Incastrati: un giallo siculo

 

Un giallo comico, dipinto con i colori della Sicilia – Voto UVM: 5/5

 

Anno nuovo vita nuova. Lo stesso vale per il duo comico Ficarra e Picone, che sono sbarcati su Netflix il 1 gennaio con la loro prima serie TV.

Un nome una garanzia:  i due siciliani sono sempre pronti a deliziarci col loro umorismo- non quello banale e volgare alla Pio e Amedeo– ma quello che fa riflettere e porre domande, sempre pronti a difendere i diritti degli italiani con l’arma dell’ironia.

 

Ficarra e Picone in una scena della serie Fonte: tvserial.it

Una storia ricca di imprevisti

“Voglio una vita piena di imprevisti”. Queste sono le parole che pronuncia Salvatore che voleva sfuggire dalla monotonia, avere una vita come il commissario di una serie tv, in cui non esiste la parola noia, ma solo tante avventure. Come non detto, il suo desiderio verrà esaudito, ma di certo non come aveva immaginato. Il caro Salvatore dovrà ricredersi. Per quale motivo? Andiamo a scoprirlo. 

Incastrati è una serie scritta e diretta da Ficarra e Picone- composta da sei puntate di 30 minuti ciascuna- e racconta l’avventura di Salvatore (Ficarra) e Valentino (Picone), due riparatori di elettrodomestici che col loro furgoncino girano di casa in casa.

Da un lato abbiamo Salvatore, sposato con Ester (Anna Favella), ossessionata dallo yoga e dalla vita salutista, che impone pure al povero marito, dall’altro Valentino (fratello di Ester e cognato di Salvatore), un uomo ingenuo ma dal cuore d’oro, che vive ancora con la mamma morbosa, che vuole il figlio tutto per sé e fa di tutto per tenerlo lontano dalle donne, viziandolo come un bambino.

I due, oltre ad essere cognati, sono pure grandi amici e, un giorno come un altro, si recano in una casa per lavoro, ma finiscono nei guai: si ritroveranno dentro la dimora di un ex mafioso, ammazzato dalla mafia stessa in quanto pentito.

Da quel momento in poi per i protagonisti inizierà veramente una vita piena di avventure e imprevisti. I due per non essere incolpati si cacceranno ancor di più nei guai e da semplici testimoni rischieranno di passare per probabili assassini.

Non piangere,  che le lacrime contengono DNA


Cast, luoghi e folklore

La serie è ricca di personaggi, interpretati da: Leo Gullotta (Procuratore Nicolosi), Marianna di Martino (Agata Scalia), Anna Favella (Ester), Tony Sperandeo (Tonino Macaluso), Maurizio Marchetti (il Portiere Martorana), Mary Cipolla (Antonietta), Domenico Centamore (Don Lorenzo), Sergio Friscia (il giornalista Sergione), Filippo Luna (vicequestore Lo Russo), Sasà Salvaggio (Alberto Gambino) e Gino Carista (Frate Armando).

Un cast che con il talento fa divertire il telespettatore, utilizzando un’ironia tutta siciliana.

Ficarra e Picone in una scena della serie Fonte: Today

La mafia viene descritta per quello che è: una barzelletta fatta di uomini stolti, privi di etica, un’organizzazione poco furba ma allo stesso tempo pericolosa.

Nota di merito va per la sceneggiatura che descrive nei minimi dettagli la terra del sole: Ficarra e Picone disseminano i tipici luoghi comuni che il sud è condannato a indossare a causa delle menti più arretrate. I due comici però ci offrono anche paesaggi immensi, strade abbellite da cittadini col loro accento, i loro colori, il cibo, e tanto altro che solo il mezzogiorno può offrire.

Un messaggio nascosto?

Usiamo il crimine per farvi ridere

Cosa vuol dire questa frase? Cosa vogliono farci intendere i due attori? La serie va vista non solo come una produzione comica, ma bisogna avere un occhio critico. Come citato sopra, al centro vi è il tema della mafia, un morbo della nostra società.

