The Danish Girl: Una storia vera raccontata con delicatezza

Nel 2000, David Ebershoff scriveva “The Danish Girl” ispirato alle vite dei due pittori danesi Gerda Wegener e Einar Wegener/Lili Elbe; Quest’ultima identificata come la prima transessuale e che si è sottoposta a interventi chirurgici per cambiare la propria identità sessuale.

Il film del 2015 di Tom Hooper (che ha diretto anche “il Discorso del Re”), adatta cinematograficamente il romanzo, con le dovute licenze e secondo la poetica del regista. Una visione forse edulcorata per alcuni spettatori, ma sicuramente apprezzabile che non ha timore di mostrare delle nudità intere e anche scene con tematiche sessuali esplicite senza cadere nella volgarità o nello squallore (ciò nonostante Negli Stati Uniti è stato vietato ai minori di 17 anni non accompagnati). La fotografia scandisce il passaggio da uomo a donna, partendo da una Copenaghen anni ’20 con toni freddi grigiastri, per arrivare a una Parigi calda e avvolgente dove Lili trova finalmente se stessa.

Sono, però, le emozioni, anche quelle non dette a far “rumore”. Eddie Redmayne riesce a trasmettere le sofferenze interiori di una donna intrappolata nel corpo di un uomo, le sue incertezze, paure, fragilità, capricci e la forza di volontà nel portare a termine questa sua missione. La sua interpretazione delicata e forte allo stesso tempo, è davvero intensa; ma è Alicia Vikander che esalta questa interpretazione (difatti ha vinto un oscar per questo). L’attrice riesce a mostrare tutti gli stati d’animo di una moglie che vede le difficoltà di un marito, che diventa un’ami

ca. Come può una donna accettare tutto questo? Eppure Gerda lo fa con amore incondizionato, un amore che va oltre l’identità sessuale.

Questo film probabilmente farà storcere il naso a chi crede che certe cose siano “contro natura”, ma non fa altro che mostrare la vita di due donne, unite da un legame profondo, in un tempo non molto vicino, ma per certi aspetti nemmeno troppo lontano.

 

Saveria Serena Foti

Fog: la tensione viaggia tra la nebbia.

John Carpenter è la prova che con un budget limitato e in poco tempo si possono creare dei piccoli capolavori. Fog, pellicola del 1980, viene considerata un’opera minore del regista, ma possiede tutti gli elementi che hanno fatto guadagnare al bravissimo Carpenter l’epiteto di maestro dell’horror classico.

La trama è piuttosto lineare. Antonio Bay, ridente cittadina portuale della California, si appresta a festeggiare il centenario della fondazione, ma la notte di vigilia, allietata dal programma radiofonico locale della speaker e guardiana del faro Stevie Wayne (Adrienne Barbeau, allora moglie del regista), una strana serie di eventi sconvolge la quiete: si sente bussare a diverse porte, orologi e congegni elettrici impazziscono, motori, fari e clacson delle automobili si accendono da soli e, soprattutto, tre marinai vengono uccisi a colpi di uncini e coltellacci mentre si trovano a bordo della loro barca dopo esser stati ammantati da una misteriosa nebbia molto fitta che nasconde al suo interno misteriosi ed inquietanti segreti.

Quella stessa notte arriva in città l’autostoppista Elizabeth (una giovanissima Jamie Lee Curtis) grazie ad un passaggio di Nick Castle (Tom Atkins), mentre il parroco della città, un alquanto alcolizzato Padre Malone (Hal Holbrook) scopre per caso un vecchio diario di suo nonno, padre fondatore di Antonio Bay. Il diario rivela al prete l’oscuro passato, fatto di tradimenti, cupidigia e inganni della città di Antonio Bay. L’indomani, durante i festeggiamenti per la ricorrenza, fa di nuovo capolino quella fitta nebbia, luminosa e assassina…

Il film certamente non brilla per gli effetti speciali o per i costumi, anzi, per certi aspetti i fantasmi portati dalla nebbia, che dovrebbero essere teoricamente l’elemento più spaventoso del film, se estraniati dal contesto risultano alquanto ridicoli. La bravura del regista si basa sulla capacità di creare un crescendo di tensione senza mostrare nulla di eccessivamente esplicito. Questa necessità, dettata inizialmente da un basso budget, diventa la chiave del successo del film, in quanto permette a Carpenter di sfoggiare le sue abilità tecniche. Sono due gli elementi alla base della tensione palpabile del film.

