunque, ha predisposto un allungamento dell’obbligo delle mascherine all’aperto, di ancora una settimana. La preoccupazione nasce dal fatto che la Campania è la regione con maggiore densità di popolazione e gli assembramenti possono essere molto più frequenti che altrove, rischiando di pregiudicare il miglioramento della situazione.

 

Ripartono le discoteche e si lavora sulle capienze, anche per gli impianti sportivi

L’altra importante novità riguarda le discoteche. A lungo si è discusso sul ritorno in pista e finalmente è arrivato il momento. Ieri, 11 febbraio, insieme alla disposizione sulle mascherine è arrivato il momento della riapertura delle piste da ballo. Dopo numerose lamentele da parte dei proprietari delle discoteche, che hanno risentito più a lungo delle restrizioni, questo fine settimana si torna a ballare.

Ovviamente vi sono delle regole: potrà entrare solo chi è in possesso di green pass rafforzato, quindi chi si è sottoposto a tre dosi di vaccino o chi è guarito dal covid; la mascherina dovrà esser tenuta nelle discoteche al chiuso, ma non vi sarà l’obbligo in pista, mentre si balla. Nelle discoteche all’aperto si potrà tornare senza dispositivi di protezione. Vi sono dei limiti di capienza, non superiore al 75% per le strutture all’aperto e 50% al chiuso.

Si sta lavorando sui limiti di capienza anche per gli impianti sportivi, in collaborazione con la sottosegretaria allo Sport, Valentina Vezzali, per attuare un percorso graduale fino alla completa riapertura degli impianti sia all’aperto che al chiuso:

«Si lavora a un primo allargamento, a partire dal primo marzo, che porterà al 75% e al 60% il limite delle capienze rispettivamente all’aperto e al chiuso. Per poi proseguire con le riaperture complete, qualora la situazione epidemiologica continuasse il suo trend di calo.».

(fonte: theworldnews.net)

Super green pass ora illimitato

Diverse le ipotesi riguardo la validità del Super Green Pass. Come suddetto, per ora non è prevista dal governo l’ipotesi di una quarta dose, in accordo secondo quanto sostenuto dagli esperti, che raccomandano, invece, un richiamo annuale per il futuro. La situazione di copertura di chi si è sottoposto alla terza dose è equiparata a quella di coloro che sono guariti dal Covid dopo il completamento del ciclo vaccinale primario.

Il green pass rafforzato, dunque, ora è considerato illimitato.

La copertura delle vaccinazioni ha fatto stabilire che agli studenti nella fascia 12-18 anni, il cui tasso di vaccinazione è intorno all’80%, potrà essere evitata la Dad. Quest’ultima verrà attivata solo per i non vaccinati della scuola secondaria, a partire dal secondo contagio in classe, e, inoltre, la quarantena, in caso di stretto contatto con un positivo, è stata dimezzata da 10 a 5 giorni.

Anche negli altri Paesi europei si sta andando verso le riaperture totali, in alcuni casi in maniera pure più spedita. In Francia, ad esempio, si pensa all’abolizione del green pass tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, come dichiarato dal ministro della salute francese, mentre le mascherine da questo mese sono obbligatorie solo sui mezzi pubblici e nei luoghi in cui non è previsto obbligo Super Green Pass, anche se l’attenzione rimane alta. Gabriel Attal ha dichiarato: «C’è un inizio di miglioramento negli ospedali e ci sono proiezioni che possono farci sperare che entro la fine di marzo o l’inizio di aprile la situazione negli ospedali sarà sufficientemente tranquilla da permetterci di revocare il pass vaccinale».

La discussione in merito rimane aperta in Italia e, secondo le prime valutazioni, la certificazione verde dovrebbe esser usata almeno fino a metà giugno, data in cui è fissata la scadenza dell’obbligo vaccinale.

 

Rita Bonaccurso

Caso Djokovic: come il tennista n°1 al mondo è stato espulso dall’Australia

È definitivamente sfumata la possibilità per Novak Djokovic di vincere gli Australian Open per la quarta volta consecutiva. Il tennista serbo, attuale numero uno nell’ATP ranking e vincitore di 9 edizioni del primo dei quattro tornei annuali del Grande Slam, ha perso il ricorso contro la cancellazione del suo visto per restare in Australia e nella giornata di ieri è stato espulso dal Paese. Al suo posto giocherà l’italiano Salvatore Caruso, 28 anni, di Avola (Siracusa). “Sono estremamente deluso” ha commentato a caldo il serbo.

