Nino Frassica ci racconta “Paola”, il suo primo romanzo

Giovedì 15 Dicembre si è tenuta, nel tardo pomeriggio, la presentazione del primo romanzo di Nino Frassica, Paola, preso il Feltrinelli Point di Messina. Si tratta di un romanzo parodistico in cui si rivede molto della comicità dell’autore. Durante la presentazione “sui generis”, Frassica ha descritto scherzosamente una “storia vera” poco credibile. Anche la quarta di copertina fa emergere questo dettaglio. L’evento è stato intimo con un pubblico ridotto, e noi di UniVersoMe abbiamo avuto la possibilità di porgli qualche domanda. Ci ha dato l’impressione di una persona energica e con tanta voglia di interagire col pubblico, sia con noi che con i suoi fan. Abbiamo ritrovato quel Frassica scherzoso che è diventato famoso in tutta Italia. Proponendoci qualche aneddoto sul suo romanzo.

La passione per i libri è nata per influenza di amici/parenti o, semplicemente, da sé?

 In realtà io ho iniziato quando ho fatto la prima trasmissione, il primo successo televisivo, (corriere della notte), quando venne un editore della longonese che mi disse “ma perché non facciamo un libro sulle tue cose?”. Io non ci pensavo, perché dicevo “ah perché la gente compera il libro su ste cose qua?” e lui “si, facciamolo”. Faccio il libro, “Il libro di Sani Gesualdi”, che è rimasto 1° in classifica non so per quanto tempo, centinaia di migliaia di libri, non me lo aspettavo, e ho pensato che potesse essere interessante, e poi ho scritto il “terzesimo” libro di Sani Gesualdi, e poi con il successo di “Indietro tutta” ho fatto “il manovale del bravo presentatore” e poi spettacoli con mister Forest e abbiamo fatto un libro insieme. Di volta in volta facevo dei libri legati al successo televisivo. Stavolta, la 1° volta che lo faccio, non è legato ad alcun successo; avevo voglia di scrivere ed ho scritto questo romanzo, che si chiama “Paola, una storia vera” (e non è vero niente).

Frassica presenta “Paola”.  ©Gabriele Galletta

 

Quando lei partecipa ad eventi del genere, presentazioni di libri ecc…come vive il rapporto/contatto col pubblico rispetto a quando è al teatro o al cinema?

Al cinema no, ma al teatro somiglia, perché il pubblico al teatro è seduto e quindi c’è la confidenza, cerco di avere un po’ di luci in sala per vedere e creare il contatto; al cinema è totalmente diverso perché ci sono solo i tecnici e quindi posso immaginare che un giorno possa esserci qualche contatto. Qui invece è come se fossi al bar. 

“Paola, una storia vera”, il nuovo libro di Frassica. ©Matteo Mangano

 

Può raccontarci un aneddoto legato alla stesura del suo nuovo romanzo?

“È una cosa un po’ spiacevole, non so se posso dirla…” (e dopo una breve improvvisazione scenica da teatro, riprende) “non è vero niente, voi che ci credete”. Quello che mi ricordo del libro è che quando l’ho scritto, ci ho messo più o meno 4 mesi, poi ho fatto un periodo di “uscite” e quando sono tornato ho visto il libro e non mi ricordavo più di niente, poiché era passato un po’ di tempo (10 giorni). Perché sai, quando sei a caldo non sei neanche tanto obiettivo, non sai, non lo giudichi perché l’hai scritto tu. Quando invece sono passati giorni  l’ho letto e ho riso molto, e ho detto questo libro è bello.

La nostra foto con Frassica dopo l’intervista.

 

Non si è ritrovato a pensare che non andasse bene insomma?

Beh, quello è un fatto commerciale, può vendere di meno, di più ma non è importante. Cioè è importante a livello economico si, più vende più guadagno, però è anche importante il gradimento e che, chi  lo legga lo apprezzi, e a me bastano due persone. Hanno letto il libro si sono divertiti e io ho risolto il mio problema. 