In primo luogo la colonna sonora. Per chi non lo sapesse, oltre ad essere un bravo regista, John Carpenter è un eccellente compositore. Il ritmo incalzante ed inesorabile del suo sintetizzatore scandisce abilmente i tempi del film, dando movimento ed enfasi ad una regia a volte troppo lenta. I toni drammatici della colonna sonora sono stemprati dai pezzi jazz che Stevie Wayne manda alla sua trasmissione radiofonica.

https://www.youtube.com/watch?v=yNSLaYJboPE

Ad ogni modo, come dice il titolo stesso, la vera protagonista del film è la nebbia. Essa diviene per gli spettatori proiezione delle paure inconsce dell’uomo nei confronti dell’ignoto. La nebbia origina dal mare e si infiltra lentamente e sinuosamente tra le case di Antonio Bay, portando con sé un crescendo di tensione e paura. La scelta di non entrare nel banco di nebbia con la macchina da presa, di non fenderla ma di lasciarsi travolgere (nessuna inquadratura da dentro il banco, sempre frontale o con intervento laterale) rende ancora maggiore l’impressione del pubblico di essere immerso nel film: tale impressione è così vivida da spingere gli spettatori più suggestionabile a voltarsi in dietro, per il timore che la nebbia sia uscita dallo schermo e stia per sorprenderli alle spalle.

L’assenza di elementi espliciti e crudi, la diabolica capacità di Carpenter di creare tensione con pochi ma efficaci elementi, rendono Fog il film perfetto per tutti coloro che vogliono approcciarsi all’horror classico, ma non amano lo spargimento di sangue.

Renata Cuzzola

Gatta Cenerentola: quando l’animazione è cosa da adulti.

E’ un momento d’oro per Napoli.
Vittorio Basile (Mariano Rigillo), un ricco scienziato di origini napoletane, è pronto a rilanciare la città ed il territorio con un progetto ambizioso consistente nella trasformazione dell’area partenopea in un polo tecnologico, sfruttando la tecnologia della nuova nave di sua proprietà, la “Megaride”, in grado di trasmettere sotto forma di ologrammi ciò che accade al suo interno. Ma Vittorio è più di questo.

E’ anche padre di Mia, sua unica figlia e futuro sposo di Angelica Carannante (Maria Pia Calzone), avvenente donna con a carico cinque figli, quattro femmine e un maschio al quale piace assumere atteggiamenti femminili. In realtà la promessa sposa cela un grande segreto: una relazione con Salvatore Lo Giusto (Massimiliano Gallo), un malavitoso con l’intento di arricchirsi sfruttando le radici del lavoro in fase embrionale di Vittorio. Sarà proprio Lo Giusto a convincere Angelica a sposare lo scienziato, secondo un piano elaborato nei minimi dettagli dove Vittorio ne uscirà inevitabilmente sconfitto. Questo evento stravolgerà la vita promessa di Napoli, ma soprattutto, quella di Mia.

“Gatta Cenerentola” è un film di animazione del 2017, diretto da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone.
Riconosciuto con svariati premi e nomination tra cui due David di Donatello, vanta di essere un progetto tutto italiano e unico nel suo genere, vista la quasi estraneità italiana ad un ambito cinematografico così mirato, spesso cedendo il passo alla ormai consacrata arte nipponica, leader del genere.
Eppure l’Italia non smette di stupire, proponendo un prodotto alieno che suscita stupore se in relazione al nostro territorio e che riesce a scardinare la inevitabile relazione disegno-bambino.

Perché qui di infantile, c’è davvero poco. Benché lontani dalla concorrenza “Made in USA” firmata Pixar e il “Re” del Sol Levante, Studio Ghibli, è lodevole il lavoro svolto nella realizzazione dei soggetti e lo stile usato, nonostante molti difetti e forse un disegno volutamente grezzo.
Interessante è la scelta di usare “un cartone” per narrare vicende adulte, quali sanguinarie faide familiari, che a primo impatto andrebbero in contrasto. Eppure, dopo aver superato questo “ostacolo”, tutto sembra funzionare senza badarci troppo, accompagnato da un doppiaggio altalenante, che oscilla fra il bene e il male (primeggia senza dubbio Massimiliano Gallo, alla sua prima esperienza di doppiaggio).
Purtroppo la scelta del parlato, quasi del tutto in lingua napoletana, è un arma a doppio taglio. Se da una parte è una precisa cura del dettaglio e azzeccata decisione al fine di intersecare temi e luoghi, per una coerenza e immedesimazione maggiore assolutamente apprezzabile, dall’altra rischia di far abbassare l’attenzione dello spettatore più focalizzato nel tentativo di comprendere i dialoghi che nel seguire le immagini a schermo.

“Gatta Cenerentola” è un ottimo inizio per espandere il cinema italiano in altri ambiti cinematografici ancora poco esplorati e un buon banco di prova che dimostra che con costante impegno, tenacia e, possibilmente, coraggio, si può solo migliorare.

                                                                                             Giuseppe Maimone

La 50esima edizione del Fotogramma d’oro si è conclusa: impressioni e vincitori.

Si è concluso giorno 26 maggio la 50esima edizione del Fotogramma d’oro, rassegna di cortometraggi di registi internazionali.
I cineasti e non hanno potuto godere, con ingresso gratuito, la qualità di una rassegna nata a Torino, che da tre edizioni si svolge nella nostra città.