Mi sento a disagio sul fatto che l’attenzione delle ultime settimane sia stata su di me e spero che ora possiamo concentrarci tutti sul gioco e sul torneo che amo.

Il presidente serbo Aleksandar Vucic in difesa dell’atleta ha dichiarato: “Quelli che pensano di aver affermato dei principi hanno dimostrato di non avere principi. Hanno maltrattato un tennista per dieci giorni per poi prendere una decisione che conoscevano dal primo giorno”. Al contrario,  secondo il ministro dell’Immigrazione australiano Alex Hawke, le posizioni del tennista, contrarie alla vaccinazione avrebbero potuto infervorare il movimento antivaccinista in Australia. Anche il Primo ministro australiano Scott Morrison si è detto soddisfatto del risultato.

Questa decisione è stata presa per motivi di salute, sicurezza e buon ordine, in quanto ciò era nell’interesse pubblico.

Il contagio e le ripetute violazioni della normativa sulla quarantena

Per capire come si è arrivati a questo punto ed il perché di una così elevata attenzione mediatica bisogna ricostruire il susseguirsi degli eventi con protagonista il tennista n°1 al mondo. Questi il 14 dicembre assiste alla partita di basket a Belgrado fra la sua Stella Rossa e il Barcellona e viene fotografato mentre abbraccia diversi giocatori di entrambe le squadre, alcuni di questi nei giorni successivi risulteranno positivi al Coronavirus. Due giorni dopo lo stesso Djokovic risulterà positivo al virus, ma la notizia non viene rivelata. Il giorno successivo, il 17 dicembre, nonostante la positività, il tennista viola la quarantena per recarsi ad un evento a Belgrado in onore di giovani tennisti e si lascia immortalare in foto con i giocatori senza mascherine. Il 18 dicembre, ormai consapevole di essere positivo, realizza un’intervista e un servizio fotografico per il quotidiano francese L’Equipe, dichiarando successivamente: “Non volevo deludere il giornalista, ripensandoci, questo è stato un errore di giudizio”. Soltanto il 22 Dicembre il serbo risulterà negativo al test del COVID-19 in Serbia.

L’arrivo in Australia e la “detenzione”

Il 4 gennaio Djokovic tramite i propri canali social comunica ai tifosi di essere in partenza per l’Australia e di essere in possesso di un permesso di esenzione dalla vaccinazione. Il 5 gennaio atterra all’aeroporto di Melbourne munito della suddetta documentazione ed è da questo momento che inizia un calvario lungo quasi due settimane. Le autorità di frontiera, infatti, individuano un’irregolarità legata all’esenzione e lo trattengono sotto interrogatorio per circa 8 ore per poi cancellargli il visto e vietargli l’ingresso nel Paese. A quel punto Djokovic, “detenuto in attesa di giudizio”, viene mandato nel Park Hotel, albergo in cui dal dicembre del 2020 risiedono rifugiati politici e richiedenti asilo.

Park Hotel di Melbourne, Australia. Dal dicembre 2020 alloggio per richiedenti asilo (fonte: repubblica.it)

Le irregolarità nei documenti e il primo ricorso

Durante la permanenza all’interno dell’hotel i suoi legali ricorrono in appello e l’11 gennaio Djokovic presenta una dichiarazione giurata in tribunale nella quale afferma di non essere vaccinato contro il Covid-19. Gli viene così ripristinato il suo visto da parte del giudice il quale dispone il rilascio dalla detenzione. Djokovic inizia così ad allenarsi al Melbourne Park in vista degli Australian Open. Durante i giorni di ritrovata quiete però emergono altre incongruenze nei suoi documenti. Il tennista avrebbe infatti dichiarato di non aver viaggiato nei 14 giorni precedenti al suo arrivo in Australia, salvo poi ritrattare, ammettendo la verità e giustificando il tutto come un “errore umano” del suo staff nella compilazione dei documenti. Ma nella polemica rientra anche una violazione della quarantena per i positivi al Covid in Serbia.

Il definitivo annullamento del visto e l’espulsione dall’Australia

Il 12 gennaio Djokovic, nonostante l’incertezza relativa al suo status, viene ammesso come testa di serie n. 1 agli Australian Open venendo addirittura sorteggiato per giocare la partita inaugurale contro il connazionale Kecmanovic. Lo stesso giorno, su Instagram pubblica un post nel quale ricostruisce i giorni della sua positività e ammette i propri errori nei protocolli.