Forse i due comici ci vogliono portare un esempio di “pornografia del dolore”, che ipnotizza gli individui anche con scene drammatiche, scene agrodolci che deliziano gli animi delle persone, facendole rimanere inermi davanti alla prepotenza? I due protagonisti però non rimarranno di certo immobili e faranno trionfare la giustizia. Un dovere a cui pochi riescono ad adempiere.

Una serie così piacevole, che la si vede tutta in un colpo solo. Ci erano mancati Ficarra e Picone, due comici che hanno portato su Netflix non solo la loro ironia, ma anche la sicilianità, fatta di arancini(e), culture e paesaggi da far invidia al mondo intero.

                                                                                                 Alessia Orsa 

 

Il genio della comicità

La comicità nel corso dei secoli ha assunto molteplici forme, ma da quella più spicciola a quella magari più ricercata, è sempre comunque capace di risollevare gli animi di ciascun individuo.

Uno dei suoi maestri e massimi esponenti, che ha creato uno stile che lo contraddistingue, è sicuramente Mel Brooks. In suo onore, noi di UniVersoMe andremo ad analizzare tre dei suoi film più divertenti.

Mel Brooks. Fonte: ilquotidiano.net

Frankenstein Junior (1974)

La parodia dei film horror per eccellenza. Con questa pellicola il regista ha voluto creare una sorta di “sequel parodistico” dell’originale Frankenstein di Mary Shelley.

Mel Brooks ha scelto di utilizzare le stesse locations ed i medesimi arnesi presenti negli storici film Frankenstein (1931) di James Whale ed Il figlio di Frankenstein (1939) di Rowland V. Lee, decidendo inoltre di girare il film interamente in bianco e nero così da ricrearne un’atmosfera dettagliatamente identica, in cui però raccontare la storia in chiave comica.

Le ambientazioni cupe, infatti, ci calano all’interno di quello che sembrerebbe essere un horror vecchio stile in piena regola, ma i dialoghi e le performances degli attori trasformano la pellicola in un gotico spettacolo che trasuda ironia da ogni poro.

Igor (Marty Feldman) ed il dottor Frederick von Frankenstein (Gene Wilder) – Fonte: medicinaonline.co

Gene Wilder nei panni del dottor Frederick von Frankenstein e Marty Feldman in quelli dell’aiutante Igor risultano fondamentali per la riuscita del progetto.

Wilder probabilmente è riuscito a mettere a segno la miglior interpretazione della sua carriera. Calatosi profondamente nella parte, dà vita ad un giovane dottore che inizialmente rinnega le sue radici, per poi seguire meticolosamente le orme del suo antenato e riuscire nell’impossibile; il tutto è condito da sguardi fulminanti e battute pronunciate seguendo una perfetta armonia nata grazie alla chimica instauratasi con un monumentale Marty Feldman.

Igor è ciò che resta indelebilmente impresso nella mente di chi guarda Frankenstein Junior. L’attore ha sfruttato a pieno ed in maniera estremamente intelligente alcune sue caratteristiche fisiche capaci di arricchire straordinariamente il personaggio. Le enormi palle degli occhi da un punto di vista macroscopico catturano l’attenzione dello spettatore; muovendole sapientemente e accompagnandole con delle microespressioni facciali, l’attore riesce ad interloquire con il proprio partner, creando costantemente un clima di assurdità anche nelle piccole cose e facendoci ridere a crepapelle. Per non parlare poi della gobba, che in alcune scene tende verso destra mentre in altre dalla parte opposta (ciò venne improvvisato dallo stesso Feldman ed approvato immediatamente dal regista).

La pazza storia del mondo (1981)

Il film descrive alcune tra le più significative epoche della storia dell’uomo in chiave profondamente parodistica.

La pellicola, a differenza di Frankenstein Junior ,venne disprezzata dalla critica, la quale rimproverò a Brooks di aver creato storie superficiali segnate da una scarsa comicità, basata esclusivamente sulla volgarità.

Tuttavia le ambientazioni vengono riprodotte fedelmente ed i dialoghi, seppur non allo stesso livello dei precedenti lavori del regista, presentano comunque una struttura ben solida anche se non risultano essere esilaranti.

Lo sketch dell’Inquisizione spagnola, dove Torquemada (interpretato da Mel Brooks stesso) si esibisce in un piccolo musical, è degno di essere considerato agli stessi livelli di uno spettacolo di Broadway.

