West Side Story: ritorna la storia d’amore più romantica di sempre

Steven Spielberg no ne sbaglia una e rende “suo” un classico come “West Side Story”- Voto UVM: 5/5

Chi rinnega l’amore, chi odia San Valentino, chi è single “per scelta”, non può però non amare Romeo e Giulietta, una delle storie d’amore più belle mai scritte. No, cari lettori, non parleremo della struggente vicenda dei due innamorati di Verona, ma del musical ad essa ispirato che trasferisce il dramma shakespeariano nei quartieri e vicoli di New York degli anni ’50.

Verso la fine del 2021, nelle sale cinematografiche è arrivato West Side Story, remake del fortunato film del 1961 diretto da di Robert Wise e Jerome Robbins, che decisero di crearne una pellicola dopo che videro a Broadway l’omonimo musical del 1957, che vinse vari Tony Awards.

Richard Beymer e Natalie Wood in “West Side Story” (1961). Fonte: Seven Arts Productions, Dear Film

Il film del ’61 ebbe un successo stratosferico: ottenendo 11 candidature agli Oscar e vincendone 10; al Box Office in Italia guadagnò tremila euro, una cifra modesta se guardiamo a campioni di incassi come Avatar, Spiderman No Way Home e tanti altri. Ai quei tempi però era un vero e proprio record.

La pellicola, infatti, entrò nella storia del cinema, tanto che un “qualunque”  regista di nome Steven Spielberg decise di farne un remake, chiudendo il 2021 in bellezza.

Trama

Cari lettori, non preoccupatevi, non ci saranno spoiler dato che il film è ispirato all’opera di William Shakespeare. La storia è ambientata nella New-York degli anni ’50, tra foto in bianco e nero, gonne lunghe, nastri e outifit che fanno sognare. In quelle strade, camminando, possiamo incrociare due gang rivali: da una parte abbiamo i Jets ( alias Montecchi– famiglia di Romeo),un gruppo di ragazzi di origine Europea, e gli Sharks ( rivisatazione dei Capuleti– casata di Giulietta),  immigrati dal colorato Portorico. I due gruppi si contendono il territorio, tanto che molte volte deve intervenire la polizia per fermali.

Nel frattempo i ragazzi si preparano per l’imminente ballo, dove si incontreranno i futuri innamorati: l’affascinante Tony (Ansel Elgort) e la bella Maria (Rachel Zegler).

A  sinistra i “Jets”, a destra gli “Sharks” mentre si sfidano tra balli e canzoni. Fonte: Disneyplus

Proprio durante la scena del ballo, possiamo notare la bravura degli attori, dei veri e propri artisti. Voci, passi, colori … Niente è fuori posto, Tanto che lo spettatore sembra che guardi dei quadri animati che prendono vita. Durante la sfida di ballo, Tony e Maria si vedono per la prima volta: è amore a prima vista. Non si staccano gli occhi dI dosso, e dopo nemmeno due minuti si incontrano sotto la gradinata per non farsi notare. Già sanno che il loro amore non verrà mai riconosciuto, ma – si sa – al cuor non si comanda. Da quel momento in poi, per i due inizierà una storia d’amore clandestina. Mi fermo qui cari lettori, dovrete gustarvi la pellicola.

Valentina : La vita è importante, perfino più dell’amore

Tony: Sono la stessa cosa.”

Musiche

Lo sappiamo, non tutti amano i musical, personalmente li adoro. West Side Story è un film pieno di canzoni entrate nella storia, da Tonight ad America, canzoni scritte dal compositore Leonard Bernstein per il musical di Broadaway del lontano 1957.

Steven Spielberg non ne sbaglia una: nel suo remake ogni voce non solo si armonizza col personaggio, ma anche con la canzone stessa. La colonna sonora risulta così un capolavoro, sotto la supervisione di David Newman e l’orchestra diretta da Gustavo Dudamel.

Il sogno colorato di Spielberg

Steven Spielberg, non ha bisogno di presentazioni: i suoi lavori fatti di dinosauri, bici volanti e squali hanno segnato la storia del cinema e la nostra infanzia. Quando sentiamo il suo nome, la nostra mente ritorna indietro di 20 anni ( per qualcuno di meno), a quei sabato sera passati davanti alla tv, dopo aver mangiato la pizza fatta in casa o ordinata . Il regista sognatore, ha sempre amato West Side Story, e solo lui poteva riportare in scena un tale capolavoro, facendolo suo e aggiudicandosi ben 7 nomination agli oscar, tra cui – ovviamente- quella di miglior regia.

l film è “pieno” nei colori, negli oggetti di scena, nel cast, nelle musiche e in tanto altro ancora: tutto è studiato nei minimi dettagli, la firma del regista si vede anche dal punto più nascosto.

Spielberg ha dichiarato di amare la diversità, forse perché attraverso quest’ultima l’essere umano non smette mai di conoscere. West Side Story non è solo una storia d’amore, ma anche un film in cui si parla di xenofobia, la paura del diverso. Questa parola non viene adoperata all’interno del lungometraggio, ma possiamo coglierne il significato, osservando le due gang rivali, che non si odiano solo perché sono avversari, tesi a far prevalere la legge del più forte, ma si detestano perché provengono da  due Paesi diversi.

Steven Spielberg non è solo uno tra i più grandi registi mai esistiti, ma anche un pedagogo che con la sua arte educa il pubblico.

“Mi piace l’idea che all’interno della stessa sala cinematografica si generino diversi nuclei di spettatori: quelli che lo spagnolo lo conoscono e quelli che, invece, ne rimangono esclusi come i Jets

Steven Spielberg, dietro la cinepresa. Fonte: RollingStone

Verso gli Oscar

Oltre a quella già citata di “miglior regista”, il film concorrerà agli Oscar con ben altre 6 nominations: miglior film, fotografia, scenografia, costumi, sonoro e migliore attrice non protagonista. Per l’ultima categoria è in gara la bellissima e talentuosa Ariana DeBose, per l’interpretazione di Anita, uno dei personaggi più amati.

Anita: Se vai con lui, nessuno ti perdonerà più

L’attrice ha svolto un ottimo lavoro, rubando la scena ai due protagonisti (e non parlo dei personaggi!). Anita, che da sempre è stata vista come la “dama di corte” della bella innamorata, qui è tutt’altro. Non è solo un personaggio secondario, ma una ragazza forte e determinata, che con la sua voce incanta il pubblico, rendendo il film immortale. Molti critici hanno infatti ammirato di più la performance di Ariana che quella dei due attori principali.

 

Ariana DeBose in una scena del film. Fonte: DisneyPlus

 

Quella di West Side Story è una delle storie più romantiche mai scritte e viste, che ci ha fatto sognare e innamorare. Perché nel profondo tutti vorremmo trovare la nostra Maria ( Giulietta) o il nostro Tony ( Romeo ), per vivere quei momenti in cui ti dimentichi di essere nel mondo e davanti a te ritrovi solo la tua metà.

Ma chi sei tu, che avanzando nel buio della notte, inciampi nei miei più segreti pensieri?

Alessia Orsa

«Oh, oh! Mi è semblato di vedele un gatto…»

“Esploratori”, “indipendenti” e “dormiglioni” sono solo alcuni degli aggettivi che descrivono i protagonisti dell’odierna Giornata Nazionale del gatto.