 

Gaia Ilacqua
Matteo Mangano

L’essenza della risata

Le persone durante la propria vita cercano di raggiungere obiettivi diversi. Normalmente, durante questo viaggio si incontrano ostacoli ed avversità, le quali indubbiamente rendono il percorso ben più arduo del previsto. Ciò inevitabilmente destabilizza e crea conflitti tra la gente stessa.

Una delle rare cose capace di accomunare ogni individuo proveniente da qualsiasi parte del mondo è la risata. Questa non appartiene ad alcun colore politico o credo religioso, ma è un elemento grazie al quale chiunque manifesta il proprio divertimento e la propria felicità.

Robin Williams è stato uno degli attori più esilaranti della storia del cinema.

Oggi avrebbe compiuto 69 anni e noi di UniVersoMe vogliamo omaggiarlo andando ad analizzare quelli che – a nostro avviso – sono i suoi 5 più grandi film.

Robin Williams – Fonte: novilunio.net

Good Morning, Vietnam di Barry Levinson (1987)

Robin Williams interpreta Adrian Cronauer, un soldato statunitense durante la guerra del Vietnam. Adrian in passato aveva fatto il dj sull’isola di Creta, quindi gli viene affidata la conduzione della trasmissione mattutina.

Inizia sempre il suo show pronunciando la frase “Goodmorning Vietnam!” e per tutta la durata della messa in onda esprime qualsiasi ragionamento parlando molto velocemente e modificando in maniera buffa la propria voce. Nel corso del suo programma ironizza sulle tematiche più disparate: sulla moda del tempo, sul presidente Nixon, sulla guerra stessa e tante altre. Inoltre decide di trasmettere musica rock, che era stata precedentemente bandita.

Robin Williams in Goodmorning Vietnam -Fonte: nospoiler.it

L’ironia puntigliosa e la scelta delle canzoni non viene ben vista dai superiori, in quanto essi ritenevano che fosse pericoloso per il morale delle truppe mandare in onda uno show così esuberante. Tuttavia Adrian riesce a riscuotere un grande successo tra i soldati.

La prova d’attore di Robin Williams è eccellente e grazie ai lunghi “monologhi” recitati nel film, l’interprete ha avuto modo di mostrare il suo talento e di farsi conoscere tra le grandi produzioni di Hollywood.

L’attimo fuggente di Peter Weir (1989)

L’attore qui interpreta il professore di letteratura John Kesting, un docente appena trasferito al collegio Welton.

L’insegnante si distingue fin dall’inizio per i suoi metodi didattici alquanto singolari. Il fine ultimo del professore è quello di far comprendere ai ragazzi che la poesia è lo strumento uber alles capace di renderli liberi così da poter prendere qualsiasi decisione in maniera del tutto autonoma.

Robin Williams in L’attimo fuggente – Fonte: rollingstone.it

Il personaggio di John Keating è entrato nell’immaginario di tutti per la grande interpretazione di Williams, ma soprattutto per la celebre scena in cui gli alunni, imitando il docente, salgono sui banchi e pronunciano le parole “O capitano, mio capitano” dimostrando di aver compreso pienamente i suoi insegnamenti.

Mrs Doubtfire – Mammo per sempre di Chris Columbus (1993)

Robin Williams ricopre i panni di Daniel Hilland, un doppiatore che ama la sua famiglia. A causa del suo carattere fortemente indisciplinato ed infantile, Daniel divorzia dalla moglie e va a vivere da solo potendo vedere i suoi figli solo poche volte a settimana. Un giorno, l’ex moglie decide di assumere una tata per badare ai bambini.

Daniel ha l’idea geniale di travestirsi da donna fingendo di essere un’anziana tata chiamata Mrs Doubtfire. Riesce ad ottenere il lavoro e così facendo potrà stare accanto ai suoi bambini per crescerli ed aiutarli.

Robin Williams nei panni di Mrs Doubtfire – Fonte: cinematographe.it

Il film essenzialmente è incentrato sugli effetti che un divorzio può scatenare su una famiglia. Tuttavia, anticipa anche altre tematiche come ad esempio quella del travestimento, mostrandosi di fatto una pellicola lungimirante.

