L’invio delle armi in Ucraina accende una forte tensione nel M5S. Di Maio accusato da una parte del partito

Il Movimento 5 Stelle nelle ultime ore sta respirando aria di crisi: Luigi Di Maio ha scatenato il dissenso del consiglio nazionale del partito con la sua posizione in merito alla questione dell’invio delle armi all’Ucraina.

Scontro tra Di Maio e una parte del M5S di cui Conte si è fatto portavoce (fonte: www.ilmessaggero.it)

La bozza che ha innescato gli scambi di accuse tra i pentastellati

I pentastellati avevano subito il crollo nelle elezioni amministrative svoltesi pochi giorni fa e ora si ritrovano davanti a uno scontro interno. “Non si proceda, stante l’attuale quadro bellico in atto, ad ulteriori invii di armamenti che metterebbero a serio rischio una de-escalation del conflitto pregiudicandone una soluzione diplomatica”: così recita il passaggio principale della bozza stilata dal M5S per il 21 giugno, giornata in cui sono previste le comunicazioni del premier Mario Draghi per il Consiglio europeo del 23-24 giugno.

Il contenuto del testo, da cui si è originato l’acceso dibattito, ha iniziato a circolare, nella mattina di venerdì 18 giugno, tramite alcune agenzie di stampa, quando Di Maio e i viceministri, rispettivamente, dell’Economia, Laura Castelli e, allo Sviluppo Economico, Alessandra Todde si trovavano a Gaeta per presenziare un evento della Confcommercio di Frosinone.

Nella bozza era stata fatta una premessa che si soffermava soprattutto sulla durata ormai consistente del conflitto e sul fatto che questo si stia trasformando in una guerra di logoramento.

L’Italia, secondo quanto emerso tramite il testo, per i sostenitori della linea contraria all’invio di altre armi, dovrebbe rafforzare la sua azione diplomatica.

Proprio da Gaeta sono state scagliate le prime accuse, la viceministro Castelli è stata la prima ad esporsi sulla pubblicazione della bozza redatta da alcuni membri del partito: «Io di sicuro non voterei una risoluzione, qualora presentata dal mio gruppo, che va fuori dalla collocazione storica dell’Italia».

Castelli è nota per essere vicina a Di Maio, perciò le sue dichiarazioni non potevano che essere di biasimo rispetto alle critiche mosse al ministro degli Esteri, il quale ha, subito dopo, risposto in maniera più netta al contenuto della bozza, generando l’escalation di tensione all’interno del partito:

«C’è una parte del Movimento che ha proposto una bozza di risoluzione che ci disallinea dall’alleanza della Nato e dell’Ue, la Nato è un’alleanza difensiva, se ci disallineiamo dalla Nato mettiamo a repentaglio la sicurezza dell’Italia.».

Di Maio è convinto della sua posizione favorevole all’invio dell’armi, considerandolo un dovere rispetto all’Alleanza Atlantica.

Successivamente, il viceministro Todde, si è, invece, espressa in difesa e a favore della linea ufficiale adottata dal resto del partito anche in relazione allo stesso testo. Con lei d’accordo anche Michele Giubitosa, il quale aveva parlato di “fango sul Movimento 5 Stelle” e “punto di non ritorno”, per poi, nei giorni successivi essere ancora più deciso nelle sue critiche:

«È gravissimo che un ministro degli Esteri, in un periodo di guerra delicato come quello che viviamo, alimenti un clima di incertezza e di allarme intorno alla sicurezza del proprio Paese, accusando con delle palesi falsità la sua stessa comunità politica di attentare alle sue alleanze e credibilità internazionale.».

Così, nella giornata di ieri, ha avuto inizio la resa dei conti tra Giuseppe Conte, postosi a portavoce di tutti coloro che sono contrari alla scelta di Di Maio sulla questione relativa all’Ucraina, e quest’ultimo.

 

La lotta per la leaderhip

Tra Conte e Di Maio, però, lo scontro si era acceso già qualche mese fa, precisamente lo scorso gennaio, durante le votazioni per il presidente della Repubblica. Gli attriti erano stati smorzati solo in virtù delle elezioni amministrative.

Quella di ora è solo una ripresa di dissapori già in atto, che, in realtà, vanno oltre l’attuale decisione in merito alle armi per l’Ucraina: lo scontro è per la leadership nel Movimento.

Per l’ex premier, Di Maio non oserebbe criticare le scelte di Draghi, rinnegando alcuni importanti principi del partito, per tornaconto personale: il ministro degli Esteri vorrebbe assicurarsi la possibilità di un altro mandato, in vista delle prossime elezioni politiche del 2023. A breve, gli iscritti al M5S, verranno consultati per votare sulle regole del partito in merito proprio al doppio mandato. Conte e Beppe Grillo sperano che le regole non cambino. Dunque, i prossimi giorni saranno decisivi per le sorti del partito, non sono escluse scissioni.

«Mi sorprende molto che mentre Draghi è a Kiev, Di Maio tiri fuori beghe interne al M5S. – ha detto Conte – Oggi il nostro ministro degli Esteri ha rischiato di sporcare questo passaggio di Draghi, questa visita così importante, che il M5S ha chiesto a gran voce perché l’Europa deve essere protagonista verso un negoziato di pace. Mi sorprende che il ministro degli esteri tiri fuori beghe che rischiano di indebolire il governo.».

Il no all’invio di nuove armi all’Ucraina è un tema caldo per il Movimento, ormai da mesi. Conte aveva votato a favore all’inizio del conflitto, per iniziare a schierarsi contro solo in un secondo momento, fino a farsi principale portavoce di questa corrente di pensiero nel partito. La maggioranza stava cercando di arrivare a una risoluzione che facesse accordare tutti i pentastellati, venerdì scorso c’era stato un incontro proprio tra gli esponenti che avevano deciso di rinviare il dibattito sulle armi alla giornata di oggi e che avevano fatto sapere di non ci sarebbe stato “un testo separato”, ma poi sono iniziate le accuse reciproche, il giorno dopo, a partire da Gaeta.

 

Di Maio rischia l’espulsione dal partito?

Durante la scorsa notte, si è svolta una riunione notturna dei 14 membri consiglio nazionale del M5S, durata più di quattro ore. Si pensava che l’esito di tale incontro potesse portare all’espulsione di Di Maio dal partito. La questione è stata “congelata”. L’ipotesi, ventilata durante tutta la giornata di ieri, era stata rafforzata dalle parole del vicepresidente del Movimento, Riccardo Ricciardi, che aveva definito il ministro “un corpo estraneo” e che si auspicava dei provvedimenti ai danni di questo. Si pensava persino che Di Maio potesse anche auto-espellersi, vista la rottura che si era verificata. Però, per ora, il Movimento ha scelto di perseguire la stabilità che sembra comunque vacillare.

Uno dei partecipanti alla riunione ha chiarito che con la bozza che aveva riacceso la crisi nel partito non si voleva in alcun modo mettere in discussione la posizione dell’Italia nella linea euroatlantica.

È stato discusso della risoluzione che dovrà essere votata al Senato domani e dopodomani, 21 e 22 giugno: il movimento non sarà di impedimento alla scelta sull’invio delle armi, si cercherà solo di premere per una una de-escalation militare e perché venga mantenuta la centralità del Parlamento.

Lo scontro nel Movimento è stato messo in stand-by, ma potrebbe riaccendersi presto e forse per mano dello stesso Beppe Grillo. Nelle scorse ore, il fondatore del partito è ritornato sulla questione della regola dei due mandati, che “previene il rischio di sclerosi del sistema di potere, se non di una sua deriva autoritaria, che è ben maggiore del sacrificio di qualche (vero o sedicente) Grande Uomo”.