 

Visualizza questo post su Instagram

 

Un post condiviso da Novak Djokovic (@djokernole)

Appena due giorni dopo, il 14 gennaio, il ministro dell’Immigrazione Alex Hawke, annulla il visto dell’atleta “per motivi di salute e buon ordine, sulla base del fatto che ciò era nell’interesse pubblico”. Il 15 gennaio Djokovic impugna la decisione di revoca del visto decisa dal Governo australiano e il caso passa alla Corte Federale che il 16 gennaio respinge all’unanimità l’appello del tennista contro la cancellazione del visto, decretandone l’espulsione dal paese. Secondo la legge australiana Djokovic non potrà rientrare in Australia per i prossimi tre anni salvo in circostanze straordinarie, un problema di non poco conto per chi è chiamato periodicamente a partecipare a tornei o prendere parte a iniziative sportive. “Ora mi prenderò un po’ di tempo per riposarmi e riprendermi”, ha dichiarato il tennista in un comunicato affidato ai media.

Alla fine ha prevalso l’intransigenza sul senso di responsabilità. Alla luce di quanto accaduto risulta veramente triste che un campione del calibro di Djokovic debba essere ricordato per aver scritto una brutta pagina nel mondo del tennis, a causa delle posizioni da no vax. Il governo australiano con la decisione presa ha rimarcato un concetto fondamentale: non esistono sconti, neanche se ti chiami Novak Djokovic e sei uno dei più grandi tennisti di tutti i tempi.

Elidia Trifirò 

Passano in zona gialla altre Regioni italiane, mentre il governo pensa alle misure per le festività

Veneto, Liguria, Marche e Provincia di Trento passano oggi, 20 dicembre, in zona gialla. La misura è stata disposta principalmente per l’aumento dei ricoveri, avendo superato la soglia di sicurezza: 10% per la terapia intensiva e il 15% per i reparti ordinari. Lombardia ed Emilia-Romagna hanno evitato il giallo per poco.

La cartina di oggi, 20 dicembre (fonte: periodicodaily.com)

 

Nelle scorse settimane, avevano già subito il passaggio di colore: Friuli-Venezia Giulia il 29 novembre, la Provincia autonoma di Bolzano il 6 dicembre e la Calabria il 13 dicembre.

Con le festività alle porte, il governo cerca di capire quali siano le misure migliori da adottare, per evitare un drastico peggioramento della situazione, mentre si osserva con preoccupazione l’aumento dei casi di variante Omicron. Anche se i sintomi da essa provocati non sono più gravi, gli esperti temono che la sua veloce corsa possa mettere in crisi il Paese.

In Italia, l’incidenza dei contagi per 100 mila abitanti nelle ultime tre settimane è, infatti, salita da 155 a 176. Poi il salto netto, venerdì scorso, a 242. L’incidenza più alta si registra nella Provincia di Bolzano, 566 casi a settimana ogni 100mila abitanti. Seguono il Veneto (506), il Friuli (376), la Valle d’Aosta (330) e la Liguria (313).

Il bollettino di ieri, domenica 19 dicembre, emanato dal Ministero della Salute, ha registrato 24.259 nuovi positivi su 566.300 tamponi effettuati. I decessi sono stati 97, i guariti 9.403.

Ora si attende giovedì 23 dicembre per la cabina di regia presieduta dal premier Mario Draghi, organizzata appositamente per prendere le decisioni definitive in vista delle festività.

(fonte: leggo.it)

Lombardia ed Emilia-Romagna sventano la zona gialla. Altre Regioni rischiano quella arancione

Successivamente, la prossima segnata sul calendario dal governo è lunedì 27 dicembre, giorno entro cui le Regioni che hanno sventato oggi il passaggio in giallo, potrebbero subirlo, appunto, la prossima settimana,

LEmilia-Romagna ha superato solo il livello di guardia per le terapie intensive e per questo si attende ancora prima di reintrodurre la zona gialla. A rischiare di più, alla luce degli ultimi dati, è la Lombardia avendo il 14 % dei reparti ordinari occupati e il 9,5 % di quelli nelle rianimazioni.

Ciò che ha fatto evitare per ora il tracollo è la manovra eseguita nelle ultime ore: sono stati aumentati i posti letto ordinari a disposizione, così da abbassare la percentuale di occupazione di quest’ultimi per passare da una percentuale del 15 al 14%. A dare la comunicazione l’Assessorato regionale al Welfare “Un aumento di 1.752 posti, il nuovo valore è di 10.237, vicino al tetto massimo di 10.500”. Non ci sono, invece, variazioni nel numero di posti in terapia intensiva, che restano 1.530.