Dracula morto e contento (1995)

Dopo Frankenstein, Mel Brooks decide di revisionare anche la storia del conte Dracula, in quello che è l’ultimo film della sua carriera cinematografica. Il risultato non è lontanamente paragonabile a quello del film del 1974, ma l’impronta del regista è tangibile per tutta la durata della pellicola.

Leslie Nielsen in una scena del film – Fonte: cultfollowingmedia.wordpress.com

Dialoghi ben scritti capaci di coinvolgere lo spettatore e di suscitare ilarità, gag esilaranti poste in essere soprattutto da un impacciato Dracula (interpretato egregiamente da Leslie Nielsen) ed ancora una volta l’impeccabile scenografia fanno da cornice ad un film tutto sommato divertente.

Da segnalare anche la presenza di Ezio Greggio all’interno del cast (in pochi sanno che ha avuto dei trascorsi ad Hollywood ed era un grande amico di Mel Brooks)

Non solo Frankenstein …

Film di Mel Brooks precedenti a Frankenstein Junior come: Per favore non toccate le vecchiette (pellicola del 1968 con la quale vinse anche un Oscar per la miglior sceneggiatura originale), Il mistero delle dodici sedie (1970) e Mezzogiorno e mezzo di fuoco (1974) furono un successo sia a livello di pubblico che di critica.

Con Frankenstein il regista ha raggiunto il suo apice, per poi percorrere una parabola discendente con i film successivi. In realtà il pubblico è sempre rimasto legatissimo al regista, considerato un vero e proprio pioniere della comicità e, nonostante i pareri estremamente negativi – forse anche eccessividella critica nella seconda parte della sua carriera, ha continuato ad amarlo e a ridere con lui.

Qualche tempo fa venne organizzata una serata in onore di Mel Brooks, con l’esibizione di diversi attori che misero in scena alcuni dei suoi sketch più famosi. Al termine dell’esibizione, avvenne una lunghissima standing ovation per il regista e si alzò in piedi persino l’allora presidente degli Stati Uniti Barack Obama.

Vincenzo Barbera

Màkari: una nuova “brezza” di sicilianità

 

Una serie che fa assaporare una Sicilia differente – Voto UVM: 4/5

Ormai un po’ tutti sappiamo che quest’ultimo anno ci ha privato di tanto, dalle persone care al libero arbitrio passando per le esperienze uniche che non vivremo mai. Ci ha però ricordato che gli esseri umani hanno l’innata- e spesso dimenticata- capacità di trasformarsi e di ripartire, anche da zero, quando si tratta della propria serenità.

E proprio di cambiamento e di rinascita tratta la nuova serie televisiva italiana Màkari, tratta dalle opere di Gaetano Savatteri, aventi per protagonista il giornalista e investigatore “per caso” Saverio Lamanna (Claudio Gioè). La fiction, prodotta da Palomar in collaborazione con Rai Fiction, è diretta da Michele Soavi ed è andata in onda dal 15 marzo 2021 su Raiuno.

La trama e i personaggi

Saverio Lamanna (Claudio Gioè), un siciliano trapiantato a Roma per assumere l’importante incarico di portavoce al Viminale, vede la sua vita travolta da uno stupido incidente lavorativo e, nel tentativo di sfuggire alla vergogna, decide di ritornare nella natia Sicilia.

Proprio a Màcari, circondato dai ricordi d’infanzia, da vecchie e nuove conoscenze, dagli affascinanti paesaggi, Lamanna riscopre la sua più grande passione: oltre a quella per le belle donne (da “buon terrone” qual è), quella dello scrittore, in una cornice cittadina in cui le storie da raccontare non mancano mai… oppure è lo stesso Lamanna a fare da “gufo del malaugurio” disseminando tragedie al suo passaggio ?

Spinto da un’inarrestabile curiosità, che spesso lo rende una “camurria” e lo mette in pericolo, s’improvvisa investigatore non lasciandosi sfuggire l’opportunità di ripartire, cosi come sono costretti a fare tutti i Saverio Lamanna moderni che, dopo essere stati sconfitti, si rialzano.

