Taormina Film Fest 70: Finché notte non ci separi

Un film piacevole e divertente, romantico ma non troppo, esuberante al punto giusto. Voto UVM: 1/5

 

Entro, spacco, esco, ciao

Lei un osteopata, lui un agente immobiliare, Pilar Fogliati e Filippo Scicchettini sono Eleonora e Valerio, novelli sposi e novelli in crisi. La love suit, che poi è la stanza in cui passeranno la notte i due protagonisti e non solo, sarà il luogo in cui inizieranno i problemi e il luogo in cui finiranno, per poco! 

Commedia divertente che spezza il dramma dell’insicurezza e della gelosia grazie al cast, infatti presente nei panni di un tassista un po’ fuori di senno, romano ma juventino, è Francesco Pannofino; Lucia Ocone invece riveste il ruolo della classica madre impicciona rimasta affezionata all’ex fidanzata di suo figlio Valerio, Ester(Neva Leoni), mentre Giorgio Tirabassi è colui che verrà trascinato, proprio dalla moglie Lucia Ocone, in questa vicenda, tutta sotto gli occhi della Capitale.  

Eleonora, come tutti d’altronde, vorrebbe certezze, che forse poco prima di mettere la fede al dito credeva di avere, ma che subito sono state smontate da qualcosa che Valerio sembrava voler nascondere. Impulsiva e con la necessità di sapere istantaneamente la verità nient’altro che la verità, Eleonora dà il via a questa lunga notte, cercando risposte un po’ dappertutto, forse anche dal suo ex fidanzato (Claudio Colica), di cui Valerio è chiaramente geloso. 

Fonte: ScreenWEEK
Un frame del film.

Se tiri troppo la corda si spezza

Molti dei temi che vengono trattati sono difettosi per via di alcune lacune evidenti all’interno della pellicola, come lo stesso dramma dell’insicurezza e della gelosia, a prescindere dal fatto che entrambi i sentimenti siano giustificati da alcune azioni ambigue, il modo in cui ci si rapporta ad essi viene troppo sottovalutato e reso nella maniera più frivola.

Spezzare il dramma per rendere molto più fluente una storia come questa è giusto ma il troppo purtroppo stroppia, per cui trovare un equilibrio è sicuramente difficile ma l’esito del prodotto sarebbe molto più efficace e meditativo. 

Imprevisti: fate tre passi indietro (con tanti auguri)

Gli imprevisti banali e a volte poco chiari non danno giustizia a ciò su cui puntava la commedia, il disagio della gelosia e il parallelismo delle relazioni di oggi e di ieri. Il parere pubblico è importante e da questo non si sfugge, ma lo stile classico e fresco, aiutato anche dalla buona costruzione dei personaggi, ha portato comunque ad un risultato. 

Fonte: My Red Carpet
Un frame del film con Pilar Fogliati.

Ci vuole un fi..lo di concretezza

Una rom-com che nel complesso abbraccia il pubblico e fa sorridere, ottima la perfomance di Filippo Scicchettini e Pilar Fogliati, avvantaggiati dalla loro alchimia.

La pecca rimane il non aver dato la giusta importanza a un argomento in realtà così delicato e discusso che ha una sua dignità, la gelosia. Un velo di dramma avrebbe fatto la differenza, poiché anche se i personaggi non si dicono quasi mai “ti amo”, come dichiarava lo stesso regista Riccardo Antonaroli durante la conferenza stampa, paradossalmente il film ricade sul genere romantico.

Con l’avanzare delle dinamiche che si creano attorno a una Roma notturna di agosto, gli incontri e gli scontri dei personaggi, il filo motore della commedia perde di credibilità, e questo per via di alcuni vuoti del racconto che si sperava venissero colmati al termine della storia.

A prescindere dal genere di film, romantico, drammatico o qualsiasi esso sia, la funzionalità di questo avviene sì per la riuscita di un ottimo incastro di cast, sceneggiatura e produzione, ma soprattutto per la corretta e lineare struttura di un racconto.

Bello il dialogo tra padre e figlio (Filippo Scicchettini e Giorgio Tirabassi) verso la fine della pellicola, in cui emerge la cruda realtà di alcune coppie e del fatto che i rapporti molte volte durano ma per una semplice questione di abitudine o per essere più schietti, per inerzia. Il consiglio dettato dal padre è quello di inventare un sogno e di scoprirsi mano a mano dichiarando che:

“la vita è come la fede, aiuta”

 

Asia Origlia

Intervista a Maurizio Bologna: uno sguardo al cinema e all’anima dell’attore

Anima siciliana e un talento straordinario, questo e tanto altro è Maurizio Bologna, attore, caratterista e sceneggiatore dallo spirito puro e artistico che il 18 giugno ha presenziato in occasione della 70esima edizione del Taormina Film Festival per la presentazione del nuovo film che lo vede tra i coprotagonisti La bocca dell’anima di Giuseppe Carleo.

La passione di Bologna per il mondo dello spettacolo nasce in tenera età quando, sulle orme della sorella, alla tenera età di 7 anni già calcava il legno dei palcoscenici. Una passione dunque che parte dal teatro per arrivare prima sul piccolo e poi sul grande schermo a partire dalla fine degli anni novanta, arrivando nei primi anni 2000 ad interpretare i ruoli importanti che, nelle grandi produzioni e in quelle indipendenti l’hanno reso celebre al pubblico vedendolo nel frattempo anche impegnato nella stesura di qualche sceneggiatura teatrale.

Profondamente legato alla sua terra, egli afferma infatti di sentirsi siciliano dal 1746 data in cui i suoi avi approdarono sull’isola, il suo cinema e le sue interpretazioni da sempre sono state legate alla Sicilia, dai primi lavori teatrali in dialetto ai grandi prodotti filmici al fianco di chi come lui rappresenta una colonna portante della cinematografia siciliana, dai film di Ficarra e Picone a quelli di Pif e di Roberto Lipari.