Personaggi noti con i loro gatti

Pensando alla Regina Vittoria e a John Lennon con i loro White Heather e Salt, a Winston Churchill e a Edgar Allan Poe con i rispettivi Nelson e Cattarina, ci chiediamo se dietro ogni grande uomo, oltre a una grande donna, non ci sia anche un amico pelosetto che fa le fusa. E allora quale modo migliore per festeggiare questi compagni di vita se non accoccolandosi sul divano insieme – cioè con loro su di noi, i loro padroni-sofà – a guardare le opere di cui sono stati protagonisti?

Gatti famosi nell’arte e nella musica

Dai disegni di Louis Waine raffiguranti colorati gatti antropomorfizzati dai grandi occhi al libro illustrato“25 Cats name Sam and one Blue pussy” (1954) che Andy Warhol dedicò ai suoi mici newyorkesi, le opere pittoriche dedicate a questi animali sono numerose, così come lo sono quelle musicali.

Opere pittoriche e musicali sui gatti

Pensiamo a “La Gatta” (1960) di Gino Paoli, che racconta con nostalgia della gatta con cui condivise, nei primi anni della sua carriera, una soffitta genovese o a “Delilah” (1991) di Freddy Mercury, che si dice fosse un vero e proprio gattaro tanto da telefonargli quand’era in tournée. Oppure a pezzi ormai diventati cult, come Siamo gatti(1998), interpretata da Samuele Bersani, un vero e proprio inno alla vita felina, e Il gatto e la volpe (1977) di Edoardo Bennato, ispirato alla favola di Pinocchio.

 

Gatti da pellicola

“Everybody wants to be a cat”: alcune scene de “Gli Aristogatti” (1970)

Se vi dicessimo crème de la crème alla Edgard, non verrebbe in mente anche a voi il classico dei classici Disney, “Gli Aristogatti” (1970)? La celebre storia della gatta Duchessa e dei suoi cuccioli Bizet, Matisse e Minou salvati dal gatto randagio Thomas O’Malley che, nella traduzione italiana, si presenta come “Io so ‘Romeo, er mejo der Corosseo“. Ci dispiace per gli amici irlandesi, ma per noi Romeo è un romano de Roma!

 

I gatti “magici”

La superstizione popolare che lega gatti e magia è diffusissima, basti pesare che il mese di febbraio è noto come «mese dei gatti e delle streghe».

“Sono un aiutante furbo e affascinante che non stanca mai”. Salem nella versione cartoon e serie tv.

Salem (“Sabrina, vita da strega”) è il mentore (non troppo affidabile) di Sabrina. Ricordiamo tutti le sue gaffe e i trasferimenti spesso esilaranti, il temperamento megalomane e un tantino arrogante dello stregone che, per aver tentato di conquistare il mondo, è condannato a vivere sotto forma felina. In realtà, non ha perso le sue manie di grandezza nemmeno da gatto e noi lo amiamo anche per il suo essere un bad-cat!

 

Cagliostro nei fumetti e nell’omonimo film del 1985 con Kim Novak

Cagliostro (Dylan Dog”) è un potente felino che stringe un legame di sangue con Dylan Dog a seguito della morte della strega Kim. Per gli straordinari poteri di cui è in possesso, è condannato a vivere a vita in un limbo. Riuscite a immaginare un gatto, che ha le capacità di far sparire la Terra, rinchiuso in un limbo? Ecco, non fatelo perché tanto non si farà catturare… Ma tranquilli, alla fin fine, è un gatto buono!

Gatti prodigio: a destra Luna, a sinistra Grattastinchi

Grattastinchi (“Harry Potter”) è l’incrocio Gatto-Keazley di Hermione Granger. Apparentemente pigro e malandato, è uno straordinario cacciatore di ragni con la capacità di distinguere i buoni dai cattivi. E infatti avrebbe impedito il ritorno del Signore Oscuro, se solo gli avessero permesso di mangiare il topo Crosta alias Peter Minus… Della serie: affidiamoci all’istinto di questi animali, non sbagliano mai (tranne quando tentano di conquistare il mondo…)

Luna (“Sailor Moon”), invece, è la consiglier – con la capacità di parlare con gli uomini e di trasformarsi in donna – di Bunny che le affida la missione di trovare i Sailor Guardians e la Principessa Serenity. Sebbene spesso severa nei confronti di Bunny, per lei ci sarà sempre e, chissà, forse c’è sempre stata…

Per gli amanti dei gatti arancioni

Gli occhi ammalianti che girano in tanti meme: il Gatto con gli Stivali di Shrek

E che dire del fuorilegge Gatto con gli stivali (“Shrek”)? L’accento ispanico e il look da moschettiere francese lo rendono un perfetto micio macho o “chat fatale” capace di far cadere dinanzi alle sue zampette stivalate qualsiasi “gattina” (non solo felina…) perchè, davanti ai suoi occhioni, chi non si scioglierebbe?

“In passato mi hanno dato molti nomi: Diablo gatto, Gatanova, Chubacabras, amante picante e veleno rosso ma per tutti sono…”

Garfield in vari cartoon

Tra i gatti arancioni, spicca il paffuto e impertinente “Garfield”. Vive nell’assoluto ozio, mangiando e dormendo tutto il giorno (hobby strani per un gatto, vero?), fino a quando il padrone Jon s’innamora di Liz e adotta il cagnolino Odie.

Per fortuna Dio ha creato le lasagne! Attenzione però: le lasagne non sono adatte a nessun gatto! Garfield fa eccezione, essendo nato in una pizzeria (beato lui!).

 

Gatti famosi un pò sfigatelli

“Quasi amici”. In alto Tom e Jerry. In basso Titti e Silvestro.

Tra i gatti più sfortunati di sempre non possiamo di certo non menzionare gli iconici  Tom (“Tom and Jerry”) e Silvestro (“Looney Tunes”). Entrambi destinati a non catturare i loro furbi e adorabili nemici, Jerry e Titti, e a vivere continue disavventure nel tentativo di farlo. Ma si sa, spesso dietro grandi inimicizie si nascondono anche rispetto e lealtà, (speriamo non anche appetito!)

Gatti “cinegenici”: Fiocco di Neve e Sfigatto

E chi non ricorda gli occhi celesti di Sfigatto (“Ti presento i Miei”, 2000), il meraviglioso himalayano diventato famoso per la capacità di andare da solo alla toilette? Capacità di cui, siamo sicuri, sono dotati anche i vostri mici…

E, infine, lo splendido persiano Fiocco di Neve (“Stuart Little”,1999) che si ritrova a convivere con un nuovo padroncino: niente meno che un topo! Vi lasciamo immaginare gli innumerevoli tentativi di liberarsi di lui, da un giro in lavatrice a uno scambio di genitori-topi.

I gatti “tata”

 

“Siamo gatti siamo noi. Siamo gatti beati noi. Per le strade noi felici incontriamo i nostri amici!”. I gatti del film d’animazione del 1998 tratto dal romanzo di Luis Sepulveda.

Non possiamo dimenticare Zorba (“La gabbianella e il gatto”, 1998), il micio che si ritrova ad accudire una pulcina di gabbiano dopo aver promesso alla sua mamma, avvelenata dal petrolio, di insegnargli a volare. Questa improvvisata e “innaturale” mamma ci insegna che, se si regala tanto amore incondizionato (soprattutto a chi è diverso da noi), se ne riceve altrettanto. Pensate a quell’amore che ogni animale domestico regala al suo padrone, non chiedendo altro che un po’ di buon cibo, tante coccole, un corpo caldo umano su cui dormire … e in cui infilzare le proprie unghiette.

