La dieta del secchione: soddisfatti o rimandati

Ringrazio i pochi che, dopo questo incipit, non hanno ancora chiuso tutto e mandato a quel paese me e questo articolo. Ma c’è poco da fare, inutile far finta di niente, è ora di mettersi sotto. Fuori dalla finestra della camera di ogni studente, l’estate farà man mano il suo ingresso, le belle giornate saranno una costante, il sole, il mare, le granite… tutto fuori dalla finestra, perché tu sarai dentro a studiare.

La ricetta per affrontare al meglio un esame sta tutta nella preparazione, con un pizzico di fattore C (di fortuna). Se sul fattore C è vero che non abbiamo potere, possiamo fare qualcosa invece sulla preparazione. Tuttavia spesso si trascorre ore ed ore sui libri, senza però che si impari realmente ciò che si legge. Questo accade perché la volontà di studiare, seppur forte, non riesce a far funzionare correttamente quei meccanismi neurali atti alla comprensione e memorizzazione di un argomento. Per far questo c’è bisogno che l’organismo sia recettivo e concentrato sugli stimoli che gli si propongono. Semplice a dirsi, un’impresa storica a farsi, lo so. La scienza però ci corre in aiuto, sa che proprio noi, studenti sotto esame disperati, abbiamo bisogno di qualche “trucchetto” per rendere al meglio nel momento giusto. Esistono alcuni alimenti e qualche accorgimento che può davvero fare la differenza tra una giornata di studio persa ed una proficua. Ecco cinque consigli (più uno extra) che possono influire sulla qualità dello studio.

1) Il caffè fa bene (il giusto)

Croce e delizia di tutti gli studenti universitari, il caffè rappresenta l’alimento più consumato durante le lezioni, e non solo. Il caffè, d’altronde, è la bevanda più bevuta in Italia (il 97% degli italiani beve quotidianamente caffè), sia per il suo inconfondibile aroma, sia, e soprattutto, per l’effetto psicoattivo della caffeina. Da questo fronte ci sono buone notizie!

Una dose di caffeina di 200-400 milligrammi, l’equivalente di circa due tazzine e mezza di caffè espresso, migliora le prestazioni mnemoniche. E’ questo il risultato di una ricerca pubblicata su Nature Neuroscienze che dimostra per la prima volta un effetto specifico della sostanza sul processo di consolidamento dei ricordi. Nello studio, i soggetti, tutti di età compresa tra 18 e 30 anni non abituali consumatori di caffè, dovevano visualizzare su uno schermo una serie di oggetti e poi assumere 200 milligrammi di caffeina (due tazzine di espresso). A 24 ore di distanza ogni volontario doveva riconoscere gli stessi oggetti. Dall’analisi statistica delle risposte, è emersa una notevole differenza tra i soggetti che avevano assunto caffeina e quelli che avevano assunto il placebo: i primi dimostravano di riuscire a riconoscere con maggiore frequenza gli oggetti simili a quelli del giorno prima. Chi aveva assunto placebo infatti ricorreva più spesso nell’errore di riconoscere come “già visti” oggetti che in realtà erano solo simili ai precedenti.

E quante volte, stanchi e assonnati, abbiamo sentito la necessità di prendere un caffè, praticamente tutti i giorni. Questo aumento inconsapevole del consumo di caffè, e quindi caffeina, nelle persone sottoposte a stress, è legato alla capacità di questa sostanza di prevenire diverse alterazioni cerebrali, specie nell’ippocampo (struttura importante per la memoria), indotte proprio dallo stress. I ricercatori hanno studiato i principali recettori neuronali su cui agisce la caffeina, quelli dell’adenosina, cui si lega a essi e li blocca. Un gruppo di topi è stato trattato con un inibitore di questo recettore, e poi sottoposto a stress così come un altro gruppo di topi con recettore normali. Il primo gruppo ha mostrato comportamenti meno alterati e una conservazione della memoria migliore rispetto ai topi del gruppo di controllo, con la sola eccezione di un livello di ansia leggermente più alto nei topi che assumevano caffeina.
Ciò fa ipotizzare, concludono i ricercatori, che la maggiore assunzione di caffeina nei soggetti stressati sia in effetti un tentativo inconsapevole di automedicazione.