Noi di UniVersoMe abbiamo avuto l’occasione di conoscere il suo animo puro e semplice, l’animo modesto com’è quello di ogni vero grande artista e non ci siamo fatti perdere l’occasione di fargli qualche domanda.

Lei ha collaborato con grandi esponenti del cinema e della comicità siciliana, per citarne soltanto tre: Ficarra e Picone, Pif, ecco come ci si sente a rappresentare uno di questi pilastri? Perché penso ovviamente che lei rappresenta uno di questi pilastri non solo della cinematografia siciliana ma in generale della comicità siciliana.

Guarda non ti devi sentire, devi essere solo naturale e pensare che è una cosa solo bella, non montarti la testa e continuare a vivere serenamente, questo ti posso dire.

Parliamo sempre della Sicilia, dal suo cinema traspaiono le sue origini, ecco quanto è importante per lei il legame con la sua terra, con la sua isola?

Per me è tutto, io ti posso dare un dato, io mi sento siciliano dal 1746 quando un mio avo scese in Sicilia, facendo ovviamente una ricerca araldica vera, non di quelle che si fanno in fiera, e quindi ti posso dire che sono siciliano dal 1746 e ne sono orgoglioso.

Ph: Marco Castiglia
Il redattore Marco Castiglia con l’attore Maurizio Bologna

 

Marco Castiglia 

Taormina Film Fest 70: L’invenzione di noi due

L’invenzione di noi due è l’analisi di un rapporto che può finire ma che, se preso in tempo, può essere salvato. – Voto UVM: 3/5

 

Il 16 luglio, durante la 70esima edizione del Taormina Film Fest, al Teatro Antico di Taormina è stato presentato in anteprima nazionale il secondo film del registra vicentino Corrado Ceron, L’invenzione di noi due, con protagonisti Lino Guanciale (Che Dio ci aiuti, L’allieva, La porta rossa, To Rome with Love) e Silvia D’Amico. Il lungometraggio uscirà nelle sale italiane il 18 luglio ed è tratto dall’omonimo romanzo di Matteo Bussola uscito nel 2020. Il film racconta l’amore tra due ragazzi che, innamoratisi nei banchi di scuola, si ritrovano, andando man mano più avanti col tempo, ad affrontare un tipo di relazione che oscilla tra la leggerezza e la spensieratezza dell’innamoramento e lo svanire di un qualcosa.

L'invenzione di noi due
L’invenzione di noi due. Produzione: Medusa Film.

L’invenzione di noi due: lo schema del film

I protagonisti di questa storia sono Milo (Lino Guanciale), un architetto che lavora come chef in un ristorante a causa delle difficoltà lavorative, e Nadia (Silvia D’Amico) che svolge diversi lavori, ma con il sogno di diventare scrittrice. I due si conoscono da bambini, in una Verona degli anni ’90. Allora ha inizio la loro corrispondenza: le lettere sono una colonna portante della loro relazione e di tutto il film.

L’invenzione di noi due, prodotto da Medusa Film, è stato cofirmato proprio da Matteo Bussola, insieme alla moglie Paola Barbato, e agli sceneggiatori Federico Fava e Valentina Zannella. Nel film troviamo anche Francesco Montanari (il Libanese in Romanzo Criminale – La serie) nel ruolo di Marco, fratello maggiore di Milo, e Paolo Rossi nel ruolo di un negoziante di modellini.

L’idea dell’amore

Quando un rapporto è ridotto sul lastrico, come quello di Milo e Nadia, tentare di ricostruirlo come fosse un edificio, per Milo sembra essere la scelta più giusta. Annullarsi come esseri umani, facendo di tutto per l’altro è il modo peggiore per cercare di costruire qualcosa di sano e duraturo, e questo è un po’ quello che viene narrato dai protagonisti di questa storia. Milo e Nadia si sono amati e odiati contemporaneamente per non essersi conosciuti davvero nel corso degli anni.

Il tempo è amico e nemico, cicatrizza le ferite ma prima le fa comparire. L’idea dell’amore secondo Milo, durante l’arco temporale che si sviluppa all’interno della pellicola, è completa la dedizione e dannazione per qualcosa che poco a poco è andato perduto. Pare spontaneo chiedersi cosa ci fosse di sbagliato o di inappropriato nel rapporto tra Milo e Nadia. Se si fa attenzione al finale e alle parole di quest’ultima la risposta è proprio davanti ai nostri occhi…

L’invenzione di noi due: perdersi per ritrovarsi

 Nel film Milo e Nadia passano dall’amarsi a stare insieme per inerzia, trasformando la loro relazione in un motivo di frustrazione per entrambi. L’invenzione di Milo sarà la goccia finale che porterà i due a fare quello che forse non hanno mai fatto realmente: dialogare.

La mancanza di comunicazione e il continuo fuggire di Nadia da conversazioni scomode fa esplodere qualcosa dentro Milo, persona pacata e quasi impacciata. Questo è anche un altro tassello problematico della relazione, la loro diversità che finisce per separarli. Lo scambio di lettere era stato un modo, divertente ed eccitante, di creare un ponte tra di loro. Ciononostante, l’insoddisfazione di due lavori diversi che portano loro solo malessere e frustrazione, causa l’allontanamento di Nadia e Milo e il conseguente deterioramento della coppia.

Ciò che attira maggiormente di L’invenzione di noi due è l’interpretazione realistica degli attori, accompagnata dall’analisi di un rapporto che può finire ma che, se preso in tempo, può essere salvato. Il finale incompleto lascia lo spettatore con un accenno di sorriso e porta alla riflessione su quale sia il vero linguaggio dell’amore.

“Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata.” – Fedor Dostoevskij

 

Asia Origlia
Rosanna Bonfiglio

Taobuk 2024: un gala tra identità e arte

Anche quest’anno il Taobuk ha regalato al pubblico grandi emozioni. Tra ospiti di spessore del calibro di Marina Abramovic, Paolo Sorrentino, Ferzan Ozpetek, Alessandro Baricco e tanti altri, il festival si è incentrato quest’anno su un nuovo tema: L’Identità.

Una magica serata alla ricerca dell’Identità

L’identità al centro delle manifestazioni artistiche di questi grandi ospiti si è manifestata anche nel magico, suggestivo e spettacolare contesto della Serata di Gala del Taobuk (momento più atteso del festival), tenutosi il 22 giugno.

La serata è stata presentata dal conduttore Massimiliano Ossini e Antonella Ferrara, ideatrice del festival. Qui l’identità è stata presentata in svariate forme: dalla danza con le coreografie strepitose del gruppo Momix, ideato dal coreografo Momes Pendleton e della prima ballerina del Teatro alla Scala Nicoletta Manni, alla musica con la magnetica esibizione di Noemi.

Ogni grande artista presente han espresso il proprio concetto di identità e dove la ritrovano nel proprio mondo, aprendoci così una finestra nel loro spirito più profondo.

Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix
Coreografia svolta da una delle ballerine del corpo di ballo dei Momix

A tu per tu con i Giganti

Da Jon Fosse a Kasia Smutniak, da Sorrentino a Baricco, le più grandi personalità presenti al festival hanno ricevuto un prestigioso premio alla carriera e si sono raccontati, affrontando temi importanti e sotto certi aspetti delicati.

Come nel caso di Jonathan Safran Foer che ha trattato lo spinoso tema della guerra tra Israele e Palestina, oppure come Ferzan Ozpetek che ha centrato il focus sulla sua identità omosessuale e in generale su questo tema  ancora oggi fin troppo delicato. C’è stato poi chi ha mostrato per l’occasione il lato più profondo della propria identità, come ad esempio Jon Fosse, che ha raccontato la sua conversione religiosa o come Paolo Sorrentino che ha dichiarato come trova se stesso all’interno della sua filmografia, soprattutto nel suo ultimo film E’ stata la mano di Dio e in quello che uscirà prossimamente nelle sale, Parthenope.

L’apice è raggiunto con un affascinante racconto di Marina Abramovic sulla sua brillante ed eccentrica vita performativa, basata sul rapporto tra arte e corpo.

Il tutto accompagnato dalle melodie dell’orchestra sinfonica del Teatro Massimo Bellini di Catania e dal dolce ricordo di una delle personalità più importanti di questo festival, ovvero Franco di Mare.

Il Teatro Antico: il ritorno alla nostra identità

Tra i grandi artisti presenti a questa grande serata di Gala, vi è stato anche lo scrittore Alessandro Baricco, che nel presentare il suo spettacolo del 23 giugno, rappresentato proprio al Teatro Antico, tratto dagli scritti dello storiografo Tucidide, Atene contro Melo, ci ha donato a tutti una delle più grandi riflessioni sull’identità di tutta la serata, legata prettamente alle nostre origini. Egli ha infatti dichiarato che:

il Teatro Antico di Taormina continua a vivere grazie alle sue rappresentazioni e al suo pubblico. Ed è proprio lì, alle origini della nostra Storia che risiede la nostra identità collettiva.

Su queste parole il Gala giunge al suo gran finale.

Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic
Antonella Ferrara conversa con Marina Abramovic

Taobuk: dove emozione e cultura si sposano

Anche quest’anno il Taobuk ha immerso il suo pubblico in un vortice di grandi emozioni e di grande cultura, donando l’opportunità di camminare tra i giganti e ascoltare le parole dei maestri.

Anche stavolta l’attesissima serata di Gala ha rappresentato il punto più alto di questo festival dove l’arte e la bellezza regnano, e che non vediamo l’ora di rincontrare il prossimo anno.

 

Marco Castiglia

Rosanna Bonfiglio

 

Marefestival Salina: dove cinema e cultura sono di casa

Nel punto dove la cultura si fonde con la bellezza estatica mediterranea, tra spiagge paradisiache e panorami mozzafiato, Salina si fa cornice per uno degli eventi più speciali dell’estate: il Marefestival

Tredici anni di Marefestival

Il Festival, giunto alla XIII edizione, si svolgerà dal 14 al 16 giugno presso il comune di Malfa, anticipato da una serata-anteprima il 13 giugno, sulla terrazza del porto turistico Capo d’Orlando marina, con la partecipazione di Cucinotta, Bouchet, Inaudi e Azzollini.

Durante questa serata, sarà proiettato il film Gli agnelli possono pascolare in pace. Il programma sarà ulteriormente arricchito dalla presentazione del romanzo storico Il grano nero dello sceneggiatore e scrittore Ignazio Rosato, con un dialogo tra Rosato e Fabio Agnello, inviato de Le Iene.

Il Premio Troisi è organizzato dai giornalisti Massimiliano Cavaleri, direttore artistico, e Patrizia Casale, direttrice organizzativa, in collaborazione con Francesco Cappello, Giovanni Pontillo e Nadia La Malfa. La scenografia e l’immagine sono curate da Tina Berenato.

Come ogni anno, la madrina d’eccezione sarà la bravissima attrice siciliana Mariagrazia Cucinotta, la cui storia è legata a Salina e a Troisi, per il suo ruolo nel film il Postino, dove interpretava Beatrice, la musa di Mario (il personaggio di Troisi).