Ha preceduto il Festival l’inaugurazione della mostra «Fotogrammi – Mostra pittorica e grafica liberamente ispirata a locandine di film» ideata dal pittore messinese Piero Serboli, hanno aderito numerosi artisti tra pittori, grafici ed illustratori con opere inedite, frutto della loro fantasia ed ispirazione. Gli autori hanno scelto e riprodotto, secondo le personali interpretazioni, locandine di film.

Le proiezioni si sono svolte nei pomeriggi e serate di giovedì 24 e venerdì 25. Le mattine hanno visto la Feltrinelli Point come luogo adibito agli incontri con gli autori delle opere in concorso.

Il festival è stato organizzato dalla Federazione Nazionale Cinevideoautori, il cui presidente è Francesco Coglitore con il patrocinio dell’Università degli Studi di Messina, dell’Assessorato alla Cultura e Spettacolo del Comune di Messina, dell’AIRSC (Associazione Italiana per le Ricerche di Storia del Cinema), da AluMnime (Associazione ex allievi dell’Università di Messina) e in collaborazione con COSPECS.

La nota caratteristica di questa edizione è stata la internazionalizzazione sono stati selezionati per il concorso 53 opere su le 244 arrivate agli organizzatori, opere provenienti dalla Germania, Giappone, India, Iran, Spagna, Stati Uniti, Turchia. A selezionarle la commissione composta dal direttore artistico del Festival Francesco Coglitore, Roberta Ainis (Staff FOTORO), Michele Castori (esperto di cinema), Gabriele Celona (attore e videomaker), Ferdinando Costantino (Direttore tecnico del Festival), Aurora De Francesco (studentessa DAMS) e Marcello Mento (giornalista).

L’edizione è stata dedicata a Tano Cimarosa nel decennale della sua morte.
A presiedere la giuria è stato Maurizio Marchetti affiancato da Maria Arena (regista e docente dell’Accademia delle Belle Arti), Nino Genovese (storico del cinema), Donatella Lisciotto (psicologa e psicoterapeuta) e Marco Olivieri (giornalista).
A Maurizio Marchetti è stato anche conferito il premio alla carriera.

Il Fotogramma d’Oro Campus è stato assegnato all’opera giudicata meritevole da una Giuria popolare composta da studenti che frequentano il DAMS e corsi di studio afferenti al COSPECS di Messina.

Il Fotogramma d’Oro è andato ad “Ainhoa” del regista spagnolo Iván Sáinz-Pardo, cortometraggio realizzato a Bilbao, con protagonista Aurelia Schikarski, attrice di soli nove anni, alla quale è stato assegnato il premio speciale della giuria.

Ad un altro cortometraggio spagnolo viene assegnato il Fotogramma d’argento “Hola me llamo Carla” di Gabriel Beitia , a questa opera è andato anche il premio per il miglior montaggio.
Il Fotogramma di bronzo è andato a “Futuro prossimo” di Salvatore Mereu.

A Rocio Calvo, protagonista di “Hola me llamo Carla”, è andato il premio come miglior attrice.

A Giorgio Colangeli il premio miglior attore per “Partenze”.

Migliore fotografia a “2 By 2”, film britannico del regia di Mark Playne.

A “Sisak”, film indiano del regista Faraz Ansari sono andati il premio speciale “Cinema è libertà” e quello assegnato dalla giuria composta dagli studenti COSPECs  “Premio Fotogramma d’Oro Campus”.

Il Premio della Federazione Nazionale Cinevideoautori, è andato a “Skin” del libanese Inaam Attar.

Premio speciale “Cinema come impegno sociale” a “La Giornata” del regista Pippo Mezzasoma.

Diversi componenti della redazione di Universome hanno partecipato alle proiezioni ed incontri rimanendo molto soddisfatti. Lodando l’organizzazione efficace ed efficiente dello staff.

Giusy Boccalatte e Giorgio Muzzupappa hanno reputato tutti i cortometraggi molto interessanti, notando l’attualità delle tematiche affrontate. Hanno sollecitato gli spettatori a riflettere su questi argomenti. I ragazzi augurano, inoltre,  future manifestazioni affini.
Hanno apprezzato le interviste con alcuni registi avvenute dopo le proiezioni e la possibilità che gli spettatori potessero rivolgere domande agli autori. Ci hanno riportato le opere che gli sono rimaste maggiormente impresse.

“Una bellissima bugia” di Lorenzo Santoni si apre con una citazione di Cesare Pavese “l’arte di vivere è l’arte di sapere credere alle menzogne” è un corto incentrato sulla figura di Luca un ragazzo in sedia a rotelle che incontra un uomo misterioso che afferma di essere stato anche lui affetto dalla medesima malattia e con il quale dialoga di questa.
L’uomo misterioso vuole far capire a Luca che è possibile cambiare la propria vita se si vuole, che si riscatterà avrà un futuro migliore. Il twist sta nel finale : l’uomo misterioso è un Luca del futuro.

