La Dea Fortuna: il film che conferma in pieno lo stile del regista Ferzan Ozpetek

Fonte: MyMovies

Proiettato nelle sale a fine 2019 e con diverse nomination ai “Nastri d’argento”, La dea fortuna rappresenta l’ultima fatica cinematografica del regista Italo turco Ferzan Ozpetek.

La trama

Protagonisti della storia, ambientata a Roma, sono Alessandro (Edoardo Leo) e Arturo (Stefano Accorsi). Entrambi hanno una relazione stabile e convivono da molti anni. Arturo, l’intellettuale della coppia, in attesa di un miglior impiego si occupa di traduzioni di opere letterarie, mentre Alessandro è un idraulico. La normale routine della coppia, che oscilla tra i piccoli problemi della quotidianità e i ritrovi con gli amici di quartiere, viene quasi sconvolta dall’arrivo di Annamaria (Jasmine Trinca), una vecchia amica di Alessandro, con i suoi due figli. Annamaria si fermerà a Roma e affiderà temporaneamente i figli alla coppia.

Fonte: Artwave

Tematiche affrontate dal regista

Come in molti altri film di Ozpetek, anche ne “La dea fortuna” la sceneggiatura si concentra su una relazione omosessuale quale quella di Alessandro e Arturo. Chi conosce bene il regista sa che questo è stato molte volte un trend topic di molti suoi film di successo e apprezzati dalla critica.

I due protagonisti è come se quasi improvvisamente diventassero genitori. Forse in modo indiretto o forse invece in modo del tutto evidente, l’intento del regista stavolta non è stato quello di concentrarsi sulle problematiche  comuni ad ogni relazione sentimentale sia essa etero o gay, bensì affrontare un tema molto discusso quale quello dell’omogenitorialitá, e ancora di più riuscire ad affrontarlo in modo del tutto naturale. Infatti, nessuno guardando “La dea fortuna” si sentirebbe in grado di dire cosa sia giusto o sbagliato, insomma di prendere posizione. Tutto ciò passa in secondo piano grazie all’abilità di Ozpetek di incastrare le vicende della maggior parte dei suoi personaggi e di rappresentare i loro stati d’animo in una maniera tale da non lasciare spazio al pregiudizio.

Fonte: MyMovies

 

Analogie con i precedenti lavori

Conoscendo i precedenti lavori del regista non si può fare a meno di notare parecchie analogie soprattutto con uno dei suoi film, “Le fate ignoranti” (2001). Similitudini nel cast ma anche nell’ambientazione di molte scene significative.  Dall’appartamento dei protagonisti in cui si ritrovano con i loro “singolari” amici, che abitano nello stesso quartiere o addirittura nello stesso palazzo, alla terrazza in cui si organizzano eventi o si improvvisa qualche festa la sera con un po’ di musica turca per smorzare la tensione della giornata. Stesso spirito di solidarietà e di condivisione.

I figli di Annamaria diventano un po’ figli di tutti, i problemi di Alessandro e Arturo accomunano tutti.

Fonte: Radio Musik

In “La dea fortuna” come ne “Le fate in ignoranti” troviamo pure come protagonista Stefano Accorsi. Presenti in entrambi i lavori anche Serra Yilmaz, nota attrice turca e conosciuta in Italia grazie ai film di Ozpetek, e Filippo Nigro nel ruolo di amici della coppia.

 

Candidature Nastri d’Argento

La pellicola ottiene ben otto nomination alla nota manifestazione cinematografica riuscendo a portare a casa tre Nastri D’Argento, nella categoria miglior attrice protagonista a Jasmine Trinca, miglior cameo dell’anno a Barbara Alberti e migliore colonna sonora a Pasquale Catalano.

 

Sicuramente La dea Fortuna rispetta le aspettative degne di un film di un regista quale Ferzan Ozpetek: infatti, il suo stile non solo non si smentisce, ma ne esce maggiormente rafforzato.

 Ilenia Rocca

 

Il primo Re

Film italiano che sfiora lo stile hollywoodiano. Voto UvM: 4/5

 

 

 

 

 

 

 

 

Con “Il primo re”, il regista Matteo Rovere ha avuto l’ardire di spingersi oltre, addentrandosi in territori  più vicini a quelli della fantascienza.

Snodo narrativo è la vicenda di Romolo e Remo, i due fratelli ai quali racconti mitici e testi storici fanno ricondurre la nascita di Roma nel 753 a.C.

 

 

Rovere si serve della Storia per infondere verità e credibilità ai personaggi e al mondo antico, selvaggio e repellente, che porta in scena.

L’uso del latino e di elementi scenografici aderenti alla realtà storica sono da intendersi come dettagli fondamentali per una messinscena che punta tutto il suo potenziale espressivo sull’immersione dello spettatore.

E Il primo re non si limita certo alla superficie del mondo che rappresenta; non è, cioè, un kolossal storico tradizionalista.

Il regista romano scomoda il passato per ripensare al presente, senza confinare la pellicola all’appartenenza ad un contesto temporale limitato dal ricordo storico.

 

 

“Il primo re” rappresenta il conflitto spirituale tra Romolo e Remo, rispettivamente l’uomo pio e rispettoso ed il rivoluzionario.

Accanto, trovano spazio anche spunti non meno significativi, come l’inscindibile rapporto tra uomo e natura o l’espressione di un istinto di sopravvivenza naturale nell’uomo.