 Ricordate di non eccedere e di rimanere entro le 2 tazzine al giorno, in quanto l’eccessiva assunzione provoca effetti spiacevoli di nervosismo, tachicardia e gastrite, sindrome nota come “caffeinismo”.

2) Non hai sete? Bevi comunque
Durante le lunghe sessioni di studio spesso ci si dimentica di bere, perché il nostro organismo, grazie a complessi meccanismi, conserva i liquidi senza farci avvertire la sete.
Già in passato la letteratura scientifica aveva suggerito un collegamento fra una forte disidratazione e il calo delle funzioni cognitive. Ora si sa che una condizione di ‘leggera disidratazione’ può essere nociva e renderci meno produttivi.
Alcuni studiosi hanno dimostrato come una perdita di acqua corrispondente a circa il 5% del peso corporeo, può influire sull’attività neurale.
Topi di laboratorio sono stati privati di acqua per 24 o 48 ore, periodo in cui è stata analizzato il flusso sanguigno verso la corteccia neurale. La disidratazione ha innalzato l’osmolarità plasmatica ed i livelli di vasopressina (ormone anti-diuretico), un ormone prodotto per limitare l’eliminazione di liquidi, che è l’artefice delle alterazioni cognitive osservate. E’ diminuito il flusso di sangue alla corteccia durante lo stimolo con attività cognitive, e si è visto come questo sia correlato alla presenza protratta nel tempo di vasopressina. Questa porta a stress ossidativo e stimola il rilascio di endotelina-1 nelle arteriole cerebrali, che ne causa una vasocostrizione.

3) Mangia cioccolato

Il cacao, contenuto principalmente nel cioccolato fondente, può venirci in aiuto più di quanto si immagini. Il cioccolato contiene dei principi attivi stimolanti, tra cui spicca la teobromina, una molecola caffeino-simile. I ben noti effetti stimolanti del cacao sono legati proprio alla presenza di teobromina, che oltre ad essere psicoattiva, ha anche un effetto salutare per il sistema cardio-circolatorio. La teobromina ha effetti psicoattivi più blandi rispetto a quelli della caffeina, ma ne è un perfetto sostituto in quanto ha un effetto minore ma più duraturo. Inoltre la quantità di zuccheri per 100g è adatta alle esigenze di un piccolo calo di attenzione. Infine contiene numerosi flavonoidi, composti dal potere antiossidante.
Il cioccolato inoltre favorisce la produzione di serotonina, un neurotrasmettitore eccitatorio che, se presente in difetto, causa una riduzione patologica dell’umore. Poiché l’assunzione di cioccolato, soprattutto fondente, aumenta la produzione di serotonina, si potrebbe definire uno “antidepressivo naturale”. Tuttavia, se presente in eccesso, la serotonina favorisce la comparsa di emicrania, il peggior nemico dello studente sotto esame.

4) Rinuncia al sale (tranne nelle limonate del chiosco)

Una dieta troppo ricca di sale fa male all’organismo ed è associata ad un aumentato rischio di malattie cardio e neurovascolari e demenza. Uno studio, apparso su Nature Neuroscience, ha mostrato che un eccessivo apporto di sodio compromette le capacità cognitive e ha svelato che ciò accade mediante un sorprendente meccanismo di natura immunitaria che origina nell’intestino. E’ stato visto che il sodio determina un aumento dei linfociti Th17, cellule del sistema immunitario; ciò favorisce il rilascio di una proteina, l’interleuchina 17 (IL-17), da parte dei linfociti.

