Ma vissero davvero felici e contenti? Ecco Honeymood, candidato al 67esimo Festival del Cinema di Taormina

Il film non è ambizioso e non mira a raggiungere vette, ma rimane piuttosto godibile pur nella sua semplicità – Voto UVM: 3/5

Le fiabe ci hanno insegnato sin da bambini a credere nel lieto fine, quel momento in cui i problemi dei protagonisti innamorati si risolvono quasi per magia e possono finalmente convolare a nozze lasciandosi dietro il tormentato passato. Ma è proprio così? E se dopo il lieto fine ci fossero altri problemi?

Honeymood (2020), commedia romantica targata Spiro Films e diretta dall’israeliana Talya Lavie, si chiede proprio questo. La pellicola – che, tra l’altro, è in concorso al 67esimo Taormina Film Festival – racconta l’odissea vissuta da due neosposi: Eleanor (Avigail Harari) e Noam (Ran Danker). Ma nel loro piccolo universo, che si apre in una stanza d’albergo, si staglieranno molto presto numerose altre figure pronte a metterli alla prova. Ed allora la prima notte di nozze si trasformerà in una missione: riconsegnare un anello alla misteriosa ex dello sposo. Lo sfondo è quello della città di Gerusalemme, di notte, e delle strade in penombra che contribuiscono a realizzare l’intento della regista di presentare una Gerusalemme romantica, prima ancora che città sacra.

L’occhio fedele della telecamera ci renderà partecipi delle loro peripezie senza lasciarli nemmeno per un secondo, anzi, per giunta seguendoli stando loro alcuni passi dietro. Effettivamente, la sensazione che lascia questo film è proprio quello di non riuscire a stare dietro all’imponente climax di eventi presentati dalla trama: non appena si pensa di aver sfiorato il ridicolo, ecco che si sprofonda ancor di più.

Ciò si deve all’impronta umoristica che la Lavie ha voluto dare, assieme ad un tocco di nonsense che in una commedia non fa mai troppo male. Un’opera che se la gioca ben bene dal punto di vista della regia (la regista ha studiato cinematografia a Gerusalemme negli anni della giovinezza), ma che lascia un po’ a desiderare circa la scrittura – specialmente quella dei personaggi. La stessa ha ammesso, durante una conferenza stampa tenuta a Taormina, che il film non intende essere prettamente realistico.

I protagonisti Eleanor (Havigail Harari) e Noam (Ran Danker) – Fonte: asianmoviepulse.com

I personaggi

Il vero cuore della pellicola non è caratterizzato né dalla trama né dalla regia: sono i personaggi. È proprio per questo che una maggiore cura dei loro profili psicologici avrebbe, magari, reso il film ancor più godibile. Ma andiamo per ordine.

Eleanor (Avigail Harari) è la protagonista in assoluto. Frenetica, eccessivamente attiva, un’anima drammatica con molti difetti (non pecca di capacità manipolative) ma che, per qualche motivo, piace a tutti quelli che incontra. Soprattutto alle guardie di Netanyahu. La prima impressione che se ne potrebbe avere è quella di una Jess di New Girl. Il suo tratto distintivo è l’essere tremendamente capricciosa, cosa che fa infuriare il marito ma che, allo stesso tempo, la rende adorabile agli occhi di lui. Oltre ad essere infantile, Eleanor si dimostra anche molto ingenua nei confronti degli altri, tendendo a non distinguere le buone intenzioni da quelle cattive.

Noam (Ran Danker) è il classico tipo privo di energia la cui anima gemella è – quasi per caso – una persona con fin troppa energia. Anche lui è un personaggio che presenta moltissimi difetti: dall’essere irascibile al dipendere ancora dai genitori pur essendo in età adulta; dall’incapacità di opporsi alle prevaricazioni della gente all’inettitudine nei confronti della moglie. Anche quando sembra che il personaggio ottenga finalmente un’evoluzione, si finisce per tornare nei medesimi schemi: ne viene fuori che la sua era solo una ribellione verso i genitori.