Ci sono la furia e la veemenza visiva di The Revenant, la violenza brutale dell’uomo sull’uomo di Apocalypto, tutto focalizzato su una linea narrativa molto semplice di un fratello che ne protegge un altro in difficoltà mentre tutto il mondo complotta per dividerli perché “così vogliono gli dei”.

L’arte cinematografica italiana con “Il primo re” torna su parametri hollywoodiani, senza sforzi economici o imitativi, ma con l’efficacia comunicativa caratteristica di un lavoro brillante, firmato Matteo Rovere.

 

Antonio Mulone

 

A casa tutti bene

“Io sono cresciuto orfano, a me la famiglia mi sta sul cazzo!”

Cosa succede quando una numerosa e aggrovigliata famiglia si riunisce dopo tanto tempo?
Può un banale festeggiamento di un anniversario mettere fortemente in bilico la tranquillità apparente di così tante persone? E può un luogo così bello e tranquillo da apparire quasi fuori dal tempo, quale un’isola, diventare scenario di tradimenti, litigi, concerti improvvisati e crisi isteriche?
Se dietro la macchina da presa c’è Gabriele Muccino, e sulla scena un cast di attori di un livello indiscutibilmente alto, la risposta è sì, è assolutamente possibile!

Per i loro 50 anni di matrimonio, i due pensionati Alba (Stefania Sandrelli) e Pietro (Ivano Marescotti), che da tempo si sono ormai ritirati a vita privata su di un’isola, decidono di riunire la loro numerosa famiglia per un tranquillo pranzo in casa.
Quando la giornata e i festeggiamenti volgono al termine, tutti si affrettano, decisamente sollevati, a dirigersi verso i traghetti che li riporteranno a casa. Ma il caso, il destino o semplicemente un’immensa sfortuna fanno sì che infuri un tempo talmente brutto da impedire ai traghetti di partire. Nonostante il generale sgomento, a tutti non resta che rassegnarsi ad un inatteso, forzato, breve ma intenso prolungamento del soggiorno. Ed è a questo punto che inizia tutto quello che mai si sarebbero aspettati.

Il cast è eccezionale, Sabrina Impacciatore da prova per l’ennesima volta della sua immensa bravura; unica figlia femmina della coppia, è la classica donna, moglie e madre, che pur essendo sull’orlo di un esaurimento nervoso e pienamente cosciente dei tradimenti del marito, fa finta che tutto vada bene e continua a cantare Jovanotti.

Altrettanto bravo e perfettamente calato nel suo personaggio è Pierfrancesco Favino, altro figlio della coppia, che si ritrova diviso tra la vecchia e la nuova famiglia; lì entrambe le donne sono presenti, la ex Valeria Solarino e l’attuale, Carolina Crescentini, bravissima a interpretare la moglie isterica possessiva e con evidenti crisi di inferiorità che passa dal chiedere “perché non mi fai sentire amata?” a “perché non mi scopi più spesso?“.
Terzo e ultimo figlio della coppia è Stefano Accorsi, eterno Peter Pan, scrittore, che di ritorno da un viaggio in bicicletta decide di aprire le danze del caos generale che si andrà poi creando, portandosi a letto la cugina. Ma, vuoi la banalità delle affermazioni con cui se ne esce, molto più adatte ad uno pseudo film adolescenziale, vuoi che la figura dell’artista giramondo ormai non convince più molto, il suo personaggio è decisamente quello meno riuscito dell’intero film.

Dunque, tradimenti nuovi e tradimenti vecchi che vengono a galla. Scenate di gelosia che portano a tentativi di “omicidio”.
Canzoni suonate al pianoforte da un Gianmarco Tognazzi che insieme alla moglie Giulia Michelini, sono la coppia assolutamente più fuori luogo ma anche la più vera. Ed è proprio della Michelini l’ultimo sfogo, un’esplosione di rabbia, dolore e verità nei confronti di tutti gli altri.
Esplode in una crisi isterica anche Claudia Gerini, moglie di un eccellente Massimo Ghini, malato di Alzheimer che è l’unico che, purtroppo o per fortuna, non si accorge del malessere generale che incombe su quella casa.
“Li trovo così inquieti i miei figli” afferma la Sandrelli.

Lo stile Mucciniano è inconfondibile. Il senso di inquietudine, di smarrimento e di angoscia, la fanno infatti da padrone; questo accade grazie ad un perfetto lavoro di sceneggiatura, ad una grandiosa caratterizzazione dei personaggi, che pur essendo molto numerosi vengono tutti perfettamente descritti, nessuno viene messo maggiormente in luce rispetto agli altri.
La bravura del regista si mostra ancora una volta. Tratta un tema apparentemente semplice, quello della famiglia, dell’eterno attaccamento alle nostre origini. Ma va oltre i grandi pranzi, il cibo, i classici racconti e pettegolezzi familiari e le vecchie canzoni cantate a squarciagola. Ci mostra inizialmente la facciata di una famiglia apparentemente serena che non si aspettava certamente forti scosse e poi ne rivela violentemente la realtà, i segreti, tutto quello che si nasconde dietro.

Gabriele Muccino ha creato un film decisamente superiore ai suoi lavori precedenti, sensibile e insieme destabilizzante. Un piccolo capolavoro del cinema nostrano assolutamente da non perdere.

Benedetta Sisinni