Con UniVersoMe alla (ri)scoperta del grande cinema…al cinema!

Cosa sia il cinema se lo sono chiesti in tanti nel corso della storia. Dai fratelli Lumière alle sorelle Wachowski, passando per Woody Allen, Godard, Bertolucci e perché no, guardando al presente anche l’acclamato Quentin Tarantino che di recente ha pubblicato un libro sul suo “vizio”, Cinema Speculation, presentato a Milano dov’è stato acclamato da una folla di appassionati. Ognuno, ovviamente, dando una propria ed originale interpretazione.
Una cosa però, a mio parere, potrebbe mettere tutti d’accordo: la magia che da sempre l’arte cinematografica esercita sulla vita delle persone.
Il cinema, anzi, non è “semplicemente” un’arte; è quel compagno di viaggio di cui molti non possono fare a meno. Un film, un buon film, ha il potere di farci emozionare, di farci piangere, ridere, come nessun’altra espressione culturale e artistica riesce a fare. Forse perché questa le racchiude un po’ tutte?
Una cosa è certa, il cinema è una vera e propria esperienza, e solo dopo essere stati dentro una sala cinematografica potremo vantarci di averla vissuta per davvero. Questa mia affermazione, che per certi versi potrebbe pure sembrare scontata, contiene del vero ed è sempre più riscontrata dal grande pubblico. Al giorno d’oggi, noi, cittadini globali e al tempo stesso soli; figli di una società postmoderna, o “liquida” come direbbe il sociologo polacco Bauman, siamo costretti a fare i conti con molte (e forse troppe) esperienze mediali. E la cosa, forse più dolorosa, è che alcuni di noi ne sono totalmente inconsapevoli.
Mi riallaccio ad un discorso fatto dal professore Federico Vitella, ordinario di storia del cinema all’Università degli studi di Messina, che nel corso di una sua lezione ha evidenziato il fatto che ormai sempre meno persone, ed in particolar modo le nuove generazioni, risultano attratte dalla “magia” dell’esperienza vissuta in sala, preferendo piuttosto quel famoso “hic et nunc” (qui ed ora) e spesso meglio se nel mondo virtuale.
Abbiamo reso la nostra quotidianità sempre più “smart”. E guardare un film, scelto minuziosamente su una delle tante piattaforme, stando seduti comodamente sul nostro divano, può attirare maggiormente piuttosto che stare ore seduti su delle poltrone, – talvolta anche scomode – in attesa di un prodotto cinematografico che poi magari nemmeno ci piace. Ma non fa anche questo parte di un’esperienza?
E ancora, il cinema, non è come le altre arti fondamentale per la nostra crescita personale?
In questo mondo “frammentato”, forse, ciò di cui abbiamo bisogno è di alcune verità, e credo che il regista Jean-Luc Godard, esponente di rilievo della Nouvelle Vague, avesse ragione nell’affermare che se la fotografia è verità, il cinema lo è ventiquattro volte al secondo. E forse, per riscoprire certe verità urge entrare in una sala cinematografica, qualunque essa sia, per distaccarci da quei prodotti commerciali e mediali e andare alla riscoperta di quei capolavori che hanno fatto la storia del cinema. Proprio da questo è nata l’esigenza, da parte di UniVersoMe, in collaborazione col Cinema Lux di Messina, di dar vita ad un cineforum che avesse come scopo principale quello di riscoprire certi titoli. In primis, per un arricchimento personale ma senza tralasciare l’aspetto sociale, al giorno d’oggi più che fondamentale.
Si è tenuta così mercoledì 5 aprile la prima proiezione, “8½” di Federico Fellini, accompagnata dall’intervento del professore Federico Vitella, che nel fare un breve excursus sul regista e sulla sua arte ha comunque evidenziato, ancora una volta, l’importanza dell’arte cinematografica. Il progetto del cineforum continuerà fino al mese di maggio e prevede la proiezione di film come “Uccellini e uccellacci” di Pier Paolo Pasolini, “Effetto notte” di Truffaut, e “Mulholland Drive” di Lynch, tutti in versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Con l’obiettivo di ricordare a tutti l’importanza della settima arte!