Robin Williams è stato autore di un lavoro magistrale. Quando veste i panni di Mrs Doubtfire riesce a modificare la voce, le movenze e le proprie espressioni dando vita ad un’anziana donna in modo perfettamente realistico.

Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997)

La pellicola narra la storia di Will (Matt Damon), un ragazzo della periferia di Boston dalla mente brillante. Egli riesce a risolvere problemi estremamente complessi di matematica con molta facilità. Un giorno viene notato dal professor Lambeau, un luminare che crede molto nelle sue potenzialità. Will però conduce una vita allo sbando e dopo l’ennesima rissa il professore decide di farlo seguire da uno psicologo.

Dopo un primo tentativo fallimentare – dato che sarà proprio Will a psicanalizzare lo psicologo – Lambeau contatta il suo vecchio collega di università Sean (Robin Williams).

Proprio quest’ultimo sarà l’unico in grado di entrare nella mente di Will e di fargli affrontare i lati più oscuro del suo inconscio.

Robin Williams e Matt Damon in Will Hunting – Fonte: cinematographe.it

Nella pellicola vediamo un Robin al di fuori dei suoi schemi classici, in quanto è completamente immerso in un ruolo profondamente triste ma al quale è riuscito a donare una forte umanità. In alcuni momenti comunque riesce a far ridere gli spettatori nonostante la drammaticità del film.

La sua interpretazione in Will Hunting gli è valso un premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1998 .

Patch Adams di Tom Shadyac (1998)

Il film racconta la storia di Hunter “Patch” Adams, un uomo che sceglie di auto-internarsi in un ospedale psichiatrico dopo aver tentato il suicidio. Stando a contatto con gli altri pazienti scopre che tramite l’umorismo le malattie vengono affrontate con meno pesantezza e decide di studiare medicina. Patch non ritiene corretti i metodi operati dai suoi colleghi in quanto trattano i pazienti con troppa indifferenza.

Di nascosto quindi va a trovare i malati terminali facendoli divertire e cercando di alleviare le loro sofferenze.

Robin Williams nel film Patch Adams – Fonte: mam-e.it

La pellicola è una tragicommedia che offre numerosi spunti di riflessione sui rapporti umani tra medico e paziente. L’interpretazione di Robin è ancora una volta incentrata sulla risata, anche in contesti profondamente commoventi.

 

Robin Williams è stato uno di quegli attori capaci di poter mostrare tutto il suo potenziale in teatro, nel cinema e nella televisione.

Oltre alle grandi prove attoriali, lo ricordiamo per la persona che era: in qualsiasi testimonianza pervenutaci di questo interprete, che sia un film o anche una piccola apparizione in un talk show, lo vediamo sempre ridere e soprattutto fare ridere.

Vincenzo Barbera

 

 

“Lo ha già detto Gesù”. Filippo Giardina si racconta su UniVersoMe.

Con il suo ottavo spettacolo satirico “Lo ha già detto Gesù” ritorna sul palco Filippo Giardina uno dei comici più sagaci e controversi del panorama italiano, nonché fondatore del fortunato gruppo “Satiriasi”, che in Tv e sul web sta riscuotendo sempre più successo. 

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto il piacere di intervistarlo prima della sua prossima data del 20 Aprile al Cineteatro Metropolitano di Reggio Calabria.

 

Chi è Filippo Giardina?

Io faccio il comico e, anche se in Italia è considerato un lavoro poco nobile, in tutto il mondo è un mestiere molto apprezzato. Scrivo, faccio monologhi da 20 anni e ho creato alcune sceneggiature, ma in generale faccio il comico a 360 gradi, di tipo satirico

In Italia, la satira è un buon “campo” su cui lavorare?

