Prematurità: la forza travestita da fragilità

Il 17 novembre, non celebriamo la prematurità in se, ma l’immensità di un bambino microscopico che, nonostante tutto, si aggrappa alla vita. Diamo voce alle famiglie.

Quando parliamo di prematurità? 

Prematuro

Parliamo di prematurità quando un feto nasce prima delle 37 settimane di gestazione. I neonati prematuri sono suddivisi in:

  • Estremamente pretermine: prima delle 28 settimane
  • Molto pretermine: tra 28 e 31+6 settimane
  • Moderamente pretermine: tra 32 e 33+6 settimane
  • Tardo pretermine: tra 34 e 36+6 settimane

In base al loro peso alla nascita, i neonati pretermine possono essere ulteriormente classificati in:

  • Neonati di peso basso (LBW), con peso inferiore ai 2.500 grammi.
  • Neonati di peso molto basso (VLBW), con peso inferiore ai 1.500 grammi.
  • Neonati di peso estremamente basso (ELBW), con peso inferiore ai 1.000 grammi.

Fattori che possono condurre ad un parto prematuro

Rischio

I fattori che possono condurre ad un parto prematuro sono svariati. L’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) raccomanda il parto elettivo a partire da 32 settimane in casi selezionati che comportano complicazioni materne gravi e/o fetali. Nel caso del parto spontaneo, le cause possono  riguardare l’anamnesi personale, tra cui:

  • Precendenti parti prematuri (principale fattore di rischio)
  • Precedenti gravidanze multiple
  • Precedenti aborti terapeutici multipli e/o aborti spontanei

Oppure, problemi insorti o dovuti all’attuale gravidanza, come: Fecondazione in vitro, fumo di sigaretta, età materna giovane o avanzata (< 16 anni, > 35 anni), gravidanza gemellare, distacco di placenta, preeclampsia, tra le più comuni.

Rischi di un neonato pretermine

I rischi principali per un neonato pretermine sono strettamente correlati alla settimana di gestazione. Più precoce è la nascita, maggiore sarà il grado di immaturità fetale e ridotto il peso:

  • Gli estremamente pretermine risultano essere i più fragili. Presentano maggiore rischio di problematiche cardiovascolari e respiratorie. Risulta fondamentale  monitorare e valutare costantemente le funzioni e l’attività cerebrale.
  • Per i nati tra le 28 e le 31 settimane, i rischi neurologici risultano essere ridotti, ma risulta ancora aumentato il rischio di problematiche respiratorie e la suscettibilità alle infezioni.
  • Superate le 32 settimane, i rischi si riducono ma potrebbe essere posizionato, preventivamente, nei primi giorni di vita, un supporto respiratorio e nutrizionale, perché spesso in questa fase le funzioni di suzione e deglutizione non sono perfettamente sviluppate.
  • I nati tra le 34 e le 36 settimane rappresentano circa il 70% dei prematuri, e pur essendo stabili dal punto di vista cardiovascolare e respiratorio sono molto delicati sotto l’aspetto neuroevolutivo e immunitario.

Problematiche più comuni

neonato

Le condizioni patologiche riscontrabili in un prematuro, possono essere diverse, sia per gravità che per trattabilità. Viene prestata molta attenzione alle funzioni respiratorie, soggette alle maggiori problematiche a breve termine in caso di prematurità. Altre condizioni caratterizzanti il prematuro, possono essere:

  • Sindrome da distress respiratorio e displasia broncopolmonare
  • Entero-colite necrotizzante
  • Sepsi
  • Condizioni neurologiche
  • Difficoltà di alimentazione
  • Problemi cardiaci
  • Problemi visivi e uditivi

Complicazioni e sequele a lungo termine

Un Neonato prematuro avrà bisogno di cure mediche e controlli regolari; i medici, di solito, effettuano dei monitoragi a lungo termine per evitare complicazioni in futuro. Alcune delle complicazioni a lungo termine che un bambino prematuro può avere sono:

  1. Sequele neurologiche: lo stress a cui sono sottoposti i bambini prematuri può causare alterazioni nel cervello. I sintomi del danno cerebrale possono apparire nel tempo.
  2. Problemi di vista e udito: la mancanza di ossigeno nel cervello può danneggiare la retina, dato che è la parte dell’occhio che si collega con il cervello. L’eccesso di ossigeno che, può verificarsi a causa della respirazione artificiale, può anche generare alterazioni come la retinopatia. I bambini prematuri hanno un alto rischio di perdita dell’udito.
  3. Problemi di sviluppo e di comportamento: la prematurità e il basso peso aumentano il rischio di problemi di attenzione o di iperattività. La stimolazione precoce dei bambini prematuri aiuta a prevenire i problemi di apprendimento legati alla prematurità.

