Figli del silenzio, voci del mondo: alla scoperta dei CODA

Immaginate una vita, anzi un’infanzia che inizia con gesti eloquenti, dove la lingua principale non suona, ma danza nell’aria. Un mondo in cui le mani narrano emozioni, storie e costruiscono un rapporto, quello naturale e speciale, tra genitori e figli.

Questo è il mondo in cui nascono e crescono i CODA (Children of Deaf Adults), acronimo che rappresenta una categoria unica e affascinante, quella della cultura sorda. Sono i figli udenti di genitori sordi, che crescono in un ambiente in cui coesistono la lingua dei segni e la lingua vocale, la cultura sorda e quella udente. Non solo semplicemente degli interpreti precoci. I CODA appartengono al crocevia di due mondi linguistici e sociali, che forgia un’identità a sé stante, ricca e sfaccettata.

Spesso bilingue, i CODA hanno una doppia appartenenza, che offre opportunità straordinarie. Non mancano le sfide complesse, che li rendono un tema di studio sempre più rilevante nei campi della linguistica, della sociologia e dell’educazione.

La nascita di un’identità

Il termine è stato introdotto nel 1983 da Millie Brother, lei stessa una CODA e fondatrice dell’organizzazione CODA International.

L’acronimo, che abbraccia una cultura sempre in bilico fra due lingue e due mondi, nasce dalla necessità della Brother di adottare un termine che riconoscesse un’esperienza unica.

Nel luglio del 2019, in occasione della conferenza annuale e internazionale dei CODA provenienti da ogni parte del mondo, l’associazione CODA Italia ha avuto l’opportunità di intervistare la fondatrice, che ha spiegato come la scelta dell’acronimo “CODA” non fu casuale.

“Quando ero piccola mi piaceva suonare il violino, mia madre mi sosteneva tantissimo e mi spronava a studiare musica. Studiando e osservando i simboli della musica mi sono accorta che da una battuta musicale ad un’altra c’erano dei simboli che univano le due battute. Riflettendo su questi simboli di unione ho pensato che noi eravamo come quei simboli, un’unione tra i due mondi. Da quel pensiero è nato l’acronimo CODA”.

Una metafora che si rivelò particolarmente azzeccata: individui che crescono all’interno della “melodia” della cultura sorda, ma che, essendo udenti, hanno anche un ruolo distinto e una prospettiva unica nel “brano” della società più ampia.

 

La fondazione CODA International

La fondazione di CODA International segnò un momento cruciale. Per la prima volta, esisteva un’organizzazione dedicata specificamente ai loro bisogni e alle loro esperienze.

I primi anni furono dedicati alla creazione di una rete di supporto, all’organizzazione di conferenze annuali che divennero un importante punto di incontro per i CODA di tutto il mondo, e alla sensibilizzazione sull’esistenza e sulle peculiarità di questa comunità.

Con la sua ricerca,  condotta alla Gallaudet University, Millie Brother dimostrò che circa il 90% dei figli nati da genitori sordi erano udenti.

Oggi CODA International conta tantissimi iscritti, costruendo una rete di conoscenze in giro per il mondo con le varie sedi (tra cui quella italiana, a Roma) e, soprattutto, creando quello che poi è diventato un legame familiare e globale, un posto dove sentirsi sempre a casa.

Di seguito, l’obiettivo dell’organizzazione esplicitato sul loro sito:

«CODA celebrates the unique heritage and multicultural identities of adult hearing individuals
with deaf parent(s)»

(CODA celebra il patrimonio unico e le identità multiculturali di persone udenti con genitori sordi)
CODA International

 

L’infanzia dei CODA tra due mondi

Sebbene non tutti i CODA abbiano esperienze identiche, convivono alcuni tratti distintivi, tra cui un bilinguismo naturale e una doppia identità culturale.

Ci sono bambini che si ritrovano a spiegare le dinamiche del mondo udente ai genitori e viceversa, talvolta traducendo argomenti tipici degli adulti.