Domenico Leonello
Caposervizio UniVersoMe

* Articolo pubblicato il 13/04/23 nell’inserto “Noi Magazine” di Gazzetta del Sud

Dagli studenti, per gli studenti: La comunicazione umana

La comunicazione umana è un ambito di studio approfondito da, relativamente poco, dalla scienza. L’interesse si è venuto a creare davvero alla nascita dei regimi dittatoriali nel 900, con l’arrivo della comunicazione di massa: i suoi effetti catastrofici hanno suscitato l’interesse degli studiosi per capire come fosse possibile coercere intere popolazioni nel credere ad un’unica narrazione.
Ma partiamo dalle basi.

Indice dei contenuti

I mattoni del discorso

La comunicazione umana consiste in uno scambio di informazioni tra due interlocutori: quella informazione è costituita da “Bit“, ovvero singole unità che rappresentano una differenza contenuta in un evento tra due stati possibili (uno zero ed un uno); più Bit contiene un messaggio, maggiore è la quantità di informazione che trasmette; queste informazioni si uniscono poi alle aspettative e al contesto culturale di chi le riceve, e acquisiscono significato.
I primi studi sulla comunicazione hanno interpretato queste varianti in maniera semplice e schematica, come nel modello del pacco postale di Shannon, noto anche come teoria matematica della comunicazione. Questa ha al suo interno un processo lineare di scambio tra due interlocutori: una sorgente, un destinatario, due apparati, uno ricevente uno trasmittente ed un messaggio trasmesso tramite un canale in cui è presente un rumore di disturbo. È un modello basato sulla comunicazione telefonica, utile solo a migliorare quella, e non presenta nessun elemento della effettiva comunicazione complessa.

Modello del pacco postale. Fonte

Più variabili

Un idea complessa della comunicazione umana parte dallo studio di tre particolari elementi: sintassi, semantica, pragmatica.
A questi elementi si aggiunge poi la natura continua della comunicazione, senza un inizio ed una fine. Gli sviluppi della cibernetica (grazie alla quale sono entrati in comunicazione concetti come quello di feedback ed entropia nei sistemi complessi, propri di altre scienze) e gli studi della corrente nota come Scuola di Palo Alto hanno inserito variabili in comunicazione che hanno reso il discorso umano ancora più complesso: la comunicazione è un processo continuo, non intenzionale, con una continua trasformazione di simboli e significati.

La verbalità

Passando ora alla comunicazione interpersonale, in particolare, bisogna parlare di quei linguaggi codificati e di quelli non codificati, chiamati anche digitali ed analogici. Ogni linguaggio è poi composto dai segni formati, a loro volta, da significante e significato oltre che divisi in indici, icone e simboli.
Come detto prima, ad ognuno di questi elementi vive in rapporto con il sociale, che costruisce e da cui viene costruito. Ciò porta alla consapevolezza che dietro al linguaggio esistono azioni più concrete: parliamo degli atti, locutori, perlocutori e illocutori.

I 5 assiomi di Palo Alto. Fonte

La comunicazione umana comprende poi, anche la verbalità ed anche possiamo dividere tra: sistema paralinguistico, vocale non verbale; sistema cinesico, che comprende tutta la mimica corporea; e la prossemica, entrando nella gestione dello spazio personale.

Come interpretiamo noi e gli altri?

Tutti questi elementi, fanno parte della sinfonia comunicativa umana, spesso non comprensibile in tutte le sue parti e nella sua complessità. Il linguaggio comprende anche l’utilizzo dei pronomi di cortesia che comunicano differenze di status in maniera sempre diversa, in ogni cultura in cui ci si ritrova a studiarli.
La punteggiatura che diamo ad una particolare conversazione, che potremmo definire come la nostra interpretazione delle nostre ed altrui azioni, ci porta a non comprenderci l’un l’altro molto spesso, sia quando dobbiamo ascoltare persone a noi vicine, sia persone a noi lontane. E anche noi d’altronde non possiamo dire di capire il nostro comportamento del tutto: la metafora drammaturgica di Goofman ci aiuta proprio a capire questo, ovvero come ognuno di noi abbia una personalità di facciata, abbiti sia in ribalta che in un retroscena. La comunicazione tutta, secondo questa metafora, non è altro che una costruzione sociale.