Claudio Gioè in una scena della serie. Fonte: Palomar, Rai Fiction

Si assiste alla metamorfosi del protagonista che da giornalista cinico privato del complesso della provincialità siciliana, senza soldi e futuro, riscopre il suo vero Io di scrittore, la sua terra e i valori perduti.

Claudio Gioè: Lamanna mi somiglia molto, è un uomo che torna a vivere a Palermo dopo tanti anni, proprio come me. Forse, questo ha fatto sì che ci mettessi un po’ una quota di emotività in più.

Ad accompagnarlo in questo percorso troviamo tanti altri personaggi. In primis, l’eccentrico amico d’infanzia Peppe Piccionello (Domenico Centamore), rigorosamente in infradito e t-shirt pro-Sicilia, che rappresenta, oltre all’anima comica della fiction, la “genuina sicilianità” attaccata alle sue secolari tradizioni sempre moderne come le “massime” che lo stesso spesso recita. A completare lo scanzonato trio c’è, inoltre, l’intraprendente studentessa Suleima (Ester Pantano) che, pur non essendo la solita femme fatale, conquista il cuore del protagonista non lasciandosi sopraffare da quest’uomo più grande di lei e realizzato sia personalmente sia professionalmente.

Nel cast troviamo anche tanti altri noti nomi siciliani, come Antonella Attili (Marilù), Sergio Vespertino (il Maresciallo Guareschi), Filippo Luna (il Vicequestore Randone), Tuccio Musumeci (padre di Saverio), Maribella Piana (Marichedda) e così via.

La Sicilia, protagonista silenziosa ma non troppo

Gaetano Savatteri: Ritengo che il successo vada ricercato anche nell’ambientazione, ovvero la Sicilia, nella tensione tra la luce che ammalia e la complessità, per questo non ne siamo mai sazi in letteratura, al cinema e in tv […] credo che la Sicilia raccolga in sé tutta la profondità dell’essere italiano.

Dopo il grande successo ottenuto (forse) dall’ultimo episodio de Il commissario Montalbano, Raiuno punta ancora una volta sulla Sicilia. La miniserie, ripresa negli ultimi mesi dello scorso anno, è ambientata a Palermo e nel trapanese. I suggestivi scorci che sono stati gelosamente catturati in tutte le scene invitano calorosamente, superata la pandemia, a visitare la Sicilia occidentale, culla di tradizioni e monumenti ancestrali lasciati dai vari popoli succedutisi nel tempo.

Tonnara di Scopello. Fonte: wikimedia.org, creativecommons.org

A valorizzare ancora di più la Sicilia è anche la meravigliosa sigla iniziale scritta da Ignazio Boschetto (originario di Marsala) e interpretata dal gruppo di “tenorini” Il Volo.

Ignazio Boschetto: È una canzone che racconta la mia Sicilia, terra di saggi, terra di stolti, fatta di diavoli e santi. E’ una canzone attaccata alle tradizioni […].

Lamanna come Montalbano? Màkari come Vigàta? Savatteri come Camilleri?

Lo scrittore Andrea Camilleri. Fonte: citazioni.it, creativecommons.org

La serie, sulle cui spalle poggia la responsabilità (e, perché no, l’onore) di diventare la legittima erede de Il Commissario Montalbano, ha avuto una partenza lenta ma si è certamente ripresa nel corso delle quattro puntate, intitolate rispettivamente I colpevoli sono mattiLa regola dello svantaggioÈ solo un gioco e La fabbrica delle stelle.

In attesa dell’annuncio ufficiale della seconda stagione, si possono però segnalare alcune defaiances narrative da correggere. Innanzitutto la sceneggiatura si presenta, sin dalle prime battute, caratterizzata da fin troppa frettolosità nel tentativo probabilmente di dare una svolta alla vita del protagonista ed è spesso sopraffatta dall’intrigo sentimentale che nasce e si sviluppa quasi forzatamente tra i protagonisti. Si notano poi alcune ingenuità e leggerezze che potevano essere evitate, come la facilità con cui i colpevoli si lasciano sfuggire degli indizi assai rilevanti per il nostro “sbirro di penna”.