Questa responsabilità precoce come mediatori culturali può portare a una maturità anticipata e a una profonda comprensione di diverse prospettive. Ciò può anche generare un senso di peso e la necessità di trovare un equilibrio tra il desiderio di aiutare e il bisogno di vivere la propria infanzia.

Essere CODA significa spesso sentirsi parte di due mondi, ma a volte non completamente integrati in nessuno dei due. Possono sentirsi troppo udenti nella comunità sorda e troppo legati al silenzio nel mondo udente.

Proprio da questa peculiare posizione emerge spesso un forte senso di appartenenza alla comunità CODA. Condividere esperienze simili porta alla formazione di una vera e propria terza cultura, un’identità ibrida che celebra la ricchezza di entrambi i mondi e sviluppa norme, valori e un umorismo propri.

 

La famiglia Bélier e il silenzio della musica

Nel 2014, ha incantato il grande schermo francese e non solo, raccontando la sordità nel modo più dolce e diretto possibile.

La famiglia Bélier ha per protagonista una famiglia in cui mamma, papà e fratello sono sordi. Paula, adolescente, è l’unica udente, punto di riferimento della sua famiglia, quindi una CODA. La trama si snoda attraverso le sue responsabilità quotidiane di interprete, le dinamiche affettuose ma a volte complesse con i genitori e il fratello, e il suo desiderio di inseguire la passione per la musica, che la allontana dal suo ruolo familiare.

Paula, con la sua voce, riuscirà a toccare il cuore e il silenzio della sua famiglia.

Il film cattura con sensibilità il peso delle aspettative, il senso di lealtà e il conflitto interiore tra il desiderio di autonomia e l’amore per la propria famiglia. Attraverso le interpretazioni toccanti e le scene che mostrano la comunicazione in Lingua dei Segni, lo spettatore è condotto a percepire sia la bellezza che le frustrazioni di questo singolare contesto familiare, suscitando riflessioni sul ruolo della comunicazione, sull’importanza del sostegno e sulla difficile ricerca del proprio posto nel mondo, pur rimanendo legati alle proprie radici.

In conclusione, i CODA sono molto più che semplici figli di sordi. Essi incarnano una cultura ricca e sfaccettata, nata dall’incontro tra il mondo del silenzio e quello del suono.

Se La famiglia Bélier ha acceso una luce su una parte della loro esperienza, è fondamentale andare oltre per apprezzare appieno la complessità, la resilienza e la preziosa prospettiva che i CODA apportano al tessuto multiculturale della nostra società.

Riconoscere e valorizzare questa cultura significa celebrare una forma unica di identità e la straordinaria capacità umana di comunicare e connettersi in modi diversi e profondi.

Fonti:

CODA – Chi sono e che cosa significa vivere in una famiglia di sordi

https://evodeaf.com/glossario/figli-di-adulti-sordi-codas/

Cos’è la “CULTURA CODA” e come si relaziona con la cultura dei sordi?

Intervista a Millie Brother

Elisa Guarnera

Dagli studenti per gli studenti: quali sono i meccanismi di trasmissione nei batteri?

I batteri sono microrganismi unicellulari, aploidi, in grado di riprodursi autonomamente nell’ambiente e anche in vari tessuti del corpo umano; vengono utilizzati per questo nei laboratori.

Indice dei contenuti

  1. Cosa sono i batteri?
  2. Meccanismi di trasmissione?
  3. La riproduzione dei batteriofagi
  4. Come si replicano i batteriofagi nei batteri?
  5. I fagi si replicano: tramite un ciclo litico e un ciclo lisogenico

Cosa sono i batteri?