Conclusioni

Capire la basi scientifiche della comunicazione umana, non aiuta soltanto gli scienziati o i sociologi. Aiuta anche noi a comprendere meglio il nostro comportamento e quello delle persone intorno a noi. Ed anche a capire come alla fine nonostante ci si senta spesso diversi, l’uno dall’altro si possa comunque riuscire a comprendersi. Viviamo in un sistema complesso ed indecifrabile: dietro ogni comportamento, gesto o parola, c’è sempre una ragione molto più grande di noi.

Se questa è comunicazione… è una comunicazione del caos

È una continua lotta a chi la spara più grossa. L’eterna ricerca dell’opinione più risonante, più provocante. Tanta scena, poca sostanza. Tanti insulti, poca informazione. Tante parole scritte, dette, pubblicate, ma poca democrazia.

È sempre più raro trovare opinioni di matrice costruttiva. È sempre più, se ci fate caso, una gara a distruggere. Distruggere gli altri con un flusso di odio continuo e depredare la buona comunicazione dalle sue regole portanti.

In questo articolo, da addetta ai lavori, darò sfogo alla rabbia scaturita dalle tante storpiature ed orrori che ho avuto modo di analizzare in questi mesi complicati.

Il mondo della comunicazione sta vacillando perché ognuno sente di poter dire ciò che vuole, quando e come vuole.

Dalle persone più comuni, passando per i professionisti, le imprese, la scienza, per arrivare ai politici e alle istituzioni; non sono stati pochi gli strafalcioni che, voluti o meno, hanno minato gli equilibri e il diritto all’informazione.

Una riflessione questa scaturitami dall’addio all’Ordine dei Giornalisti da parte di Vittorio Feltri, il celebre quanto irritante direttore editoriale di Libero che – con il suo tono sempre poco accomodante (per usare un eufemismo) – ha motivato questa mossa dicendo che così potrà dire quello che vuole da libero cittadino.

Cari amici lettori, dire tutto ciò che si vuole non equivale a libertà di espressione. E, soprattutto, non porta da nessuna parte.

La comunicazione è “mettere in comune”. Non è irrompere nella sfera pubblica e privata parlando a vanvera, senza rispetto per l’altro. Per carità, che lo si faccia pure ma c’è una cosa da sapere… tutto ritornerà sempre in faccia come un boomerang.

È un po’ come cogliere alle spalle qualcuno e urlargli nelle orecchie. Non sentirà quello che avrete da dire e magari vi troverete una bella cinquina stampata in faccia.

Ci stiamo stancando di queste grida continue. Di questi “dibattiti” unilaterali che non hanno altro ruolo se non aumentare il caos informativo.

Siamo saturi di sentire Salvini fare propaganda in qualsiasi momento (Ah no?!), Sgarbi non perdere occasione per insultare e dare risalto al suo personaggio (guai a chi mi ripete ancora che è un uomo di “cultura”), Trump dire di fare iniezioni di disinfettante contro il Coronavirus, come se non avesse chi lo informa del fatto che è un’assurdità.

Passo senza troppi scrupoli dall’internazionale al locale e annovero anche il nostro sindaco Cateno De Luca tra gli esempi negativi del fare comunicazione: in questi mesi abbiamo assistito alle sue fittizie conferenze stampa che, in realtà, erano più soliloqui dagli echi autoritari, con eterna aria di sfida alle istituzioni. E tutto questo solo per arrivare dalla Barbarella di casa Mediaset e spopolare sui social su scala nazionale. L’ultima azione, di gravità inaudita, è stata, poi, quella di far diventare l’Ufficio Stampa del Comune – mezzo che dovrebbe essere totalmente neutrale – uno strumento di diffusione di informazioni scopi puramente personalistici a difesa della giunta che lo sostiene.

Ma anche gli insospettabili scienziati – che sembrerebbero disinteressati alla ribalta mediatica – ci hanno infarcito di ricerche, opinioni, supposizioni che ora erano la rivelazione e subito dopo venivano smentite da qualche altro membro di quella che dovrebbe essere “la comunità scientifica”. L’arena scientifica ha preso le sembianze dell’arena politica. Risultato? Forse meglio credere ai messaggini via whatsapp che dicono quello che gli altri ci nascondono.