IL-17 agisce sulle cellule endoteliali cerebrali, che ricoprono la parte interna dei vasi e ne regolano il flusso di sangue tramite la produzione di ossido nitrico, un vasodilatatore. L’aumentata IL-17 in circolo va ad agire proprio lì, alterando così il flusso ematico. Lo studio, condotto sui topi, ha mostrato un miglioramento delle prestazioni cognitive e comportamentali quando dalla dieta è stato eliminato il sale, o quando i piccoli animali sono stati trattati con un anticorpo contro IL-17. Questo farmaco contrasta gli effetti cerebrovascolari e cognitivi della dieta ricca di sale e può aiutare chi soffre di malattie o condizioni associate ad elevati livelli di IL-17, come la sclerosi multipla, malattie infiammatorie croniche intestinali e altre malattie autoimmuni.

 5) Pasti leggeri e regolari

L’effetto del cibo sulle funzioni cognitive e sulle emozioni inizia già prima dell’assunzione, in quanto il sistema visivo e quello olfattivo preparano in anticipo l’organismo al pasto. L’ingestione in sé attiva il rilascio di ormoni come l’insulina, l’ormone simile al glucagone (GLP-1) in circolo; queste sostanze raggiungono l’ippocampo e attivano alcuni processi metabolici che promuovono le attività sinaptiche contribuendo all’apprendimento e alla formazione di nuovi ricordi. Un altro ormone importante in questo asse è la leptina, sintetizzata dal tessuto adiposo per ridurre l’appetito.
Si è visto come la leptina, a livello del sistema nervoso centrale, possa stimolare l’espressione di fattori neurotrofici (BDNF) nell’ipotalamo e nell’ippocampo, che hanno la capacità di favorire l’apprendimento e la memoria. Infine il fattore insulino-simile (IGF1) è prodotto dal fegato e dai muscoli scheletrici in risposta a stimoli prodotti dal metabolismo e dall’esercizio fisico. IGF1 stimola la crescita dei nervi, la differenziazione e la sintesi ed il rilascio dei neurotrasmettitori. La dieta, di concerto all’esercizio fisico, specie quello aerobico, ha effetti positivi nelle funzioni cognitive.
Se mangiare spesso stimola questi ormoni neurotrofici, al contempo bisogna evitare le abbuffate, cibi fritti e ricchi di grasso che impegnano il nostro organismo in lunghe e dispendiose digestioni, che causano il cosiddetto “abbiocco” post-pranzo, e ci offuscano la mente.

6) Il nutrimento più importante…lo studio

Quindi studiate e in bocca al lupo.

Antonio Nuccio

Al latte o fondente? Adesso il “de gustibus” vale anche per la scienza

Nel corso della vostra esistenza scommetto che avrete sentito, almeno una volta, che il cioccolato
fondente sia più salutare del cioccolato al latte. E magari, giusto per essere sempre
anticonformisti, preferite comunque il tipo più dolce rispetto a quello amaro. Allora sì, significa che
vi state perdendo gli effetti benefici che cioccolato fondente ha sul cuore. Ma non disperate, le
cose potrebbero essere cambiate!                                                                                                                                                                                      

I ricercatori hanno appena capito come dare al cioccolato al latte lo stesso effetto salutare di
quello amaro. Lo hanno fatto aggiungendo un ingrediente sorprendente e, notizia ancora più
grandiosa, il processo previsto non va ad alterare in nessun modo il gusto!

Premesso che nessuno dovrebbe mangiare quantità industriali di cioccolato pensando di
mantenersi in buona salute – il cioccolato, dopo tutto, di solito contiene anche grassi e zuccheri;
tuttavia, quello fondente possiede anche alcune sostanze chimiche che sono state collegate alla
salute del cuore. Conosciute come antiossidanti, queste molecole si presentano in molti frutti,
nella verdura e nelle noci.

Gli antiossidanti possono neutralizzare gli effetti dannosi conseguenti le reazioni di ossidazione
che avvengono costantemente nel nostro corpo. Oggi è ampiamente dimostrato il nesso tra il
carico di ossidazione e diverse condizioni fisiologiche (= l’invecchiamento cellulare) e patologiche,
tra cui il cancro e le malattie cardiache.

Tutto il cioccolato è fatto con semi di cacao, che contengono antiossidanti. Per produrre
cioccolato, i semi vengono scomposti in solidi di cacao e un tipo di grasso chiamato burro di
cacao. Rimettendo insieme queste due parti si ottiene il cioccolato non zuccherato, che non ha un
gran sapore, in realtà. La successiva aggiunta di zucchero produce il più gustoso, anche se
ancora un po’ amaro, cioccolato fondente.