 

Il gatto più famoso degli anime: Doraemon

Un’altra tata, stavolta robotizzata, è “Doraemon”. Venuto dal futuro per assicurare un’infanzia felice a Nobita, ha delle ottime doti culinarie (chi non ha, almeno una volta nella vita, desiderato assaggiare i suoi famosi dorayaki?) e una tasca quadridimensionale dalla quale estrae i chiusky. Salvo nelle situazioni di stress dove si fa prendere dal panico e tira fuori solo cianfrusaglie inutili; al che ci viene spontaneo urlare, insieme a Nobita: “Doraemon!!!”.

 

Gatti guida. A sinistra lo Stregatto nella versione cartoon e poi live action di “Alice nel Paese delle meraviglie”. A destra Balzar

E poi ci sono Balzar (“Dragon Ball”), il maestro di arti marziali di Goku e coltivatore dei fagioli magici, e lo Stregatto (“Alice nel paese delle meraviglie”) che invita Alice, e tutti noi, a “incamminarci” senza preoccuparci troppo di imboccare la strada giusta o sbagliata perché ciò che conta, nel tragitto della vita, è camminare.

” E continuò: “Vorresti dirmi che strada devo prendere, per favore?”

“Dipende, in genere, da dove vuoi andare” rispose saggiamente il Gatto.

“Dove, non mi importa molto” disse Alice.

“Allora qualsiasi strada va bene” disse il Gatto.

“…purchè arrivi in qualche posto” aggiunse Alice per spiegarsi meglio.

“Per questo puoi stare tranquilla” disse il Gatto. “Basta che non ti stanchi di camminare.” “

 

Come faremmo senza di loro?

 

 In alto Lucifero in “Cenerentola” e il gatto di Ernst Blofeld (007 – Dalla Russia con amore). In basso un “innocuo” peloso in braccio a don Vito Corleone ( Il padrino I) e “Gatto” in “Colazione da Tiffany”. 

Da ottime muse ispiratrici a sveglie mattutine armate di artigli, da sopramobili miagolanti (soprattutto nelle ore notturne) a compagni di gioco pronti a seguirci ovunque (anche dove non dovrebbero, come alla toilette…), ci regalano gioie e tanti graffi.  D’altra parte, come disse il veterinario Joseph Mery, “Dio ha creato il gatto per procurare all’uomo la gioia di accarezzare la tigre”. 

Si meriterebbero una festa che duri 365 giorni l’anno ma – anche qualora gliela organizzassimo – state certi che loro ci guarderebbero sempre come coinquilini (e schiavi) e mai come padroni reclamando, con un’autoritaria zampetta sulla ciotola, altri croccantini.

Perché, come disse Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany (1961), «lei e il suo gatto non appartengono a nessuno e nessuno gli appartiene».

 

Angelica Terranova

 

Nightmare Alley: l’inquietante circo delle illusioni di del Toro

Con ben 4 nominations agli Oscar, Nightmare Alley è un thriller coinvolgente dall’atmosfera unica – Voto UVM 4/5

 

La nuova pellicola di Guillermo Del Toro, rifacimento del film omonimo del 1947, narra una storia semplice.

Un protagonista anonimo, Stan Carlisle (Bradley Cooper), lascia la sua casa senza un avere addosso e viene per caso raccattato dai proprietari di un circo. Questo baraccone sembra inizialmente sospeso nella realtà: non abbiamo alcuna indicazione di dove si trovino i personaggi o quale sia il periodo storico in cui è ambientata la vicenda. Fa da sfondo soltanto un’atmosfera lugubre e triste, a tratti inquietante.

Bradley Cooper in un’immagine promozionale. Fonte: Searchlight Pictures

Come ogni buon film del regista qui l’introspezione la fa da padrone: quasi ogni immagine è una metafora portata visivamente sullo schermo, una visione delle emozioni che prende forma e colore nel mondo. Come sempre Del Toro non riesce a deludere e parla con immagini che riescono a catturare lo spettatore: la resa fotografica rasenta la perfezione, riuscendo a comunicare sempre la giusta emotività della scena attraverso colori e luci. Non a caso una delle nomination di Nightmare Alley agli Academy – oltre a miglior film, costumi e scenografia – è proprio per la fotografia!

Non ci troviamo di fronte ad un approccio che vira sul fantastico come in altri film del regista, ma le azioni stesse dei personaggi sono specchio della loro vera identità e torna qui la tematica tanto cara al regista della fantasia mista alla crudità del reale. In questo il lavoro è ottimo: nonostante ci venga rivelato solo all’ultimo, possiamo già intuire dall’inizio come tutti i personaggi mentano a se stessi e vengano illusi dalle altre persone. Quasi come se la vita intera fosse uno spettacolo di mentalismo.

Anche a livello tecnico il film risulta solidissimo. La camera inquadra sempre quello che deve e le immagini appaiono chiare. Il film risulta in questo riuscito in quanto porta sullo schermo un racconto che, tramite scene cariche di significato e a volte cruente, riesce a narrare una storia coinvolgente.

Stan durante uno spettacolo da mentalista.

La sceneggiatura, inoltre, quasi non sbaglia un colpo, riuscendo ad essere sempre sottile ma anche chiara e coerente. Sono i piccoli gesti dei personaggi a renderli reali (un bacio rubato alla persona sbagliata o un atto di violenza immotivato). Sono tutti segnali che fin dall’inizio il film ci manda come campanelli d’allarme. L’intero intreccio segue, inoltre, lo stesso leitmotiv e risulta un quadro perfetto costruito sempre attorno al tema che ritorna anche nel titolo. Ottimo anche il ritmo della narrazione, che in un crescendo ci porta verso fasi finali ricche di pathos.

Ottime anche le performance degli attori: i personaggi sono tutti espressivi e riescono a raccontarsi benissimo attraverso la propria mimica. Bradley Cooper, nel ruolo di Stan, riesce perfettamente a sembrarti un anima timida ed impacciata, così come Rooney Mara rientra bene nel ruolo della solare e speranzosa Molly. Anche a Cate Blanchett è stato cucito un ruolo da femme fatale, che calza a pennello con la sua espressività da rapace. Oltre ai protagonisti, poi, l’intero cast riesce a spiccare sullo schermo – in particolare David Strahairn e Toni Collette, rispettivamente Pete e Zeena nella storia. Una nota di merito va sicuramente a Willem Dafoe che nonostante il minutaggio risicato riesce a lasciare la sua impronta nel film.

Stan mostra a Molly le sue idee per un nuovo spettacolo

La pellicola, benché sia un’ottima opera, ben costruita sotto ogni punto di vista non riesce – forse – a rimanere impressa, a risaltare se paragonata ad altri lavori del regista. Non esistono purtroppo immagini o sequenze che rimangano più di altre nella mente dopo la visione. Film come Il Labirinto del Fauno rimangono ancora oggi nella memoria collettiva per la loro crudezza e impressività, punte che Nightmare Alley non riesce a toccare.

Inoltre, il messaggio di fondo, non risultando comunque banale, non riesce a spiccare: il rischio è che molti si fermino alla lettura superficiale che vede prevalere la semplice legge del contrappasso. Lettura che si limiterebbe alla visione delle azioni del solo protagonista, mentre – come già detto – gli errori sono sempre gli stessi e sono commessi da tutti i personaggi.