Sono organismi aploidi, unicellulari e si riproducono asessualmente. Vengono utilizzati in laboratorio tramite delle soluzioni solide o liquide, definite terreni di coltura contenenti sostanze nutritive su cui è possibile crescere cellule eucariote e procariote.
I terreni di coltura liquidi sono composti da un recipiente contenente una quantità di soluzione acquosa, in cui sono disciolti i nutrienti e altre sostanze necessarie. Nel liquido viene inoculato lo starter e, se tutto il procedimento viene fatto in maniera corretta, si osserverà lo sviluppo della coltura. I terreni di coltura solidi invece, sono substrati duri, costituiti da una base di acqua a cui sono aggiunti nutrienti e altri composti per la solidificazione.

Batterio nelle sue sezioni. Fonte

Meccanismi di trasmissione

I batteri vengono infettati da un fago virulento, cioè che contiene nel suo organismo un virus. Il virus è un complesso parassita intracellulare obbligato, capace di vivere e riprodursi solo all’interno di cellule viventi. Contengono solo parte dell’informazione genetica necessaria per la loro moltiplicazione. Il loro acido nucleico, DNA o RNA virale, codifica solo le proteine strutturali e alcuni enzimi necessari per la replicazione del materiale genetico.
I batteri vengono infettati da virus specializzati definiti batteriofagi, questi presentano una testa proteica, definita capside, che custodisce e protegge il materiale genetico; una coda di lunghezza variabile, costituita da un tubo cavo in cui passa il materiale genetico e da delle fibre terminali associate alla coda, che circondano delle zampe e che servono per riconoscere e ancorarsi alla superficie batterica. La coda e le fibre formano un iniettosoma, cioè l’apparato che dapprima trivella la superficie batterica, per poi iniettare all’interno del batterio il materiale genetico come una siringa.

Virus batteriofago nelle sue parti. Fonte

La riproduzione dei batteriofagi

Come si replicano i batteriofagi all’interno dei batteri? Possono infettare solo un tipo o una famiglia di batteri, questo perché i batteriofagi riconoscono solamente le strutture uniche del suo target batterico tramite, di solito, la punta della coda. Quando questa interazione è produttiva e corretta si innescano una serie di eventi che culminano nell’iniezione del genoma fagico all’interno del batterio predato.

I fagi si replicano tramite: un ciclo litico e un ciclo lisogenico

Quando parliamo di ciclo litico intendiamo che la riproduzione del fago avviene immediatamente; il virus va a legarsi ad un batterio e va ad iniettare il proprio acido nucleico, prendendo il controllo dell’attività metabolica della cellula ospite; successivamente le cellule ospiti del virus vanno incontro a lisi liberando i fagi di nuova generazione.
Invece, per quanto riguarda il ciclo lisogenico, posticipa la riproduzione inserendo il proprio codice genetico nel genoma della cellula ospite, così che il batterio infettato non vada incontro a lisi e ospiti nel proprio genoma l’acido nucleico virale.
Nel caso in cui non siano, più presenti, le condizioni ottimali per la riproduzione virale, il virus svolgerà il ciclo litico.

Raffigurazione del ciclo litico e lisogenico. Fonte

 

Sofia Musca

Bibliografia
https://www.issalute.it/index.php/la-salute-dalla-a-alla-z-menu/v/virus-e-batteri#:~:text=I%20batteri%20sono%20dei%20microrganismi,vari%20tessuti%20del%20corpo%20umano.

https://www.my-personaltrainer.it/salute/batteri-genetica.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Terreno_di_coltura

https://www.chimica-online.it/biologia/terreni-di-coltura.htm

https://www.my-personaltrainer.it/salute/virus.html#167791

Batteriofagi: introduzione ai virus che infettano i batteri

Coda – I segni del cuore meritava di vincere gli Oscar?

Un film che parla della disabilità, proiettando allo spettatore ciò che provano i sordomuti. Voto UVM: 4/5

La notte degli Oscar si è conclusa qualche giorno fa: una serata magica tra abiti da sogno e “scene epiche”. Tutti erano incollati davanti alla televisione per assistere alle premiazioni, tra chi si è addormentato prima del finale, e chi è rimasto sveglio per vedere uno degli eventi mondani più attesi dell’anno.