Prendersi cura dei genitori, per curare i bambini

coppia

Ben noto, come il divenire genitori richieda sempre nuovi apprendimenti, ma diventare genitori di un bambino nato pretermine amplifica ancora di più questa sfida. Uno studio ha indicato come lo stress dei genitori dei nati pretermine si riduca sensibilmente se, messi nelle condizioni di poter agire per la loro cura e di ricevere informazioni e istruzioni da parte degli operatori sanitari.

Ciò che si consiglia è il coinvolgimento dei gentori nei primi approcci al gavage (alimentazione tramite sondino gastrico) e poi all’allattamento vero e proprio, nel tenere in braccio, lavare e cambiare il loro bambino. Tutte azioni che tendono a ridurre i livelli di stress e ansia. Per un bambino prematuro i genitori sono come farmaci naturali, prendersi cura di loro significa prendersi cura del piccolo.

Un neonato prematuro, verrà sottoposto, ancora prima della nascita, ad una serie di trattamenti farmacologici; come per esempio la somministrazione di glucocorticoidi per la maturità polmonare. Tuttavia la sensibilizzazione va effettuata sulle procedure assistenziali svolti proprio dai genitori, piuttosto che sulla somministrazione farmaceutica.

Un affare di famiglia

genitori

La marsupio terapia; modalità di assistenza in cui il bambino, svestito, viene posto in posizione verticale sul petto nudo del genitore in modo che si crei un contatto pelle a pelle continuo e prolungato. L’orecchio del bambino poggia sul cuore del genitore, e lo riporta ai suoni della vita intrauterina. È stata dimostrata la sua efficacia nell’aumentare la capacità di termoregolazione, nel prolungare il sonno, nel migliorare i parametri respiratori e nello stabilizzare la funzione cardiaca.  Oltre a rinsaldare il legame genitore-bambino, il contatto col neonato attiva una serie di risposte neuro-ormonali (tra cui l’incremento dei livelli di ossitocina e prolattina) che aumentano la produzione di latte. Ne deriva una maggiore fiducia, autostima e senso di realizzazione per le madri, che si associa al fatto di poter fare qualcosa di positivo per i loro bambini.

La possibilità di accesso prolungato delle madri in reparto coi loro bambini, permette di stimolare l’allattamento al seno, grazie al contatto fisico e alla correlata riduzione dello stress in entrambi. Occorre sostenere le madri nell’allattamento prima, durante e dopo il parto, coinvolgendo attivamente anche la figura del partner. Egli può sostenere la compagna sedendosi accanto a lei durante le poppate o l’estrazione di latte, massaggiandola, valorizzando le occasioni in cui riesce a tirare anche solo poche gocce, comunque preziose per il neonato. Siccome l’immaturità neurologica, respiratoria e orogastroenterica del bambino ne ostacolano, in un primo momento, la suzione al seno, le madri andrebbero incoraggiate all’estrazione manuale di latte o con tiralatte, possibilmente in un luogo in cui possono vedere e toccare il figlio. È sulla base di queste evidenze che la presenza dei genitori in TIN andrebbe considerata, più che come una possibilità, un diritto fondato su dati scientifici.

Mortalità in Italia e nel mondo

Secondo la neonatologa María Isabel de las Cuevas, i progressi in neonatologia hanno ridotto drasticamente la mortalità e le conseguenze nei prematuri. Lei crede che il “rischio zero” non esista mai, nemmeno con un bambino nato a termine.

L’Italia oggi è uno dei Paesi con il più basso tasso di mortalità al mondo per neonati di peso inferiore a 1500 grammi con il 13,8% rispetto al 15% a livello mondiale (negli anni ‘70 era il 60%)”.  Risulta essere fondamentale, che questi piccoli nascano in Ospedali dotati di Terapie Intensive Neonatali (TIN) con attrezzature moderne e personale altamente specializzato, per garantire loro un’assistenza adeguata.