Non è sicuramente l’ennesimo poliziesco ispirato a Montalbano & Co e rappresenta il tentativo di proporre ai telespettatori un prodotto più fresco e frizzante a cavallo tra il giallo e la commedia, il melò e il grottesco sullo sfondo di una Sicilia dolceamara e differente da scoprire e – per chi già la conoscesse – da riscoprire.

Racconta temi contemporanei, facilmente stereotipabili, ma mai banali: dagli incidenti agli omicidi premeditati, dalla disperazione alla vendetta, passando per il movente economico. Màkari presenta un’istantanea dell’attuale situazione italiana, non solo siciliana, che stenta a ripartire e di come la ripartenza non può che cominciare dal singolo che ha il desiderio, ma spesso non il coraggio, di reinventarsi e di riscattarsi.

Angelica Terranova

100 anni con Alberto Sordi: un italiano dei nostri tempi

Il 15 giugno di cento anni fa nasceva Alberto Sordi, il nostro Albertone, una delle immortali maschere del cinema comico italiano.

Nasceva a Roma, quella Roma che meglio di chiunque altro ha saputo portare sul grande schermo. La Roma della corruzione, del pressappochismo, della rassegnazione, del qualunquismo e del servilismo. Ma anche la Roma degli imperatori, dei Fori e di Cinecittà, la Roma del “chissenefrega”, della gioia di vivere e di far ridere. Se la città eterna ha due facce – proprio come la luna – possiamo dire che Sordi ha saputo indossare a piacimento entrambe le maschere e velare di sorrisi e leggerezza difetti e contraddizioni della sua città … e di tutta l’Italia!

Esordi di un mito

Gli esordi di Albertone parlano da sé: nato in una famiglia in cui si respira aria d’arte (il padre è maestro di musica), non vuole proprio saperne di diventare ragioniere e tenta invece il grande salto nella carriera drammaturgica all’Accademia dei filodrammatici a Milano. Colmo dei colmi, qui verrà espulso per l’ inflessione troppo romanesca, quell’inflessione che darà un’impronta caratteristica e memorabile ai suoi personaggi. Cosa sarebbe l’americano di Steno senza il “mo me te magno!” con cui fa fuori un intero piatto di “maccaroni”?  Il fante Jacovacci senza il suo “Booni”? O il celebre marchese del Grillo senza il suo “Io so’ io e voi non siete un ca**o” simbolo di presunzione aristocratica?

Sordi ne ” Il marchese del grillo” di Monicelli, 1981. Fonte: wikipedia.org

Scartato dall’Accademia, Sordi tenta una scorciatoia per diventare attore: la carriera di doppiatore. Dal 1937 sarà infatti la voce italiana di Oliver Hardy (per intenderci: l’Ollio compagno di Stanlio). La sua caratteristica voce nasale gli darà modo di primeggiare anche a Radio Rai: qui creerà personaggi e macchiette trasposte poi in film di altrettanto successo.

 Albertone al cinema: la maschera dell’italiano medio

Talentuoso doppiatore, attore radiofonico e di teatro, ma anche compositore di memorabili canzoni, Albertone come mito nasce però al cinema e la sua fama è irrimediabilmente legata agli innumerevoli personaggi che ha saputo interpretare con realismo e comicità innata. Se pensiamo al cinema degli anni ’50  e ‘60 ci verranno in mente gli occhi di ghiaccio di Paul Newman, il fascino ribelle di James Dean o- per restare nei confini nazionali- la bellezza composta di un Mastroianni o l’imponenza di Gassman.

Alberto Sordi non era niente di tutto questo! Il faccione largo, il nasone adunco e il sorriso beffardo non rientravano certo nei canoni estetici dell’epoca, ma saranno tratti essenziali di quella maschera dell’italiano medio, signore assoluto della commedia all’italiana. Dopo l’esordio nei film dell’amico Fellini Lo sceicco bianco (1952), poco apprezzato dalla critica e il ben più fortunato I vitelloni  ( qui la nostra recensione in un articolo su Fellini), Albertone, diretto dai più grandi registi italiani, darà corpo e fiato a personaggi che si prendono gioco dei difetti dell’Italia del tempo grazie a una parlata tutta sua: ora piagnucolona e assillante, ora menefreghista e ipocrita nonché a un modo di camminare esemplare (si pensi al celebre saltello con cui entrava in scena anche negli spettacoli televisivi).