Come giudicare allora Nightmare Alley? Il tratto di Del Toro si nota ed ogni inquadratura, ogni sguardo risultano curati nei minimi dettagli. Il film trasmette ansia, paura e gioia riuscendo a farlo bene in ogni fotogramma. Se si può rinvenire una pecca, sta allora nel messaggio finale: più banale delle previsioni che si potevano fare ad inizio film.

Nonostante tutto La fiera delle illusioni che ci racconta del Toro rimane un ottima pellicola drammatica, da consigliare a chiunque sia un amante del cinema.

 

Matteo Mangano 

Countdown agli Oscar 2022: le principali nomination

Tenetevi forte cinefili perché sta iniziando il periodo più bello dell’anno: l’avvento degli Academy Awards. Dopo le grandi pellicole uscite nelle sale questi ultimi mesi, non vedevamo l’ora di sapere quali sarebbero stati i protagonisti degli Oscar 2022. Ebbene, l’attesa è finita! Giorno 8 febbraio alle 14 ora italiana, sono state rese note le nomination di quest’anno per le 23 differenti categorie, in vista della premiazione che si terrà il 27 Marzo (in Italia la notte tra il 27 e il 28).

I candidati per i “Big Five”

Premettendo che qualsiasi statuetta è senza dubbio un premio prestigioso  nonché un grande traguardo, ci sono cinque particolari Oscar che  sembrano essere ancora più rilevanti degli altri: stiamo parlando dei cosiddetti Big Five, ovvero le categorie “miglior film”, “migliore sceneggiatura originale”, “miglior regia” e “miglior attore” e “miglior attrice protagonista”.

Per questa cerimonia 2022 risplendono già alcuni grandi film, tra cui Il potere del cane, western dai toni drammatici candidato con Jane  Campion per la miglior regia, per miglior attore protagonista con l’inglese Benedict Cumberbatch (Doctor Strange, Sherlock) e, naturalmente, come miglior film.

Inoltre vediamo spiccare le performance di Javier Bardem Nicole Kidman, entrambi candidati per miglior attore e attrice protagonista per la loro performance in A proposito dei  Ricardo.

Lista dei candidati per il miglior film; fonte: tomshw.it

In particolare, per la categoria miglior film ritroviamo alcune delle pellicole più viste (e discusse) dell’ultimo anno, tra cui Don’t look up, commedia satirica, candidata anche per la miglior sceneggiatura originale con Adam McKay e David Sirota, e Una famiglia vincente, film biografico che racconta la storia delle campionesse del tennis Venus e  Serena Williams. Quest’ultimo è in gara anche con Zach Baylin per la miglior sceneggiatura originale e con Will Smith per miglior attore protagonista, per la sua interpretazione del padre delle campionesse, Richard Williams.

Altri film candidati nei Big five, sono Tick tick… Boom per l’interpretazione di Andrew Garlfield, il nuovo West side story del maestro Steven Spielberg, per miglior film e regia e Licorice Pizza, scritto e diretto da Paul Thomas Anderson per miglior regia e sceneggiatura originale.

Ma agli Oscar presenzierà anche una delle coppie più dolci di Hollywood: stiamo parlando del già citato Javier Bardem e Penelope Cruz,  anch’essa candidata come miglior attrice per Madres Paralelas di Pedro Almodóvar .

Un po’ d’Italia agli Oscar

Dopo essersi distinta nel calcio agli Europei 2021 ed in molti altri sport alle Olimpiadi, nonché nella musica all’Eurovision, l’Italia ritorna da “protagonista” anche agli Oscar!

Il bel paese infatti non veniva candidato nella categoria “miglior film in lingua straniera” dal 2014, anno in cui oltretutto vinse con il capolavoro La Grande bellezza di Paolo Sorrentino. Ed è proprio lui che ci riporta in gara per questa statuetta con E’ stata la mano  di Dio, pellicola autobiografica, che ha già trionfato al Festival del cinema di Venezia vincendo diversi premi.

Paolo Sorrentino con il giovane Filippo Scotti e Toni Servillo, grandi interpreti in “E’ stata la mano di Dio”. Fonte: Il Fatto Quotidiano

Ad ogni modo il made in Italy agli Academy Awards 2022 non si ferma qui! Il gioiellino firmato Disney-Pixar, Luca, diretto da Enrico Casarosa è in lizza per il miglior film d’animazione.

Ma non finisce qui

Ritroviamo il nuovo Dune di Denis Villeneuve in gara per ben 10 statuette, tra cui – oltre a miglior film – per il miglior suono, costumi, make-up, sceneggiatura non originale  ed effetti speciali. Per quest’ultima categoria, inoltre sono stati candidati anche due degli ultimi film del MCU – Shang Chi e la leggenda dei dieci anelli e Spiderman: No Way Home – e No time to die, l’ultimo film di 007.

Da sinistra a destra: “Shang Chi”, “No Way Home” e “Free Guy”: tre dei film candidati per i migliori effetti speciali; fonte: bullfrag.com

Nella categoria miglior attore non protagonista ritroviamo grandi stelle del cinema, come il premio oscar J.K. Simmons (Whiplash) per il ruolo di William Frawley in A proposito dei Ricardo, e attori emergenti come Troy Kotsur nei panni di Frank Rossi ne I segni del cuore.

Anche per la miglior attrice non protagonista sono state candidate nuove stelle in ascesa come Ariana DeBose (West Side Story) e grandi star di Hollywood quali la già premio oscar Judi Dench per la sua performance in Belfast e Kirsten Dunst per il ruolo di Rose Gordon ne Il potere del cane .

Grandi esclusi

Ogni anno, per ogni premiazione, succede sempre che alcune grandi pellicole risultino tagliate fuori da molte o tutte le categorie degli Academy Awards, vuoi per una certa indifferenza da parte del pubblico nelle sale vuoi per la predilezione di film che trattano particolari tematiche.

Grandi esclusi in quest’edizione degli Oscar si possono considerare Ultima Notte a Soho, thriller avvincente con le strabilianti interpretazioni delle protagoniste Anya Taylor-Joy e Thomasin McKenzie, e The French Dispatch, nuovo film scritto e diretto da Wes Anderson (Grand Budapest Hotel).

Presentatore cercasi

Quest’anno, per la prima volta dal 2018, ci sarà un presentatore fisso per la cerimonia degli Academy. Negli ultimi anni, invece, erano state solo le varie celebrità (già vincitrici in passato) a condurre il gioco annunciando i premi e consegnando la preziosa statuetta.

L’unico problema è trovare qualcuno effettivamente disposto a fare il presentatore: questo ruolo sembra essere poco apprezzato dai più. Le proposte sono state molte, tra cui anche il giovane Tom Holland – come trapelava da qualche indiscrezione – ma ancora nessun nome certo.

Jimmy Kimmel, ultimo presentatore fisso agli Oscar 2018; fonte: psicofilm.it

Chiunque sarà a condurre, in ogni caso, gli Academy Awards sono sempre un evento unico per gli amanti del cinema: l’occasione giusta per celebrare questa grande arte, presentare nuovi capolavori e scoprire talenti sconosciuti. Quindi senza altri indugi, mettiamoci comodi e godiamoci questa nuova stagione degli Oscar.

Per ora non abbiamo nient’altro da aggiungere, se non invitarvi a rimanere con noi di UniVersoMe per scoprire di più sui film che hanno ottime possibilità di portarsi a casa qualche statuetta. Stay tuned!