Anche la comunicazione aziendale non se la passa bene e lo strafalcione della settimana passata se lo aggiudica Easy Jet con lo slogan paradossale, che recitava più o meno così: “scegliete la Calabria visto che non ci va nessuno a causa dei terremoti e della mafia”.  

Sono solo alcuni esempi degli ultimi tempi e i più rilevanti per la gastrite che hanno provocato alla sottoscritta. Siamo sommersi da opinioni non richieste dove personaggi pubblici e privati ricorrono ad indossare la maschera più ridicola e sfacciata per attirare l’attenzione ed emergere. Mi sembra di vivere continuamente nell’imbarazzo che provocano le opere pirandelliane. La differenza è che qui non si procede per paragoni estremi e stereotipie. È la realtà.

Comunicare ha delle regole che partono dall’ascolto e dalla riflessione. Comunicare non è solo avere un faro puntato addosso, bisogna avere anche qualcosa da dire che non sia solo “io io io”. La comunicazione è strategia, pianificazione. È costruzione. Di rapporti umani e fiducia.

A chi mi dice “ti dico tutto quello che voglio”, lo sapete come rispondo? Ma chi te lo ha chiesto!

La libertà di espressione è tale solo per i limiti che contempla. Il continuo scavalcarli sta portando come unico risultato il tracollo di tutti questi soggetti: sta cedendo loro il terreno sotto i piedi, insieme a tutti castelli in aria che si erano costruiti, i consensi estorti e la credibilità che non hanno mai avuto.

Martina Galletta

Quattro chiacchiere con la prof.ssa Maria Astone – Il CORECOM Sicilia

Si sa, l’UniMe ha tante eccellenze passate, presenti e, ci si augura, future. Un grande onore del nostro Ateneo, specialmente del dipartimento di Giurisprudenza, è il ruolo che ricopre la prof.ssa Maria Annunziata Astone, ordinario di Diritto Privato, a livello regionale: è lei l’attuale presidente del Corecom Sicilia. Il Corecom – Comitato Regionale per le Comunicazioni –  è un organo funzionale dell’Autorità Garante per le Comunicazioni (Agcom) previsto da una legge nazionale. Ma in cosa consiste questo organo? Quali funzioni svolge? Perché è così importante per la comunità, la quale non lo conosce molto  bene? Noi di UniVersoMe non potevamo esimerci dal trovare le risposte a queste domande, ed il miglior modo è stato fare quattro chiacchiere a tu per tu con la professoressa!

©Sofia Campagna, Messina 2019

Essendovi in totale circa 400 emittenti presenti sul territorio regionale, in che modo il Corecom Sicilia regola la varietà di accesso ai media audio-visivi siciliani su cui esercita la vigilanza?

Dai nostri ultimi accertamenti effettuati, in Sicilia operano circa 367 televisioni private, numero che ritengo sia destinato in qualche modo a ridursi considerando il fatto che molte di queste emittenti vivono grazie ai contributi dello Stato. Conseguentemente nel momento in cui i criteri per il riconoscimento dei contributi diventano più restrittivi viene messa in discussione la loro sopravvivenza, con grave pregiudizio per il  pluralismo informativo e per l’economia dell’isola.
Per quanto riguarda il controllo del Comitato Regionale per le Comunicazioni della Regione Sicilia sull’operatività delle emittenti televisive viene tenuto presso la sede del Comitato  un registro degli operatori di comunicazione, il c.d. ROC. Inoltre per legge svolgiamo anche un’attività di sorveglianza e monitoraggio direttamente sulle trasmissioni, al fine di garantire le norme in materia di pubblicità, di par condicio in clima elettorale ed il rispetto delle norme dirette alla tutela  dei soggetti vulnerabili,  nelle diverse fasce orarie dei palinsesti televisivi.
Però devo dire che la normativa riguarda sole i media tradizionali, sicchè restano fuori da ogni controllo  i programmi che transitano sulle  nuove reti di comunicazione. La normativa nazionale in tema di monitoraggio e di sorveglianza infatti non è applicabile alla rete telematica. Sotto questo profilo, l’ordinamento giuridico italiano è del tutto insufficiente rispetto alle nuove esigenze.