Non si annulla, però, il rischio del cambio di colore nella prossima settimana, tutto dipenderà dall’eventuale peggioramento dei dati. A parlare dell’ipotesi, è stato lo stesso governatore lombardo Attilio Fontana, nella giornata di ieri:

“È possibile che ci sia il giallo dopo Natale, per fortuna grazie al cielo siamo in una situazione ancora abbastanza controllo, tutto dipende dai prossimi due giorni perché i numeri vengono inviati a Roma martedì e penso che ci siano buone possibilità di rimanere in bianco, ma è chiaro che siamo abbastanza al limite.”.

Il governatore Fontana annuncia aumento dei posti letto (fonte: rtl.it)

 

Il governatore ha, inoltre, dichiarato che un Capodanno in zona giallanon sarebbe una cosa drammatica”, perché, d’altronde, poche e non molto stringenti misure dovrebbero essere introdotte. Peraltro, l’obbligo di mascherina all’aperto è stato già riattivato finora da molti sindaci lombardi nei propri Comuni, in caso di situazioni di assembramento per strada. Fontana ha, però, voluto sottolineare, nonostante la situazione sia ancora sotto controllo, essere ora necessario non abbassare la guardia, considerando che “la variante Omicron corre veloce”.

Anche il Lazio rischia una fine dell’anno in giallo. Entro Natale verrà probabilmente adottato l’obbligo di mascherina all’aperto, anche con il perdurare della zona bianca.

Il governo valuta le decisioni da prendere il 23 dicembre

Il rischio di zone arancioni sembra comunque abbastanza probabile, alla luce della nuova evoluzione. Guido Rasi, consulente scientifico del commissario straordinario per l’emergenza Covid, Figliuolo, ha infatti ribadito esservi esigenza di rafforzare le misure sempre per evitare la sofferenza degli ospedali.

Intanto si punta sempre più sulle terze dosi di vaccino, affinché la copertura sulla maggior parte della popolazione sia sufficiente a far sì che la variante Omicron non diventi un nuovo problema a causa della sua alta contagiosità.

“Se la Omicron buca il vaccino è praticamente un altro virus, e allora tutto può cambiare, anche questo Green pass potrebbe non bastare più.” ha dichiarato Rasi.

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha annunciato che il governo ascolterà gli scienziati e si valuteranno tutte le possibili misure, che verranno poi discusse ufficialmente giovedì 23, come suddetto.

Tamponi obbligatori per chi partecipa a eventi pubblici – misura che, però, non convince né molti politici né esperti – mascherine obbligatorie all’aperto e riduzione della durata del certificato verde, con lo scopo di spingere i cittadini ad andare a fare la terza dose, sono le misure che si stanno ponderando. C’è anche la possibilità dell’estensione dell’obbligo di vaccino ad altri ambiti lavorativi oltre a quelli sanitari, delle forze dell’ordine e della scuola. Inoltre, si inizia a parlare di eventuali lockdown e coprifuoco durante le feste per i No Vax.

I sindaci dell‘ “Ali” (Autonomie locali italiane) lanciano un appello al governo, firmato anche da Roberto Gualtieri, Beppe Sala, Dario Nardella e Gaetano Manfredi e molti altri, richiedendodi introdurre subito il Green pass anche nelle scuole per salvare la didattica in presenza. C’è il rischio concreto, visto l’aumento dei contagi, che da gennaio tutte le scuole italiane vadano in Dad. Non possiamo permetterlo. È nostro dovere tutelare sia il diritto al lavoro che il diritto all’istruzione.”.

Per la giornata di oggi, 2o dicembre, convocato anche il vertice Stato-Regioni. Diversi governatori avevano annunciato l’intenzione di richiedere al governo nazionale più personale per poter potenziare il sequenziamento e il tracciamento del virus, ma alcuni potrebbero voler l’aiuto dell’esercito.