Vi sono poi un ex ragazzo, un’ex ragazza, varie guardie dell’esercito, un gruppetto di ragazzetti ingrati, un’infermiera, i genitori dello sposo e tutta una galassia costruita attorno alle due stelle polari. La regista ha rivelato di essersi immedesimata in entrambi al momento della costruzione della storia: prima nella sposa, poi una nuova riscrittura dal punto di vista dello sposo. Un tratto che accomuna i due – si può dire – è quello di essere l’una l’opposto dell’altro e ciò ne scatena un’incredibile chimica, resa anche grazie al talento degli interpreti.

Eleanor e Noam in una scena del film – Fonte: flipscreened.com

Il cinema israeliano al TAO Film Fest

Il cinema israeliano è ancora un astro in ascesa che inizia a dare i suoi frutti, ma che si prospetta senza dubbio promettente. L’opera in questione è un prodotto italo-israeliano, difatti l’italiana Marika Stocchi è stata scelta come coproduttrice ed il contributo italiano si è avuto anche in postproduzione, colore e mixing (realizzati nei laboratori di Roma prima della pandemia).

Al festival di Taormina la regista ed Elisha Banai (Michael, ex ragazzo di Eleanor) si sono presentati con profilo basso e grande ottimismo, ritenendosi onorati di aver avuto l’occasione di proiettare la propria pellicola. All’attore è stata poi posta una domanda riguardante il tema del matrimonio a cui ha risposto – in pieno stile Honeymood – con un secco: «Non saprei, al momento sto divorziando».

Valeria Bonaccorso

Io & Annie: storia di una relazione imperfetta

Commedia romantica profonda, ma con un tono umoristico – Voto UVM: 5/5                                           

I grandi film, col passare degli anni, non solo continuano ad essere visti ed apprezzati dal pubblico, ma fanno letteralmente la storia del cinema: diventano cult. Questo è il caso di Io & Annie (Annie Hall).

Il film diretto ed interpretato da Woody Allen, è una delle pellicole insieme a Manhattan che gli valsero maggior successo ed è uscito nelle sale nel 1977.

Fonte: pinterest.com- Alvy nel monologo iniziale

Trama

“Annie e io abbiamo rotto e io ancora non riesco a farmene una ragione. Io… io continuo a studiare i cocci del nostro rapporto nella mia mente e a esaminare la mia vita cercando di capire da dove è partita la crepa, ecco…”

Io & Annie racconta la storia della relazione tra un comico cinico, Alvy Singer, interpretato dallo stesso Woody Allen, e una giovane cantante, Annie Hall, interpretata da Diane Keaton.

Il film strutturalmente non ha una sua unità cronologica: Alvy ripercorre con la mente vari momenti della loro relazione in diversi episodi, alternando flashbacks anche della sua infanzia e del matrimonio con la sua prima moglie, Allison. Ciò che rende questo film speciale e diverso da qualsiasi altra commedia romantica è il modo in cui presenta al pubblico l’intera parabola di una relazione, dalla prima fase dell’innamoramento all’emergere dei primi contrasti e di un diverso modo di vedere le cose, fino alla rottura definitiva.

Durante tutto il film, inoltre, lo spettatore ha un contatto diretto col personaggio: una delle tecniche per cui Allen è maggiormente noto è il dialogo diretto con il pubblico. Alvy stesso presenta durante svariati monologhi il suo punto di vista, alternato sempre ad un sottile umorismo, a tratti velato di cinismo e pessimismo.

Annie Hall e Alvy Singer

Fonte: tumblr.com- Alvy ed Annie che si baciano

Alvy ed Annie hanno delle personalità opposte: Annie è molto esuberante, anche se all’inizio è un po’ insicura, specialmente riguardo al suo talento nel canto.  Proviene da una normale famiglia americana, è molto legata ai genitori e specialmente alla nonna.

Al contrario, Alvy è un personaggio molto cupo sotto vari aspetti: è ebreo e pensa di essere discriminato per questo, va da uno psicologo da quindici anni, non riesce ad avere relazioni stabili con altre donne. Non riesce a distaccarsi da New York, la sua città; è un comico, ma tutte le sue battute sono sempre di stampo umoristico-pessimistico. Durante la sua relazione con Annie tende in parte a soffocarla, facendola diventare un po’ come lui.

I due protagonisti inoltre rispecchiano in parte gli attori: Annie Hall, infatti riprende il vero nome dell’attrice Diane Keaton (Diane Hall), mentre il carattere di Alvy riflette un po’ lo stesso Allen, o comunque molti altri personaggi da lui ideati ed interpretati durante la sua carriera cinematografica come Isaac Davis in Manhattan (1979) o Sid Waterman in Scoop (2006).