Ilaria Denaro

Don’t Look Up: un film che ci prende in giro (e a buon diritto)

Un film che critica la nostra società in maniera brillante. Adam McKay non smette di stupire – Voto UVM: 4/5

 

Le potenzialità di un film alle volte non incontrano limiti. È incredibile come la stessa pellicola possa essere guardata e giudicata con occhio diametralmente opposto in base alla forma mentis di persone appartenenti ad orientamenti politici o culturali diversi.

Tra chi “a sinistra” l’ha elogiato quale capolavoro sulla crisi climatica e chi invece, tra i repubblicani, no ne ha digerito i riferimenti alla politica di Trump, Don’t Look  Up, si è rivelato un film che ha letteralmente spaccato in due l’opinione pubblica, soprattutto quella americana. Proprio per questo noi di UniVersoMe, non potevamo rinunciare ad analizzarlo.

Trama

Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence), una specializzanda di astrofisica, scopre un’enorme cometa, la cui traiettoria impatterà molto presto con la Terra causando l’estinzione di ogni forma di vita. La dottoressa. assieme al professor Randall Mindy, (Leonardo Di Caprio) sarà convocata immediatamente nello studio ovale del Presidente degli Stati Uniti (Meryl Streep).

Da qui in poi ha inizio il teatro dell’assurdo: le istituzioni ed i media non si preoccuperanno minimamente dell’imminente catastrofe, anzi non faranno altro che sminuire la vicenda e trattarla come se fosse una qualunque questione all’ordine del giorno.

Cast

Il cast della pellicola è di primissima qualità.

Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence danno vita ad un duo che funziona perfettamente. I loro personaggi sono gli unici a rendersi conto della terribile minaccia che incombe sulla Terra. Gli attori, calati interamente nei rispettivi ruoli, riescono perfettamente ad incarnare due scienziati impauriti che cercano con ogni mezzo di informare l’intera razza umana anche mettendo a nudo tutte le sue debolezze. Nonostante tutto, continueranno imperterriti nel proprio intento.

Il professor Randall Mindy (Leonardo Di Caprio) e la dottoressa Kate Dibiasky (Jennifer Lawrence) in una scena del film

Allo stesso tempo, confusi e impacciati, i due personaggi riusciranno a conquistarsi l’empatia dello spettatore che per tutta la durata del film dovrà convivere con lo stato di nervosismo e di ansia provato dai protagonisti.

Meryl Streep interpreta il Presidente degli USA mettendo a segno – come sempre – un’interpretazione magistrale. Dà vita ad una creatura che si ciba di consensi, populista oltre ogni misura, insomma una vera e propria macchina politica. Si può quasi definire una rivalsa personale per l’attrice nei confronti di un noto presidente che l’aveva definita “sopravvalutata”.

Da segnalare anche le ottime interpretazioni di Jonah Hill nei panni di Jason Orlean (figlio della presidentessa) e del premio Oscar Mark Rylance in quelli di Peter Isherwell (una sorta di Steve Jobs o Elon Musk).

Stile Mckay

Il regista Adam Mckay, in passato, non si è fatto problemi ad affrontare con i suoi film tematiche delicate. Con La grande scommessa (2015) ha ripercorso le origini della crisi finanziaria del 2008, mentre con Vice – L’uomo nell’ombra (2018) ha raccontato la vita di Dick Cheney, il vice presidente di George W. Bush, uno degli individui più loschi della storia americana.

Rappresentare ed affrontare problematiche odierne quindi non lo intimorisce per nulla.

Il presidente degli USA Janie Orlean (Meryl Streep) in una scena del film

Come già fatto in passato, il regista è riuscito a identificare quale sia la causa di fenomeni negativi che interessano il mondo intero: l’operato umano.

I politici, i programmi Tv ed i cittadini stessi sono gli artefici di tutto ciò che accade in Don’t Look Up.

Ripudiamo la scienza per ascoltare  – e ammirare come pecorelle – chi sproloquia per soddisfare esclusivamente un interesse personale.

Una delle scene più emblematiche, a questo proposito, è quella in cui i due scienziati sono invitati in uno studio televisivo. Tanto per cominciare, il loro intervento viene messo in scaletta dopo l’apparizione di una famosa cantante (interpretata da Ariana Grande) che dà vita ad uno spettacolo super trash con il proprio ex compagno, spettacolo che tuttavia raccoglierà il picco massimo di spettatori della trasmissione. Solo dopo viene dato spazio alla questione della cometa, problematica affrontata con molta leggerezza, scherzandoci su e ridicolizzando la povera Kate Dibiasky. Quest’ultima, dopo aver provato a spiegare i pericoli cui la Terra sarebbe andata incontro, sclera divenendo lo zimbello del mondo di Internet.

Una storia raccontata in perfetto stile Mckay, unico nel suo genere: l’autore mira diretto al problema e lo mostra per quello che è senza usufruire di metafore o riferimenti esterni e raccontandone le conseguenze con un ritmo incalzante.

La locandina del film

 

Un film che va visto per ciò che è: un film. Non un attacco a una specifica frangia politica o una satira esagerata sui complottisti.

E’ solo una pellicola che ci apre gli occhi su cosa sia oggi la nostra società e lo fa in maniera brillante. Ci prende in giro ed è normale e giusto che sia così. Guardatelo, godetevi lo spettacolo e distogliete l’attenzione dalle guerre mediatiche condotte per accalappiare consensi inutili.

Vincenzo Barbera

 

Matrix Resurrections: un sequel che divide il pubblico

Film che promette bene, ma si perde col passare dei minuti. Da “Matrix” ci si aspettava di più – Voto UVM: 2/5

 

Dopo circa 18 anni dalla conclusione della trilogia, Matrix ritorna sul grande schermo con un sequel/reboot atteso dai migliaia di fan della saga.

Matrix Resurrections, questo è il nome della pellicola disponibile nelle sale cinematografiche dal 1° gennaio. Il film vede protagonisti nuovamente i personaggi di Neo e Trinity, sempre interpretati da Keanu Reeves e Carrie-Anne Moss. Presenti anche altri personaggi centrali della trilogia, come Morpheus e l’ agente Smith, in questo caso però impersonati da attori differenti (rispettivamente Yahya Abdul-Mateen II e Jonathan Groff).

La regia è stata affidata stavolta alla sola Lana Wachowski, che ha curato anche la sceneggiatura.

Neo e Trinity

Molti dubbi aleggiavano sul successo e sulla validità di un sequel del genere: le vicende si erano ormai concluse in Matrix Revolutions, un seguito sembrava abbastanza forzato. In sintesi, Matrix Resurrections sembrava il classico tentativo di fare incassi sfruttando un brand di successo. Tuttavia l’uscita dei trailer aveva riacceso l’entusiasmo e la curiosità tra i fan e non solo.

Prime impressioni: quei difetti che balzano all’occhio

La trama di base non è male: Neo si ritrova ancora intrappolato in Matrix facendo i conti con il suo passato che riemerge. Diversi sono i cambiamenti che avvengono all’interno di questo mondo (il che è più che legittimo). Il problema è lo sviluppo: il film infatti va a perdersi col passare dei minuti risultando non molto interessante.

Alcuni personaggi risultano spenti, altri si vedono poco e finiscono per avere ruoli secondari, altri ancora risultano delle macchiette che definirei “fastidiose”.

Il finale poi mi sembra troppo affrettato – nonostante il film arrivi quasi alle 2 ore e 20 – con molte situazioni che non vengono spiegate in maniera adeguata. Abbiamo pur sempre a che fare con della fantascienza, ma qui le forzature sembrano essere troppe e alcuni avvenimenti risultano incoerenti con i film precedenti, classico difetto dei sequel e motivo per cui difficilmente riescono bene.