 

 

Rita Bonaccurso

Proroga stato d’emergenza fino a Marzo 2022 e nuovo decreto, ecco cosa cambia

L’ipotesi diventa realtà. L’Italia, in vista delle festività natalizie, con l’incalzante diffusione della variante Omicron e con la volontà di programmare l’ingresso in una nuova fase di “convivenza” con il virus, rafforza le proprie difese. Nel corso della seduta svoltasi nella giornata di ieri, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al decreto per la proroga al 31 marzo 2022  dello stato d’emergenza per la pandemia. La decisione è stata presa dopo che negli ultimi giorni tutti i partiti della maggioranza si erano detti a favore, compresa la Lega di Matteo Salvini. Contraria alla proroga solo Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia:

“Non sono d’accordo con la proroga dello stato di emergenza: se dura più di due anni è un controsenso logico e linguistico. Comincia a crearsi un problema per la democrazia. Gli unici a difendere la Costituzione siamo rimasti noi di FdI”

Con lo stato di emergenza vengono prorogati fino al 31 marzo anche il Super Green pass in zona bianca, i congedi parentali al 50 per cento per i genitori i cui figli sono in quarantena e lo smart working per i lavoratori fragili. Il Cdm ha altresì nominato Francesco Paolo Figliuolo alla guida del Comando operativo di vertice interforze (Covi), pur rimanendo commissario per il Covid. Nessuna decisione è stata presa sull’uso delle mascherine all’aperto in ogni circostanza.

Proroga allo stato d’emergenza e nuove strutture per fronteggiare l’epidemia

Il CdM ha approvato la proroga allo stato d’emergenza fino a Marzo 2022. Nel decreto emerge la volontà che questa proroga sia l’ultima. Non solo, il decreto prevede che il capo della Protezione civile e il commissario possano adottare ordinanze per passare alla gestione “ordinaria” del contrasto alla pandemia e dispone anche lo stanziamento di 6 milioni di euro nel 2022 “per la realizzazione e l’allestimento, da parte del ministero della Difesa, dell’infrastruttura presso un sito militare” impiegata perlo stoccaggio e la conservazione delle dosi vaccinali per le esigenze nazionali”.  L’obiettivo è “assicurare il potenziamento delle infrastrutture strategiche per fronteggiare le esigenze connesse all’epidemia da Covid-19 e garantire una capacità per eventuali emergenze sanitarie future”.

 

Prorogato lo stato d’emergenza fino a Marzo 2022 (fonte: quotidiano.net)

Super Green pass in zona bianca fino al 31 marzo

Il Green pass rafforzato in vigore dal 6 dicembre e originariamente fino al 15 gennaio rimarrà valido nelle zone bianche fino al 31 marzo 2022. Lo prevede una norma del decreto approvato oggi in Consiglio dei ministri. Dovrà essere usato per le attività che sono oggetto di limitazioni in zona gialla. Resteranno, quindi,  precluse ai non vaccinati attività come ristoranti al chiuso, spettacoli aperti al pubblico, cinema e teatri,  eventi sportivi, sale da ballo e discoteche, cerimonie pubbliche. Basterà invece essere in possesso del green pass base, quello che si ottiene per 72 ore con un tampone molecolare negativo e per 48 con un antigenico rapido negativo, per andare a lavorare, per prendere i treni a lunga percorrenza e gli aerei, per frequentare palestre e piscine.

Arrivi in Italia: tampone per immunizzati e quarantena per non vaccinati

Secondo l’ordinanza firmata dal ministro della salute Roberto Speranza valida dal 16 dicembre al 31 gennaio, chi arriva in Italia da tutti i Paesi dell’Unione Europea e non è vaccinato, dovrà rimanere in quarantena per cinque giorni oltre ad effettuare un test antigenico nelle 24 ore precedenti all’ingresso, oppure molecolare nelle 48 ore precedenti. Il test diventa obbligatorio anche per i vaccinati. Le norme severe adottate dall’Italia hanno fatto insorgere Bruxelles: l’Italia “giustifichi” le misure o si rischia di “minare la fiducia delle persone su condizioni uguali ovunque”, dice il commissario Vera Jourova. “Immagino – aggiunge – se ne parli al Consiglio Ue”.

Nessuna decisione sull’obbligo di mascherine all’aperto

Nel corso del CdM non è emersa alcuna misura che disciplini l’obbligatorietà della mascherina all’aperto, nonostante cresca sempre di più l’elenco delle città che attraverso un’ordinanza specifica sanciscono la necessità di indossare il dispositivo anti Covid nel centro cittadino e nei luoghi più affollati.

 

Elidia Trifirò 

Sicilia, da oggi obbligo di mascherina all’aperto: tutte le restrizioni previste dall’ordinanza Musumeci

In Sicilia  da oggi sono in vigore nuove misure di prevenzione anti Covid per contrastare la diffusione del virus, anche nella nuova variante comunemente nota come ‘’Omicron’’. Tra queste, mascherina obbligatoria e maggiori controlli in porti e aeroporti.

