Tre Ciotole-un piatto alla volta

Alba Rohrwacher è la protagonista del film ‘Tre Ciotole’, adattamento dell’omonimo romanzo di Michela Murgia e diretto da Isabel Coixet, regista che lascia sempre un’impronta personale e introspettiva.

La storia di Marta si muove attorno ad una quotidianità apparentemente banale ma ricca di gesti e intenzioni significative che rivelano le innumerevoli fragilità della protagonista. Marta è una donna piena di contrasti, matura ma a volte fragile, incapace di elaborare la separazione si rifugia in gesti infantili come scrivere recensioni negative online sul ristorante dell’ex fidanzato Antonio (Elio Germano), non a caso il cibo si trasforma in una vera e propria metafora della sua vita.

 

tre ciotole

Amore al primo morso

Sin dalle prime scene, il modo disordinato in cui Marta mangia ci racconta qualcosa di più profondo nel suo rapporto confuso con il cibo, che sembra quasi riflettersi nel suo rapporto col compagno.

Antonio, parlando di lei, ricorda il loro primo incontro in una rosticceria. A detta sua, non c’era niente di affascinante in quella ragazza che addentava gli ultimi due supplì rimasti, ma qualcosa lo colpì comunque: era strana, diretta e sorprendentemente interessante. Nel corso della loro relazione, aveva cambiato le abitudini alimentari di Marta cucinando per lei, rendendo il cibo un gesto d’amore; quando smette di farlo e inizia a farlo per gli altri, quel legame si spezza e il cibo perde significato: l’inappetenza diventa così metafora del vuoto lasciato dalla fine della relazione.

Sul filo dell’equilibrio

La scelta di far guidare a Marta una bicicletta lungo le strade di Roma – accompagnata dalle note di ‘’Sant’Allegria’’ di Ornella Vanoni e Mahmood – non è un semplice dettaglio estetico, sembra invece voler rappresentare la voglia di muoversi nonostante il vuoto per cercare un equilibrio che non c’è più. Proprio pedalando, Marta si imbatte in un cartellone con la sagoma di un cantante kpop che decide di portare con sé. In quella figura trova un conforto, affidandole parole silenziose come se cercasse un ascolto sincero e privo di giudizi. Quando Marta si ammala la narrazione anziché muoversi attorno al dramma scorre verso una lenta consapevolezza e la malattia diventa un nuovo percorso.

tre ciotole

Dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei

L’incontro con un uomo gentile e ironico (Francesco Carril) che insegna nella sua stessa scuola, alleggerisce le giornate di pesantezza. La chiama affettuosamente Miss Marta con una leggerezza che rompe il silenzio tanto da far nascere un dialogo fatto di attenzioni e riflessioni. Sarà proprio lui a consigliarle la lettura di Feuerbach spiegandole che ‘’nel cibo mettiamo i nostri simboli’’. Quella frase risuona in Marta come una rivelazione: il nutrirsi non è solo sopravvivenza ma un modo per dare forma ai propri significati, così attraverso le tre ciotole acquistate in precedenza con Antonio, riscopre il piacere del cibo, della cura di sé e soprattutto della vita che torna a fluire.

tre ciotole

Mens sana in corpore sano

Nei panni della sorella di Marta (Elisa) c’è la talentuosa Silvia D’Amico, figura apprensiva nella vita della protagonista che non accetta di essere che qualcuno la protegga forzosamente, eppure, quando il dolore diventa fisico è proprio lei che le suggerisce di effettuare una visita da una specialista. Marta trova spazio nelle ciotole da riempire, dalla premura della sorella e dal rapporto col suo collega, ma in questo puzzle da ricostruire arriva il momento del confronto con Antonio. Non c’è rancore né desiderio di tornare indietro, lui è una parte del suo percorso che ha segnato la mancanza ma anche la pace con se stessa.

Marta impara, con la lentezza e piccoli gesti quotidiani, un nuovo modo di volersi bene. Cucinare, scegliere cosa mangiare e assaporare un gelato che ha lo stesso sapore di quando si è bambini diventano momenti di riconciliazione con la vita. Le tre ciotole rappresentano non solo il suo rapporto con il cibo ma anche con il tempo: una per il passato, una per il presente e una per ciò che deve ancora arrivare. In questa quotidianità lenta e consapevole che il film trova la sua verità più intima. Spesso, attraverso i propri limiti si scoprono nuove abitudini e piaceri: Marta ci dà dimostrazione di questo e di quanto il coraggio di guardare dentro di sé stia nella capacità di ascoltarsi senza giudizio.

Asia Origlia

L’Inquietudine dell’Essere e le Fragilità Umane

La vita è un mistero che si svela con il passare del tempo.

Ma ci sono domande che restano senza risposta, come ombre che ci seguono.

Perché è successo? è una di queste, una pietra miliare dell’esistenza umana, che ci costringe a riflettere sulla precarietà della vita e sulle scelte che compiamo.