“Come ieri” di Noemi Aprea, Lorenzo Ballico , Adamo Pedro Bronzoni, Gabriele Ciances, Irene Del Maestro, Dario Grasso, Ilaria Pedoni, Giorgio Raito, Adriano Ricci, Giuliano Tomarchio  e Irene del Maestro.
Tematica molto attuale anche qui, padre e figlio ritrovano in una spiaggia il corpo esanime di una ragazza di colore. Girando tutto intorno al conflitto fra i due per soccorrere o meno la donna.
Sono dieci giovani registi emergenti chiamati mediante un bando da Film making lab 2017 e il cortometraggio è stato girato a Catania. Una esperienza altamente formativa.Momento molto toccante a fine della proiezione che ha visto presenti in sala due registi, Fabio Schifilliti e l’altro attore protagonista Francesco Bernava i quali hanno parlato del cortometraggio e ricordato il messinese Domenico Bisazza protagonista anche lui del corto e scomparso prematuramente questo febbraio.

 

“Black and white” di Mahmoud Sakr il messaggio di questo corto viene specificato al suo termine facendo riferimento ad avvenimenti realmente accaduti, ai cori razzisti negli stadi, la discriminazione dei musulmani, tutti gli atti crudeli perpetrati nei confronti delle donne. Nell’opera si fa riferimento ad una società in cui tutti gli uomini bianchi indossano degli occhiali che fungono da filtro (lo si capisce dal fatto che siano pitturati) non permettendo di far capirequanto una persona di colore non abbia nulla di diverso rispetto a loro stessi. C’è un bambino che al contrario degli altri non ha occhiali pitturati e questo fa intendere la purezza e l’assenza di barriere mentali dei bimbi. L’animo genuino. Nel momento in cui il bambino si avvicina però ad una bimba di colore i genitori lo prendono e gli colorano gli occhiali, lo istruiscono al razzismo e alla violenza.

É un messaggio dirompente e provocatorio.

“La giornata” di Pippo Mezzapesa , ispirato ad una storia vera, tratta della condizione lavorativa della donna. Paola Clemente bracciante morta di fatica mentre stava raccogliendo l’uva in un campo per 2 euro l’ora, in Puglia. La morte di questa donna ha portato l’approvazione della legge contro il caporalato.
La particolarità sta nel fatto che le colleghe di Paola sono le protagoniste e raccontano la giornata tipica, durante la quale vengono sfruttate da un uomo, senza alcun tipo di tutela. Colpisce l’intensità e pathos con il quale le donne raccontano l’esperienza vissuta, hanno visto la loro compagna morire davanti i loro occhi. E la totale assenza di pietà del loro sfruttatore.

 

Arianna De Arcangelis

LOS ANGELES: wild dream city

 

Una guida per visitare in 7 giorni la grande metropoli californiana capitale della musica rock, del surf, della giovinezza e dei sogni di celluloide

 

Molti italiani non amano particolarmente Los Angeles. Il suo tessuto urbano ha mille facce ed è un coacervo di entità inconciliabili: dalle ville di lusso sparpagliate come castelli sulle colline di Beverly alla massiccia presenza di homeless un po’ ovunque.

In effetti più che una singola città L.A è un conglomerato composto da molti quartieri, o meglio ancora, distretti a sé stanti. Dorothy Parker ha definito Los Angeles: “72 sobborghi in cerca di una città”. Il prolema è che se siamo abituati, perché viviamo in uno stato che detiene uno dei più alti numeri di siti patrimonio UNESCO, a toccare la storia con mano e a porci in relazione materiale ed epidermica con il monumentum, a Los Angeles questo non funzionerà. Tra le architetture più “antiche” c’è un edificio a Downtown del 1818, Avilla Adobe, sorto nei pressi dell’insediemento di fine ‘700.

Parlando del fascino di Los Angeles lo scrittore e giornalista, Mario Fortunato, in un articolo sull’Espresso ha scritto:

Invece di trovare la vera America, a Los Angeles trovai l’Europa. Non so se vera o falsa, ma di sicuro abbagliante e in definitiva ignota, come un’immagine allo specchio (…) La sua stessa idea di lusso ed eleganza sembra facilmente riproducibile, e di essa si scorge, a ben guardare, l’assoluta fragilità. Non sarà un caso che l’industria primaria del luogo sia l’industria dell’apparenza, cioè il cinema. (…) Gli studios inseguono un’idea astratta del mondo. Visitandoli, ho provato la stessa sensazione avuta camminando nel centro di Noto, in Sicilia, o in certe piazze umbre: la sensazione di muovermi in uno spazio squisitamente mentale. (…) ciò che viene cercato, inseguito e indovinato è uno spazio creato dalla mente: un’esperienza del tutto immateriale”.

Dopo la fondazione, per opera dei missionari francescani spagnoli, il nome per esteso era El Pueblo de Nuestra Señora la Reina de los Ángeles del Rio de la Porciúncula de Asís (Il villaggio di santa Maria degli Angeli della Porziuncola di Assisi). E’ curioso notare come una città nata sotto il segno del Poverello di Assisi sia una delle prime economie al mondo, nonché stella polare dell’effimero e del lusso.