 

Massimo Troisi e Mariagrazia Cucinotta in una scena del film il Postino. Fonte: Cinema amore mio (facebook)

Premio Troisi

 

Voi volete dire allora che il mondo intero è la metafora di qualcosa?

 

Il Premio Troisi, assegnato dal Marefestival Salina, onora figure di spicco del cinema, dello spettacolo e della cultura. Insieme al Festival, questo premio è diventato un tributo significativo, ricco di valore culturale e personale, celebrando le carriere degli artisti.

Nel ricordo di Massimo Troisi, attore straordinario e persona eccezionale, che ha saputo esprimere con semplicità e genialità i  piccoli e grandi problemi  esistenziali, affermandosi come uno dei grandi maestri del cinema italiano.

L’isola di Salina e il film Il Postino, quest’anno particolarmente nel 30° anniversario, rappresentano l’eredità cinematografica di Troisi e il momento della sua definitiva affermazione internazionale.

Ai già 82 premi consegnati in questi ultimi dodici anni, si aggiungono i protagonisti di questa XIII edizione del Festival nelle varie categorie:

Attrici: Barbara Bouchet, Carla Signoris, Francesca Inaudi

Attori: Francesco Pannofino, Alessio Boni, Sergio Friscia

Cantautori: Mario Incudine e Alberto Urso

 Comici: Uccio De Santis

 Produttori: Corrado Azzolini.

 

Marefestival X UniME

Inoltre, quest’anno, è stata stipulata una convenzione per uno stage con l’Associazione “Prima Sicilia” al fine di coinvolgere gli studenti dell’Università di Messina nelle fasi di preparazione e nelle attività del Festival, che si terrà dal 13 al 17 giugno (alla fine della pagina troverete il link per la candidatura).

Gli studenti potranno partecipare a diverse attività, tra cui:

  • Comunicazione, promozione e ufficio stampa
  • Segreteria organizzativa e produzione
  • Direzione artistica

Questa esperienza permetterà agli studenti di acquisire rapidamente competenze specifiche in vari campi, lavorando a stretto contatto con professionisti e personalità di spicco non solo del mondo del cinema. 

 

Gaetano Aspa

 

https://www.unime.it/notizie/marefestival-salina-2024-possibilita-di-stage-studenti-unime

 

The Fall Guy: puro intrattenimento cinefilo

The fall guy è Intrigante, spettacolare e divertente. Voto UVM: 4/5

The Fall Guy è un film del 2024 diretto da David Leitch che torna sul grande schermo a due anni da Bullet Train. Leitch riesce a racchiudere in maniera perfetta azione, commedia e giallo in una cornice romantica, bilanciando tutti questi generi perfettamente. Il cast è ricco di nomi importanti, tra i quali Ryan Gosling (Blade Runner 2049) ed Emily Blunt come protagonisti insieme a Aaron-Taylor Johnson, che ha già lavorato con il regista nel suo ultimo film, e ad Hannah Waddingham.

The Fall Guy: la trama

Colt Seavers (Ryan Gosling) è un talentuoso stuntman di Hollywood in una relazione con l’operatrice di camera Jody Moreno (Emily Blunt), con cui lavora sui set. In una normalissima giornata di lavoro è però coinvolto in un incidente dal quale ne esce gravemente ferito. A seguito dell’incidente, di cui si sente responsabile, cade in una crisi che lo porta a tagliare tutti i rapporti con l’ambiente di lavoro, fidanzata inclusa.
Dopo essere guarito cerca di tirare avanti facendo l’autista, ma quando la produttrice Gail Meyer (Hannah Waddingham) lo informa che Jody sta girando il suo primo film come regista, lui decide di tornare in scena. Jody, non informata del suo arrivo, non lo accoglie calorosamente, rinfacciandogli il fatto che l’abbia lasciata senza farsi sentire. Intanto l’attore di cui Colt è la principale controfigura, Tom Ryder (Aaron-Taylor Johnson), è scomparso e sarà proprio lo stunt a doverlo cercare.

the fall guy
Ryan Gosling e David Leitch sul set. Fonte: gqitalia.it

David Leitch: da stuntman a regista

Il film nasce proprio con l’idea di mettere per la prima volta in evidenza sul grande schermo quegli attori “nascosti” fra i grandi nomi di Hollywood che però compiono le scene più adrenaliniche e contemporaneamente più pericolose: le controfigure. Il tutto è reso più avvincente se pensiamo che lo stesso regista è nato come stuntman e perciò ha potuto curare nel minimo dettaglio le riprese, affinché risultassero più spettacolari possibili.
David Leitch viene da una carriera immersa appieno nel mondo del genere action: dalle già citate presenze sullo schermo come stuntman, arriva poi a produrre l’intera saga di John Wick e a dirigere Deadpool 2 e Fast & Furious – Hobbs & Shaw.

Con questa opera fa quindi un tributo a una categoria come quella degli stuntman. Inoltre, qui si vedono riprese dal “dietro le quinte” nel finale del film, dando così lo spazio che tutti gli stunt si meriterebbero.

Un cast d’eccezione per attirare il pubblico

Emily Blunt e Ryan Gosling agli Oscar 2024. Fonte: hollywoodreporter.com

Come già anticipato, il cast vede gli importanti nomi di Ryan Gosling e Emily Blunt nei panni dei protagonisti: i due si rincontrano dopo la notte degli Oscar 2024. Nell’ultima edizione degli Academy entrambi si sono visti candidati nella categoria di Miglior attore e miglior attrice non protagonista. Spiacevolmente nessuno dei due è riuscito a portare a casa il premio, ma ci hanno dato l’occasione di vederli insieme all’opera in un piccolo siparietto organizzato per tirare fuori la tanto discussa rivalità fra Barbie e Oppenheimer.