Un film da Oscar

Io & Annie viene candidato nel 1978 a ben 5 premi oscar, di cui ne vince 4: miglior film, miglior regia ad Allen, miglior attrice protagonista alla Keaton e miglior sceneggiatura originale. Woody Allen ottenne anche la candidatura per miglior attore protagonista.

Inoltre, per i fan della serie tv How I met your mother, il film preferito di Ted è proprio… Io & Annie!

Fonte: wikipedia.it- Alvy ed Annie seduti nel parco

Per  finire

Credo che Io & Annie non sia solamente l’ennesimo film romantico strappa lacrime, ma che abbia un significato più profondo; in ogni caso, pur affrontando il difficile argomento della relazione di coppia, lo fa con punte di umorismo e nella maniera più leggera possibile.  Questo film non lascia la tristezza nel cuore, anzi: uno strano sorriso sul volto.

Ilaria Denaro

Roberto Benigni, maestro della risata e della leggerezza

Roberto Benigni, è a lui che dobbiamo alcuni dei ricordi più divertenti ed emozionanti degli ultimi 50 anni del mondo dello spettacolo: Sophia Loren che lo annuncia come vincitore dell’Oscar nel 1999, i suoi racconti strampalati e le sue gag al “David Letterman Show” o al “The Graham Norton Show”, lo scambio di pantaloni con Baudo o l’assalto, con tanto di «Che bella chiappa!», a Raffaella Carrà.

Benigni agli Oscar del 1999 – Fonte: avvenire.it

Per non parlare poi della sua attività di divulgazione culturale tramite la lettura, il commento della Divina Commedia e dei dieci comandamenti (che gli sono valse svariate lauree honoris causa in lettere e filologia). Insomma, l’attore toscano è entrato nei nostri cuori grazie alla sua leggerezza, alla sua ironia e al suo spirito sempre giovane che ci fa ricordare quanto sia bello ridere di gusto.

Proprio oggi, al compimento dei suoi 68 anni, vogliamo omaggiarlo e soprattutto ringraziarlo per alcune delle sue migliori interpretazioni sul grande schermo.

1) Johnny Stecchino (1991)

Se un film in cui recita Benigni è un capolavoro garantito, come può non esserlo ancora di più un film con un “doppio” Benigni? In Johnny Stecchino lo troviamo ad interpretare sia Dante, uno scapestrato autista di scuolabus, sia – appunto – Johnny, boss pentito della mafia di Palermo. A tenere insieme questi due personaggi c’è Maria (Nicoletta Braschi), la moglie del pentito.

Lei, dopo aver incontrato per caso Dante, comincia a ordire un piano per far fuggire il marito da Palermo approfittando dell’incredibile somiglianza tra i due. Il susseguirsi di un equivoco dopo l’altro ci accompagneranno tra le (dis)avventure di Dante a Palermo, ignaro del perché abbia gli occhi di tutti puntati addosso quando cammina per le strade della città.

Benigni è magistrale nel caratterizzare alla perfezione entrambi i personaggi: Dante, così ingenuo e gentile e Johnny, così rude e crudele.

E poi, chi avrebbe immaginato che rubare una banana a Palermo fosse così pericoloso?

Benigni nei panni di Johnny – Fonte: roberto-benigni.com

2) Il mostro (1994)

Benigni interpreta, come spesso accade nei suoi film, un vinto dalla vita. Lo troviamo infatti nei panni di Loris, un quarantenne disoccupato che tira avanti rubacchiando qualcosa qua e là e facendo dei lavoretti saltuari. Nella zona in cui abita Loris sono ormai alcuni anni che un serial killer, definito “il mostro”, perpetra una serie di efferati omicidi che hanno come bersaglio giovani e belle donne.

Per un malinteso nato durante una festa, Loris verrà sospettato di essere il mostro. La polizia comincerà dunque a investigare su di lui e incaricherà la poliziotta Jessica (ancora Nicoletta Braschi) di avvicinarlo per studiare da vicino le sue mosse. Ne nascerà un’esilarante commedia in cui i doppi sensi e le sfortunate coincidenze la fanno da padrone, e noi vi consigliamo di seguirla fino alla fine per conoscere la sorte del povero Loris.