La celebre pernacchia ai lavoratori ne “I vitelloni”. Fonte: open. online

Tra i tanti, sarà nullafacente con la passione per l’America  in Un americano a Roma di Steno (1954), scapolo incallito ne Lo scapolo di Antonio Pietrangeli (1955) e poi marito di una tirannica Franca Valeri ne Il vedovo di Risi (1959), medico spregiudicato ne Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa e nel sequel del ’69 diretto da Salce.

Sordi che mangia i maccheroni nella celebre scena di “Un americano a Roma”. Fonte: wikipedia.org

Dalla fine degli anni ’60, affiancherà alla carriera d’attore quella di regista. Sordi regista porterà dietro la macchina da presa quel gusto tutto italiano di far ridere non rinunciando a rappresentare in maniera satirica luci e ombre della realtà sociale. Pellicole come “Fumo di Londra” e “Un italiano in America” (quest’ultima a fianco del grande De Sica) rappresentano realtà estere quali l’Inghilterra e gli States spesso troppo idealizzate dal Bel Paese.

A narrarle lo sguardo di un provinciale come tutti noi: incantato e stordito dalle insegne luminose e dal caos delle cities, scoprirà presto che Londra non è più capitale di gentleman in bombetta e il sogno americano di gloria e ricchezza è in realtà un incubo da cui ti svegli presto, pieno di debiti fino al collo e con gli strozzini alle calcagna.

Un italiano in America, locandina. Fonte: raiplay.it

L’eroe di Monicelli

È però la collaborazione con Mario Monicelli a rappresentare in maniera esemplare la splendente parabola comico-drammatica di Sordi. Soffermiamoci su due film celebri.

In  Un eroe dei nostri tempi  (1955) Alberto Sordi è tutt’altro che un eroe, anzi un classico antieroe proprio come lo è il Paperino dei fumetti. Adulatore dei superiori, infantile e petulante, Alberto Menichetti è un impiegato d’azienda che si dimostra vile in qualsiasi situazione quotidiana: sfugge alle botte dei più forti, non prende mai parte agli scioperi e per di più ha la fobia di rimanere incastrato nei fatti di cronaca più gravi.

Sordi che si dà per malato col proprio capo in “Un eroe dei nostri tempi”. Fonte: cristaldifilm.com

Insomma uno che in guerra se la svignerebbe sempre dalla trincea.

Sembra su questa linea un altro grande personaggio interpretato da Albertone, il fante romano Oreste Jacovacci ne La grande Guerra (1959). Il conflitto gli permetterà alla fine di sfoggiare doti di buon cuore e coraggio inaspettate che faranno di lui un vero eroe. È per Sordi la svolta: la sua prova d’attore regge anche in un contesto drammatico. Al suo fianco Vittorio Gassman nei panni del fante Giovanni Busacca, milanese anarchico sprezzante dell’amor patrio, degli ideali bellici e dei suoi commilitoni “da Roma in giù”. Insomma due realtà italiane che Monicelli mette a confronto con pregi e difetti senza far sconti a nessuno.

I due commilitoni Sordi e Gassman ne “La grande guerra”. Fonte: pinterest.it

Perché Sordi rappresenta ancora ognuno di noi?

C’è una comicità d’evasione in cui ci rifuggiamo per sfuggire ai conflitti e alle contraddizioni del quotidiano e c’è una comicità- specchio, che questi conflitti li mette in mostra senza paura. Ognuno di noi si riconosce in una sorta di ritratto buffo e satirico davanti al quale può ridere, ma anche prendere coscienza.

E questa è la comicità di Sordi, attuale come non mai.

Si pensi a Guido Tersilli, il medico della mutua, esempio di una sanità sempre più rivolta al lucro che alla salute dei pazienti. Sanità che – intendiamoci – non esiste soltanto nelle città da Roma in giù! Si pensi poi a Il boom, pellicola del 1963 diretta da De Sica, in cui Sordi interpreta un marito sommerso dai debiti  a causa del tenore di vita da alto-borghese.