Il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. Fonte: ilgazzettino.it

A prevederle, un testo di 5 articoli (vedi versione integrale dell’ordinanza) firmato ieri dal presidente della regione Nello Musumeci, e adottato in seguito alla relazione dell’assessorato alla Salute. In vista delle prossime festività natalizie, l’ordinanza sarà estesa per l’intero mese di dicembre, vale a dire dal 2 dicembre fino al 31.

L’obbligo di mascherina all’aperto

Tutti i cittadini siciliani di età superiore ai 12 anni devono indossare la mascherina nei luoghi pubblici e aperti al pubblico. Ad assicurare il rispetto della norma sono le autorità addette alla pubblica sicurezza, anche mediante l’applicazione di sanzioni previste dalla legge, ove necessario.

L’obbligo di tampone per migranti e viaggiatori

Un’altra novità introdotta dall’ordinanza di Musumeci è l’estensione dell’obbligo di tampone in tutti i porti e aeroporti ai passeggeri che arrivano in Sicilia dalla Repubblica del Sudafrica, Botswana, Repubblica Araba di Egitto, Repubblica di Turchia, Hong Kong e Stato d’Israele.
Prima di quest’ultimo provvedimento, il controllo era già previsto per chi provenisse – oppure avesse soggiornato o transitato nei 14 giorni precedenti alla partenza – da Gran Bretagna, Germania, Malta, Portogallo, Spagna, Francia, Grecia, Paesi Bassi e Stati Uniti, per un totale di 15 stati esteri.

Controlli antiCovid nell’aeroporto di Palermo. Fonte: informazione.it

Per quanto riguarda i passeggeri in arrivo da Paesi per i quali il tampone obbligatorio non è previsto, essi potranno comunque fare richiesta e sottoporsi al test direttamente presso lo scalo e a titolo gratuito.
E ancora, coloro che sono giunti in Sicilia nei 10 giorni precedenti all’entrata in vigore dell’ordinanza sono tenuti a contattare il Dipartimento di prevenzione dell’Asp territorialmente competente e il proprio medico di Medicina generale per essere sottoposti a tampone molecolare. Anche i migranti che raggiungono il territorio siciliano dovranno essere sottoposti a tampone molecolare, una volta terminato il loro periodo di quarantena.

Attività dei laboratori regionali sotto monitoraggio

Dal momento che l’ordinanza punta oltretutto ad assicurare in tutte le province dell’isola un’appropriata sorveglianza epidemiologica, per farlo il Dipartimento per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (Dasoe) dell’assessorato della Salute e il Dipartimento per la pianificazione strategica eseguiranno una ricognizione dei laboratori siciliani capaci di sequenziare le varianti del virus (vale a dire individuare mediante lettura dell’intero genoma virale eventuali differenze e mutazioni) e ne coordineranno l’attività. L’obbiettivo da raggiungere è l’aumento progressivo del numero di tamponi sequenziati in Sicilia.

Assembramenti natalizi e contagi

Per comprendere il motivo di simili provvedimenti a pochi giorni dall’inizio delle festività basta pensare alle storiche scene di marzo 2020, quando prima della chiusura totale del governo Conte, centinaia di persone affollavano stazioni e treni con destinazione il Sud: sono molti i giovani studenti e lavoratori che ogni anno alimentano la movimentazione tra una regione all’altra, specie durante le feste.

Dunque, nonostante il numero dei nuovi positivi in Sicilia sia rimasto stazionario negli ultimi giorni, a preoccupare i governi sono soprattutto gli assembramenti nelle vie e piazze dello shopping e l’arrivo di gente da altre regioni, elementi che potrebbero portare ad un maggiore aumento dei contagi, potenzialmente preoccupante seppur non ai livelli dello scorso anno.

Fonte: La Repubblica

Le voci dei sindaci e Musumeci

Con l’obbligo di mascherina all’aperto, la Sicilia ha scelto di adeguarsi ad altre regioni e città dove era già scattato in precedenza l’obbligo come a Torino e a Firenze, seppur in alcuni casi il dispositivo di protezione vada indossato soltanto in determinate vie e piazze particolarmente affollate.

Il presidente dell’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), Antonio Decaro, ha fatto sapere che vari sindaci hanno richiesto al Governo di valutare l’opportunità di estendere l’obbligo a livello nazionale e fino al mese di gennaio:

“Quelli – ha spiegato – sono i giorni del Natale dove per lo shopping, per la voglia giustamente di stare insieme e di fare comunità, nelle nostre città c’è maggiore possibilità di assembramento. Se ci fosse un provvedimento nazionale, come abbiamo spiegato al Governo, sarebbe tanto di guadagnato, perché daremmo un segnale unico a tutto il Paese”.