Morpheus in una scena del film

In più la storia sembra priva di spunti filosofici interessanti: troviamo solamente argomenti già affrontati e quest’aspetto la depotenzia molto. Vengono riprese le tematiche della scelta e del libero arbitrio, ma il discorso si era già esaurito nei capitoli precedenti: questa appare solo una ripetizione. Perciò complessivamente ho trovato il film piuttosto vuoto: da Matrix si pretende qualcosa in più.

Metacinema e altre note di merito

Il film si pone, però, come una critica spietata verso la situazione cinematografica attuale: da una parte ci sono gli spettatori, affezionati a determinati prodotti, e dall’altra l’esigenza delle case di produzione di adattarsi a queste richieste per riuscire a vendere. Ciò che traspare è un intento da parte della regista di prendere in giro questo sistema, come possiamo notare nella prima parte della pellicola.

Lana Wachowski sembrerebbe girare e scrivere questo sequel quasi di controvoglia, costretta dalle esigenze di mercato della Warner. Tuttavia, quello che ne viene fuori sono alcuni siparietti metacinematografici di alto livello, che ironizzano sul film stesso.

Sembrerebbe esserci stata una presa di coscienza da parte della regista che, consapevole di aver già tirato fuori il meglio dal brand, decide comunque di realizzare questo quarto capitolo, adottando di proposito certe soluzioni infelici, ma offrendo all’industria ciò che vuole.

Forse il cinema, come ogni forma d’arte contemporanea – per usare un termine proprio del film – si trova davvero intrappolato in un loop, in cui si ritorna sempre a proporre il classico “usato sicuro”, qualcosa di già visto (non a caso uno dei temi affrontati in questo Matrix è quello del déjà-vu).

Fonte: Zimbio.com – Carrie Anne Moss, Lana Wachowski e Keanu Reeves alla première del film

Per quanto riguarda l’aspetto tecnico, la regia è stata curata magistralmente, la CGI ben utilizzata e le scene d’azione non dispiacciono, anche se a volte confusionarie e comunque al di sotto di quelle viste nei film precedenti.

Presenti anche molte citazioni e riferimenti alla trilogia: puro fan-service verso gli appassionati che però non guasta, anzi è ben realizzato e rientra tra le note più positive.

Un Matrix diverso?

È molto difficile valutare questa pellicola: se si dovesse considerare una parodia voluta contro il sistema dello sfruttamento estenuante dei brand cinematografici, allora il giudizio sarebbe ottimo. Se si dovesse considerare, invece, esclusivamente come sequel della trilogia allora lo reputerei insufficiente.

Matrix Resurrections può convincere come film a sé stante, ma, posto in confronto con i capitoli precedenti della saga, rivela la sua vacuità.

In sostanza è un Matrix diverso, lontano dai canoni e dalle atmosfere dei primi film. Ma forse questo cambiamento è stato voluto e ci si dovrebbe focalizzare non tanto sulla trama, ma sul messaggio che la regista vuole dare.

È vero che si può trovare sempre qualcosa da raccontare: le storie potenzialmente non finiscono mai, ma ad un certo punto diventano ridondanti, rischiando di cadere nella mediocrità.

 

Sebastiano Morabito

Dalle stalle bahamensi alle stelle hollywoodiane: Sidney Poitier

Se n’é andato ieri l’attore, attivista, diplomatico, in una parola: il trailblazer Sidney Poitier. Nato il 20 febbraio 1924 in Florida da una famiglia di contadini, trascorre i suoi primi anni di vita nell’arcipelago delle Bahamas che lascia da adolescente diretto alla volta di Miami e poi di New York. Dopo l’esperienza dell’esercito e della vita “alla giornata”, negli anni Quaranta finalmente imbocca la strada della recitazione a teatro, prima, e sul grande schermo dopo.

Nella sua carriera da attore ha recitato in oltre cinquanta film, dal primo indimenticabile Uomo bianco tu vivrai! (1950), passando per I gigli del campo (1964), che gli fece guadagnare l’Oscar come miglior attore protagonista, e Indovina chi viene a cena? (1967), fino a The Jackal (1997).

“Una buona azione qui, una buona azione lì, un buon pensiero qui, un buon commento lì, tutto ha aggiunto alla mia carriera in un modo o nell’altro.”

Il messaggio dietro la semplice commedia

Indovina chi viene a cena? presenta in maniera molto leggera una problematica rilevante e – purtroppo – ancora attuale, ovvero il razzismo.

Nel guardare questo film bisogna tenere a mente il suo background storico: la pellicola uscì nelle sale cinematografiche nel 1968, solamente quattro anni dopo il Civil Rights Act, la legge federale con cui formalmente si poneva fine ad ogni forma di segregazione razziale negli Stati uniti d’America. Di conseguenza, i pregiudizi e le discriminazioni nei confronti delle persone di colore erano ancora tutt’altro che accantonati.

Katherine Houghton e Sidney Poitier nei panni di John e Johanna in una scena del film

Matt (Spencer Tracy) e Christina (Katharine HepburnDrayton, lui proprietario di un giornale e lei di una galleria d’arte, ricevono la notizia che la loro Joanna “Joey” (Katharine Houghton) sta per sposarsi. Novella più lieta i due genitori non potrebbero ricevere, soprattutto perché il futuro sposo è un importante medico.

Ma c’è un problema: John Prentice (Sidney Poitier) è anche un uomo di colore. I genitori di lei sono sconvolti ma di ampie vedute, mentre lo stesso non può dirsi dei genitori di lui.

“Tu sei mio padre e io sono tuo figlio. Ti voglio bene, te ne ho sempre voluto e te ne vorrò sempre. Ma tu ti consideri ancora un uomo di colore, mentre io mi considero un uomo.”

È evidente la contrapposizione dei due protagonisti, John e Johanna. Lei, nella sua purezza e ingenuità giovanile, vive al di fuori di qualsiasi tipo di pregiudizio. Lui, più razionale, si rende conto di come la sola differenza del colore della loro pelle possa rappresentare un problema nell’America in cui vivono.

Un grande attore e un grande film

Sidney Poitier. Fonte: atlantablackstar.com

Sidney Poitier, oltre ad essere stato un attore talentuoso, è riuscito a portare un grande cambiamento nel mondo del cinema, tale da essere considerato un pioniere. Dall’Oscar come miglior attore protagonista vinto nel 1964 (primo attore di colore a vincere questa statuetta!) alla sua interpretazione in Indovina chi viene a cena, ha spianato la strada al black power per tutti quegli afroamericani che ancora oggi possono seguire le sue orme sia nel mondo dell’industria cinematografica, sia nella lotta non violenta per la causa antirazzista.

Grazie alle sue semplici performance, è riuscito a smantellare tutta una serie di pregiudizi, rispondendo sempre «all’ingiustizia con quieta risolutezza, all’odio con la ragione e il perdono».

“La lotta contro il razzismo non è stata solo la mia carriera, è stata la mia vita.”

Arrivato a New York con soli tre dollari in tasca, ha realizzato il sogno americano, non solo quello cinematografico ma, anche e soprattutto, umano.  Perché, come Joanna “Joey” e John erano “due esseri speciali“, anche lui lo è stato e continua a esserlo anche oggi, nel 2022,  in cui non abbiamo ancora imparato a capire e amare il diverso.