Loris in una scena del film – Fonte: taxidrivers.it

3) La vita è bella (1997)

Senza tanti giri di parole è il capolavoro di Benigni. L’attore veste i panni di Guido, un libraio di origine ebraica sposato con Dora (la solita Nicoletta Braschi). Dal loro amore nasce Giosuè e la loro famiglia vive felice nonostante il periodo delle persecuzioni fasciste. Questo fino al 1944, quando vengono deportati in un lager.

È a questo punto che l’ingegno del padre si mette in moto: per proteggere il figlio dall’orrore dei campi di concentramento fa credere al bambino che siano stati scelti per partecipare a un gioco a punti, in cui il premio finale è un carro armato vero. Vincitore di 3 premi Oscar (miglior attore protagonista, miglior film straniero e miglior colonna sonora), è stato da alcuni criticato per la leggerezza con cui tratta uno dei capitoli più bui della storia. In realtà sta proprio qui la sua forza, far ricordare che ci può essere del buono in ogni situazione e che la purezza di un bambino non dovrebbe mai essere infangata dagli sbagli dei grandi.

Guido e la sua famiglia. Fonte: rbcasting.com

La lista dei suoi capolavori è veramente lunga tra cinema (basti pensare alla collaborazione con Troisi di cui abbiamo parlato in questo articolo), teatro e televisione. Qualsiasi mezzo decida di usare, noi ci auguriamo che continui a entrare nelle nostre vite per portare un po’ di buon umore come solo lui sa fare. In fondo siamo del parere che ancora nessuno sia in grado di raccogliere la sua eredità. Nessun attore infatti, ad oggi, gli somiglia “pe’ niente”.

Davide Attardo

Momenti di trascurabile felicità

Noie, contrattempi e fastidi. Voto Uvm: 3/5

 

 

 

 

 

Tratto dall’omonimo libro “Momenti di trascurabile infelicità” è un diario delle noie, dei contrattempi e dei fastidi.

L’opera di Francesco Piccolo è il libro che tutti vorrebbero scrivere perché l’arte comunicativa dello sceneggiatore casertano è rendere la normalità, che talvolta diviene banalità, straordinaria attraverso una scrittura semplice ma arguta e soprattutto intrisa di leggiadra ironia, un’impresa letteraria notevole.

 

 

 

Daniele Luchetti e lo stesso Piccolo sono riusciti a rendere il film una creatura altra rispetto ai pensieri sparsi pubblicati nel libro del 2010, perché c’è un protagonista di nome Paolo che non ha sempre la stessa prospettiva di Piccolo, visto che è più indolente, un po’ mediocre, decisamente anaffettivo e più pigro, sebbene risulti simpatico e l’identificazione nel personaggio, a sua volta, immediata.

È un atto di coraggio che si rivela premiante, perché l’autore campano ha saputo estrarre l’anima e lo spirito dai suoi scritti, costruendo una storia leggera e profonda, elegante nella forma e sensibile nei contenuti.

In più il personaggio di Paolo (e l’interpretazione di Pif) aggiungono una nota di tenerezza e di bonaria indolenza “siciliana” che conquistano il pubblico.

 

 

Il resto del cast aggiunge freschezza (Thony nel ruolo delizioso della moglie, Angelica Alleruzzo e Francesco Giammanco in quelli dei figli) e proprietà tecnica (l’imprescindibile Renato Carpentieri, angelo custode di Paolo).

Una commedia semplice e spensierata che gioca ironicamente con la morte per far prendere coscienza delle cose realmente importanti della vita, troppo spesso non adeguatamente comprese e date per scontato.

L’autore premio Strega fotografa magistralmente “quei piaceri intensi e fuggevoli che punteggiano le nostre giornate, mettendo a nudo con spietato umorismo i lampi gioia, le emozione improvvise ed incontrollate con le quali prima o poi tutti dobbiamo fare i conti.

Comprendere la trasposizione cinematografica di Piccolo significa sapersi riconoscere ed accettare poichè si possiede il codice di se stessi, anche attraverso debolezze ed imperfezioni.