 

Rita Bonaccurso

 

 

 

I parlamentari d’Italia eletti a Messina: Giuseppe Natoli e le prime elezioni del Regno

Il 18 febbraio, con il voto di fiducia della Camera al nuovo governo guidato da Mario Draghi, si è conclusa definitivamente la crisi di governo, dovuta de facto alle dimissioni delle ministre Bellanova e Bonetti e, dunque, al ritiro del sostegno del partito di cui fanno parte (Italia Viva) al governo Conte II.

Dopo un mese di discussioni aspre, parte della cittadinanza non ha compreso i motivi e l’opportunità di una crisi in un periodo delicato per il nostro Paese. Gli eventi di quest’ultima fase hanno alimentato il processo di disaffezione alla politica, uno dei principali sintomi di una democrazia in crisi.

Mossi da questa premessa abbiamo deciso di intraprendere un percorso lungo la storia dell’Italia unita, per far riemergere il contributo politico dei parlamentari eletti – o comunque legati – a Messina e dimostrare che il mondo della politica – in perenne evoluzione – non è un altrove lontano, ma è parte dalla vita di ciascuno di noi.

Giuseppe Conte (a sinistra) e Mario Draghi (a destra) durante la la cosidetta Cerimonia della Campanella – Fonte: lastampa.it

Il contesto storico e la normativa elettorale

Il nostro viaggio inizia all’alba del 1861, quando nel nostro Paese si svolsero le elezioni della VIII legislatura della Camera dei deputati – unico organo elettivo del Parlamento – del Regno di Sardegna, che, a seguito della proclamazione dello nuovo Stato unificato – meno di due mesi dopo -, possono considerarsi le prime elezioni del Regno d’Italia.

La legge elettorale, naturalmente, era completamente differente da quella tutt’oggi vigente. Il particolare più evidente è legato all’ampiezza dell’elettorato attivo (gli aventi diritto al voto), decisamente ridotta in confronto a quella attuale.

La normativa elettorale prevedeva – in generale – il diritto di voti per i soli uomini, di età superiore ai 25 anni, alfabetizzati e con la possibilità di pagare annualmente almeno 40 lire di tasse.

Inoltre era prevista la suddivisione del territorio in collegi uninominali (è eletto un solo candidato) e su un sistema – di conversione dei voti in seggi – interamente maggioritario (è eletto il candidato che riceve più voti) a doppio turno (con eventuale ballottaggio).

In un contesto del genere, i protagonisti della competizione elettorale erano i singoli candidati, i cosiddetti notabili, personalità di prestigio nel proprio territorio.

Il primo Parlamento del Regno d’Italia, Palazzo Carignano, Torino – Fonte: lagazzettatorinese.it

Le elezioni a Messina

L’intera penisola, ancora priva dei territori del Veneto e di quelli annessi allo Stato Pontificio, era divisa in 443 collegi.

La provincia di Messina, istituita dopo l’annessione della Sicilia, era divisa in 8 collegi: cinque nella zona tirrenica (Mistretta, Naso, Patti, Castroreale e Milazzo), uno nella zona ionica (Francavilla di Sicilia) e due nella città di Messina (Messina 1 e Messina 2).

Le prime elezioni del Regno si svolsero il 27 gennaio 1861, con un’affluenza totale di circa il 57% dell’elettorato. Nella città di Messina gli aventi diritto erano in totale 2057 e l’affluenza media tra i due collegi cittadini fu del 70%.

In entrambi i collegi della città dello Stretto si sfidarono due candidati. Ad avere la meglio furono due personalità di spicco del panorama politico messinese: Giuseppe La Farina (1815-1863) e Giuseppe Natoli Gongora di Scaliti (1815-1867).

Ritratto di Giuseppe Natoli – Fonte: latuanotizia.it

Il primo deputato di Messina: Giuseppe Natoli Gongora

Messinese di nascita, Giuseppe Natoli apparteneva a una famiglia nobile, protagonista da tempo nel governo della città. Dopo aver studiato all’Accademia Carolina di Messina, si laureò presso l’Università di Palermo in diritto. Oltre a dedicarsi all’attività forense, grazie alla sua spiccata capacità oratoria, ottenne la cattedra di codice civile e procedura, presso l’Università di Messina.

Sin da giovane frequentò la vivace rete cittadina di circoli, gruppi massonici e accademie, permeata di ideali liberali.

Nel 1848 fu uno dei protagonisti della costituzione del Regno di Sicilia; nel biennio rivoluzionario divenne deputato alla Camera dei Comuni ed ebbe spesso incarichi diplomatici. In seguito alla controrivoluzione borbonica e alla capitolazione della città di Messina, abbandonò l’Isola e si rifugiò in Piemonte.

Durante gli anni dell’esilio si legò sempre più al concittadino La Farina e si avvicinò a Cavour (1810-1861).

In seguito alla conquista della Sicilia da parte di Garibaldi (1807-1882), Natoli, con l’avallo di Cavour, ricoprì l’incarico di ministro dell’Agricoltura e commerci– con l’interim degli Affari esteri – nel governo dittatoriale, fino alle dimissioni in dissenso con l’espulsione dalla Sicilia di La Farina.

A dicembre divenne governatore di Messina, nel delicato periodo della transizione statale.

Camillo Benso di Cavour (in alto) e Giuseppe Garibaldi (in basso) – Fonte: wikipedia.org

Una volta eletto al Parlamento di Torino, prese parte al primo governo del Regno d’Italia, guidato da Cavour, come ministro dell’Agricoltura, industria e commercio.

Come deputato ha rappresentato le istanze più impellenti della città dello Stretto, ossia la smilitarizzazione dei forti e il porto franco.

 

Le elezioni suppletive

Sia La Farina che Natoli non conclusero il loro mandato alla Camera. La Farina morì nel settembre 1863, mentre Natoli fu nominato senatore del Regno nell’agosto 1861.

In entrambi i collegi cittadini – in momenti diversi-  si tennero, dunque, le elezioni suppletive. In particolare, nel collegio di Messina 2 fu eletto un deputato destinato a ricoprire la carica di parlamentare per altre cinque legislature. Stiamo parlando di Giorgio Tamajo (1917-1897), più volte prefetto in diverse città e celebre esponente della massoneria.

Giorgio Tamajo – Fonte: agrigentoierieoggi.it

 

Mario Antonio Spiritosanto

 

Fonti:

treccani.it/natoli

storia.camera.it/deputato/giorgio-tamajo

http://dati.camera.it/apps/elezioni/

storia.camera.it/legislature/sistema-maggioritario-uninominale-doppio-turno

 

Immagine in evidenza:

Il primo Parlamento del Regno d’Italia – Fonte: piemontetopnews.it

Mandato esplorativo, termina oggi l’incarico di Fico. Il punto sulla situazione

(fonte: tg24.sky.it)

Oggi terminerà il mandato esplorativo del Presidente della Camera Roberto Fico che in giornata dovrà necessariamente riferire al Presidente della Repubblica i risultati ottenuti. Tuttavia, i tavoli di maggioranza non prospettano ancora un’intesa. Partito democratico, Movimento 5 Stelle e Liberi e Uguali sembrano compatti per un Conte-ter, mentre Italia Viva continua a tenersi distante. Ed afferma: “Le idee vengono prima dei nomi“.

Il punto della situazione sul mandato

Il29 gennaio, al termine delle consultazioni, il Presidente Mattarella ha deciso di assegnare l’incarico di un mandato esplorativo al Presidente della Camera Fico, col compito di trovare gli esponenti per un nuovo governo. Le nuove consultazioni si sono concentrate sulla maggioranza preesistente, ossia quella che sosteneva il governo Conte-bis.