Anche il presidente Musumeci ha detto la sua ieri:

Vogliamo passare il Natale in sicurezza, sia dal punto di vista sanitario che economico. La Sicilia non potrebbe sopportare una nuova chiusura”.

Una linea dura è stata adottata nei confronti dei ”No vax”:

“Sono convinto che nell’area “no vax” ci sia una fascia di cittadini cosiddetti non irriducibili, che per timore o insufficiente informazione, rimane diffidente. Credo che con un provvedimento drastico e restrittivo, ovviamente straordinario, potremmo recuperare questa larga fascia di indecisi. I dati dimostrano che l’80 per cento dei ricoverati negli ospedali non ha fatto vaccino”.

Gaia Cautela

La nuova variante Omicron: preoccupazione e interrogativi

Compare all’orizzonte la preoccupazione per la nuova variante del Covid detta “Omicron“. Si pensa a nuove strategie e a possibili provvedimenti da adottare per i No Vax. Dal Giappone, intanto, arrivano notizie che riaccendono la speranza: pare si sia verificato un “errore” nelle mutazioni del virus e ciò potrebbe essere la strada verso la sua scomparsa.

(fonte: adnkronos.com)

La nuova variante più contagiosa, ma meno virulenta

32 mutazioni le mutazioni nell’ultima variante del virus. Molto più contagiosa della Delta, ma, a quanto pare, al momento, meno virulenta.

Il dottor Massimo Ciccozzi – tra i più esperti epidemiologi italiani e direttore dell’Unità di Statistica medica ed epidemiologia molecolare del Campus Bio-medico di Roma – riguardo l’origine della variante, ha avanzato l’ipotesi che sia verificata una “intra-host evolution“, cioè l’evoluzione del virus attraverso tutte le sue mutazioni, dentro l’organismo di una sola persona con il sistema immunitario debilitato. Insieme al dato che indica una primo isolamento in Sud Africa, non abbiamo ancora informazioni definitive.

È stato isolato in Sudafrica il primo caso nel mondo, ma ancora bisogna indagare. Angelique Coetzee, la presidentessa dellAssociazione dei medici del Sudafricaha dichiarato che la variante pare causare sintomi molto lievi e, finora, nessun ricovero.

Quindi, dopo le prime ore do panico, è stata sventata la possibilità di una chiusura delle frontiere dell’Europa per chi sarebbe rientrato dal Sudafrica.

Contagiosità della variante (fonte: ilgiorno.it)

 

Le reazioni dal mondo

I due casi dovuti alla variante Omicron riscontrati in Brasile, sono i primi in America Latina. Si tratta di un uomo ed una donna brasiliani, arrivati a Sao Paulo dal Sudafrica, dove svolgono attività di missionari, rientrati prima che venisse diffusa la notizia dell’esistenza della variante.

Gli Stati Uniti sono propensi all’introduzione di regole sanitarie più severe per gli ingressi, allo scopo di prevenire la diffusione della variante. È stata redatta una bozza di un’ordinanza da parte dei “Centers for Disease Control and Prevention”.

Sono tre le proposte avanzate. La prima, per la quale tutti i cittadini americani dovrebbero presentare l’esito negativo di un test, effettuato il giorno prima di una partenza, indipendentemente dalla vaccinazione e dal Paese di provenienza. Poi, la proposta di obbligo di sette giorni di quarantena, esteso a tutti coloro che arrivano negli Usa, inclusi i cittadini americani, anche in caso di test effettuati e  negativo. In ultimo, l’alternativa, secondo cui i viaggiatori si dovrebbero sottoporre a un test entro tre o cinque giorni dall’arrivo negli Stati Uniti. Multe e sanzioni per chi non rispetterà le regole che verranno introdotte.

In Germania, invece, 15 casi sospetti in Baviera, mentre in Sassonia è stato confermato un positivo, così come quattro in Baden-Wuerttemberg, dove, a risultare contagiate sono quattro persone vaccinate. La Germania ha chiuso l’ingresso dal Sudafrica e da altri sette Paesi del continente africano, consentendo il rientro soltanto ai tedeschi, che dovranno, però, fare una quarantena di 14 giorni. Di rischi di peggiori sintomi legati alla variante, non vi è certezza, ma la Germania sta vivendo un picco della quarta ondata e teme per il suo sistema sanitario, già sotto forte stress. In alcune regioni è scattata l’allerta e, dunque, si corre ai ripari.