Antonio Mulone

 

“Sono tornato”: quando l’incubo del passato ci insegna qualcosa

“Sono tornato” è un film del 2018 prodotto dalla regia di Luca Miniero. La pellicola è una trasposizione all’italiana del film tedesco “Er ist wieder da” (che avevamo recensito qui: Lui è tornato). Entrambe raccontano di un ipotetico ritorno ai giorni nostri, rispettivamente, di Mussolini ed Hitler.

Nei panni del Duce troviamo Massimo Popolizio, il quale ha ricevuto, per la magistrale interpretazione del personaggio, il premio Flaiano per le sceneggiatura. Ad aver a che fare con il dittatore vi è invece Frank Matano, nei panni del giovane regista di nome Canaletti da poco licenziato per l’emittente per cui lavorava. Il giovane, scambiandolo per un originalissimo attore, non si lascia sfuggire l’occasione: i due iniziano un viaggio lungo il bel paese per girare un docufilm sulla figura del dittatore e, a detta di quest’ultimo, per “ricostruire l’impero”.

Mussolini ha così modo di confrontarsi con l’Italia di oggi, i suoi problemi e le lamentele del suo popolo e da abile comunicatore qual era riuscirà a godere della simpatia di molti. Tra gag esilaranti e critiche provocatorie lo spettatore potrà divertirsi e riflettere allo stesso tempo, guardando quella che potrebbe definirsi una commedia pedagogica. Si tratta di una vera opera cinematografica e soprattutto documentaristica, infatti la pellicola non ha il solo fine di seguire una trama ma svolge anche un’attenta analisi della realtà. Emblematica, a tal proposito, è una frase dello stesso Mussolini:

Eravate un popolo di analfabeti, ritorno dopo ottant’anni e vi ritrovo ancora un popolo di analfabeti

Il film, come invece si potrebbe pensare, non vuole essere solo una mera ammonizione a ciò che non funziona nel nostro paese ma anche e maggiormente al popolo italiano. Quest’ultimo infatti si rivela, agli occhi del dittatore, ancora incapace e/o negligente riguardo la gestione della cosa pubblica. Inoltre, come si può notare da scene girate in “incognito”, molti connazionali, alla vista del capo fascista, reagiscono scherzosamente con il tipico saluto senza rendersi conto del peso storico di determinati fatti. Ecco allora che l’incubo del nostro passato può insegnarci qualcosa: dobbiamo sempre autovalutarci, come singoli e come popolo, con spirito critico. Tutto questo al fine di riconoscere le nostre lacune come cittadini e colmarle per il nostro bene sociale e per quello democratico del nostro paese.

Angela Cucinotta

Metti la nonna in freezer: black humor all’italiana

Cosa accadrebbe se un irreprensibile maresciallo della finanza (Fabio de Luigi) e una restauratrice che cerca di sbarcare il lunario e mantenere in vita la sua azienda (Miriam Leone) con la pensione della nonna (Barbara Bouchet), si incontrassero e si innamorassero? E se tutto questo accadrebbe dopo la morte della nonna che viene congelata per evitare la bancarotta?

E’ l’incipit di questa commedia italiana diversa dal solito, ispirata a un fatto di cronaca, costellata di chiare ispirazioni British. La regia a quattro mani di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi, poco più che trentenni, e la sceneggiatura ben costruita di Fabio Bonifacci, dimostrano quanto sia possibile fare commedia all’italiana senza scadere nel trash. La narrazione scorre fluida, in modo naturale, nonostante gli equivoci, le bugie, i momenti grotteschi e i travestimenti. Anche il reparto tecnico degli effetti speciali ha svolto un ruolo davvero fondamentale.

I personaggi sono sfaccettati, approfonditi quanto serve, ma non piatti. Fabio De Luigi ha potuto dimostrare di poter interpretare un ruolo diverso da quelli in cui era rimasto incastrato nelle ultime pellicole. Bravissima Miriam Leone, che si conferma un’attrice capace anche in commedie brillanti. Lucia Ocone Marina Rocco sono delle complici perfette, irresistibili. Senza dimenticare la nonna, Barbara Bouchet, e tutti gli altri comprimari, che fanno da cornice.

Un film piacevole, che non fa pentire di aver speso i soldi del biglietto. Black Humor, ma non troppo; in fondo in Italia non siamo così abituati, ma strappa una risata con un po’ di amaro in bocca e fa riflettere.

Consigliato.