Le nuove consultazioni hanno avuto inizio il 30 gennaio e sono terminate il 31, non senza proteste: già da settimane l’opposizione – primi tra tutti Lega e Fratelli d’Italia – invoca le elezioni. Durante un’intervista a La Repubblica, Giorgia Meloni (FdI) ha affermato:

Questo Parlamento non ha i numeri per una soluzione efficace. Se si farà un governo, sarà perfino più debole di quelli passati. La scelta più responsabile è sciogliere le Camere e in tempi rapidi portare la Nazione al voto.

La democrazia non può essere sospesa da una pandemia“, ha inoltre sostenuto oggi il senatore Matteo Salvini (Lega) a Skytg24.

Ma oltre l’ostruzionismo dell’opposizione, anche Italia Viva sin dal primo giorno di consultazioni ha posto dei paletti: “Approfondimento sui contenuti e documento scritto sul programma“. Poi preme sul Mes e sul governo politico: “Meglio di quello istituzionale“.

Quale governo?

L’Italia ha già fatto esperienza di vari governi tecnici (basti pensare al governo Gentiloni), ma cosa sono i governi politici ed istituzionali?

  • Un governo politico rappresenta una maggioranza parlamentare, che è solitamente frutto di aggregazioni tra partiti più forti e forze politiche minori.
  • Un governo istituzionale è, invece, di durata limitata e si forma su decisione del Presidente della Repubblica, con a capo figure che rappresentano le istituzioni – come il Presidente della Camera o del Senato.

Il calendario delle consultazioni

Nonostante le difficoltà, le nuove consultazioni sono riuscite a svolgersi all’interno della Sala della Lupa di Montecitorio. Secondo il calendario divulgato anche dalla Camera dei Deputati, nei due giorni sono state consultate le forze politiche di maggioranza tra cui Pd, M5S, LeU, Italia Viva ed i gruppi parlamentari quali quello degli Europeisti (i cosiddetti “responsabili” a sostegno di Conte), le Autonomie ed il Gruppo Misto.

Al termine delle consultazioni, l’ 1 febbraio è stato istituito un tavolo per la stesura del contratto di governo.

I punti salienti delle contrattazioni

I temi cardine dell’accordo sono sicuramente economia e giustizia. Per quest’ultimo punto, si tratta soprattutto della riforma della prescrizione, ma ci sono tantissime riforme lasciate in sospeso a causa della crisi di governo.

Punti focali sono il Recovery Plan ed il Mes. Al tavolo tecnico si discute soprattutto dei 200 miliardi a fondo perduto del Recovery (in contemporanea con le Commissioni parlamentari), mentre Renzi ed Italia Viva insistono sull’utilizzo del Mes per la sanità.

Si tratta di un punto di particolare delicatezza, che potrebbe costare l’equilibrio della maggioranza e la formazione del governo Conte-ter.

In materia di lavoro, M5S spinge sul reddito di cittadinanza con salario minimo ed equo compenso (un contributo imposto per avere il diritto di effettuare la copia privata delle opere protette dal diritto d’autore). Su una diversa linea si trova invece l’opposizione di Fratelli d’Italia, che ribadisce la necessità di un’indennità parametrata sul modello della cassa integrazione e rivolta a chi avesse avuto un calo di fatturato del 50% rispetto allo stesso mese del 2019.

Altro tema importante è quello della legge elettorale ed il taglio dei parlamentari, voluto dal referendum di settembre 2020. Rimane poi la questione degli scambi d’incarichi e della divisione del potere, con una Maria Elena Boschi che twitta:

Anche oggi polemiche su di me. Italia Viva ha chiesto al Governo di prendere il Mes, non di prendere Meb. Come al solito i 5stelle non leggono fino in fondo. O non capiscono. Servono soldi per la sanità, non poltrone per noi.

Intanto per le forze di LeU  il voto si fa sempre più vicino:

Se nella giornata di oggi non si mette in condizione il Presidente Fico di andare al Quirinale a riferire che ci sono le condizioni per andare avanti a costituire un Governo fondato sulla maggioranza che sosteneva Conte, le elezioni anticipate si avvicinerebbero a grande velocità.

Il segretario della Lega Matteo Salvini, invece, sostiene che si raggiungerà un accordo, “Ma migliaia d’italiani avranno perso posti di lavoro e tempo“.

(fonte: tg24.sky.it)

I possibili scenari dopo la fine del mandato

Col termine del mandato esplorativo di Fico, si aprono possibili scenari per il futuro. Se si raggiungesse un accordo, sarebbe possibile un nuovo governo di Conte con la medesima maggioranza – ma probabilmente cambierebbero i ministri. In assenza di un accordo:

  • Potrebbe formarsi un governo politico con la medesima maggioranza ma con diverso premier;
  • Si potrebbe passare ad un governo istituzionale;
  • Governo tecnico capitanato da economisti e professori;
  • Infine, la possibilità di un governo di scopo di breve durata che svolga le funzioni dell’esecutivo fino a nuove elezioni.

Sebbene sia stata vagheggiata da molti la possibilità di un governo Draghi, ex presidente della BCE, la Presidenza della Repubblica ha smentito i contatti con quest’ultimo. A questo punto, non resta che aspettare gli esiti comunicati da Fico.

 

Valeria Bonaccorso

 

Dimissioni Conte: cosa succede adesso e tutti possibili scenari del Governo italiano

Stamattina Giuseppe Conte ha annunciato le sue dimissioni durante il Consiglio dei ministri, per poi formalizzarle davanti al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

L’annuncio era già stato anticipato ieri, dovuto alle ulteriori difficoltà incontrate dal governo per trovare una solida maggioranza in Parlamento dopo l’uscita di Italia Viva -in Senato, infatti, sarebbe bastato un solo voto negativo in più per sancire la caduta del governo- e, dunque, al rischio di non avere i voti necessari per l’approvazione della relazione annuale sulla giustizia.

È stata formalmente aperta la crisi di governo: quella complicata fase politica e costituzionale che avrà termine solo quando un nuovo presidente del Consiglio, assieme ai suoi ministri, presterà giureranno davanti al presidente della Repubblica.

(fonte: Huffingpost)

I passaggi per arrivare alla formazione di un nuovo esecutivo

Innanzitutto, bisogna precisare che questa crisi di governo è di natura extraparlamentare, in quanto Conte ha ottenuto la fiducia al Senato martedì 19 gennaio; dunque, è una crisi nata da contrasti fra i partiti della coalizione di governo, non sancita da un voto di sfiducia.

In questo secondo caso, infatti, avrebbe avuto natura parlamentare: se Conte avesse presentato le proprie dimissioni come conseguenza di un voto negativo al Senato avrebbe avuto pochissime possibilità di ottenere il reincarico da Mattarella per la formazione di un nuovo governo.

Con le dimissioni, e fino al giuramento di un nuovo esecutivo- periodo definito di “vacatio” -il governo uscente rimane in carica per lo svolgimento degli “affari correnti”; infatti il presidente della Repubblica non ha firmato il decreto di accettazione delle dimissioni, che deve essere controfirmato dallo stesso premier.

Tuttavia, prima di accettare le dimissioni del presidente del Consiglio, il presidente della Repubblica potrebbe chiedere un “rinvio alle camere”, per verificare, attraverso un voto di fiducia, della sussistenza o meno di una maggioranza, andando dunque a parlamentarizzare la crisi.

L’avvio della crisi sarà sancito, come da prassi, dal comunicato del Quirinale, con la lettura di questo testo nel famoso salone delle Vetrate, il quale sarà aperto per l’occasione a giornalisti e troupe televisive.