In questi due film, che hanno sbancato il botteghino lo scorso anno, usciti entrambi il 23 luglio in America, gli attori hanno interpretato magistralmente personaggi chiave come Ken e Kitty Oppenheimer, tanto da ottenere la candidatura.
Potremmo stare ore a parlare delle immense carriere degli attori protagonisti ma il cast è composto anche da altri attori di spessore come Aaron-Taylor Johnson. Quest’ultimo già comparso in due film del “Marvel Cinematic Universe” nelle vesti di Quicksilver e in Godzilla nel 2014, dove è protagonista con il tenente Ford Brody. Torna ufficialmente alla ribalta grazie a Bullet Train dello stesso Leitch, dove riesce a imporsi scenograficamente anche grazie al carismatico personaggio di Tangerine.
Ultima, ma non per importanza, fra i grandi nomi è Hannah Waddingham, rinomata attrice nel mondo dello spettacolo che non si è mai limitata a un solo settore: ricordiamo la sua partecipazione in Ted Lasso. Di fatti, questo per lei è il primo grande ruolo in un lungometraggio, la quale è riuscita a immedesimarsi perfettamente nell’eccentrica figura di Gail.

In conclusione, il film si presenta veloce e pieno di colpi di scena, grazie ai quali si riesce ad articolare una trama particolare e mai banale. Il tutto inoltre è condito da riferimenti alla cultura pop cinematografica, che i più appassionati sicuramente riconosceranno durante la visione. La pellicola sarà ancora per poco disponibile al cinema, quindi accorrete perché ne vale la pena, e in seguito sarà disponibile su Amazon Video.

Giuseppe Micari

Drive-Away Dolls: le tante facce dell’America

Drive-Away Dolls è poco impegnativo, ma al tempo stesso intrattenente. Voto UVM: 4/5

Drive-Away Dolls è un film del 2024 diretto da Ethan Coen, che insieme al fratello Joel, ha vinto a suo tempo ben 4 Oscar. Nel cast spiccano i nomi di attrici emergenti nei ruoli principali, come Margaret Qualley, già presente in lungometraggi più rinomati come Povere creature! e C’era una volta a… Hollywood, Geraldine Viswanathan e Beanie Feldstein, ma anche quelli di personalità più famose al pubblico come Pedro Pascal, Matt Damon e Miley Cyrus, che con i loro personaggi compongono la cornice della trama e legano i pezzi di questa tra loro. La pellicola presenta una comicità surreale e a tratti pungente, dove si trattano non solo temi romantici e erotici, ma anche di spessore sociale.

Fonte: ew.com

Drive-Away Dolls: la trama

L’ambientazione dove si apre il film è la Philadelphia del 1999, dove la comunità queer in America è più in ascesa.

Nella primissima scena vediamo dei loschi individui uccidere un goffo personaggio (Pedro Pascal) e derubarlo di una valigetta, senza che ci vengano forniti ulteriori dettagli. Subito dopo viene presentata una delle due protagoniste: Jamie (Margaret Qualley) è una ragazza dallo spiccato accento texano che ama divertirsi e passare la notte con altre ragazze. Proprio per questo Sukie (Beanie Feldstein), la sua ragazza, la scarica e la caccia dal suo appartamento.

Jamie si ritrova così senza una fissa dimora, ospite dell’altra protagonista Marian (Geraldine Viswanathan), un’altra ragazza omosessuale che però è molto introversa e non ha una relazione da anni. Marian è in procinto di partire per Tallahassee, in Florida, per incontrare la zia e Jamie decide di accompagnarla. Per arrivarci, le due decidono di noleggiare un’auto, incominciando così un viaggio verso il profondo sud degli Stati Uniti, dove la mentalità è molto più conservatrice e tradizionalista.

Contemporaneamente tre criminali, che si dirigono per pura coincidenza a Tallahassee, vanno a ritirare una macchina, la stessa che si trova in mano alle protagoniste, ma che in realtà era destinata ai tre.

Jamie, sempre in cerca di avventure e di posti da visitare lungo la costa orientale, prende il viaggio come una gita, allungando il tragitto che doveva in realtà durare un giorno. Lungo le varie fermate, le due imparano pian piano a conoscersi sempre meglio, con Marian che fa fatica a uscire dal suo guscio. I tre scagnozzi hanno intanto iniziato a cercare la macchina, irrompendo a casa di Sukie che rivela loro l’identità di chi c’è alla guida. La macchina infatti nasconde al suo interno la valigetta della prima scena e un altro carico non ben specificato.

Le esperienze di Ethan Coen e le particolarità nel montaggio

Il regista viene da una carriera costruita fianco a fianco con il fratello Joel, con il quale ha vinto un Oscar nel 1998 per Fargo alla miglior sceneggiatura originale e altre tre statuette nel 2008 per Non è un paese per vecchi all’esordio per miglior film, oltre che per miglior regia e miglior sceneggiatura non originale. La stretta collaborazione che ha caratterizzato i loro film non è però presente in Drive-Away Dolls, dove Ethan Coen collabora con la moglie Tricia Cooke realizzando un film che non rappresenta l’apice della sua carriera, ma che sicuramente ha degli aspetti positivi.

Ethan Coen e la moglie Tricia Cooke al loro primo film insieme. Fonte: ciakmagazine.it

Lungo la pellicola appaiono flashback relativi al passato di Marian, mostrando il suo primo approccio all’omosessualità. Trip allucinogeni ripresi da Il Grande Lebowski spezzano il racconto colpendo lo spettatore, ma riescono ad ottenere un senso solamente verso la fine del film, risultando così un po’ sconnessi. Solamente una storia completa darà senso a queste scene, che sono anch’esse flashback.