Il boom, locandina. Fonte: raicultura.it

“Lei venderebbe un occhio?” si sente rivolgere il protagonista allibito. E’ una domanda che dovremmo trovare in tanti copioni odierni che si vantano di trattare temi politici e impegnati con la stessa franchezza e dove la parola “crisi economica” fa da padrone. Ma sono cambiati i tempi: manca quella disinvoltura, quella fantasia, quello sguardo attento al reale privo di buonismo, mancano i grandi registi della commedia all’italiana. Manca una maschera dalla risata amara. Manca un comico come Alberto Sordi!

 

Angelica Rocca

“Vicolo strittu cabaret”: comicità a Messina

Sabato 4 Maggio è andato in scena alla Sala Laudamo del teatro Vittorio Emanuele di Messina lo spettacolo dal titolo “Vicolo Strittu Cabaret”, condotto da Denny Napoli con il direttore artistico Elio Briguglio.

Protagonisti diversi comici rappresentativi dello “stretto”, che hanno affrontato con leggerezza e ironia diverse tematiche, anche forti, riguardanti la nostra terra e i tempi odierni.

La realtà negli ospedali psichiatrici, interpretata dal trio “U triulu”la mafia dal giovane comico Giuseppe La Malfa, in arte Vito, esordiente e per la prima volta debuttante; Le app inutili e i quizzoni televisivi dal “Duo Moka”; la routine stressante dei commessi da Roberto Pizzo; apprendimento di una lingua inglese da Pepo; Bernardino, personaggio siciliano ed eterno bambino che anche da adulto ne combina di tutti i colori è stato il ruolo di Cosimo Briguglio; la scienziata Francesca Munaò ha spiegato la nuova specie animale U zallu missinisi, e il comico intrattenitore Cris ha fatto ballare il pubblico.

Dietro le quinte intervistando i comici

Dopo lo spettacolo, alcune domande di approfondimento al presentatore e ai comici erano d’obbligo.

A Denny Napoli è stato chiesto:

Com’è nato Vicolo Strittu?

È nato perché molti pensano che a Messina non c’è nenti, invece secondo me c’è gente che ha voglia di fare. Io faccio il comico ormai da anni, e andavo fuori Messina per mettermi alla prova e imparare. Sono stato a Palermo e in giro per l’Italia. A Messina abbiamo pensato di creare questo contenitore di comici messinesi, per dare questa possibilità a coloro che avevano voglia di esibirsi, di mettersi in gioco, di fare. Tutti i comici che vedi qui, è gente che diceva: “vorrei fare il comico, ma non so cosa fare”. Eppure sono riusciti a costruire assieme a noi questi pezzi.

Da quanto tempo siete in gruppo? 

Il primo spettacolo si è tenuto a dicembre. Questa è la quarta uscita che facciamo. Il nostro diventerà un appuntamento fisso mensile qui nella sala Laudamo, e poi quest’estate saremo in giro per le Piazze.

Seguono quattro chiacchiere con i comici:

Perché lo fate?

U triulu risponde citando Vittorio Gassman:  non si recita per guadagnarsi il pane…

Si recita per mentire, per smentirsi, per essere diversi da quello che si è.

Si recitano parti di eroi perché si è dei vigliacchi,

si recitano parti di santi perché si è delle carogne,

si recita perché si è dei bugiardi fin dalla nascita

e soprattutto si recita perché si diventerebbe pazzi non recitando..

Cris, giovane comico, risponde: perché è l’unica cosa che ci fa stare con il pubblico, che ci fa ridere, e fa ridere anche il pubblico. È bello soprattutto quello che riceviamo noi dal pubblico, quello che ci arriva. Il loro calore e il supporto costante. Ci fermano e ci dicono “Che bello, è stato divertente, com’era quella battuta?” Significa trasmettere qualcosa alla gente che vuole liberarsi dei problemi della vita per esorcizzarli.

Cosimo Briguglio, nelle vesti di Bernardino, risponde:

Il nostro motto è “A vita è ridiri”, soprattutto quando non c’è niente da ridere. Se uno supera le cose con la risata, supera tutto.

Il duo Moka

Raccontateci un po’… come avete iniziato a far i comici?