La satira non è mai un buon campo su cui lavorare, perché tendenzialmente devo sempre far ridere e non cercare il consenso del pubblico a tutti i costi. Quindi, per assurdo, se la satira andasse di moda farebbe schifo. È la voce degli ultimi, quella che si pone contro il pensiero dominante. Non è per tutti, ma per chi ha voglia di ridere di certi temi forti.

Tu riesci a far ridere un po’ tutta l’Italia, ma a Filippo Giardina cos’è che fa ridere?

Eh questa è una bella domanda! Mi fanno ridere specialmente le cose molto demenziali. Mi viene in mente Tropic Thunder, i grandi classici come Frankenstein Jr, ma anche cose più ricercate come Mistery Man di Ben Stiller o gli eccessi di Sacha Baron Cohen. Tendenzialmente tutto ciò che, in un certo senso, mi sorprende. Recentemente guardo molti più documentari che spettacoli comici, perché la comicità mi ha un po’ annoiato. Preferisco di più le storie.

Dov’è nata l’idea di creare “Satiriasi”?

Dal 2001 faccio questo lavoro e dopo aver fatto spettacoli per 8 anni in bettole, piazze e altri luoghi non adatti alla comicità, mi sono reso conto che era un po’ colpa mia. Cercavo di portare i miei contenuti in contesti sbagliati e quindi ho deciso di ripartire dal piccolo. Erano gli anni in cui tutti provavano a fare i comici per andare a Zelig e Colorado, perché chi arrivava prendeva un sacco di soldi. Si era creata un’industria della comicità, cosa molto rara, perché gli ascolti che facevano questi programmi erano fuori dal mondo, 12 milioni di persone in prima serata non è il pubblico della comicità, ma è un pubblico “trasversale” che comprendeva bambini e anziani. Ho anche scritto un manifesto che in qualsiasi altra parte del mondo avrebbe fatto ridere, perché era abbastanza scontato, ma in Italia ce n’era bisogno, perché la comicità aveva preso proprio una brutta piega.

Cosa intendi per “brutta piega”?

Da una parte c’era quella comicità più commerciale e di bassa lega che enfatizza gli stereotipi del tipo “il romano è cafone, il milanese corre e il napoletano ruba”. Dall’altra c’era quella satira, presunta impegnata, confusa tra militanza politica e controinformazione. Il pubblico veniva così, passami il termine un po’ forte, raggirato, perché la satira non è un “predicozzo di quel tipo”, ma è una branca dell’umorismo dove, se non c’è la risata, tutto perde di senso – specialmente dopo che Berlusconi ha confuso un poco le acque. Così ho cercato di imporre delle regole fondate sull’originalità e la libertà di espressione, il tutto grazie anche alla decisione di creare spettacoli vietati ai minori e con un biglietto da pagare, in questo modo “se ti offendi è solo colpa tua”. Per fare ciò ho deciso di contattare dei comici che ritenevo in gamba, tutti autori dei loro testi e ho creato Satiriasi che, per 5 anni, è stata un master della comicità, satirica e non, in Italia. In un paese in cui tutti parlano, noi ci siamo davvero sporcati le mani.

La gavetta fatta durante questi lunghi anni è stata fondamentale per raggiungere il tuo livello attuale. Ma durante tutte queste esperienze, hai notato dei caratteri comuni nel pubblico a cui ti approcciavi o hai dovuto imparare a veicolare la tua comicità in modi ogni volta diversi?

Se c’è un pubblico disponibile a livello culturale si riesce a trovare una linea comune tra di noi. Ma se di fronte a me ho, ad esempio, un fondamentalista religioso che appena io dico “Secondo me Dio non esiste” mi alza un muro ideologico e quindi non è proprio più disposto a seguirmi, allora non posso fare molto. Va anche detto però che, dopo tanti anni di attività, ho imparato ad assumermi la responsabilità dei miei insuccessi senza trincerarmi dietro la tipica frase “il pubblico non capisce”, quando in realtà ancora non avevo trovato la chiave giusta per parlare alle persone in determinati contesti. Oggi ho un pubblico molto più esigente, ma anche più disposto ad ascoltarmi e ad accettare ciò che dico.