Ah e non congelate i vostri nonni, è un reato penale. Don’t try this at home.

 

Saveria Serena Foti

Lui è tornato: Un film che tutti dovremmo vedere

Cosa accadrebbe se Hitler apparisse nella Germania di oggi? Cosa farebbe? E noi, come reagiremmo?
Queste sono solo alcune delle domande a cui il film tedesco, tratto dall’omonimo bestseller di Timur Vermes, cerca di dar risposta con ironia, sarcasmo e anche una buona dose di critica sociale.
Un lungometraggio che si può definire una commedia, a tratti anche grottesca, satirica e pungente, ma che ha dei risvolti inaspettati, soprattutto le reazioni che provoca nella visione sono interessanti. La prima parte ti porta quasi a provare simpatia per il dittatore; situazioni anche esilaranti ti fanno sorridere e ridere. Hitler dice anche cose attinenti e giuste. Tutto finalizzato alla seconda parte del film che mostra realmente chi è lui e chi potremmo essere noi.
Una delle persone più odiate sulla Terra, può risultare simpatica o anche accettabile nella nostra società? La storia si può ripetere? Probabilmente si.
Tutta la vicenda è affrontata in maniera non banale, non è una parodia. Lo sviluppo della narrazione è un mix bilanciato tra commedia e dramma, finzione e documentario. Difatti alcune scene del film sono improvvisate; Oliver Masucci (l’attore che interpreta Hitler), interagisce davvero con persone ignare e sono interessanti le reazioni, le più disparate, di fronte a una persona che passeggia o fa domande vestita da Fuhrer.
Volutamente non mi soffermo approfonditamente sulla trama, perché è un film che va visto senza troppe aspettative, senza sapere troppo.
E’ particolare, fa riflettere, soprattutto considerando il periodo storico in cui ci troviamo. La cosa peculiare è che permette di intraprendere discussioni, parlarne con più persone possibile, cercare di cogliere la loro opinione.
A più di due anni dalla sua uscita se ne continua a parlare perché evidentemente ha lasciato qualcosa. Probabilmente per questo in Italia hanno fatto un remake, che uscirà al cinema il prossimo 1 Febbraio 2018, con Mussolini. Sarà all’altezza dell’originale? Susciterà le stesse reazioni, considerando che potrebbe essere qualcosa di “già visto”? Gli italiani come reagiranno a questa pellicola? Sicuramente ne nascerà un dibattito.
Noi vi consigliamo di recuperare “Lui è tornato” su Netflix, così potrete farne un confronto, se vorrete.

Saveria Serena Foti

Una Commedia veneziana.

Accompagnato dalla dolce melodia di un flauto, il sipario del teatro, come se danzasse sulle note dello strumento, si aprì e lasciò la scena del palco ad una maschera dal bianco volto e dal vestito nero.
Questa, in una nuvola di fumo denso, avanzò tre passi verso il pubblico in platea e rivolto un inchino riverente ai convenuti, iniziò presto ad introdurre:

“In questa sera particolare io voglio narrarvi una storia lagunare! E poiché il fatto può solleticare la morale del pudore, non me ne abbiano per questo le signore!

Siam nella Venezia Serenissima, Repubblica di mare e di mercanti! Al tempo dei gran doge e dei viandanti vi era per le calle un gran problema: tutte le tose lamentavano il patema per cui alla dama mancava il cavaliere! Era sovente, infatti, allor poter vedere i cortigiani andarsene a braccetto al buio a vicenda e, talvolta, poi scambiarsi anche un bacetto! Certo, ad oggi è guisa dell’attual costume non distinguer la natura dell’amore, ma poiché agli antichi esso fu un problema in seno, io voglio parlarvi come loro senza censurar di meno!

E dunque nel tornar nella Laguna, dico che non v’era più donzella alcuna ch’era lieta delle corti dei baldanti, giacché questi, avvezzi al lusso ed al piacere, stavano distanti tanto dai tradimenti che dai sacrifici di nascondersi nei vicoli delle meretrici! A questo aggiungo che, nell’anno del Signor milletrecento, i capi di contrada, a tal intento di volerne limitar gli affari delle donne di piacere, cinse queste in una sola strada spenta al sole, ai lumi e ai fari, ove però, segretamente, si poteva fare l’amore! Esse furono recluse, infatti, nelle case dei defunti signori Rampani e presto dal siddetto Vico Carampani, si poterono notare, in bella vista, i seni delle giovani fanciulle in cerca di attenzioni di uno sguardo senza svista! Poiché ancora non bastava il gaudente stratagemma, il governo costruì per i passanti un ponte da cui ognun potea guardar la mesta somma delle donne del terrazzo alla ricerca del piacere di un ragazzo!”.