(fonte: Slideplayer)

L’iter per la formazione di un nuovo governo è disciplinato dagli articoli 92, 93 e 94 della Costituzione, che prevede, nella prassi, un processo articolato in diverse fasi:

  • consultazioni: formalizzata la crisi di governo, il presidente della Repubblica stila un calendario degli incontri e apre dunque le consultazioni- che fanno parte delle “consuetudini costituzionali”, in quanto il presidente della Repubblica non ha alcun obbligo costituzionale ad avviarle-, ossia quella fase di incontri e colloqui con leader politici e istituzionali con l’obiettivo di capire se il Parlamento sia ancora in grado di esprimere una maggioranza oppure no.
  • incarico: se dalle consultazioni dovesse risultare che c’è una maggioranza parlamentare possibile, anche con nuove alleanze, e che c’è una persona in grado di avere la fiducia di quella maggioranza per formare un governo, allora il presidente della Repubblica darebbe a quella persona l’incarico di formare un governo. L’incaricato, che di solito accetta con riserva, fa a sua volta un giro di consultazioni e torna dal presidente della Repubblica per sciogliere, positivamente o negativamente, la riserva.
  • nomina: dopo lo scioglimento della riserva si arriva alla firma dei decreti di nomina del capo dell’esecutivo e dei ministri.
  • giuramento e fiducia: sono esplicitamente disciplinati dall’art 93 e 94 della costituzione a cui rinvio.

Possibili scenari per il futuro governo

Esiste un altro modo per catalogare una crisi: al buio o pilotata.

La prima avviene quando il presidente del Consiglio si dimette senza che sia stato raggiunto un accordo per la formazione di una nuova maggioranza in suo sostegno. La seconda si presenta quando invece il presidente del Consiglio presenta le dimissioni a seguito di un accordo politico raggiunto all’interno della maggioranza che già c’era o con una maggioranza alternativa. Nel nostro caso siamo nel secondo scenario, infatti questa crisi vorrebbe “pilotare” verso un Conte ter appoggiato da un nuovo gruppo parlamentare creato da “responsabili” o “costruttori”, con o senza IV.

Mattarella gli darebbe un mandato pieno, cioè mirato a fare nascere il governo che le forze politiche hanno descritto al presidente della Repubblica; poi Conte, come da prassi, accetterebbe con riserva.

Ma vi sono altri possibili scenari: infatti se, ad esempio, durante le consultazioni dovesse emergere che non esiste un’altra maggioranza possibile in questo Parlamento, il presidente della Repubblica scioglierà le camere; la prima tappa verso le elezioni anticipate.

(fonte: Ansa.it)

Altra ipotesi in caso di mancato raggiungimento dell’accordo, se, dunque, dai partiti non arrivasse un’indicazione chiara su cosa fare, risulta il mandato esplorativo: anche se non è previsto dalla Costituzione, Mattarella può usufruire di questo istituto andando ad individuare una figura di alto profilo istituzionale, come ad esempio il presidente della Camera o il presidente del Senato o anche il presidente del Consiglio uscente- tra i soggetti più accreditati vi sono Mario Draghi e Marta Cartabia– , in grado di formare un nuovo governo.

Il soggetto individuato dovrà verificare attraverso una serie di incontri informali se esista la possibilità di formare una nuova maggioranza: se vi dovesse essere si procederà alla formazione di un governo di unità tecnico, in caso di economisti o professori nominati in casi di emergenza per perseguire obiettivi minimi e comuni, o istituzionale, se guidato da una figura delle istituzioni scelta da Mattarella; in ambedue i casi saranno comunque soggetti sostenuti dalla maggioranza dei partiti.

Questo istituto venne utilizzato per la prima volta da Giorgio Napoletano, che creò due commissioni con il compito di mettere sulla carta un programma di governo e di riforme istituzionali, da cui nacque il governo Letta.

Si potrebbe anche procedere per un temporaneo governo di scopo, un governo con un compito ben preciso: come garantire le funzioni dell’esecutivo fino a nuove elezioni, quello di arrivare all’approvazione di una nuova legge elettorale o, soprattutto, quello di garantire l’invio alla Commissione Europea, entro il prossimo 30 aprile, del Piano nazionale di ripresa da cui dipenderanno i circa 210 miliardi di euro di fondi del Recovery Fund.

A seguito delle consultazioni potrebbe anche essere individuato un nuovo papabile Presidente del Consiglio: ciò porterebbe alla nascita di un Nuovo Governo supportato dalla maggioranza attuale, con IV, e dai responsabili del centrodestra.

Insomma, vari esiti, vari scenari; la cosa che conta è che l’Italia in un momento di crisi, come quella attuale, riesca a sollevarsi dalle macerie a prescindere da chi ne sarà la guida.

Manuel De Vita

Il discorso di Conte al Senato: le sorti di un Paese

Dopo aver ottenuto la maggioranza alla Camera con ben 321 sì, il Presidente del Consiglio Conte sta affrontando oggi la fase maggiormente decisiva a Palazzo Madama, dove gli equilibri sono diversi.

(fonte: open)

È durato circa un’ora l’atteso discorso del premier, tenuto stamattina in Senato e scandito da 31 applausi, più numerosi dei 14 ricevuti ieri a Montecitorio. Un intervento che ricalca in gran parte quello fatto ieri: “Con la pandemia, con la sua sofferenza, il Paese si è unito. Si è elevato il senso di unità del governo, si sono elevate le ragioni dello stare insieme”.

Al Senato, il presidente del Consiglio conta sul voto di Liliana Segre, tornata a Roma appositamente per confermare la fiducia, e del gruppo Maie-Italia23, formatosi per sostenerlo.

Dure ancora le opposizioni. Ieri Giorgia Meloni ha attaccato tutto il Governo alla Camera, accusando Conte di “poltronismo” e chiedendo il voto.

Attesissimi gli interventi di Matteo Renzi che, dopo la vicenda che lo ha avuto come antagonista, promette “la verità”. Si aspetta anche quello di Matteo Salvini.

Il discorso di Conte in Senato

Conte ha iniziato, alle 9:30 circa, dai banchi del Senato. Siedeva insieme ai ministri Franceschini, Speranza, Gierini, Bonafede, Di Maio, Lamorgese, D’Incà e Amendola; ad ascoltarlo un’aula quasi al completo, sotto gli occhi anche di Salvini e Renzi.

Prima osservato un minuto di silenzio in memoria di Emanuele Macaluso, lo storico dirigente Pci morto a 96 definito – a prescindere dai propri ideali – un grande protagonista della vita politica e culturale italiana”.

Subito dopo, ha ricordato le difficoltà derivate dalla alla pandemia, dove il governo ha dovuto “operare delicatissimi, faticosissimi, bilanciamenti dei princìpi e dei diritti costituzionali.”.

In questi mesi così drammatici, pur a fronte di una complessità senza precedenti, questa maggioranza ha dimostrato grande responsabilità, raggiungendo – certamente anche con fatica, convergenza di vedute e risolutezza di azione, anche nei passaggi più critici.” – ha detto per poi attaccare l’opposizione – “In questi giorni ci sono state continue pretese, continui rilanci concentrati peraltro non casualmente sui temi palesemente divisivi rispetto alle varie sensibilità delle forze di maggioranza. Di qui le accuse a un tempo di immobilismo e di correre troppo, di accentrare i poteri e di non aver la capacità di decidere. Vi assicuro che è complicato governare con chi mina continuamente un equilibrio politico pazientemente raggiunto dalle forze di maggioranza”

(fonte: ilMattino)

Nel suo discorso – accompagnato da brusii ed applausi ironici, cori “Bravo, bravo!” – il premier ha toccato anche altri punti fondamentali del progetto di governo: rilancio del Sud, digital divide, riforma meditata del titolo V della Costituzione, piano vaccinazioni, ma anche la necessità di un governo e di forze parlamentari che riconoscano l’importanza della politica indirizzata al benessere dei cittadini.