Per finire, come definiresti in 3 parole il tuo ultimo spettacolo “Lo ha già detto Gesù”?

È uno spettacolo in bilico tra volgarità e sensibilità profondamente pacifista. Dopo averlo visto, mi dirai se avevo ragione.

 

Giorgio Muzzupappa

Cinefilia per idioti: Il Cinepanettone

natale-sul-niloPiù dello svegliarsi a causa dei gorgheggi dell’inquilina del primo piano (è una cantante lirica), più dello svegliarsi di soprassalto con il faccione di tua madre appiccicato al tuo perchè “un bacio prima di andare a lavoro no?” Più di tutto questo, odio le commedie all’italiana a tema natalizio. In breve? I Cinepanettoni

Di recente, nel mio quotidiano zapping su Youtube, resto come sempre soddisfatta dell’ultimo video di Yotobi (che se non conoscete ancora vi consiglio assolutamente di rimediare a questo errore) in cui ironicamente ci consiglia degli insoliti film sul natale, specie di animali che salvano il natale.
Consapevole dell’arduo compito che mi spettava, ovvero dover scrivere quest’attesissimo articolo di cinefilia per idioti a tema natalizio, qui, mi ritrovai difronte a un dilemma esistenziale; odio di più i film sugli animali (solitamente cani) che salvano il natale o odio di più Christian De Sica e Massimo Boldi e qualche napoletano a caso nel cast di un loro film?
La risposta mi sembra pressoché lapalissiana.
Ricordo ancora con esagerata vergogna quando non sapendo cosa fare, a casa dei miei nonni, un pomeriggio, misi nel video registratore una cassetta registrata con scritto sopra “Natale sul Nilo”.
Molti dei miei traumi credo siano dovuti alla visione di questo film. S
e ancora dovessi ridere, quando qualche anziano fa una flatulenza e tutti sono costretti a stare in silenzio, io do la colpa a questo film. Con estremo stupore, ed una certa tristezza, anche, mi rendo conto grazie a fonti certe (google) si sia passati dall’ era dei Cinepanettoni a quella dei Cinezelig. 

Mi spiego meglio; l’Italia a Natale non viene più rappresentata da Boldi e De Sica (ma anche Jerri Calà, Ezio Greggio, Enzo Salvi, Massimo Ghini, e una gnocca a caso) ma da “veri” attori comici provenienti dalla famiglia di Zelig quali Bisio, Abatantuono, De Luigi, che nonostante abbassino di livello la loro reputazione, con questi film ci donano un sorriso più ragionato e una morale, seppur banale.
Ma se foste dei nostalgici e stesse cercando nudo semi integrale non vietato ai minori, battute di infimo livello, gente con un quoziente intellettivo inesistente e scoregge a volontà, questo è il genere di film che fa per voi!
Non credo ci voglia un esperto per analizzare questo genere ( ed ecco perché mi sono assunta quest’arduo compito) :“ visto uno, visti tutti” è il motto che più si addice a questi film; le avventure “ spassosissime” dei nostri cari protagonisti, che solitamente sembrano personaggi di una barzelletta estremamente caricaturati e portatori di stereotipi rappresentativi di città diverse (solitamente una del sud e una del nord),  s’imperniano attorno a scene di tradimenti, seni, luoghi comuni, sederi, doppi sensi, gag trash, volgarità a caso, e come ci tenni a precisare prima,flatulenza. 

I peti sono vitali per la trama che chiaramente è banale e non ha alcun fine se non quello di far ridere un bambino di tre anni. E neanche. 
Perciò tra un “mamma mia come sto” a caso e un “anvedi quella” ripetuto ogni cinque secondi , quest’anno smetti di giocare a carte (che tanto perdi) alza il sedere dalla sedia e mettilo sul divano! Non accontentarti dei soliti film cult natalizi, fai un tuffo nel passato e regalati insieme alla tua famiglia, un Natale indimenticabile e un danno cerebrale permanente! 

 

Elisia Lo Schiavo