In questo articolo proveremo a tracciare un programma di viaggio per visitare L.A, in una settimana o poco più, spostandoci nei luoghi di interesse con la metro, con Uber oppure Lyft, evitando di cedere all’attrattiva di salire su un pullman per turisti, cogliendo il più possibile le suggestioni e le impressioni che offre l’immensa e radiosa wild city affacciata sull’oceano Pacifico. 

1)      Hollywood

Per un visitatore che arriva a Los Angeles per la prima volta la tappa iniziale sarà con molta probabilità Hollywood Boulevard. Il distretto di Hollywood, divenuto centro dell’industria cinematografica americana a partire almeno dagli anni ’20 del secolo scorso, è sede dei più importanti teatri dove vengono proposte attualmente le prime di molti film. All’interno dei suoi studios (come la Paramount e l’Universal) nacque il cinema classico hollywoodiano, corrispondente all’età d’oro del cinema statunitense. La strada che attraversa Hollywood da est ad ovest tra La Brea Avenue e Gower Street è la famosa Walk of fame. Lungo questo tratto, animato da uomini mascherati da personaggi dei film, si trovano incastonate nel pavimento oltre 2400 stelle con i nomi delle personalità più rilevanti del mondo del cinema, della musica e della tv. Passeggiando si incontrano tempi del cinema come l’Egyptian e El capital (attualmente di proprietà della Walt Disney Company). Non manca, naturalmente, nelle vicinanze, il museo delle cere, l’Hollywood Wax, in concorrenza, pochi metri più avanti, con la versione hollywoodiana di Madame Tussauds. Più interessante è sicuramente l’Hollywood Museum che contiene, disposta su diversi piani, una collezione di vestiti di scena, oggetti usati sui set e vecchie macchine da presa. Tra questi cimeli si possono trovare gli occhiali di Harry Potter, i costumi di Baywatch, gli indumenti di Marilyn Monroe, l’auto di Batman, gli abiti del primo Pianeta della scimmie e di Star Trek, la ricostruzione della sala trucco delle vip anni ’40-’50 e molto altro. Tappa da non perdere è ovviamente il Dolby Theatre situato all’interno del complesso Hollywood & Highland Center. Nel teatro si svolge ogni anno la cerimonia di assegnazione degli Oscar. E’ possibile entrare in visita grazie ai tour che si tengono ogni mezz’ora. Nella piazza centrare del complesso, che ricorda l’ambientazione babilonese del film muto 1916, Intollerance, è collocato il portale attraverso il quale è visibile la scritta Hollywood sulle colline attorno alla città. Procedendo  lungo la stessa strada non si potrà non sostare al Grauman’s Chinese Theatre, fastoso teatro in stile orientale, di fronte al quale è disposta nella pavimentazione una cospicua raccolta di impronte di mani e piedi delle star. Attrazione non meno rinomata è il Roosevelt Hotel, reso famoso da uno scatto di Marilyn Monroe sul trampolino della piscina. Gli amanti della musica non potranno invece fare a meno di osservare all’esterno uno dei eccezionali luoghi simbolo dell’industria musicale, il palazzo sede della Capitol Records, una torre di 13 piani costruita imitando la forma di una pila di dischi come quelle dei juke box anni ‘50. L’hollywood Boulevard riserva inoltre una scoperta sorprendente. Infatti l’Hard rock cafe contiene una quantità di relique musicali da fare girare la testa: dalla chitarra di Carl Wilson dei Beach Boys, alla giacca di Cass Elliot dei Mamas&Papas, dagli autografi originali dei testi del cantante dei Doors, un rullante di Ringo Starr, la chitarra di Iggy Pop, la batteria dei Metallica, il vestito di Snoopy Dog, il cappelo di Michael Jackson fino ai pantaloni di Jim Morrison (che leggenda vuole non avesse mai lavato per anni).  La vicina Sunset Boulevard è un’altra mecca per gli appassionati. Tra le luminose e folgoranti insegne, che danno il meglio nelle ore notturne, in cui sfrecciano auto di lusso, si trovano librerie dedicate al mondo del cinema e del teatro e negozi dove è possibile trovare tutto il meglio (o quasi) della strumentazione musicale. Di fronte al Guitar Center si può osservare una riproduzione simile alle impronte del Chinese theatre, dedicata però a gruppi e musicisti. I locali storici del rock Roxy Theatre e Whisky a Go Go sono nella stessa strada. Chi ama spulciare dischi, vinili e dvd non potrà fare a meno di passare qualche ora da Amoeba, gigantesco store che ospita chicche musicali e album, generalmente, a buon prezzo. A proposito di shopping, consiglio di fermarsi a dare un’occhiata al Larry Edmunds Bookshop, negozio specializzato sul cinema dove è possibile trovare libri, poster e persino una copia della sceneggiatura del proprio film preferito.