La richiesta di “un appoggio limpido, che si fondi sulla convinta adesione a un progetto politico” perché “questo è un passaggio fondamentale nella vita istituzionale del nostro Paese ed è ancora più importante la qualità del progetto politico”

Ha poi concluso usando le stesse parole dell’intervento alla Camera:

“Costruiamo questo nuovo vincolo politico, rivolto alle forze parlamentari che hanno sostenuto con lealtà il Governo e aperto a tutti coloro che hanno a cuore il destino dell’Italia. Io sono disposto a fare la mia parte. Viva l’Italia”

A seguire un lungo e caloroso applauso finale, durante il quale, addirittura i parlamentari del Pd e del M5s si sono alzati in piedi.

Subito dopo, non è mancato un acceso mormorio in Aula. La presidente del Senato Elisabetta Casellati ha dovuto chiedere silenzio per poter dare avvio al dibattito.

Il dibattito

Concluso l’intervento del premier, è iniziata la discussione generale. Risultano essere 45, almeno per ora, i senatori iscritti a parlare, tra cui il senatore a vita Mario Monti, Emma Bonino, Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, e Matteo Renzi, leader di Italia viva. Otto gli interventi previsti per le dichiarazioni di voto. Per Italia viva interverrà Teresa Bellanova, ex ministro dell’Agricoltura, Andrea Marcucci, presidente dei senatori del Pd, e Matteo Salvini, segretario della Lega.

Un lungo applauso ha accompagnato la senatrice a vita Liliana Segre, accolta dal saluto di Pier Ferdinando Casini.

“Conte – ha detto – ha dimostrato in queste vicende una sua solidità e una capacità”, annunciando il suo voto a favore.

Tendente a essere positivo si è detto anche Mario Monti del Gruppo Misto:

 “Annuncio il mio voto di fiducia nel modo che mi è proprio. Non le porto voti, se non il mio. Il mio un voto di fiducia è libero e condizionato ai provvedimenti, se corrisponderanno alle mie convinzioni.”.

(fonte: flipboard)

Tra i senatori già in maggioranza, si segnala oggi l’assenza per Covid di Francesco Castiello del M5s.

Sono 153 ritenuti certi – finora – a favore della maggioranza, ma il pallottoliere viene continuamente aggiornato. C’è chi confida che l’asticella a sostegno di Conte salga fino ad almeno 158.

L’obiettivo, secondo alcune fonti, sarebbe quello di lasciare più di 18 senatori di margine tra i Sì e i No, per dimostrare che Italia Viva non è essenziale alla maggioranza.

Dopo l’abbandono del governo, la suddetta aveva annunciato che si asterrà nel voto finale, come confermato dal senatore umbro Leonardo Grimani. Questo consentirà all’esecutivo di ottenere la fiducia con una maggioranza relativa, per la quale non è richiesto un quorum minimo ed è sufficiente superare l’opposizione anche di un solo voto.

Considerata, Iv, responsabile della “crisi assurda e incomprensibile” da parte di Franco Mirabelli, vicepresidente del gruppo dem a Palazzo Madama, questo ha aggiunto ai microfoni:

“E’ necessario sostenere l’azione del governo per aiutare il Paese, con le risorse del Recovery, a superare la pandemia, a fare ripartire l’economia e fare le riforme. Per questo il Partito democratico appoggia l’impegno del presidente Conte a un nuovo patto di legislatura”.

Netta l’opposizione del centro-destra, che chiede le dimissioni del presidente del Consiglio anche al Senato. Il testo, uguale a quello presentato ieri alla Camera, è firmato dai capigruppo di Lega, Massimiliano Romeo, di Forza Italia, Annamaria Bernini, di Fratelli d’Italia, Luca Ciriani e da Paolo Romani di ‘Cambiamo’.

Alle 16:30 la seduta sarà sospesa per un’ora per consentire la sanificazione dell’Aula. Per le 17:30 si attende, invece, la replica del premier che precederà le dichiarazioni di voto sulla fiducia e la chiama, prevista per le 18.

L’esito dello scrutinio resta ancora totalmente incerto ma dovrebbe essere annunciato circa alle 20:30.

Manuel De Vita

Il discorso del premier Conte per la fiducia: “Qui senza arroganza, ma a testa alta.”

Il discorso del premier Conte (fonte: corriere.it)

Dopo la rottura causata da Italia Viva e il suo leader Matteo Renzi, il presidente del Consiglio Conte ha scelto la strada più rischiosa, ma che potrebbe anche portarlo alla riconferma del suo incarico. Oggi, lunedì 18, ha tenuto il suo discorso in Parlamento, proprio per la verifica della maggioranza. Domani, invece, cercherà di conquistare, al Senato, una fiducia che si avvicini il più possibile ai 161 voti necessari.

Sono stati diversi i punti dibattuti dal premier, iniziando dai presupposti su cui è stato formato il governo basato sull’alleanza M5S-Pd, “un governo nato per un disegno riformatore ampio e coraggioso”. Nel marzo 2020, con lo scoppio della pandemia, questo stesso governo sarà messo davanti ad una sfida senza precedenti negli ultimi anni.

 

Il presidente ha sottolineato tutto il suo impegno “fisico e psichico” nel riuscire ad operare un piano che potesse salvaguardare il bene della comunità nazionale.

Riconosce l’importanza della maggioranza in questi mesi di sgomento anche nei passaggi più critici, rivendicando di aver impostato l’azione del governo col solo fine di far fronte alla sfida a cui tutti noi siamo stati sottoposti, stanziando oltre 100 miliardi di euro per dare assistenza ai cittadini e alle categorie professionali.

(fonte: repubblica.it)

Ha parlato dell’importanza dell’Italia per il Recovery Fund, che, citando le parole di Conte stesso, potremmo definirlo: “un fondo per la ripresa con titoli comuni europei per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti, tra cui l’Italia”.

“Abbiamo posto le basi per un deciso rilancio della crescita” ha detto, con per poi fare un elenco di tutti gli interventi realizzati dall’insediamento ad oggi, anche a prescindere da quelli emergenziali. Ha proceduto fino ad esprimere il forte imbarazzo e dissenso per una crisi definita senza fondamento:

“Confesso di avvertire un certo disagio per questa crisi che si consuma mentre molti cittadini ancora soffrono per la perdita di qualcuno e per la quale non ravviso alcun plausibile fondamento”.

(fonte: fanpage.it)

Una crisi che ha giudicato ormai comunque incancellabile, dalla quale non si può più tornare indietro, citando anche la storica frase di Giulio Cesare “il dado è tratto”. Non nasconde tutta la sua perplessità e il giudizio negativo, verso questa situazione che ritiene dannosa per il Paese, gettandolo nello scompiglio.

«Ora si volta pagina, il Paese si merita un governo coeso che lavori a un’incisiva ripresa della nostra economia»

Ha, poi, spiegato come il suo sia stato uno dei governi che hanno cercato di coinvolgere sempre tutto il Parlamento, nonostante non siano mancati disappunti dall’opposizione.

Non rinuncia a definire gli attacchi mediatici a lui rivolti, come aspri e inadeguati.

Nonostante la pacatezza dei suoi toni e la decisione di non scagliarsi apertamente contro Renzi, di cui il nome non pronuncerà per tutto il discorso, evitando un atto d’accusa diretto, rimane chiara la chiusura rivolta a quest’ultimo:

“Non si può pensare di recuperare quella fiducia che serve per lavorare nell’interesse del paese”.

In ultimo, ha parlato apertamente della necessità di dar vita a una nuova maggioranza europeista e contro i sovranisti. Ha espresso il bisogno di “persone in grado, ma soprattutto con la voglia, di mantenere alta la dignità della politica.”

“Aiutateci”, questa la richiesta del premier, rivolgendosi alle forze parlamentari, volenterose di salvare il Paese e la politica italiana. Ha chiesto il contributo politico di “formazioni che si collegano alle migliori tradizioni democratiche, liberali, popolari, socialisti“.