Miglioramenti per la salute dei piccoli

Tin

Dovrebbero consentire l’accesso dei genitori 24 ore su 24, con il loro coinvolgimento diretto e favorendo il contatto pelle a pelle, anche allo scopo di facilitare l’avvio dell’allattamento materno. Sarebbe fondamentale, inoltre, attivare presso questi reparti percorsi di sostegno psicologico, per i genitori che si accingono ad affrontare la prematurità del proprio figlio, attualmente presenti in non tutti i reparti e non sempre ben strutturati. I progressi scientifici hanno migliorato molto la sopravvivenza e la prognosi a breve termine dei neonati prematuri, ma alcuni di questi bambini sono a rischio di sviluppare problemi durante la crescita.

“Per migliorare la prognosi a lungo termine di questi neonati e sostenere attivamente le loro famiglie, dovrebbero essere tenuti sotto osservazione costante per valutarne i parametri vitali e di sviluppo, con accertamenti ripetuti nel tempo fino all’inizio dell’età scolare.”

Per la Società Italiana di Neonatologia è fondamentale che il Follow-up del Neonato Pretermine venga ufficialmente riconosciuto dal nostro Sistema Sanitario, in modo da garantire risorse umane ed economiche che lo configurino come una Rete di Servizi specifica e multidisciplinare per soddisfare le complesse esigenze post-dimissione del neonato a rischio evolutivo e della sua famiglia.

Conclusioni

La prematurità è un filo sottile tra il non illudersi e il non abbattersi; Dove ogni grammo in più è un traguardo e ogni goccia di latte è importante. Un enorme senso di impotenza di fronte alle loro  sofferenze e fatiche, è paura, rabbia ma anche speranza.

Dalla pagina instagram “Tincoraggio”

Alice Pantano

www.msdmanuals.com

www.salute.gov.it

www.quotidianosanita.it

simri.it

 

Due chiacchiere con Giulia Dragotto, la protagonista di “Anna”

“Selvaggia e disorientante”. “Una fiaba per adulti”. “La serie tv italiana più coraggiosa mai realizzata”. Queste sono alcune delle tante espressioni utilizzate per definire la serie tv “Anna“, tratta dall’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti (Premio Strega 2007 e regista della serie), ambientato in una Sicilia post-apocalittica, dove la popolazione adulta è stata sterminata da un virus altamente letale, “La Rossa“. La serie è disponibile su Sky Atlantic e su Now Tv ed è prodotta dalla Wildside, del gruppo Fremantle.

Ammaniti racconta la vicenda della tredicenne Anna, impegnata principalmente a proteggere e -ad un certo punto- a salvare il piccolo fratellino Astor. L’interprete dell’impavida eroina è la giovanissima e bravissima attrice palermitana Giulia Dragotto, con la quale abbiamo scambiato due chiacchiere per telefono.

Giulia Dragotto, interprete della protagonista Anna

In che modo sei stata selezionata per il ruolo di Anna e quali sensazioni hai provato sapendo di dover interpretare il ruolo della protagonista al tuo esordio come attrice?

Tutto in realtà è nato per caso: era l’estate del 2019 e mia mamma su Facebook trovò un annuncio di un casting per il film “Le sorelle Macaluso”. Quando mi chiese se l’avessi voluti fare io accettai subito; lo feci per gioco, non avrei mai pensato di arrivare a tutto ciò. Quindi feci i provini, mi dissero che ero troppo grande per il ruolo che cercavano e mi avrebbero chiamato non appena avrebbero trovato una situazione adatta a me. Tempo dopo, infatti, mi chiamarono “Anna”: ho fatto tantissimi provini e tantissimi laboratori con la moglie di Niccolò Ammaniti, Lorenza Indovina. È stato un percorso veramente faticoso, ma ad oggi posso dire che ne è valsa assolutamente la pena. Non mi dissero subito che sarei stata Anna, ma ho capito di esserlo quando mi hanno convocata a Roma.