L’Oscar per il miglior film e quello per “miglior sceneggiatura non originale” sono stati vinti da CODA – I segni del cuore, diretto dalla regista Sian Heder, arrivato nei nostri cinema ieri, 31 marzo, e disponibile su NOW e Sky Tv.

Un momento storico: è il primo film che trionfa con un cast composto da ben tre sordomuti, tra cui Troy Kotsur, che si è portato a casa la statuetta di “miglior attore non protagonista”, divenendo il primo attore sordomuto a vincere l’ambito premio.

Il cast di “CODA” sul palco degli Oscar. Fonte:StyleCorriere

Di cosa parla?

“Non posso restare con voi per il resto della mia vita!”

Nella cittadina di Gloucester, nel Massachusetts, troviamo la famiglia Rossi, un nucleo familiare abbastanza particolare,  composto da tre persone sordomute: il padre Frank (Troy Kotusur), la madre Jackie (Marlee Matlin) e il fratello maggiore Leo (Daniel Durant), mentre l’unica udente è la figlia Ruby (Emilia Jones) .

Ruby fin da piccola ha sempre aiutato la sua famiglia con la pesca e facendo loro da “uditrice”. Terminato il liceo, Ruby ha già deciso che svolgerà l’attività dei suoi familiari in modo permanente, perché non vuole lasciarli soli, perché sa che dipendono da lei in quanto l’unica udente.

La protagonista però ha una passione: quella del canto. Già a inizio film possiamo ascoltare la sua voce, mentre aiuta suo padre e suo fratello a lavoro. Nessuno dei due può sentirla, sono lì soli e attorno a loro c’è solo silenzio: i rumori delle onde del mare, i versi dei gabbiani non sanno cosa sono, così come la voce di Ruby. La ragazza sogna una carriera canora e perciò entra a far parte del coro della scuola dove incontra il maestro Bernardo (Eugenio Derbez). Quest’ultimo vedrà in Ruby qualcosa di magico, la aiuterà a migliorare nel canto e la spingerà verso questo mondo. Ma davanti alla protagonista si porranno due domande: abbandonare la famiglia? O proseguire verso un futuro diverso, lontano da loro?

Meritava l’Oscar?

A mio parere no. Coda – I segni del cuore ha vinto l’Oscar per un semplice motivo: perché emoziona. Guardando il film però non notiamo una trama completamente originale, ma ci vengono spesso riproposti i tipici stereotipi americani. Come quello della classica ragazza bullizzata da tutti che poi avrà la sua rivincita. La fotografia dai toni sdolcinati fa perdere punti all’opera, divenendo sinonimo di “banalità”: a primo impatto le scene sembrano uscite da qualche telenovela strappalacrime.

Il film ha funzionato per via del cast eccezionale: il lavoro svolto da Troy Kotsur è a dir poco sublime, mi sono commossa e divertita a guardare il suo personaggio, entrando in empatia con lui.

Ha funzionato perché la regista ha portato una storia di una disabilità, che ancora non comprendiamo del tutto perché spesso ci dimentichiamo che le persone che la vivono si sentono diverse dagli altri. Il paradosso in questo film è che sono proprio Frank, Jackie e Leo ad ascoltare e osservare tutti, mentre loro sono isolati.

C’è una scena in cui le musiche, i suoni e le voci scompaiono, e lo spettatore quasi si chiede se ci sia qualche problema con le casse o se il volume si sia abbassato da solo, ma non è così! La regista infatti abbassa i suoni di proposito, per far sentire la paura che può provocare il silenzio, mentre intorno a te tutti sorridono e parlano.

Da sinistra: Leo, Jackie e Frank mentre guardano Ruby cantare al concerto del coro della scuola. Fonte: Eagle Pictures

Nonostante alcuni cliché, il film mi ha fatto ridere e versare qualche lacrima. «Ogni famiglia ha il suo linguaggio» e il mio applauso va con la scrittura e nel linguaggio dei segni a questa famiglia.

Alessia Orsa