2)      West Hollywood

Il quartiere di West Hollywood è il luogo ideale per passeggiare in mezzo ai caffè, ai ristoranti e ai negozi di abbigliamento, fermandosi a fare un aperitivo nella centrale Sunset Plaza che nel suo profilo architettonico ricorda una città europea come Montecarlo. Le sue villette eleganti, abitate da gente benestante, sono un assaggio delle ville regali di Beverly Hills. Nei paraggi si può camminare lungo i viali di Melrose Avenue, resa celebre dal telefim, dove ci si può anche fermare a curiosare in mezzo a negozi di tutti i tipi. Nella stessa strada è possibile fare una visita agli studios della Paramount Pictures. Chi insegue le tracce della storia della musica potrà invece fare rotta verso l’Alta Ciniega Motel e entrare e scattare qualche foto, per 20 dollari, nella camera dove il leader dei Doors, Jim Morrison, ha alloggiato per alcuni anni. Nei paraggi si trova inoltre il Pacific Design Center, un grande edificio che ospita, tra le altre cose, una sezione del Museum of Contemporary Art.

3)      Beverly Hills

Insieme a Bel Air, Los Feliz e la zona di Mulholland Drive, il quartiere è famoso per essere l’area di Los Angeles preferita dalle celebrità. La sua strada principale è Rodeo Dr, viale colmo di boutique e vetrine griffate. Nei suoi paraggi si trovano le ville a schiera abitate da famiglie altolocate e personaggi del mondo dello spettacolo. Concessionari Ferrari, negozi di alta moda e ristoranti di lusso sono di casa da queste parti. Oltre a una passeggiata nella zona si può fare un salto al Paley Center for Media, museo dedicato alla radiofonia e alla TV.

4)     Santa Monica Mountains

Per godere una delle viste più belle e mozzafiato sulla città di Los Angeles, l’ideale è andare sulle colline che sovrastano Hollywood al tramonto o nelle ore notturne. Qui, specialmente nei pressi di Mulholland Drive (se siete a caccia di star ne troverete molte da queste parti), e nei dintorni del Griffth Park, si respira finalmente un’aria immersa nel verde. Oltre alle stelle del cinema e della musica, il luogo è una tappa da non perdere per raggiungere un altro tipo di stelle, quelle del cielo, grazie ai telescopi del Griffth Observatory. Il maestoso edificio regala una visuale eccezionale dall’alto sulla città di Los Angeles. Al suo interno si trovano un planetario e alcune interessanti installazioni. Sulla collina, in una zona non troppo distante (ma le distante a L.A, anche quelle brevi, prevedono il ricorso a Uber!) ci sono gli Universal Studios. Chi ha intenzione di visitarli dovrà prevedere di spendere almeno mezza giornata per avere una panoramica sui set e le maggiori attrazioni. Gli appassionati della camminata tra la natura potranno invece raggiungere a piedi l’Hollywood Sign.

5)      Exposition Park

Le famiglie, i bambini, ma anche gli appassionati di astronomia e scienze naturali, potranno prevedere una tappa di mezza giornata a Exposition Park. Sede dei giochi olimpici del 1984, nell’area trovano posto numerosi musei. Se avete un po’ di tempo a disposizione vale la pena visitare soprattutto il California Science Center, dove oltre alle stelle marine, le navicelle spaziali e gli animali esotici, si trova una sala che conserva lo Space Shuttle della NASA, famoso per le sue missioni intorno alla terra.

6)      Downtown

Los Angeles non è soltanto palme e costruzioni basse, il suo nucleo storico anzi si trova proprio qui a Downtown, all’ombra di enormi grattacieli. La zona è molto estesa ed è a sua volta suddivisibile in vari quartieri, raggiungibile grazie alle fermate della metro. Può essere ripartita in almeno 4 aree: Chinatown, abitata da circa 15.000 asiatici,  Little Tokio, disseminata da vari musei e grattacieli (dove si possono trovare anche dei meravigliosi giardini zen), un’area che corrisponde grosso modo al centro storico in cui trovano posto l’Union Station (la principale stazione ferroviaria di Los Angeles), El Pueblo de Los Angeles, quartiere dove sono presenti palazzi storici della città, City Hall, edificio di 27 piani a forma piramidale, sede del municipio, la Cattedrale (costruita nel 2002), i futuristici edifici del Music Center e della Walt Disney concert Hall e, infine, la strada di Broadway, principale arteria del centro storico. L’ultima area, quella della finanza, ha il fulcro a California Plaza, che si raggiunge attraverso una pittoresca funicolare costruita nel 1901. Nel quartiere si trova la Los Angeles Central Library, il Westin Bonaventura Hotel, l’albergo più famoso della città, un grattacielo lussuoso con ascensori a vista, utilizzato per le riprese di numerosi film. Attrazioni imperdibili sono il MOCA (museo di arte contemporanea) che contiene opere di Mark Rothko e Andy Warhol e una  visita al 70 esimo piano del U.S Bank dove si può ammirare una vista a perdita d’occhio.