C’è poco altro da aggiungere. Grazie Sidney, i tuoi film e la tua storia continueranno a essere un’ispirazione per tutti noi!

Ilaria Denaro 

Angelica Terranova

House Of Gucci: tra superbia e cliché

 

Un film che aveva tutte le carte in regola per diventare cult, ma si perde nella banalità dei clichè – Voto UVM: 2/5

 

“Era un nome dal suono così dolce, così seducente, sinonimo di ricchezza, di stile, di potere. Ma il loro nome era anche una maledizione”

 

“Nel nome del padre, del figlio e della famiglia Gucci”. È questa la frase che racchiude la nuova pellicola di Ridley Scott, che racconta gli ultimi anni di gloria della sfortunata famiglia Gucci.

Chi non conosce il famoso marchio Gucci? Chi non ha mai sognato di avere nel cassetto l’iconica cintura? O di avvolgere al collo il foulard flora, indossato dalle grandi dive del cinema, che ci hanno fatto sognare con la loro eleganza e bellezza?

Adam Driver, Lady Gaga e Al Pacino in una scena del film

House of Gucci è un film diretto e scritto da Ridley Scott, che ripercorre gli antefatti dell’omicidio di Maurizio Gucci ( un affascinante Adam Driver), uno dei casi di cronaca nera più famosi al mondo avvenuto nel 1995, commesso per rabbia e superbia da Patrizia Reggiani, ex moglie di Gucci, interpretata dall’artista Lady Gaga. L’uomo fu ucciso davanti agli uffici della Maison Gucci da due sicari, pagati dalla stessa Reggiani, condannata poi a 27 anni di reclusione, ma scontati a 18 per buona condotta.

Il film è tratto dal libro The House Of Gucci: A Sensational Story of Murder, Madness, Glamour and Greed, scritto da Sarah Gay Forden ,e si apre con l’incontro dei due innamorati, belli e pieni di vita. Già dai loro primi sguardi si nota una passione alla Romeo e Giulietta, con l’unica differenza che il bel giovane si stava innamorando della propria assassina. Sarà proprio Rodolfo Gucci ( Jeremy Irons) a mettere in guardia il figlio Maurizio, facendogli notare che la donna è innamorata solo del suo cognome.

A sinistro Lady Gaga e Adam Driver. A destra Patrizia Reggiani e Maurizio Gucci proprio matrimonio nel 1972. Fonte: Ossona.it

Possiamo notare come la pellicola già dalle prime scene non abbia niente di originale: impazzano soprattutto i soliti cliché con cui noi italiani veniamo dipinti nel resto del mondo. Basti osservare come i personaggi gesticolino troppo e di come il doppiaggio originale – ma anche quello italiano – presenti un accenno di accento mafioso.

In particolare Aldo Gucci (interpretato da un grande Al Pacino, che sembra però rimasto nei panni di Micheal Corleone), l’unico che ci teneva a salvare il marchio, viene dipinto come un boss. Dall’altre parte troviamo suo figlio, Paolo Gucci ( Jared Leto) uno “sfortunato erede” privo di gusto per la moda, sebbene cresciuto dentro la maison Gucci. La tipica “pecora nera” della famiglia che tutti disprezzano perché troppo “audace” – nonostante essere audaci sia il primo comandamento nel mondo della moda come negli affari.

Paolo sarà raggirato dai suoi stessi familiari che riponevano tutti speranza in Maurizio, futuro direttore di Gucci, ingenuo e manipolato dalla consorte, un’arrampicatrice sociale piuttosto sempliciotta, capace di confondere un Klimt con un Picasso, ma, in compenso, donna con un “forte senso degli affari”.

Sarà proprio Patrizia infatti a manovrare abilmente il marito, facendolo diventare unico erede, eliminando dall’azienda di famiglia gli altri membri con astuzia, mossa da un’avidità che i costumi Gucci – indossati da Lady Gaga – sembrano esaltare.

Lady Gaga e Adam Driver in una scena del film

Per quanto la pellicola vanti attori stellari, tra i migliori di Hollywood (Al Pacino e Jeremy Irons sono icone del grande schermo), il film perde di credibilità, ricade nel banale. Ridley Scott sembra dimenticare che la famiglia Gucci era toscana e della bella Firenze, città in cui, grazie alla propria arte, aveva dato il via alla costruzione di un impero della moda, e non una tipica famiglia “rozza” che sembrerebbe uscita direttamente da Gomorra.

Altro errore è stato definire il film un “giallo”, quando quest’ultimo lascia in genere lo spettatore col fiato sospeso fino agli ultimi minuti, mentre qui – per ovvie ragioni – gli assassini sono noti e vengono già mostrati prima dell’atto e la scena dell’uccisione descritta senza veli di mistero. Ma nei gialli non si scopre il colpevole all’ultimo? Seguendone le tracce e gli indizi disseminati sulla scena del crimine? Forse sarebbe stato più giusto parlare di “noir” in questo caso.

Direttamente dal set di House of Gucci, Adam Driver e Lady Gaga in uno degli scatti più pubblicizzati dell’intero film. Fonte: ElleDecor

Nonostante queste pecche, la pellicola è piacevole da guardare, non annoia e si salva in calcio d’angolo, ma soprattutto per i nomi degli attori e l’enorme pubblicità che ha preceduto l’arrivo nei cinema.

House of Gucci è in definitiva un film in cui si erano riposte grandi aspettative, ma che si è andato a perdere dentro un bicchier d’acqua tra cliché e stereotipi vari. Ridley Scott, tuttavia, non ha perso il suo smalto nel rendere due ore e mezza di pellicola scorrevoli e coinvolgenti.

Alessia Orsa

20 anni nella Terra di Mezzo grazie a Peter Jackson

Il 19 Dicembre 2001 con La Compagnia dell’Anello arrivò nelle sale il lavoro di riadattamento di uno dei romanzi più importanti della storia, scritto da J.R.R. Tolkien.

Il Signore degli Anelli è stato, fin dalla sua uscita nel 1955, l’ispirazione principale per qualunque opera parlasse di epica fantasy: un racconto separato dal tempo che cercava di riempire quel buco di narrazioni fantastiche che gli inglesi avevano sempre riempito con storie di altri Paesi fin dall’antichità. Fu il primo vero romanzo che inaugurò il fantasy come lo conosciamo e lo intendiamo oggi: una storia separata dal nostro mondo, ambientata in scenari che rievocano i miti del passato.

La compagnia dell’Anello

Il segreto del suo successo sta, però, anche nell’ispirazione prettamente moderna del racconto: i sei mesi passati in trincea, durante la prima Guerra Mondiale, segneranno lo scrittore e saranno la maggiore ispirazione per le infernali macchine dello stregone Saruman, così come per la battaglia del Fosso di Helm e la guerra di logoramento tra le città di Minas Tirith e di Minas Morgul.

La sfida di una trasposizione immensa

Il background storico e culturale dell’opera era quindi immenso e la sfida raccolta dal regista Peter Jackson era creduta inizialmente impossibile da molti produttori.  Lo stesso regista era fermamente convinto che per una trasposizione fosse necessario una “rinarrazione”: il romanzo era intraducibile in pellicola. A questo pensiero era già arrivato tra l’altro il regista Kubrick, quando gli era stato proposto di girare una trasposizione con protagonisti i Beatles.

Ciò nonostante, Jackson proseguì nella produzione, convinto che dopo i miglioramenti della computer grafica – visibili in film come Jurassic Park – fosse possibile portare al cinema un racconto fantasy degno di nota, che potesse finalmente rendere giustizia all’opera di Tolkien. E alla fine vinse proprio l’originale!