Si è rivolto alle Istituzioni, affinché sappiano ripagare la fiducia dei cittadini italiani, che hanno sopportato e continuano a sopportare i sacrifici richiesti.

Eleonora Genovese

 

 

 

 

Renzi ha detto no: è crisi. Attesa la mossa di Conte

Renzi, annuncia le dimissioni delle due ministre e il sottosegretario Scalfarotto, durante la conferenza stampa (fonte: ansa.it)

Conte aveva promesso la massima apertura possibile, ma Renzi alla fine l’ha fatto: è crisi – ma per ora “solo” – politica. Sarebbe la 66esima di governo, su 66 esecutivi nella storia della repubblica. Si attendono le prossime ore per capire se a questa possa seguirne o meno una di governo e gli scenari possibili sono diversi.

Nelle ore precedenti

(fonte: fanpage.it)

Ieri, all’ora di pranzo, il presidente Mattarella ha ricevuto il premier, chiedendogli di far in modo di uscire al più presto dall’incertezza politica, di cui quest’ultimo lo ha informato dopo infruttuosi contatti telefonici. Ogni trattativa con il leader di Italia Viva, con i renziani, rinominati ora “Responsabili”, non riesce. Neanche l’offerta di un “patto di legislatura” da scrivere in breve tempo viene accettata. Il premier, all’uscita del Quirinale, dichiara di poter andare avanti solo con il sostegno di tutta la maggioranza, una maggioranza soprattutto solida, che non può “prendere un voto qua e là”, alla quale dice di voler, in ogni caso, lavorare fino all’ultimo.

Il primo strappo sembra quello avvenuto nel Consiglio dei ministri, sul Recovery Fund, a causa delle ministre renziane, ma già da mesi il governo traballava.

In serata, Renzi esordisce, in conferenza stampa iniziata alle ore 18, con le dimissioni delle ministre Teresa Bellanova e Elena Bonetti e il sottosegretario Ivan Scalfarotto. Pd e M5s si dicono contrari.

Renzi e le ministre Bellanova e Bonetti (fonte: corriere.it)

“Lasciare un incarico di governo richiede lunghissime, dolorose e assai profonde considerazioni. Abbiamo deciso di rimettere il nostro mandato in nome della dignità e della nobiltà della politica e della nostra libertà e responsabilità individuale.” avevano scritto in una lettera al presidente del Consiglio, motivo del ritardo di un’ora per l’inizio della diretta.

Renzi dichiara di non aver aperto lui la crisi, ma che ve ne era una già in atto da mesi: il punto su cui non ci sta è la convinzione che la democrazia è stata messa da parte con la scusa della pandemia.

Sottolineando di nutrire ancora piena fiducia nei confronti di Mattarella, poi dichiara:

“La democrazia ha delle forme e se le forme non vengono rispettate, allora qualcuno deve avere il coraggio anche per gli altri per dire che il Re è nudo.” per poi continuare con l’accusa di populismo, per un utilizzo ridondante delle dirette tv e sui social e su quello della delega ai servizi. “Non consentiremo a nessuno di avere pieni poteri. Questo significa che l’abitudine di governare con i decreti legge che si trasformano in altri decreti legge, l’utilizzo dei messaggi a reti unificate, la spettacolarizzazione della liberazione dei nostri connazionali, rappresentano per noi un vulnus alle regole del gioco. Chiediamo di rispettare le regole democratiche”.

Tre le questioni poste, tra cui appunto quella sul metodo.

Il destino dell’esecutivo nelle mani di Conte

Si attende la risposta di Conte (fonte: ilpost.it)

Renzi passa la palla a Conte e dice di non avere alcuna pregiudiziale né su formule né su nomi, un Conte-ter è possibile. Contesta il mancato uso del Mes, rivendica i cambiamenti sul Recovery fund e dichiara di esser pronto a discutere su tutto, ma, precisa, nelle forme della politica previste dalla Costituzione perché sottolinea che con Conte “si è creato un vulnus alle regole del gioco”.

Il premier, ora, può assumere l’interim o andare al Quirinale e aprire la crisi. Quattro possibili scenari. Poco prima dell’intervento di Renzi, Conte sulla possibile mancanza di appoggio di Iv, aveva dichiarato di volersi dimostrare aperto a discutere solo in caso di critiche costruttive.

Gli scenari che si aprono

In ogni caso, Il ritiro di due ministri non comporterebbe tecnicamente la fine dell’esecutivo. Conte potrebbe chiedere la verifica della fiducia nei suoi riguardi, dopo aver congelato le sue dimissioni. Un rischio, poiché in caso della mancanza di questa, non avrebbe la possibilità di tornare a Palazzo Chigi. Solo in caso di verifica andata a buon fine, quindi, se Iv trovasse un compromesso con la maggioranza e il premier, l’esecutivo Conte II continuerebbe.

Altrimenti un governo istituzionale, con una maggioranza allargata, per cui è stato ventilato il nome di Romano Prodi – tessitore delle relazioni con l’Europa – sarebbe una dei quattro possibili scenari.

Un Conte-ter dopo le dimissioni formali del premier, con una riconferma da parte da parte delle forze politiche consenzienti a formare la nuova maggioranza e un nuovo patto programmatico.

Oppure, un nuovo governo con la stessa maggioranza, ma nuovo premier – espresso da Pd, M5s, Leu e Iv – che sia del Pd o anche Di Maio un premier appoggiato dal centrodestra e Iv all’opposizione.

Se le consultazioni si trascinassero senza riuscire a individuare un nuovo governo, allora si andrebbe – nonostante Renzi l’abbia giudicato impossibile – a elezioni anticipate.

Rita Bonaccurso

Nuovo DPCM: tutte le disposizioni in vigore a partire dal 7 gennaio

Oggi e domani, giorno dell’Epifania, l’Italia è in zona rossa, come previsto dal decreto del 18 dicembre. È così che si concludono le disposizioni “natalizie”. E adesso cosa succederà? Di quale e di quanti colori sarà l’Italia?

Proprio ieri, lunedì 4 gennaio, alle 21.00, si è riunito il Consiglio dei ministri per fare il punto sulle nuove restrizioni da adottare in Italia a partire dal 7 gennaio e fino al 15 di gennaio.

(fonte:IlNuovoDiarioMessaggero)

Le Disposizioni sempre valide

Il governo ha deciso dunque di approvare un nuovo DPCM che prevede nuove restrizioni per contenere la pandemia da coronavirus, il cui testo non è ancora stato pubblicato, ma di cui è stata presentata una prima bozza tramite comunicato stampa del governo.

  • Il testo prevede «il divieto, su tutto il territorio nazionale, di spostarsi tra regioni o province autonome diverse, tranne che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute».
  • Sempre consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione, ad eccezione degli spostamenti verso le seconde case ubicate in altra regione o provincia autonoma.
  • Resta sempre attivo il coprifuoco dalle 22 alle 5.