©Sofia Campagna, Messina 2019

Mi ha anticipata riguardo la prossima domanda. Difatti in vista della prossima razionalizzazione della capacità trasmissiva degli operatori audio-visivi di reti locali, quale futuro intravede per gli stessi fornitori di media locali?

Guardi, io innanzitutto credo che il futuro sia da scrivere, però noto delle difficoltà enormi.  Infatti sia con l’introduzione   della normativa europea sul codice europeo delle comunicazioni elettroniche, sia il nuovo assetto delle reti di comunicazioni che a breve prenderà avvio determinerà  una crisi di molte realtà televisive locali. Questo è un grande problema perché non è in gioco solo l’informazione, bensì anche i livelli occupazionali di coloro che lavorano all’interno di questa realtà, basti pensare ai giornalisti, i registi, gli operatori tecnici. È necessario che le autorità intervengano quanto meno per sostenere sia i soggetti che operano all’interno delle  televisioni private sia per continuare a garantire il pluralismo informativo. Un ruolo molto importante potrà  essere svolto dalla regione Sicilia, così come ho rappresentato  in una conferenza svoltasi lo scorso Aprile, al presidente dell’ARS Miccichè. E’ opportuno che la Regione Sicilia si doti di una normativa organica e adeguata alle nuove tecnologie  in materia di informazione;  e a tal proposito il Corecom intende presentare diverse proposte.

Il Corecom Sicilia possiede delle particolari funzioni rispetto agli altri, essendo nominato da un’assemblea regionale a statuto speciale?

Il Corecom Sicilia non si differenzia rispetto agli stessi organi delle altre regioni. Ha delle funzioni proprie come quella consultiva dell’Ars e della Giunta Regionale nelle materie di propria competenza; funzioni di supporto al governo Regionale e all’Ars per le iniziative inerenti al settore dell’informazione.

©Sofia Campagna, Messina 2019

Le testate online dovrebbero essere registrate presso il Roc, il Corecom come concilia il controllo e la vigilanza con il principio di libertà di stampa?

Le testate online registrate in Sicilia sono solo 50, però sul punto va rilevato che il Corecom può svolgere sulle testate giornalistiche on line la stessa attività di sorveglianza che si attua per i giornali cartacei.. Tuttavia, come per quasi l’intera materia, ancora non abbiamo delle norme specifiche che ci forniscano una competenza in merito al loro controllo e molto è lasciato all’autonomia privata e agli accordi tra Agcom e gestori delle piattaforme online.

Un ringraziamento va alla prof.ssa Astone che con grande disponibilità si è prestata a questa intervista di un’aspirante avvocato con il desiderio di lavorare in questo “magico” mondo delle comunicazioni.

 

 

 

Giulia Greco

Le nuove frontiere della comunicazione universitaria: al via Live Chat, Contact Form e FAQ

 

Unime apre le porte alla multicanalità: nuovi canali bidirezionali di comunicazione permettono con estrema facilità di accedere e reperire le più svariate info. Il ventaglio di possibilità per l’utenza universitaria si amplia: al Call Service Numero Verde, un servizio coordinato dall’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP) in collaborazione con “Radio Call Service”, si aggiunge una pagina web che attraverso tre differenti modalità d’uso consente un dialogo sempre aperto tra l’Ateneo e la compagine studentesca.

Il servizio di Call Center, valutato nel 2018 da apposita indagine di Customer Satisfaction, si è attestato su livelli di eccellenza, gli stessi che si auspica possano raggiungere anche le nuove tre frontiere della comunicazione accademica.

Nello specifico, questa pluralità di canali si articola in:

⦁ Live Chat
⦁ Contact Form
⦁ FAQ

L’uso singolo o congiunto di questi canali, studiati affinché risultino intuitivi e di semplice fruizione, favorisce l’accesso più diretto ad un’informazione trasparente, aggiornata e puntuale.