La maschera, con un elegante gesto di riverenza della mano fece un altro inchino verso il pubblico femminile in prima fila e, fatti tre passi indietro verso la nuvola di fumo che avvolgeva il palco, proseguì nel suo racconto in versi:

“Si dà in questo contesto la vicenda di un avvenimento tosto! Dal Carampani, infatti, presso l’anno di grazia millecinquecento, passava per Venezia un marinaio siciliano ma dal lineamento berbero. Il capello burbero e la barba mora incolta non pesavan mai una volta sul viso gentile da giovinotto che con le vele da Messina giunse in seno alla Laguna. Nel via vai dell’elegante Piazza oggi di San Marco, il forestiero giunto da uno sbarco non passava inosservato ed era oggetto di piacenti sguardi di balordi, di donnette e cortigiani. Ma egli mai una volta volse gli occhi suoi castani e alle attenzioni lussuriose della gente e continuava indifferente il suo cammino alla ricerca di un preciso gran mercante di sete preziose.

Ma quand’egli giunse sotto un balcone delle case dei Rampani, una vecchia meretrice lo vide simile a un guascone e a sé lo volle per le mani! Per attirare lo straniero essa prima masticò una dolce essenza con la bocca e poi, di questa, ne sputò una parte sulla ciocca di quel forestiero. Questi, intesa la flagranza che dal ciel gli era piovuta, cercò la stanza della sua padrona per poter intender se la sua natura fosse buona tanto come quel profumo celestiale bello ed inusuale! La vecchiaccia allora si celò dietro una tosa senza udito e dai seni scoperti e gli gridò: “Vieni qui che ti diverti!” – e quando il moro vide la rosa fresca che lo avvicinava, credendo di esser dalla giovane lui attenzionato, sentì dentro un fuoco pronto che lo tormentava.

“Voi troppo bella siete perché abbiate il prezzo di una mercanzia!” – disse dolcemente il forestiero – “E giacché vengo da una terra di cortesi e di poesia, vi cingerei quei seni se voleste far di voi la sposa mia e abbandonar così quegli usi poco ameni!”.

La vecchia si sorprese del valor della proposta ed avanzò la sua risposta: “Oh giovane di grande garbo io non vorrei porvi riserbo, ma è costume ch’io non possa rivelarmi oltre la casa prima che la volontà vostra  abbia compiuto una spiacevole e dovuta cosa: poiché mi avete visto e avete speso la promessa, dovete andare dalla mia padrona affinché possa, su lauto riscatto, avere il suo consenso per tal fatto e andarvi presto in sposa! Ma poiché questa adesso non è in casa, prego e vi scongiuro di tornar domani, è più sicuro completare in questo modo il vostro intento senza frodo!”.

Il giovane rispose allora più baldante: “Tornerò qui domattina, lo prometto in questo istante e contrattato ogni mio affare verrò qui a pagare il pegno dell’amore! Tornerete insieme a me nella mia isola lontana, dove la donna per la casa e per lo sposo è la devota sua sovrana!”.

La vecchia, andato via il berbero straniero, per far si che tutto rispondesse al vero, chiamò a sé un’altra perfida comare e, fatta complice del malaffare, la istruì di farle da padrona quando lei, celando con i veli il vero aspetto di battona raggrinzita, avrebbe poi seguito in matrimonio il giovane spedita, al quale aveva estorto sia il suo amor che il patrimonio.

E quando giunse il giorno stabilito, il giovane tornò sotto il balcone e vide la padrona che, su di un bastone, lo invitò a trattar comodamente sopra una poltrona.

“Mi sia fatta la grazia di concedermi quella fanciulla dai bei seni giovanili, che ogni cifra al mio potere sia nulla pur di toglierla alle servili sue mansioni! E’ così bella da soffiare al cuore i venti dei Monsoni, tanto è dolce da inchiodarmi nelle fulgide passioni che mi spingono oltre il razionale! La prego di pensare, dunque al bene e di non scegliere di lei il suo male!”.