7)      Venice Beach e Santa Monica

La costa di Los Angeles meriterebbe una trattazione più dettagliata. Il litorale della metropoli californiana è  un susseguirsi di piccole città e borghi: da Pacific Palisades, Malibu, Marina del Rey, fino a South Bay e Long Beach. Non è possibile, in una vacanza di pochi giorni, farsi un’idea completa del suo immenso lungo mare. Si può scegliere di dormire qualche notte solo in alcune delle località. Per fare una capatina a Malibu, nelle sue belle spiagge limitrofe alle ville delle celebrità e poi una sosta a Huntington beach o Surfrider per osservare i surfisti che cavalcano le onde, una passeggiata tra le imbarcazioni del porto di Marina del Rey o una visita alla Queen Mary di Long Beach e all’ acquario, nella stessa giornata, servirebbe il teletrasporto! Una soluzione può essere quella di andare a cogliere i colori, gli eccessi e le stranezze  di Venice Beach, tratto carico di good vibration. Chiunque passeggi o noleggi una bicicletta in questo tratto di mare, in un pomeriggio di sole, non potrà fare a meno di sorridere. L’Ocean front walk è il regno degli artisti di strada, dei ragazzi sugli skate e sui rollebrade, della vita da spiaggia della California. Se poi le batterie sono ancora cariche si può decidere di camminare fino a Santa Monica e lì vedere il famoso molo con la ruota panoramica piena di luci e il tratto dove finisce la route66. 

   

Writer e Ph:  Eulalia Cambria

Thanks to Saverio Paiella

Solo: A star Wars Story

Lo spin-off dedicato a Han Solo è probabilmente uno dei capitoli attesi con maggiore trepidazione dagli appassionati e dai fan della saga. L’interpretazione di Harrison Ford ha conferito al personaggio una fama inarrivabile: il suo essere del tutto antitetico rispetto allo stereotipo tradizionale dell’eroe, incarnato dal buon Luke Skywalker, e il suo beffardo, e in larga misura egoistico, approccio alla vita, l’hanno consacrato a uno dei ruoli più amati nella storia del cinema di fantascienza.

L’avevamo visto nell’episodio VII – Il Risveglio della Forza – perire trafitto dalla spada laser del figlio Kylo Ren (interpretato da Adam Driver), convertito al lato oscuro dopo essersi ribellato al suo maestro Jedi. Nel nuovo prequel di Ron Howard (vedi anche: The Beatles – Eight days a week), in uscita nei cinema in Italia dal 23 maggio, ambientato alcuni anni prima dell’episodio del 1977 – Una Nuova Speranza -, trovano invece posto le prime e rocambolesche avventure, elaborate dagli sceneggiatori a partire da alcuni accenni contenuti nei film precedenti (ad esempio la celeberrima “rotta di Kessel in 12 parsec”). Tralasciando gli ovvi motivi anagrafici che hanno portato la produzione a scegliere un giovane attore come Alden Ehrenreich, è notorio che Harrison Ford agli inizi della sua carriera odiasse rimanere imprigionato nel ruolo, mantenendo questo astio nel tempo al punto, infatti, da accettare la partecipazione all’episodio VII unicamente a patto di fare morire il personaggio.

Il nuovo interprete non deve avere avuto vita facile a confrontarsi con la personalità di Han Solo, ma l’interpretazione risulta nel complesso convincente. La storia parte dalla fuga dal pianeta Corellian insieme alla  sua amata Qi’ra (Emilia Clarke) per sfuggire dalle grinfie di Lady Proxima, e dall’arruolamento nelle fila dell’esercito imperiale, per perseguire l’obiettivo di diventare un pilota e quindi tornare a salvare la donna della quale si era innamorato. Questo piano iniziale si guasterà scontrandosi con una serie di imprevisti: l’incontro con tre personaggi in incognito travestiti da militari e il primo contatto con Chewbacca e Lando Calrissian, nonché col Millennium Falcon.

Gli effetti speciali spettacolari e il ritmo forsennato degli avvenimenti conferiscono alla trama una caratterizzazione decisamente action. Le ambientazioni, soprattutto quelle girate sulle Dolomiti, durante l’assalto a un vagone di un treno (topic caro ai film western e a molti war movies), nei pressi delle Tre Cime di Lavaredo, denotano un approccio visivo magniloquente al film. Bella anche la ricostruzione immaginaria dell’avventura all’interno del Maelstrom spaziale, in cui è facile scorgere un richiamo al celebre racconto di E. Allan Poe. A differenza degli altri film del filone principale, dove forte era la componente mistica e l’allegoria giocata sull’elemento della forza, e rispetto all’altro spin-off, Rogue One, in cui era pregnante l’etica del sacrificio in vista di grandi ideali, la trama risulta povera di spunti che vanno al di fuori degli schemi del classico racconto di azione di Hollywood, consegnando un carattere quasi “fumettistico” all’azione. La mancanza reale di colpi di scena, al di là di quelli più che prevedibili, e la freddezza lineare di alcune scene, non ne fanno un film particolarmente memorabile, ma che risulta, in definitiva, un tassello godibile per tutti gli amanti di Guerre Stellari.