La pagina clienti.radiocallservice.it/unime/, consultabile anche in lingua inglese, permette la scelta della modalità di comunicazione più adatta alle proprie esigenze: al click del canale prescelto, si apre una nuova pagina contente le istruzioni d’uso ed eventuali orari di accessibilità ed inattività.

 

Mariachiara Villari

Scontro sui vaccini: riflessioni di uno studente di medicina

Salvini, paura e populismo: non è il metodo Burioni che salverà i bambini italiani.

L’ultima entrata in scivolata contro il mondo dei vaccini risponde al nome del neoeletto Ministro degli Interni Matteo Salvini. Non è stata la prima “frase accalappia voti” e non sarà l’ultima sull’argomento. Ma nella disputa pro-vax vs no-vax, chi è davvero il peggior interlocutore?

E’ ormai da circa vent’anni che dilaga a macchia d’olio la paura del vaccino. Se prima rimaneva confinata tra mura domestiche, come un tarlo si insinuava nei genitori e ne nascevano discussioni più o meno convinte, da pochi mesi a questa parte l’argomento ha assunto dimensioni inimmaginabili.

Pochi comprendono il funzionamento di questa conquista scientifica, o che almeno era considerata tale quando ancora amici e parenti morivano di poliomelite, pertosse, morbillo e meningite. 

Si sa, noi italiani, siamo appassionati di storia solo quando si tratta di elencare i pregi del periodo fascista o quando elenchiamo tutti i goal segnati dalla squadra del cuore (sì, è una frase qualunquista, ma sfido chiunque a sfatarla).

La maggior parte ignora quanto il vaccino abbia fatto per i propri nonni, genitori, e connazionali. Ignoriamo, cioè, la storia dei vaccini, le personalità che vi hanno dedicato la vita, e ancor meno conosciamo la storia di chi ha avviato la lotta ai vaccini: Andrew Wakefield. E’ questo il nome del medico inglese che nel 1998 pubblicò uno studio in cui associava le infiammazioni intestinali all’autismo,  riferendo inoltre che alcuni dei bambini affetti da autismo avevano sviluppato i sintomi dopo la somministrazione del vaccino trivalente contro morbillo, parotite e rosolia (Mpr). 

La ricerca, pubblicata sul rinomato Lancet, concludeva dichiarando espressamente che non era ancora dimostrabile alcun legame tra vaccinazioni e sintomi manifestati in quei bambini. Tuttavia lo stesso Wakefield organizzò varie conferenze nelle quali sosteneva che tale legame fosse probabile, generando il panico generalizzato. La soluzione sarebbe stata quella di una somministrazione monovalente per i vari virus del trivalente, che però ancora non esisteva. Anzi, fuori il coniglio dal cappello! L’aveva appena brevettata!

Che colpo di genio, che coincidenza! No. Ovviamente la ricerca era stata falsata, mancavano i casi-controllo, alcuni reperti istologici erano stati manomessi, e venne anche fuori che la ricerca era stata commissionata da un avvocato che voleva intentare una causa miliardaria contro la casa di produzione del suddetto vaccino. Insomma, i no-vax lottano contro l’economia delle case farmaceutiche abbindolati proprio da chi era pronto ad intentare una truffa sulla salute della popolazione mondiale.

Il dubbio è da sempre linfa per l’uomo, perché conduce ad una ricerca che a sua volta porta al superamento di un limite, ad una conoscenza maggiore, all’acquisizione di un vantaggio evolutivo. Ma un dubbio non supportato da un metodo scientifico, può diventare qualunque cosa. E quando più persone con lo stesso dubbio e con la stessa mancanza di senso critico si incontrano, rafforzano le proprie convinzioni, il dubbio diventa paura. La paura alimenta se stessa, attecchisce senza destare sospetto. E quando la paura dilaga allora è utile strumentalizzarla, perché porta consenso. Da qui il suo sfruttamento dai vari politici di turno.

Viene montata ad hoc la guerra “popolo” contro “èlite”, dove èlite è chiunque faccia parte di un mondo visto inaccessibile, difficile, fatto di competenza, di dati, di razionalità; popolo è chi rifiuta l’esperto, chi si fida delle sensazioni, chi trova risposte semplici a problemi complessi. Ogni volta che un esperto si esprime, c’è una parte di paese che lo avverte come nemico, perché dati, prove e dimostrazioni negano propri i sentimenti. Perché la tua analisi dovrebbe valere di più di quello che io provo?