La suddivisione in colori

  • Il 7 e l’8 gennaio l’Italia sarà zona gialla, ciò comporterà l’apertura dei negozi fino alle 21, bar e ristoranti dalle 5 alle 18 e dei centri sportivi
  • Per quanto riguarda il fine settimana del 9-10 gennaio, considerato critico per l’andamento della pandemia, si prevede l’applicazione su tutto il territorio nazionale delle misure previste per la cosiddetta zona arancione, dunque: negozi aperti fino alle 21, ristoranti e bar aperti solo per asporto e domicilio, centri sportivi sempre aperti. Sarà dunque vietata la possibilità di spostarsi fuori dal comune, salvo per lavoro, salute, visite a parenti ed amici (servirà comunque l’autocertificazione), mentre sarà liberamente possibile muoversi all’interno del proprio comune, a differenza di quanto previsto dalla zona rossa. Il governo specifica che saranno consentiti gli spostamenti dai comuni con popolazione di massimo 5.000 abitanti ed entro 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.
  • Dall’ 11 gennaio tornerà una suddivisione per colori eterogenea basata sui dati dell’andamento epidemiologico. Il Consiglio dei ministri ha anche annunciato la rivalutazione dei criteri per l’individuazione degli scenari di rischio, sulla base dei quali saranno applicate le restrizioni più o meno stringenti, ma al momento non ha diffuso maggiori informazioni a riguardo. Si prevede per territori che verranno inseriti nella zona rossa, la possibilità di spostarsi, per una sola volta al giorno ed in un massimo di due persone, verso una sola abitazione privata che si trova nella propria regione. La persona o le due persone che si spostano potranno accompagnare i figli minori di 14 anni, od altri minori di 14 anni sui quali le stesse persone esercitino la potestà genitoriale, e le persone disabili o non autosufficienti conviventi.                                                                                                                                             

Vietati comunque gli spostamenti tra regioni.

(fonte: Huffington Post)

La scuola ed il vaccino

Scartata l’ipotesi di un rientro in presenza a scuola il 7 gennaio; si prevede infatti, per le scuole superiori, una ripresa, solo per il 50% degli studenti, ma da lunedì 11 gennaio. Anche se Veneto, Friuli Venezia Giulia e Marche hanno autonomamente deciso di slittare ulteriormente la riapertura al prossimo 31 gennaio.

Per quanto riguarda la possibilità di vaccinarsi, il decreto dedica ampio spazio alla questione del libero consenso: qualora il paziente non fosse in grado di esprimerlo e non avesse un tutore legale, il giudice tutelare dovrà rinviare la decisione al direttore sanitario oppure al medico responsabile.

Nel nostro ordinamento, infatti, si prevede all’Articolo 32 della Costituzione che: nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge; tuttavia numerose sono le esortazioni da parte di personaggi illustri e politiche ad effettuare tale vaccino per una questione di buon senso

(fonte : Ansta.it)

“Vaccinarsi è un dovere, io lo farò appena possibile”, ha detto il presidente Mattarella durante il tradizionale discorso augurale di fine anno.

 

Manuel De Vita

 

 

 

 

Il Natale sempre più rosso sul calendario: lockdown nei festivi e prefestivi. Il 27 sarà il Vaccine Day

Sarà un Natale diverso quello che vivremo quest’anno. Lo immaginavamo già da tempo. Ieri sera, dopo giorni di incertezze, è arrivato il nuovo decreto legge a confermare i nostri timori.

L’Italia blindata nei giorni festivi e prefestivi, con restrizioni che ricordano il primo lockdown. Nei giorni lavorativi, invece, zona arancione.

Restrizioni e deroghe nei giorni rossi

La chiusura è dunque prevista dal 24 al 27 dicembre, dal 31 dicembre al 3 gennaio e il 5 e il 6 gennaio.

In questi giorni saranno vietati gli spostamenti tra regioni. Sarà possibile uscire soltanto per lavoro, salute e in altri casi di comprovata necessità. Chiusi negozi, centri estetici, bar, ristoranti, gelaterie e pasticcerie. Consentiti la consegna a domicilio e, fino alle 22, l’asporto. Aperti invece supermercati, negozi di beni alimentari e prima necessità, farmacie, edicole, parrucchieri e barbieri.

La risposta alla domanda che sta molto a cuore agli italiani: “Si potrà festeggiare il Natale?”, sembra essere no. Sicuramente i cenoni con parenti e amici, le grandi tavolate e le strade gremite quest’anno vivranno soltanto nei nostri ricordi. Nonostante ciò, grazie alle deroghe previste dal decreto, necessarie, come affermato ieri in conferenza stampa dal premier per “consentire quel minimo di socialità che si addice a questo periodo”, sembra ancora possibile salvare il Natale. Infatti, sarà permesso ospitare nella propria abitazione due persone non conviventi dalle ore 5 alle ore 22. Saranno esclusi dal computo gli under 14, le persone con disabilità e conviventi non autosufficienti. Inoltre, verrà consentito un solo spostamento al giorno verso le case di amici e parenti, sempre con autocertificazione. Insomma, sarà un festeggiamento all’insegna dell’intimità e della tranquillità.

Deroghe previste anche per l’attività motoria che sarà consentita nei pressi della propria abitazione e all’aperto ma in forma individuale.

Restrizioni nei giorni arancioni

Misure meno restrittive saranno invece applicate nei giorni 28, 29, 30 dicembre e 4 gennaio, in cui l’intero territorio nazionale sarà zona arancione. Saranno consentiti gli spostamenti all’interno del proprio comune e dai piccoli comuni, cioè quelli con un numero di abitanti inferiore o uguale a 5000, in un raggio di 30 km. Tuttavia, non sarà possibile raggiungere i comuni capoluoghi di provincia. Resteranno chiusi bar e ristoranti con asporto consentito fino alle ore 22 e consegne a domicilio senza restrizioni. I negozi saranno aperti fino alle ore 21. Resta valido il coprifuoco alle ore 22.

Provvedimenti previsti dal decreto per le feste natalizie – Fonte: www.ansa.it

Una scelta sofferta ma necessaria

È stata una scelta sofferta, lo ha dichiarato Conte in conferenza stampa. Una scelta influenzata dalla preoccupazione del Comitato tecnico-scientifico per la possibile impennata della curva dei contagi nel periodo natalizio, soprattutto visti gli assembramenti degli ultimi giorni. È un momento cruciale in cui non sono permessi errori. Lo si comprende bene dalle parole di Provenzano, il ministro per il Sud e la coesione territoriale:

“Non possiamo permetterci una terza ondata perché gennaio e febbraio dobbiamo dedicarli alla vaccinazione e alla riapertura delle scuole”.

Questo è stato ribadito anche dal commissario straordinario Domenico Arcuri:

“Sarebbe complicato iniziare la campagna vaccinale con un nuovo incremento di contagi”.

Insomma, ci sono delle priorità che hanno reso necessario sacrificare il Natale. Del resto, gli ultimi dati sui contagi non sono rassicuranti. Ieri sono stati individuati 17.992 nuovi casi su 179.800 tamponi effettuati e 674 vittime. La trasmissione dell’infezione sta riprendendo quota, come emerge dalla dichiarazione del presidente dell’Istituto superiore di sanità Brusaferro:

“Abbiamo un Rt che cresce e in alcune regioni cresce di più e supera l’1. Rt è il primo indicatore a muoversi e poi viene seguito da nuovi casi, ricoveri e decessi”.

Le regioni con Rt pari o superiore a 1 sono il Molise, il Veneto e la Lombardia. I valori più bassi sono stati registrati in Valle d’Aosta e Campania con 0.63.

Bollettino Covid del 18 Dicembre – Fonte: www.chedonna.it

Il decreto Ristori

Accanto alle restrizioni, il nuovo decreto prevede un intervento economico a favore dei lavoratori più sacrificati dalla stretta natalizia.

“Comprendiamo le difficoltà economiche e comprendiamo l’ulteriore sacrificio degli operatori coinvolti direttamente da queste misure. Siamo al loro fianco”, ha detto Conte.

Il provvedimento dispone 645 milioni per ristoranti e bar costretti alla chiusura. Il premier rassicura che ci saranno benefici anche per gli altri operatori.

Teresa Bellanova coglie la palla al balzo e non perde l’occasione per mettere in risalto i meriti di Italia Viva:

“Dopo la nostra sollecitazione, è stata accolta in Consiglio dei ministri la proposta di stanziare subito ristori per i bar e ristoranti che devono chiudere per effetto delle nuove misure del governo”.