Ogni giorno, ovunque nel mondo, si registrano atti estremi, gesti disperati che sembrano gridare il dolore di un’anima in tormento.

Cosa porta l’uomo moderno ad attentare alla propria vita? La risposta è complessa e sfumata.

In un’epoca dominata dalla tecnologia e dalla comunicazione globale, ci troviamo spesso isolati in mezzo a una folla di volti anonimi.

Come scriveva Virginia Woolf:

Non si può trovare pace in un mondo che non si ferma mai.

La pressione sociale che ci circonda, la competizione incessante per il successo e l’apparenza, possono condurre anche le menti più forti a un punto di rottura. La fragilità, in questo contesto, non è solo una condizione individuale, ma un riflesso di una società che tende a premiare l’apparenza piuttosto che la sostanza.

Le colpe della società moderna sono molteplici: il culto del successo, il consumismo sfrenato e la superficialità delle relazioni umane.

La poetessa Alda Merini, che ha vissuto sulla propria pelle il dolore della malattia mentale, scriveva:

La vita è una malattia mortale trasmessa per via sessuale.

Queste parole ci ricordano che, in un certo senso, la vita stessa può essere vista come un peso insopportabile per coloro che si sentono abbandonati o incompresi.

Ma chi, oggi, si può definire “fragile”?

La fragilità non è solo una questione di salute mentale, ma un concetto che abbraccia la condizione umana in tutta la sua complessità. I giovani, spesso schiacciati da aspettative irrealistiche, le persone anziane, che si sentono dimenticate, e chiunque si trovi ai margini della società, sono tutti esempi di quella vulnerabilità che ci unisce.

Come diceva Rainer Maria Rilke:

La vera patria dell’uomo è l’essere amato.

Eppure, in un mondo che sembra correre sempre più veloce, è proprio l’amore e il sostegno reciproco a mancare.

È interessante notare come i picchi di fragilità siano registrati in concomitanza delle festività. Questi momenti, che dovrebbero essere di gioia e condivisione, spesso evidenziano la solitudine di chi non ha un posto in quella cornice festosa. La pressione sociale, amplificata dai social media, crea un’illusione di felicità e successo che può risultare insopportabile per chi vive una realtà ben diversa.

In questo senso, le parole di Fëdor Dostoevskij risuonano come un monito:

La bellezza salverà il mondo.

Ma è una bellezza che deve essere inclusiva, capace di abbracciare le nostre fragilità.

Cosa potrebbe fare il mondo culturale, divenuto ormai globale, per aiutare i soggetti più fragili? La risposta risiede nella consapevolezza e nell’educazione.

La cultura deve tornare a essere un luogo di incontro, di dialogo e di sostegno. Le storie raccontate nei libri, nei film, nelle arti visive devono riflettere la diversità delle esperienze umane, abbattendo le barriere che isolano e dividono.

Come scriveva Paulo Coelho:

Non smettere di credere nei tuoi sogni. I sogni sono la nostra vera realtà.

Dobbiamo imparare a sognare insieme, a costruire una comunità in cui la fragilità non sia stigmatizzata, ma accolta e valorizzata.

La vita è un viaggio ricco di sfide e di domande senza risposta. La fragilità è parte integrante di questa esperienza e riconoscerla è il primo passo verso un mondo più umano e solidale. Dobbiamo imparare a guardare oltre le apparenze, a costruire relazioni autentiche e a sostenere chi, in questo cammino, si trova in difficoltà. Solo così potremo sperare di rispondere, almeno in parte, a quella domanda inquietante, Perché è successo?, e, nel contempo, rendere il nostro mondo un luogo più accogliente per tutti.

Ciò che noi siamo

Maggio, che a tutti porti consiglio
A me hai portato consapevolezza
Di star vivendo qualcosa di inaspettato
Con in pancia un respiro spezzato
Pensando di non essere all’altezza
Convincendomi con un tuo piccolo bisbiglio
Che noi siamo ciò che si scrive
Ciò che si cela dietro ogni canzone
L’intenzione di ogni artista che crea
Che vuole dipingere una marea
Ma alla fine dipinge un’emozione
Che prova solo chi l’amore vive.

Francesco Pullella

Mese della consapevolezza dell’endometriosi: le nuove speranze dal mondo della ricerca

Solo in Italia, secondo il Ministero della Salute, le donne affette da endometriosi sono almeno tre milioni, ovvero tra il 10 e il 15% tra quelle in età fertile, e nel 30-40% dei casi la patologia è causa di sub-fertilità o infertilità. Eppure, la maggioranza della popolazione è all’oscuro della sua esistenza. Una limitata consapevolezza della patologia è infatti causa del grave ritardo diagnostico. La diagnosi arriva spesso dopo un percorso lungo e dispendioso, il più delle volte vissuto con gravi ripercussioni psicologiche. Al contrario, una pronta diagnosi e un trattamento tempestivo possono migliorare sensibilmente la condizione e prevenire l’infertilità.

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