Frodo osserva Gran Burrone 

La scelta ripagò, grazie anche all’aiuto di artisti come Alan Lee, illustratore storico dei lavori sulla Terra di Mezzo, nonché al saggio utilizzo di modellini – come quello della città di Minas Tirith – ed effetti visivi realizzati tramite computer.

La trilogia  riesce ancora oggi a stupire per l’impatto visivo di certe scene, nonostante siano passati più di vent’anni dall’uscita nelle sale.

Una storia rimasta nel cuore

Tutto questo lavoro è riuscito a rendere la trilogia cinematografica un successo mondiale ed eterno. Ancora oggi viene considerata da molti un esempio notevole di come girare un vero fantasy al cinema.

La storia di Frodo (Elijah Wood), Sam (Sean Astin) e della Compagnia dell’Anello ha molto da raccontare per tanti motivi: gli eroi non sono grandi uomini, ma hobbit bassi e goffi, capaci però di atti d’eroismo in grado di sconfiggere il male assoluto incarnato in Sauron. Ed accanto a loro protagonisti come Aragorn (Viggo Mortensen), Legolas (Orlando Bloom) , Gimli (John Rhys-Davies) o lo stregone Gandalf ( Ian McKellen) sono ancora oggi personaggi ricordati. Così come sono ricordate le loro azioni: Frodo che getta l’anello nel Monte Fato, Aragorn che affronta l’esercito dei morti, la fuga dalle rovine di Moria o anche l’ interpretazione di Gollum (Andy Serkis), probabilmente una delle parti più memorabili dell’intera trilogia.

Gandalf arriva a Minas Tirith

Cosa riserva il futuro?

L’interesse per le storie della Terra di Mezzo continua quindi ad esistere e Amazon ha deciso recentemente di cavalcare l’onda lanciandosi nella produzione di diverse serie ambientate in quel mondo: il progetto è cominciato nel 2018, con la scelta di recarsi in Nuova Zelanda (luogo dov’è stata girata la trilogia cinematografica) per dare il via alle riprese.

L’immagine teaser della serie Amazon

Le informazioni sono ancora poche, ma già sappiamo che la trama si svolgerà millenni prima delle storie da noi conosciute, con un cast di personaggi totalmente rinnovato e luoghi e situazioni ancora inesplorate. Il tutto sarà tratto dal cosiddetto Legandarium, una serie di appunti scritti da Tolkien durante il corso della propria vita e pubblicati postumi dal figlio Cristopher, che raccontano le nascita e la storia dell’intero mondo di Arda.

Le aspettative sono perciò alte per molti fan dell’universo di Tolkien. Resta solo da attendere l’uscita, prevista per il 2 settembre 2022.

Matteo Mangano

 

Pronti, partenza, si ritorna ad Hogwarts

La sentite anche voi questa magia nell’aria? No, non mi riferisco a quella del Natale che si avvicina, ma a quella di Harry Potter, che incanta grandi e piccini ormai da 20 anni.

Saga cult del cinema fantasy, tratta dagli omonimi libri della scrittrice J.K. Rowling, Harry Potter ha fatto il debutto nelle sale cinematografiche americane il  16 novembre 2001, e in quelle italiane il 6 dicembre. Per festeggiare, il primo capitolo, Harry Potter e la pietra filosofale, ritornerà questo mese al cinema, dal 9 al 12.

Approfittando dell’occasione, noi di UniVersoMe abbiamo pensato di tornare un po’ bambini, dedicando questo articolo al maghetto più famoso del mondo!

Tutto iniziò da una cicatrice…

La cicatrice di Harry Potter. Fonte: Warner Bros.

Per chi non conoscesse la sua storia, Harry Potter (interpretato da Daniel Radcliffe) è un ragazzino orfano che vive una vita apparentemente normale con gli zii e il cugino Duddley a Privet Drive, 4: i genitori morirono quando aveva pochi mesi. Compiuti gli 11 anni di età, però, la sua vita cambia completamente: scopre di essere un mago, e non  un mago qualsiasi, ma l’unico che ancora in fasce è riuscito a sconfiggere ,anche se temporaneamente, colui che non deve essere nominato: il potentissimo Lord Voldemort.

La cicatrice sulla fronte è il segno che porta di quella notte, la  stessa notte in cui i suoi genitori morirono per proteggerlo.

Da questo momento inizierà a frequentare la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts e vivrà molte avventure con i suoi amici Ron (Rupert Grint) ed Hermione (Emma Watson), ma Voldemort continuerà ad apparire nella sua vita e a seminare terrore nella comunità magica.

L’universo Potter

Harry Potter store di Londra. Fonte: travel-network.co

La saga di Harry Potter è riuscita a permeare totalmente la cultura occidentale, fino a creare una sorta di fanatismo: attorno a questi film e libri si è venuto a creare un vero e proprio business!

I luoghi simbolo della storia sono diventati attrazioni per migliaia di turisti di tutte le età: ormai chiunque vada a Londra è disposto a fare ore e ore di fila per fare la foto nel binario 9 e ¾ . Nelle grandi città di tutto il mondo ci sono Harry Potter stores, dove è possibile acquistare gadget di tutti i tipi, dal comunissimo portachiavi alla bacchetta del vostro personaggio preferito!

Return to Hogwarts

Locandina del documentario. Fonte: HBO MAX

Il 6 dicembre, a esattamente 20 anni dalla prima nelle sale italiane, è stato presentato il primo teaser trailer del documentario Return to Hogwarts: l’uscita è stata programmata per il 1 gennaio del 2022 su Sky e Now. Già in questi pochi minuti però possiamo vedere che tutti gli attori principali parteciperanno, tra cui il “magico trio”  Radcliffe -Watson – Grint, ma anche Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes Gary Oldman e molti altri, insieme al regista dei primi due film della saga Chris Columbus.

Nelle prime immagini di questo speciale retrospettivo vengono mostrati alcuni dei luoghi principali della storia come il binario 9 e ¾ e, ovviamente, Hogwarts.

Per l’occasione Sky creerà un canale dedicato, dal 1 al 16 gennaio: quindi, per chi non avesse ancora avuto l’occasione di vederli – o per chi volesse fare l’ennesimo rewatch – è proprio il momento perfetto!

L’assenza di J.K. Rowling

Un gufo con l’invito per questa reunion sembra essersi perso: proprio quello per la grande scrittrice degli otto libri, J.K Rowling!

Sfortunatamente non sembra essere un caso; inizialmente è stato comunicato che l’autrice della saga non era stata coinvolta nello speciale in quanto si è preferito concentrarsi sulla versione cinematografica piuttosto che sui libri.

La scrittrice J.K. Rowling. Fonte: huffingtonpost.it

Ma in verità è palese che la Rowling sia stata esclusa per via delle affermazioni considerate transfobiche fatte su twitter, poi in parte ritrattate dalla stessa, che ha ribadito il suo rispetto nei confronti delle persone trans e la sua denuncia verso ogni forma di discriminazione. Questo però non ha potuto cancellare del tutto la grande gaffe.

Il mago più famoso tra i “babbani”

Harry Potter non è semplicemente una saga cinematografica o letteraria, ma è diventato un fenomeno globale, ha accompagnato le generazioni di giovani nella crescita per gli ultimi venti anni e continuerà a farlo per molti altri ancora!

Ilaria Denaro