La comare si commosse alle parole dell’innamorato, ma avendo ancor più a cuore il maleficio del tranello, con mestiere del prestigio, gli mostrò velata e di filato, la fanciulla reclamata, senza fare trasparire come sotto quelle vesti, vi erano gli intenti disonesti della vecchia dal bianco capello.

Quando la vide, il giovane si emozionò talmente che cambiò pensiero di repente: “Poiché il ritorno avrà un lungo tragitto, io voglio qui sposarla e adempiere al contratto! Sia chiamato dunque il prelato! Voglio porle adesso il mio anello al suo bel dito!”.

La proposta colse le vecchie impreparate e la comare, per far le cose più affrettate, chiamò il padre sacrestano della chiesa più vicina, poiché un uomo da lontano aveva fretta di sposarsi alla mattina. Ma non era il cuor di pietra ai petti nudi delle altre tose della casa e intenerite dall’amor sincero di quel forestiero, andaron dalla sorda fanciulletta e gli parlarono alla buona di quella disdetta consumatasi al suo oscuro. “Destino duro! Non posso udir quelle parole e col mio male mi hanno gabbato! In questo modo perdo il cuore del mio innamorato!”. In grande pianto ella scoppiò senza alcun freno, ma una delle donne ebbe un pensiero non da meno: “Ti conceremo in ugual modo alla balorda sì agghindata e accompagnandoti alla chiesa, ti rimpiazzeremo nel trambusto che noi causeremo all’accadere di una cosa!”.

“Ma io non odo un suono alcuno! Come posso acconsentire alla promessa chiestami dal sacrestano?”.

Volle il caso che, in quell’occasione, passasse sotto quel balcone il diavolo nei panni di un mercante, il quale, udita la trama del malaffare e inteso il dunque dell’inganno, volle trarre dal malanno un suo guadagno. Così raggiunte le fanciulle disse il maligno: “Io toglierò l’udito a quella vecchia strega e darò a te il suo dono affinché tu possa andar da chi ti prega! In cambio voglio solo il nero cuore della vostra buia padrona e della sua comare! Giacchè per niente il diavolo dona  qualche cosa su cui poi poter lucrare!”. La fanciulla accettò il patto ed immediatamente udì la voce di una consorella, poi dell’altra, poi di quella! Era commossa e adesso l’ultima sua mossa sarebbe stata quella di conciarsi come sposa somigliante alla megera da cogliere in fragrante! Giunto il corteo di meretrici alla chiesetta dove si accingeva la vecchietta che si penava, nel contempo, di esser sorda al fianco del bel forestiero, si inscenò la truffa alla balorda: una delle ragazze si gettò in terra urlando e dimenando di esser posseduta dal demonio! Di lì a breve si creò un bel pandemonio! Il sacrestano accorse prontamente nel favore della peccatrice, mentre un’altra meretrice, di repente, sostituì al fianco dell’innamorato la vecchia dall’udito muto con la giovane dalla sanata orecchia. Al cenno della complice, la meretrice impossessata finse la grazia ricevuta e disse di voler, perciò, omaggiare gli innamorati con una benedizione. Così celebrata la funzione e rivelato il primo “si” alla formula matrimoniale, svelata la consorte, a tutti apparve la gioviale donzelletta che rispose acconsentendo in tutta fretta al desiderio dell’amore eterno. In quel momento dalla porta della cattedrale un tuono aprì una botola terrena! Olà la vecchia come si dimena insieme alla comare mentre il diavolo le prende nell’andare e le conduce al rogo dell’inferno! Quando si chiuse la voragine del triste inverno, tutti tornarono ai due sposi, i quali, ricevuto il benestare, si scambiarono, affettuosi, i primi baci dell’amore.

Con questa storia vi ho narrato delle meretrici di Venezia e di un mercante siciliano che, nell’anno della perdizione del vico Carampani, fecero vincere l’astuzia e anche l’amore che li unì per giorni eterni sino all’ultimo domani”.

Fatto un ulteriore inchino, la maschera uscì di scena nascosta nel fumo del palco, davanti al quale, dietro l’applauso della platea, si chiuse il sipario.

Francesco Tamburello