Ecco come medici, chimici, farmacisti, biologi, sono diventati bersaglio di biasimo, di rabbia da parte dell’opinione pubblica fino ad essere tacciati per servi del potere.

Fino ad oggi, lo staff medico ha combattuto questa guerra con le stesse armi degli oppositori, guerra combattuta nella piazza più grande e più complessa che esista: i social network. Allo scettico si è risposto con l’indisponenza, al dubbioso si è risposto con la superbia, alla “mamma informata” si è risposto con la derisione. Ecco perché il Dottor Burioni sbaglia, e con lui i suoi sostenitori. Il virologo marchigiano è probabilmente l’influencer pro-vax più conosciuto d’Italia, il punto di riferimento sui social per la fetta di utenti concordi con le sue idee e che rivedono in lui un porto sicuro quando, fuori, la tempesta no-vax inghiotte le navi solitarie. La preda perfetta per tutti gli hater, complottisti e no-vax che sotto ogni suo post scatenano le proprie battaglie. L’atteggiamento da lui assunto nel rispondere a tali critiche, che più spesso sono insulti, è comprensibile, ma del tutto inefficace. 

Ad esempio: se il signor Cocco Meningo sostiene di non voler vaccinare il proprio bambino per aver letto su www.ivaccinisonounatruffadellecasefarmaceutiche.org che il vaccino “x” causa la malattia “y” è sicuramente poco e male informato. Rispondergli che non capisce nulla, che “la scienza non è democratica”, che “dovrebbe studiare prima di aprir bocca” non farà altro che rafforzare nel signor Meningo la propria idea, aizzerà la rabbia sua e di chi la pensa come lui, a subirne le conseguenze sarà suo figlio che non verrà vaccinato.

Non basta, Dottor Burioni, riportare in interminabili post le prove dell’utilità dei vaccini, ciò che comporta il loro inutilizzo, i link delle fonti scientifiche da cui ha attinto, perché è pane solo per chi ha i “denti” del senso critico, della conoscenza della materia. Per tutta la restante popolazione, la maggioranza, il suo modus operandi non è commestibile, è benzina sul fuoco, parole che non verranno mai lette e comprese, coperte immediatamente dalla rabbia di chi ha paura e si sente preso in giro pubblicamente. 

La vera soluzione sta nel rivedere il rapporto umano che il medico, quello di base ed il pediatra in primis, e in generale tutti i membri dello staff sanitario, devono instaurare con i pazienti ed i loro parenti. Oggi più che mai, il “rapporto umano” su cui si è costruita da sempre l’arte medica, deve trovare nuove vie per approcciare  chi ha paura e riconquistare la sua fiducia. La paura, l’ignoranza e la malattia sono cose intime: come si pensa di poterle sconfiggere sui social? Questi, semmai, possono tornare utili in un secondo momento, per eventuali approfondimenti, curiosità e confronti. Non possono e non devono essere la prima fonte di informazione, né sostituire la visita medica e il rapporto paziente-medico.

Oltre a ripartire da zero sul fronte del rapporto medico-paziente, occorre riorganizzare il fronte dell’istruzione, dalle scuole elementari alle superiori. Più che incentivare lo studio delle materie scientifiche, dovrebbe assumere primaria importanza l’acquisizione del metodo scientifico, del senso critico, di cosa vuol dire dimostrare una tesi, confutarla, costruire un esperimento, osservare e dedurre conclusioni. Un tipo di educazione che stimoli non a contenere informazioni, bensì  alla critica, alla creatività all’elaborazione attiva di ciò che si impara.

Il medico oggi deve accettare la realtà in cui è obbligato ad operare, non combatterla. Solo scendendo a patti con se stesso e con il paziente potrà rieducarlo. Non può più contare sull’autorità che un tempo il camice bianco conferiva a chi lo indossava: deve costruire il rapporto persona per persona, parola per parola, solo allora acquisterà un peso sostanziale ed un raggio di azione che il medico formale non ha mai avuto.

Antonio Nuccio