Pepo risponde: tutto è nato anni fa, quando ho fatto lo stage per Valtur, come animatore di contatto. C’è stato un esaminando che si chiama Terenzio, che lavorava per Zelig che mi disse: “tu sei un personaggio, già di tuo, dovresti continuare su questa strada perché è il tuo mondo”. Poi entrarono in gioco vari fattori della vita comune di tutti i giorni. Dovevo portare il mangiare a casa e ho dovuto interrompere il Cabaret, però ho fatto sempre qualcosa nell’ambito dello spettacolo, fino a quando non c’è stata la possibilità di ricominciare e l’ho colta al volo.

Il duo Moka risponde: ci siamo laureati al DAMS di Messina da grandi. Abbiano iniziato da giovani nei villaggi turistici.

Al duo Moka: come vi siete incontrati? Come avete formato questo duo?

Ci siamo incontrati in un villaggio. Siamo amici anche nella vita e ci conosciamo dal 1996.

Com’è nato il nome “Moka”? 

Per tenere sveglio il pubblico, come il caffè! I nostri nomi d’arte sono Mollica, per essere buono come il pane, e Carmelo. Abbiamo fuso i due nomi d’arte. Un acronimo, insomma. Abbiamo anche una trasmissione che partirà adesso su Radio DOC, radio di Capo d’Orlando: si tratta di una sorta di talent radiofonico, di cui non possiamo ancora svelare il titolo. Abbiamo anche lavorato ad un evento denominato Emergenza Musica per gruppi emergenti.

A Bernardino è stato chiesto:

Chi sei?

Io sono Cosimo Briguglio, presidente di un’associazione teatrale che si chiama Verba Volant, che ha una tradizione trentennale. Oltre a far teatro ci occupiamo di fare Cabaret. Abbiamo ritagliato il personaggio di Bernardino, e attorno a lui costruiamo tante scenette Oggi ero solo, ma spesso vengo accompagnato a turno dalle persone della mia compagnia. Organizziamo anche cene con delitto, cose nuove nella nostra zona, molto belle e molto partecipate.

Com’è nato il personaggio di Bernardino?

Bernardino è stato estratto da una commedia napoletana (Ce pensa Mammà) di Luigi Di Mario. Abbiamo estrapolato questo personaggio che è piaciuto tanto e l’abbiamo reso un po’ alla Giufà, che ne combina di tutti i colori. Oggi avete visto solo la presentazione di Bernardino, ma Bernardino lavora, lo licenziano, si innamora. Abbiamo fatto tre spettacoli: “Le disavventure di Bernardino 1”; “Le disavventure di Bernardino 2″; ” Le disavventure di Bernardino 3″.

Quale messaggio volete trasmettere al vostro pubblico attraverso i vostri sketch?

Il duo Moka risponde: noi siamo convinti  che se tutti ridono un po’ di più, il mondo è migliore,partiamo. Lo diceva anche Charlie Chaplin. Trasmettere un’ottica ottimista è sempre un messaggio positivo. Al posto di litigare è meglio ridere! Noi facciamo la nostra parte. Poi se tutti fanno la loro, insieme esce qualcosa di grandioso. “Tante formiche riescono a smuovere le montagne” diceva Johnny Dorelli, in “Aggiungi un posto a tavola”.

Denny risponde: la voglia che chi vuole, può fare. Si può creare qualunque cosa, se uno ha voglia, pazienza e tempo.

Il giovane Pepo risponde: a volte non bisogna mai programmare troppo il futuro, perché tutto può cambiare da un momento all’altro, com’è successo a me con il Cabaret. Ho mandato la mia candidatura e ho pensato che non mi avrebbero mai chiamato, e invece il giorno seguente mi hanno chiamato immediatamente.

Progetti per il futuro?

Pepo risponde: migliorare sempre di più! Non bisogna mai star fermi o cullarsi sugli allori. Ciò che ci riserverà il futuro, lo prenderemo.

Sognate di diventare famosi? Di andare in tv?

Non ci facciamo troppi castelli in aria sul diventare famosi, perché poi non si realizzano. Se qualcuno ci guarda  e avverrà bene, lo speriamo!

 

Daniela Cannistrà