A quale attrice o personaggio ti sei ispirata maggiormente per interpretare al meglio il tuo ruolo? Quali sono i tuoi modelli principali nel mondo del cinema?

Per il ruolo di Anna non mi sono ispirata ad un’attrice in particolare; però posso dire che ne apprezzo tantissime, in particolare Millie Bobby Brown -molto classica come attrice preferita dalle ragazze- e Kristen Stewart.

Anna e il fratellino Astor (Alessandro Pecorella)

Chi è Anna? Chi è, invece, Giulia? Quali sono le maggiori differenze tra te e Anna?

Anna è una ragazzina cocciuta e parecchio coraggiosa, che vive in una situazione catastrofica, qualcosa che non riuscirei ad immaginare. Io, invece, mi ritengo la persona più imbranata di questo mondo e non penso ci sia essere vivente più impacciato di me. Questo ritengo sia una cosa che mi rende molto diversa da Anna. Devo dire che il personaggio di Anna mi ha lasciato molto, soprattutto per quanto riguarda la determinazione, grazie a lei ho compreso quali sono le difficoltà vere e non mi faccio più abbattere da sciocchezze. Il coraggio, invece, ci accomuna, anche se parliamo di due vite completamente diverse.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai vissuto durante le riprese? Quali, invece, i momenti più belli e significativi che hai vissuto e non dimenticherai mai?

Le difficoltà erano all’ordine del giorno; sono stata sempre messa davanti a situazioni difficoltose. Per esempio, ho dovuto rifare una scena in cui correvo nelle scale tante volte perché io non riuscivo a sincronizzare i piedi. Una scena abbastanza difficile sicuramente è stata quella girata sull’Etna alle quattro e mezza del mattino: là sopra c’erano -4 gradi ed è stata veramente dura. Non ci sono stati momenti più belli e significativi; posso dire che è stato uno splendido percorso dall’inizio alla fine.

Giulia sul set

Chi ha guardato la serie ha sicuramente apprezzato anche la tua interpretazione della bellissima canzone napoletana “Core ‘ngrato”. Quando è nata la tua passione per il canto e come l’hai coltivata nel tempo?

Ho sempre avuto la passione per il canto: sin dall’asilo ho cantato sempre nelle recite scolastiche e a casa cantavo spesso le canzoni -tra gli altri- di Elisa e dei Negramaro. Dato che mi ritenevano abbastanza intonata i miei genitori decisero iscrivermi ad un’accademia di canto, per darmi modo di poter coltivare questa mia passione. Ho iniziato a studiare canto a otto anni e ho smesso verso i dodici.

Quali sono state le sensazioni che hai provato le prime settimane di lockdown a causa di una pandemia per certi versi abbastanza simile all’epidemia presente nella serie?

Inizialmente avevo sottovalutato la situazione perché ero molto presa dal set, che impegna molto. Quando arrivò invece la notizia ufficiale fu una bella botta e subito notai la coincidenza con il romanzo di Anna, uscito nel 2015, ma ambientato proprio nel 2020. Una coincidenza che ti fa fare due domande. La cosa traumatica fu quando tornai a casa e, abituata alle giornate ricche di emozioni, mi sono detta “che faccio adesso?”, “quanto durerà questa situazione?”, “riprenderemo a girare?”. Ho avuto un sacco di paranoie, perché ho saputo che molti set sono stati interrotti e avevo paura che tutti i sacrifici fatti da me, i miei amici e tutte le persone dello staff si vanificassero. L’unico aspetto positivo è che anche il lockdown mi ha fatto crescere molto.

Sull’Etna

Quali sono i tuoi progetti nel breve periodo? Hai qualche lavoro in cantiere? Come ti vedresti, invece, tra dieci anni? Vorresti continuare su questa strada oppure ti piacerebbe fare anche qualcos’altro?

In realtà ancora no, ma spero di poter vivere altre esperienze del genere, perché ti lasciano tanto. La recitazione non la considero -almeno per adesso- un lavoro, ma l’ho sempre definita un divertimento, uno svago, un qualcosa di liberatorio. Sinceramente non so come mi vedrei a 24 anni; sicuramente spero di essere felice. Intanto mi metto molto sotto con lo studio perché so che mi servirà, anche perché mi piacerebbe fare l’Università.