L’unicità oltre gli stereotipi

La rappresentazione delle minoranze all’interno dell’opera è sicuramente un aspetto da menzionare, in quanto non sono più rappresentate da personaggi caratterizzati appositamente per quello e che cercano continuamente di emanciparsi, ma sono giustamente rappresentate come una semplice normalità che aiuta tantissimo lo spettatore ad entrarci in empatia.

La moltitudine di esperienze omosessuali che le protagoniste vivono e le varie sfaccettature della complessa e variegata società americana fanno capire come ognuno sia unico nel suo genere e ciò rende il film intrigante fino all’ultima scena, dove Jamie e Marian, dopo aver affrontato delle esperienze uniche che le hanno inevitabilmente legate, hanno capito di sentirsi a proprio agio l’una con l’altra e si dirigono insieme alla zia di Marian, abbiente donna di colore, in Massachusetts, dove il matrimonio tra donne è consentito.

Il film funziona oltre che per la sua velocità anche grazie alla presenza scenica di Margaret Qualley che riesce a rendere Jamie protagonista in ogni situazione. La Universal Pictures, per la distribuzione nei cinema, ha tristemente deciso di portare il film in Italia senza il doppiaggio nella lingua, ma aggiungendo solamente i sottotitoli. Questo però non lo rende un film non alla portata di tutti, anzi è perfetto per farsi quattro risate con gli amici senza momenti di noia totale.

Giuseppe Micari

Il ragazzo e l’airone: una fantasia terrena

Napoleon
Miyazaki continua il suo cammino di artista. Un film come pochi al mondo. Una poetica unica, ed una visione dell’arte eccezionale. – Voto UVM: 5/5

Hayao Miyazaki è uno dei più grandi artisti viventi al mondo, che torna nelle sale a dieci anni dal suo ultimo lavoro, quello che aveva segnato il suo decennio da artista. Il tono di Si alza il vento era conclusivo, e sembrava che il regista avesse messo il punto sulla sua carriera. Cosa possiamo dire allora dell’arrivo di un nuovo film nel 2023?

A partire dai suoi primissimi lavori, Miyazaki ha sempre messo un po’ di sé all’interno dei suoi film, a partire da tematiche come inquinamento, guerra affrontate già a partire dagli anni ottanta quando non era scontato. Accanto a queste un’altra costante era stata l’ammirazione per il cielo, che fin da bambino lo aveva accompagnato come una certezza: interi suoi film, come Porco rosso, sono costruiti attorno al volo e agli areoplani.

Ma non questo film, che prende una strada molto diversa anche con la tematica del sogno. Il ragazzo e l’airone (“How do you live” in originale) è forse il film più terreno di Miyazaki.

Mahito e l’airone. Fonte: Mowmag.com

Tra traumi, pericoli e meraviglie visive

La premessa del film è simile a quella de La città incantata con un bimbo in viaggio verso un luogo isolato del Giappone: un racconto metaforico a spirale, con tanti significati celati. Qui, invece, le immagini sono inequivocabili. Rimane poco spazio all’interpretazione.
Mentre nella pellicola già sopra citata come in altri cartoni di Miyazaki, quale Il castello errante di Howl, c’era sempre qualche detto non detto, qui il film è spietatamente chiaro.

Mahito, il protagonista del film, è un bimbo pieno di vizi, paure ed imperfezioni. Fa a botte con gli altri bambini a scuola, non accetta la nuova compagna del padre e si procura ferite solo per farsi notare in casa, in un miscuglio di vittimismo e ricerca di attenzioni.
È un personaggio perfettamente coerente con una trama dura, che prende a piene mani dal classico immaginario Ghibli, citandolo apertamente, ma che allo stesso tempo tratta quelle immagini fiabesche e colorate come anche imperfette. Persino l’airone, “mascotte” del film, è un personaggio estremamente patetico e fastidioso.

Questo è in poche parole, un film disilluso, di un Miyazaki che fa abbracciare le armi al protagonista non per difendersi ma per cacciare un nemico, con sullo sfondo una seconda guerra mondiale che viene quasi accettata.
Il viaggio metaforico di Mahito lo porterà ad affrontare un viaggio di crescita interiore, ma come detto non sarà pieno di immagini idilliache, ma di traumi che il protagonista dovrà accettare come inevitabili.
Imparerà ad accettare sé stesso ed il mondo, ma senza fanfare e con fredda onestà.
Il finale soprattutto sarà estremamente schietto in questo, lasciando allo spettatore una fastidiosa sensazione di incompletezza.

il ragazzo e l'airone
Collage di alcune scenedel film. Fonte: Dagospia

Il ragazzo e l’airone: un capolavoro senza tempo

L’arte del film è superba come sempre, la regia regala ad ogni scena qualcosa di unico ed anche l’implementazione della computer grafica è perfetta nella costruzione di carrelli ed effetti aggiunti ai disegni: mai posticcia e usata sempre efficacemente.
Il doppiaggio italiano, rispetta perfettamente lo stile austero e formale dello studio e del regista, ma senza  le storture che si possono riscontrare negli ultimi film Ghibli, divenute oggi famose ed oggetto di meme sul web.

Per concludere diciamo questo: Il ragazzo e l’airone si inserisce nella filmografia di Miyazaki come il lavoro di un regista che va verso un nuovo capitolo della sua vita e verso un nuovo modo di vedere il mondo. E riesce a trasmettere questo in una maniera in cui pochi artisti al mondo sanno comunicare. Una vera opera d’arte di cui non si smetterà mai di parlare.