Il cioccolato al latte contiene solidi di cacao e burro di cacao. Tuttavia, ha più zucchero del
cioccolato fondente. Presenta, ancora, l’aggiunta di latte o crema che lo rendono più chiaro e più
tenero. Ma grammo per grammo (o oncia per oncia), il cioccolato al latte così ottenuto contiene
meno cacao del cioccolato fondente. Ciò significa che ha anche meno antiossidanti.

Eppure gli scienziati non possono semplicemente aggiungere antiossidanti per rendere il
cioccolato al latte più sano, quantomeno, non senza comprometterne il gusto. Dopotutto, queste
sostanze chimiche hanno un sapore aspro. “Ti lasciano l’amaro in bocca”, spiega Lisa L. Dean,
co-autrice del nuovo studio. Dean lavora per il Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti presso
la North Carolina State University di Raleigh.

Dean e la sua squadra di ricerca riferiscono di aver trovato un modo per rabboccare di
antiossidanti il cioccolato al latte – senza renderlo amaro. Il loro ingrediente segreto? Estratto di
pelle di arachidi. (Un estratto è una sostanza, spesso in forma concentrata, che è stata rimossa
dalla sua fonte naturale). Lei e i suoi colleghi hanno descritto la loro nuova ricetta di cioccolato sul
Journal of Food Science del mese di novembre.

Non è un’idea così pazza.

Effettivamente, i ricercatori non stavano cercando di preparare un cioccolato al latte più sano.
Stavano solo pensando ad un modo per usare le pelli di arachidi. La maggior parte delle
noccioline negli Stati Uniti vengono impiegate per la produzione del burro di arachidi. Le loro pelli
finiscono sepolte come rifiuti nelle discariche. Ricorda Dean: “Ci siamo chiesti, cosa possiamo
fare con tutto questo spreco di cibo?” Lei e il suo team hanno deciso di estrarre gli
antiossidanti dalle bucce. Quindi, per mascherare il gusto amaro dell’antiossidante,
mescolavano gli estratti di pelli di arachidi con una polvere commestibile, chiamata
maltodestrina. Quest’ultima si ricava da cibi ricchi di amido come patate, riso o grano. Con un
sapore leggermente dolce, la maltodestrina è un ingrediente comune in alcuni alimenti come
patatine e condimenti per insalate.

Quindi preparata la miscela, è stato possibile aggiungerla al cioccolato al latte, in modo tale da
arricchirlo dello stesso potere antiossidante del cioccolato fondente, lasciando inalterato il gusto.
Per sicurezza, il team ha chiesto a 100 volontari di assaggiare tre pezzi di cioccolato al latte. Solo
un pezzo su tre conteneva l’estratto di pelli di arachidi con la maltodestrina.

Otto su dieci non hanno percepito alcuni differenza nel gusto. Il restante 20 % ha riferito un
retrogusto d’amarezza (ahah!) e nell’analisi rappresentano la frazione di popolazione definita dagli
scienziati “super-testante”. Si tratta di persone particolarmente sensibili ai gusti amari. Ad ogni
modo, la verifica statistica dimostra che solo una minoranza di persone sarebbe capace di notare
o meno l’aggiunta di antiossidanti.

Suzanne Johanningsmeier studia scienze alimentari per l’USDA al North Carolina State, ma non
è stata coinvolta in questo studio, tuttavia ha osservato che circa 100 milioni di libbre di pelli di
arachidi vengono buttate via ogni anno. La nuova ricerca, pertanto, secondo la studiosa,
potrebbe: “ridurre lo spreco di cibo usando le pelli di arachidi per creare un nuovo ingrediente
alimentare che sia anche salutare”.

Una ricerca senz’altro curiosa, della serie, quello che hai è quello che hai, quello che fai con
quello che hai è più interessante!

Sarà che è vero.

                                                                                                                                                        Ivana Bringheli