In attesa del vaccine day

Fonte: www.vecteezy.com

Tra regali di Natale e panettoni, restiamo intanto in attesa del 27 dicembre, il vaccine day, cioè il giorno in cui avrà inizio la campagna vaccinale in alcuni Paesi europei, simbolo dell’unione dell’Europa nella lotta contro la pandemia. Come comunicato ieri da Domenico Arcuri durante l’incontro tra Governo e Regioni, in Italia, il 26 dicembre arriveranno allo Spallanzani 9750 dosi di vaccino Pfizer. Il giorno dopo raggiungeranno i punti di somministrazione delle Regioni. Le regioni che riceveranno più dosi per questa prima inoculazione sono la Lombardia con 1620 dosi, l’Emilia Romagna con 955, il Piemonte con 910 e il Veneto con 875.

Dal 28 avrà inizio  la distribuzione ordinaria. È previsto un invio alla settimana in quantità sufficiente alla somministrazione delle due dosi da assumere entro i termini stabiliti. Le prime dosi verranno spedite da Pfizer nei punti provvisti di celle frigo, necessarie per la conservazione del principio attivo del vaccino. Laddove non si è ancora attrezzati, le dosi saranno inviate nei presidi ospedalieri più vicini.

Non ci sarà un obbligo di vaccinazione. Verranno vaccinati per primi gli operatori sanitari e sociosanitari, gli ospiti e il personale delle residenze per anziani. Alcune settimane dopo la prima fase di vaccinazione, ci sarà il richiamo per i primi vaccinati e si inizierà a somministrare le dosi alle categorie più fragili.

La notizia del vaccine day in Europa e quella dell’approvazione della Fda americana, giunta nelle ultime ore, al vaccino di Moderna ci fanno sperare e sognare il momento in cui questo incubo avrà fine.  Fino a quel momento non possiamo non mantenere cautela e prudenza.

“Dobbiamo ancora rimanere concentrati, non abbassare la soglia di attenzione”, esorta il premier.

Chiara Vita

 

Caso Regeni, la procura di Roma chiude l’inchiesta: quattro gli accusati

Giorno 10 dicembre la procura di Roma ha ufficialmente chiuso le indagini sul caso dell’omicidio Giulio Regeni, il ricercatore friulano rapito, torturato e ucciso nel 2016 in Egitto.

Quattro membri della National Security egiziana sono accusati di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

La Storia di Regeni

È il 25 gennaio 2016, Giulio, un ragazzo di 28 anni, è ricercatore all’Università di Cambridge e si trova in Egitto per svolgere una ricerca sui sindacati indipendenti egiziani. Uscirà di casa, senza mai fare ritorno.

Solo il 3 febbraio verrà ritrovato il suo corpo privo di vita, seminudo e con segni evidenti di tortura, lungo la superstrada che collega il Cairo con Alessandria. Immediatamente partono le inchieste simultanee dalla procura di Roma e dalla procura del Cairo, con vari incontri tra gli inquirenti. Immediati, però, anche i tentativi di depistaggio da parte degli investigatori egiziani. Paventate le ipotesi di omicidio passionale e persino quello dello spaccio di droga. Moventi considerati sempre inverosimili dagli investigatori italiani.

Poi, il 24 marzo, in seguito ad un conflitto a fuoco in cui persero la vita cinque presunti sospettati dell’omicidio fu rivenuta la prima traccia di una pista collegata direttamente ai servizi segreti egiziani. Infatti, nella casa di uno dei sospettati fu ritrovato il passaporto di Giulio. Oltretutto le indagini rivelarono successivamente che a portare lì il documento fosse stato un agente della National security, i servizi segreti civili egiziani.

Roma richiamò il proprio ambasciatore al Cairo, lamentando la scarsa collaborazione egiziana nelle indagini. Dopo poco più di un anno l’Italia nominò un nuovo ambasciatore e i rapporti diplomatici tra i due paesi ripresero.

La svolta decisiva si ebbe nel dicembre del 2018, quando la Procura di Roma iscrisse nel registro degli indagati il nome di cinque militari egiziani ritenuti responsabili del sequestro di Regeni. É maggio del 2019 quando un supertestimone ascolta una conversazione tra uno degli agenti responsabili del rapimento e un altro poliziotto africano. Quest’ultimo rivelerà che Regeni fu ucciso dai servizi di sicurezza egiziani perché creduto una spia inglese.

(fonte: avvenire)

Il Resoconto della Procura

Il quadro che emerge è che Regeni sia stato seviziato e torturato per un totale di nove giorni con una ferocia sconcertante. Il tutto avvenuto «in più occasioni e a distanza di più giorni», con atti disumani: “perdita permanente di più organi”, “acute sofferenze fisiche”, “numerose lesioni traumatiche a livello della testa, del volto, del tratto cervico-dorsale e degli arti inferiori”, “urti a opera di mezzi contundenti”, “meccanismi di proiezione ripetuta del corpo contro superfici rigide ed anelastiche

Fondamentali le cinque testimonianze chiave raccolte dalla procura di Roma, di cui una racconta: «Ho visto Regeni nell’ufficio 13 e c’erano anche due ufficiali e altri agenti, io conoscevo solo i due ufficiali. Entrando nell’ufficio ho notato delle catene di ferro con cui legavano le persone… Lui era mezzo nudo nella parte superiore, portava dei segni di tortura e stava blaterando parole nella sua lingua, delirava… Era sdraiato steso per terra, con il viso riverso… L’ho visto ammanettato con delle manette che lo costringevano a terra…».

Oltretutto le sevizie che hanno portato alla morte del ricercatore, scrivono i magistrati, «sono avvenute per motivi abietti e futili e abusando dei poteri, con crudeltà …».

A rischiare il processo sono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi e Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest’ultimo i pm ipotizzano anche il concorso in lesioni personali aggravate– essendo stato introdotto il reato di tortura solo nel luglio 2017, dopo l’omicidio- e il concorso in omicidio aggravato.

Verità per Giulio

(fonte: Il Fatto Quotidiano)

Cosa state facendo per la verità?”, il grido a rompere un silenzio sempre più assordante.

Sono gli stessi genitori di Giulio Regeni a puntare il dito contro il governo, prevalentemente verso il premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Mentre con il passare degli anni emergono i dettagli sull’omicidio del ricercatore e in in parallelo si assiste alla vergogna dell’ergastolo cautelare immotivato per lo studente dell’università di Bologna Patrick Zaki, i rapporti diplomatici e commerciali tra l’Italia e l’Egitto proseguono indisturbati.

Ci si aspetterebbe una presa di posizione netta che non c’è stata; silenzio italiano che ben concilia con il silenzio del resto dell’Unione europea, culla di diritti umani e democrazia. Il motivo è abbastanza semplice: l’Egitto è un grande partner commerciale. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel non ha fatto cenno ai diritti umani nella sua recente visita al Cairo, il presidente del Parlamento europeo David Sassoli ha rilasciato invece dichiarazioni in proposito senza che però fossero seguite da misure concrete, mentre i leader dei principali paesi europei continuano a fare affari e a intrattenere, tranquillamente, relazioni amichevoli con il regime di Al-Sis.

L’ultimo episodio è stato il conferimento della Legion d’onore, da parte del premier francese Emmanuel Macron al presidente egiziano a Parigi.  Ci sarebbero gli estremi per un incidente diplomatico con l’Italia, grande partner francese costretta ad assistere a tutto questo nelle stesse ore in cui vengono diffuse le notizie sulle sevizie a Giulio Regeni.

Mentre l’Italia e l’Europa puntano il dito contro l’Ungheria di Viktor Orban, invocando il rispetto dello stato di diritto come presupposto per l’erogazione dei finanziamenti comunitari, dall’altro lato della medaglia spiccano l’indifferenza e l’omertà rispetto a ciò che succede oltre i propri confini continentali, anteponendo gli interessi commerciali ai diritti umani.

Manuel De Vita