Dall’altra parte del mondo, in Giappone, è stato deciso di bloccare tutte le prenotazioni di voli in entrata per un mese, per tentare di prevenire la diffusione della variante. Ma dal Ministero dei Trasporti arriva la precisazione che il provvedimento non riguarda le prenotazioni già effettuate.

Dal Giappone la teoria di una possibile autodistruzione del Covid

Il Giappone ha subito la più forte ondata di Covid a fine estate, con un picco di circa 23mila casi al giorno raggiunto ad agosto. Poi, un’interruzione improvvisa: negli ultimi giorni, a Tokyo segnalati soltanto 5 nuovi casi di coronavirus.

Il professor Ituro Inoue, un esperto di genetica, ha avanzato un’ipotesi forse sconvolgente: la variante Delta avrebbe subito troppe mutazioni nella proteina chiamata nsp14, quella che corregge gli “errori” del virus nella sua replicazione.

Il professor Inoue afferma che il virus avrebbe lottato per riparare gli errori, ma alla fine avrebbe causato la propria “autodistruzione”.

Quando un virus si replica, i suoi geni subiscono “errori di copiatura” casuali nel tempo. Ciò porta a cambiamenti strutturali. Le mutazioni possono rinforzare un virus o fargli causare gravi malattie, ma, in altri casi, le mutazioni diventano un punto di arresto. Dunque, secondo questa teoria, in Giappone si starebbe verificando proprio quest’ultima situazione.

Gli esperti continuano ad attribuire il rallentamento al tasso di vaccinazione nel Paese, del 76,2%, e all’ampio uso di mascherine. Il professor Inoue, invece, sostiene che la sua teoria sia vera, altrimenti i contagi a causa della variante Delta, la variante precedente e largamente diffusa, sarebbero ancora in aumento.

Se ciò fosse la verità, sarebbe proprio la svolta che tutti stavamo aspettando, l’inizio della fine. Però, ancora l’attenzione è e deve continuare ad essere altissima, per non rischiare troppo proprio ora, dopo tanti mesi di sacrifici.

 

L’efficacia dei vaccini di fronte alla nuova minaccia

A causa della nuova variante, ci si interroga anche sull’efficacia dei vaccini, se questi siano in grado di proteggerci anche di fronte a questa nuova minaccia.

L’amministratore delegato di Moderna, Bancel, ipotizza un “calo sostanziale” dell’efficacia degli attuali vaccini. Perciò pensa che nei prossimi mesi si dovrà mettere a punto nuovi vaccini efficaci anche contro la variante Omicron:

“Penso che in nessun modo l’efficacia possa essere la stessa che abbiamo avuto con la variante Delta” ha detto.

Le sue parole hanno avuto una fortissima ripercussione in borsa.

Lamministratore delegato di BioNTech, Ugur Sahin, sostiene che i vaccini che già abbiamo probabilmente proteggeranno da conseguenze gravi anche le persone che dovessero contrarre la variante Omicron, anche se, appunto il contagio avvenisse. Per questo, ha ricordato di spingere perché vengano effettuate le terze dosi.

Da Israele, arrivano delle prime conferme sull’efficacia dei vaccini, proprio perché nel Paese si è già partiti da tempo con la terza dose di Pfizer. Il ministro della Sanità israeliano Nitzan Horowitz ha dichiarato: “La situazione è sotto controllo e non c’è motivo di panico”

Anche l’infettivologo italiano Matteo Bassetti ha cercato di placare il panico diffuso dalle notizie, infuriandosi per gli inutili allarmismi e, peraltro, per l’apprensione della notizia della nuova variante dai media prima che dalla comunità scientifica:

Bassetti contro gli allarmismi (fonte: la7.it)

“Il virus ha avuto più di 50 mutazioni, di varianti ne continueremo a vedere, fanno parte della mutazione del virus. Non possiamo assistere a questa speculazione del fine settimana, io da medico non ci sto! Questa non è scienza”.

Intanto, la Germania si prepara a discutere, giovedì in Parlamento, di obbligo vaccinale generalizzato e si prepara un lockdown per i non vaccinati. La situazione delle terapie intensive è altamente drammatica, perciò il Paese ha bisogno di muoversi e anche in fretta. Pronti anche a inviare pazienti all’estero. Disponibilità data già dall’Italia, precisamente dalla Lombardia, Francia e Svizzera.

Tutto questo sottolinea che ancora bisogna stare attenti, nell’attesa che tutte le misure prese dai governi nazionali di tutto il mondo, possano aprire il cammino definito verso la fine.

 

 

Rita Bonaccurso