Matteo Mangano

Marco Bellocchio: il grande cinema a Messina

Lo scorso 7 dicembre 2023, Marco Bellocchio, noto regista, sceneggiatore, produttore e docente di cinema, è stato insignito dall’Università di Messina del dottorato di ricerca honoris causa in Scienze Cognitive, curriculum Teorie e tecnologie sociali, territoriali, dei media e delle arti performative. Nel pomeriggio della stessa giornata, è stato ospite al Messina Film Festival Cinema & Opera ed ha partecipato alla consegna del premio per miglior cortometraggio a tema, vinto dalla giovane regista Maria Francesca Monsù Scolaro con il filmCon-Divise.

Biografia di Marco Bellocchio

Marco Bellocchio nasce il 9 novembre 1939 a Bobbio, in provincia di Piacenza ed è durante la frequentazione delle scuole salesiane che scopre la sua grande passione per il cinema, che lo porta a frequentare il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, dove si diploma come regista nel 1962, sotto la guida di Andrea Camilleri. Il suo primo lungometraggio, I Pugni In Tasca, realizzato alla giovane età di ventisei anni, gli garantisce la selezione al Festival del film Locarno e vince il premio  Vela d’argento nel 1965. In questa e in altre pellicole come La Cina è Vicina (1967), premiato con il Leone D’Argento al Festival di Venezia, ha dimostrato il suo anticonformismo, mettendo a nudo l’ipocrisia borghese e facendo riferimento ai moti del’68.

In moltissimi dei suoi lungometraggi, caratterizzati da un procedere piuttosto calmo e lento, traspaiono i suoi interessi sociali e politici. Alcuni tra i titoli più noti sono Buongiorno, Notte (2003) in cui racconta il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro; Il Traditore (2019), relativo al mondo della mafia. Il culmine della sua carriera è stato raggiunto proprio quest’anno con Rapito, in cui racconta il caso di Edgardo Mortara.

 

Il regista Marco Bellocchio con il prof. F.Vitella. Ph. © Ilaria Denaro

Dottorato honoris causa a Marco Bellocchio

Non ho più l’età per perdere la testa, ma sono estremamente felice

Sono queste le parole pronunciate da Bellocchio, una volta insignito del dottorato. Egli è stato accolto come membro dell’Università di Messina dai docenti Alessandra Falzone, Coordinatrice del Dottorato in Scienze Cognitive; Carmelo Maria Porto, Direttore del Dipartimento di Scienze Cognitive; il Prorettore Vicario Eugenio Cucinotta; il Direttore Generale Francesco Bonanno e il Decano Antonio Panebianco.

Marco Bellocchio
Da sx Carmelo Maria Porto, Direttore del Dipartimento di Scienze Cognitive,il Prorettore Vicario Eugenio Cucinotta, il Decano Antonio Panebianco, il Direttore Generale Francesco Bonanno. Ph.©Ilaria Denaro

 

La Laudatio, invece, è stata affidata al professore Federico Vitella, ordinario di Cinema, fotografia e televisione, che è stato il primo sostenitore del conferimento del titolo a Bellocchio e che, con il suo discorso, ha ripercorso le tappe principali della carriera del regista.

Abbiamo l’onore di consegnare il dottorato – ha esordito – al più grande regista italiano vivente. Esponente del nuovo cinema italiano degli anni Sessanta, ha saputo innovare l’arte cinematografica, svecchiandone la narrazione e spalancando le porte al cinema moderno. Ha saputo anche rinnovare costantemente sé stesso, pur rimanendo fedele a uno stile inconfondibile, come la scelta dell’inquadratura lunga o della teatralità dello spazio, ed alcuni temi che definiscono il suo orizzonte poetico.

Queste, invece, le parole di Bellocchio:

Questo titolo, che arriva dopo la Laurea Honoris Causa alla Iulm, non sarà qualcosa che metterò al muro e lascerò impolverare, ma un segno davvero importante, una conferma e una soddisfazione che mi dà ancora più voglia di lavorare e creare. […] Stiamo mettendo a fuoco questo progetto che è una serie in sei episodi su Enzo Tortora. In questi mesi cerco di non distrarmi in nessun altro progetto, poi vedremo, prima di tutto vediamo di farlo e di farlo bene. Poi se uno ci pensa, ci sono tanti progetti da realizzare, da Giovanni Pascoli o storie molto internazionali come il processo di Norimberga, per esempio, però il nostro lavoro è molto concreto, bisogna capire se ci sono anche le possibilità economiche per poterlo fare; quindi, ci misuriamo sempre con il possibile. […] Il Dottorato Honoris Causa ricevuto in questo affascinante contesto mi inorgoglisce molto e mi impegna a rispondere ad una responsabilità in più. Dovrò compiere una meticolosa ricerca, al di là della gloria, dei traguardi o degli onori, che possa essere fortemente umana nell’ambito di un mestiere molto pratico, abituato a mediare tra diverse esigenze per produrre i suoi risultati. Il riconoscimento odierno testimonia l’entusiasmo per il mio lavoro e mi dona ancora più forza e convinzione per continuare a fare ciò che mi piace. Ai giovani, dico di essere entusiasti e di indagare a fondo per comprendere se il cinema è davvero la loro più grande passione da inseguire con tutte le energie di cui dispongono.

Nel pomeriggio, poi, come detto in precedenza, il regista è stato ospite al Messina Film Festival Cinema & Opera, ed in questa occasione, sono stati proiettati quattro dei suoi lavori: I pugni in tasca (1965); Vincere (2009); Addio del passato (2002); Pagliacci (2016).

 

Giorgio Maria Aloi

Hunger Games e la distopica filosofia dell’Usignolo e del Serpente

 

Hunger Games
Una versione più “rudimentale” degli Hunger Games ma che riesce comunque a tenere lo spettatore incollato allo schermo. – Voto UVM: 3/5

 

Il prequel/spin-off del franchise diretto da Francis Lawrence è un ottimo motivo per farci tornare a Panem, in cui scopriremo le crudeli origini dei Giochi della Fame e del carismatico, e tutt’altro che “candido”, anti-eroe.