Perché un/a giovane siciliano/a -e non solo- dovrebbe guardare la serie “Anna”?

Perché è una serie che arriva al cuore; lo penso perché chi l’ha vista mi ha detto che trasmette davvero tanta emozione. Non dovrebbe essere presa esclusivamente come una serie su una pandemia, cosa che potrebbe non invogliare il pubblico visto il periodo che stiamo vivendo. Ho sentito spesso dire questo, ma chi l’ha detto si è poi ricreduto, perché Niccolò utilizza il virus solo come mezzo per arrivare ad un altro concetto, quello della speranza. Il virus lo senti all’inizio, ma nell’evoluzione della storia percepisci tutt’altro. Questa è la cosa bella di Anna.

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

 

Giulia sui social:

instagram.com/_giulia_dragotto_

 

Si ringrazia Federica Ceraolo per averci fornito le foto

 

… la città di Messina ha ricevuto ben tre medaglie d’oro al valore?

Ebbene sì: la città di Messina, troppo spesso criticata dai suoi stessi cittadini, ha dato in più occasioni prova di coraggio, e si è distinta per le capacità di resilienza e le azioni eroiche dei suoi abitanti.

Questo valore è stato più volte premiato, nel corso della Storia, in particolare attraverso l’assegnazione di ben tre medaglie d’oro.

C’è da dire che Messina è sempre stata una città fiera e fin dai tempi della rivolta antispagnola (1674-1678) i suoi cittadini hanno dato prova di essere, per così dire, delle belle teste calde: non stupisce infatti che la città peloritana abbia partecipato attivamente a tutti i moti insurrezionali siciliani dell’epoca risorgimentale.

Sicuramente l’avvenimento più drammatico risale al 1848, quando la città fu bombardata per ben 8 mesi, tanto da far guadagnare al re Ferdinando II di Borbone l’epiteto (senza dubbio poco simpatico) di “Re Bomba”. La risposta di Messina alla repressione fu parecchio vivace e molti personaggi locali si distinsero per il loro eroismo: padre Crimi, Rosa Donato o i più famosi Camiciotti sono solo alcuni degli esempi possibili.

Al 1898 risale quindi la Medaglia alle Città Benemerite del Risorgimento nazionale, che le fu assegnata per decreto regio per commemorarne il valore.

Le altre due medaglie al valor civile e al valor militare (rispettivamente del 1959 e 1978) sono legate entrambe ad un unico, tristissimo, evento:  i bombardamenti alleati durante la Seconda Guerra Mondiale.

Un po’ tutte le famiglie messinesi si tramandano di padre in figlio almeno un aneddoto riguardo i bombardamenti. C’è chi è stato ospitato dai parenti che abitavano nei paesi vicini; chi ricorda le gallerie sotterranee adibite a raggiungere il rifugio antiaereo più vicino; chi ricorda ancora con terrore il suono delle sirene nel cuore della notte.

Passeggiando per la città si possono ancora trovare le tracce di questi fatti luttuosi. Uno dei luoghi che porta ancora oggi le cicatrici più profonde e insanabili è il Duomo di Messina: colpito da uno spezzone incendiario nella notte del 13 Giugno 1943, arse fino alle 4 del mattino seguente. Andarono così perdute buona parte delle opere marmoree sopravvissute al Terremoto del 1908, fra cui ciò che restava dell’Apostolato del Montorsoli. Ancora oggi, l’altare di San Giovanni Battista sito nella navata destra (opera di Antonello Gagini) e i due portali laterali recano ancora i segni scuri delle fiamme.

Anche edifici più umili testimoniano ancora la furia distruttiva della guerra; diversi sono i palazzi d’epoca della città che portano i segni dei colpi di mitragliatrice. Ancora in piedi restano inoltre i maggiori rifugi antiaerei della città: il Cappellini, sul viale Regina Margherita; Santa Marta e Santa Maria; il rifugio ai Cappuccini…

Queste tre medaglie, con tutte le storie che ci sono dietro, rappresentano dunque, soprattutto ai giorni nostri in cui il futuro è incerto, un esempio di quanto, anche dopo aver perso tutto, sia possibile rialzarsi e ricominciare.

Renata Cuzzola