Il film è la trasposizione cinematografica del romanzo di Suzanne Collins pubblicato nel 2020, ed è ambientato durante i 10° Hunger Games.

Benvenuti ai 10° Hunger Games!

Il protagonista è un giovane Coriolanus Snow (colui che diventerà il temuto presidente di Panem): un giovane uomo, determinato a concludere gli studi per fare carriera e ripristinare il fascino del cognome di famiglia con il suo talento. Per questo, a soli 18 anni, non può rifiutare l’offerta di figurare come mentore di un tributo per gli Hunger Games. Il suo compito è di fare da mentore a Lucy Grey Baird, una ragazza povera del Distretto 12.

Nonostante i timori iniziali, Snow e Lucy Grey trovano un modo per affrontare l’arena, soprattutto quando la ragazza dimostra di avere una voce da usignolo.

Una storia d’amore senza lieto fine…

Coriolanus Snow (interpretato da Tom Blyth), a diciotto anni è già ingegnoso e astuto, ed il suo iniziale e genuino desiderio di riscatto, scaturito dal trauma per la perdita prematura di entrambi i genitori, si tramuterà ben presto in cieca ambizione.

Ben lontano dall’essere lo spietato presidente di Panem presentato nella saga principale, Snow mostra spesso le proprie vulnerabilità. Non è totalmente cattivo o spietato nel prequel, così come non è esattamente buono ed innocente. Ed è nelle sue sfumature di grigio che prende forma man mano quella personalità pericolosa che poi incontreremo nella saga principale.

Lucy Gray Baird (interpretata da Rachel Zegler) fa parte dei Covey, un gruppo di musicisti itineranti confinati nel 12 durante i Giorni Bui. Orfana di entrambi i genitori, si guadagna da vivere esibendosi sul palco. Dal carattere libero, frizzante e senza peli sulla lingua, Lucy Gray proprio grazie a queste sue caratteristiche riesce ad attirare su di sé l’attenzione e il favore del pubblico.

Tra i due protagonisti, nonostante le differenti origini, nascerà una storia d’amore non a lieto fine. Coriolanus che inizialmente reputava i giochi solo come una punizione per la passata ribellione, alla fine del film affermerà di aver finalmente capito a cosa servono veramente gli Hunger Games:

“La natura umana è intrinsecamente violenta e Capitol City è l’unica forza in grado di tenere a bada i distretti”.

Hunger Games
Frame del film: Hunger Games – La ballata dell’Usignolo e del Serpente. Distribuzione: Medusa Film.

Curiosità (distopiche) sul fenomeno mondiale Hunger Games

Suzanne Collins nel 2008 ispirandosi a George Orwell ed al suo distopico romanzo 1984, pubblica Hunger Games e ci catapulta per la prima volta a Panem, che altro non è che una versione moderna della orwelliana Oceania ed il set rappresenta, dunque, un futuro post apocalittico.

La Nazione è formata dalla ricca Capitol City e dai dodici distretti controllati dalla stessa Capitol (in origine erano 13, ma quest’ultimo è stato raso al suolo dopo la ribellione). Come suggerisce il titolo del romanzo, il tema chiave è la fame: intesa sia come libertà politica, sia come vera e propria fame, data la povertà di molti distretti.

In memoria di una passata ribellione dei Distretti, ogni anno la capitale organizza gli Hunger Games, un gioco trasmesso in tutte le tv nel quale due giovani per distretto, un ragazzo e una ragazza, vengono selezionati via sorteggio durante la mietitura, per affrontarsi brutalmente in un’arena iper tecnologica e piena di telecamere.

Negli Hunger Games è molto importante come i tributi vengano percepiti dal pubblico: più sono i favoriti e più riceveranno aiuti durante i combattimenti. Questo è ciò che ha dovuto fare Katniss Everdeen (distretto 12 come Lucy Gray), protagonista dei romanzi principali, per sopravvivere e vincere. Quest’ultima interpretata dalla bellissima e talentuosa Jennifer Lawrence.

E mentre Lucy Gray è una performer inserita in un campo di battaglia e costretta a diventare una cacciatrice per la sua sopravvivenza, Katniss è una cacciatrice inserita in un campo di battaglia, costretta a trasformarsi in una performer per la sua sopravvivenza.

In questo mondo la civiltà aliena le persone da ciò che dovrebbe essere reale e naturale, come la stessa Katniss aveva affermato:

“Distretto 12. Il miglior posto per morire di fame in tutta sicurezza”.

Hunger Games
Frame del film: Hunger Games – La ballata dell’Usignolo e del Serpente. Distribuzione: Medusa Film.

Gli Hunger Games visti da Jean Jacques Rousseau

Da Hunger Games ci si può ricollegare a Jean Jacques Rousseau e alla sua L’Origine della disuguaglianza (1755). Nell’opera, Rousseau riteneva che occorre risalire all’origine del tempo e della vita umana per capire l’uomo prima dell’avvento della civilizzazione umana e delle istituzioni che tanto hanno determinato la sua condotta. Ai suoi occhi il potere, la sopraffazione, l’egoismo, la guerra, appartengono al mondo civilizzato e sono sconosciuti all’uomo di natura.

In Hunger Games – La ballata dell’Usignolo e del Serpente, vediamo una versione più rudimentale dei giochi, con una tecnologia scarsa rispetto a quella della saga originale (basti pensare all’arena nella quale dovrà combattere Lucy Gray, molto più piccola e con meno astuzie tecnologiche di quella di Katniss).

Tuttavia, il film è pieno di suspense e di protagonisti affascinanti e coraggiosi che riescono a tenerci incollati allo schermo per tutta la durata del film.

 

Carmen Nicolino