                                                                                                                                                         Eulalia Cambria

Loro 2 di Paolo Sorrentino.

Che Sorrentino sia un autore totalmente restio a porsi limiti è ormai noto a tutti, che il suo ultimo intento è quello di piacere in maniera assoluta a tutti anche. Eppure con il suo ultimo lavoro ci ha stupiti, nel bene o nel male, ancora una volta. 

Il 24 aprile 2018 esce nelle sale Loro 1, seguito dalla seconda parte Loro 2, uscito invece il 10 maggio.
Superfluo ricordare chi sia il protagonista della tanto atea pellicola: “Lui”, l’emblema della politica italiana, Silvio Berlusconi.
Non si sapeva cosa aspettarsi da questo film, l’attesa era tanta, le aspettative altissime; ed è proprio per questo che l’esordio è stato il più redditizio per un film di Sorrentino.

A vestire i panni del premier troviamo un camaleontico Toni Servillo; il quale nella seconda parte interpreterà anche Ennio Doris, banchiere di fiducia di Silvio e anche un po’ il suo alter ego come si evince dalla forte scena del colloquio tra i due al tavolo, e dalla scelta del regista di far interpretare entrambi i ruoli dal medesimo attore.
Il film è stato presentato in due parti e si può affermare che la prima parte sia una sorta di lunga introduzione. “Loro 1” è infatti quasi interamente dedicato tutto e tutti coloro che fanno da cornice alla vita politica e privata del cavaliere.
Sesso, droga, soldi, ricerca assoluta e sconsiderato del potere.
Questo è ciò che trapela da questa prima parte, una “lunga macro sequenza” che vede come protagonista Sergio Morra (Riccardo Scamarcio), giovane arrampicate sociale che ha fatto del suo desiderio di conoscere il “capo” il suo primo obbiettivo di vita. Ed ecco allora che tutto diviene un giro di feste, di escort, tutto organizzato ad hoc per catturare la Sua attenzione.

Ma chi sono Loro? “Loro” sono quelli che contano.
È questa la definizione, la risposta che Sergio darà alla sua spregiudicata compagna di vita e di affari Tamara (Euridice Axen).

In Loro 1, Berlusconi farà la sua comparsa solo nelle ultime scene, in compenso però a lui, alla sua vita, alla sua carriera e al suo rapporto con la moglie sarà interamente dedicata la seconda parte.
A prescindere dalla impeccabile interpretazione di Servillo, la figura del premier è rappresentata in maniera del tutto atipica ma assolutamente fantastica.
È il 2006, Forza Italia non è più al governo, Berlusconi non è più al governo. Questa è proprio la sua preoccupazione più grande, preoccupazione che rivela a tutti coloro che si trovano a parlare con lui, come fosse alla ricerca di un consiglio, di un aiuto.

Sorrentino dipinge Silvio esattamente così, un uomo alla ricerca di qualcosa, di aiuto; non lo attacca politicamente, non lo critica, ne descrive ovviamente tutte le vicende più scomode (note a tutti) eppure lo fa in maniera quasi ironica, pur mantenendosi lontano dall’ esaltarne la figura.
Riesce, grazie ad un geniale lavoro di sceneggiatura, a descrivere la persona politica e al tempo stesso a raccontare il lato umano, il Silvio non solo politico corrotto e spregiudicato, ma uomo tormentato da conflitti interiori, preoccupato dalla freddezza della moglie Veronica Lario ( Elena Sofia Ricci ) che è ormai lontana anni luce da lui e finirà per chiedere il divorzio.

Come dimenticare la scena del litigio tra i due? Un fiume di riflessioni, di verità che sapevano l’uno sull’altro e che hanno il coraggio di rivelarsi solo ora, alla chiusura di quell’ultimo capitolo.

Tirando le somme il film è stato realizzato come forse nessuno si aspettava; la prima parte probabilmente delude un po’ e ci si chiede se tutto quello strafare fosse necessario, ma la seconda parte è una riabilitazione del tutto e poi la figura di Berlusconi è un 10 su 10. Convince. Piace.
La regia è quella inconfondibile del regista partenopeo: cenare straordinari, personaggi che anche se secondari vengono caratterizzati in maniera eccellente ed il tutto viene raccontato con quella tipica malinconia “sorrentiniana” che renderebbe poetica anche la più sciatta delle storie.
Non sarà forse il miglior lavoro del regista, ma è assolutamente da non perdere.

Benedetta Sisinni

Festival di Cannes 2018: poche “stars” e molte polemiche

Come ogni anno, con l’arrivo di Maggio, ritorna il più importante evento cinematografico dopo gli Oscar hollywoodiani:  il Festival di Cannes, la splendida passerella che ha portato al trionfo pellicole cult come Miracolo a Milano di De SicaLa dolce vita di Fellini e Pulp Fiction di Tarantino (solo per citarne alcuni).

Ma, a soli 8 mesi dallo scoppio del “Caso Weinstein” e, con il ricordo ancora vivido delle bellissime parole pronunciate durante la serata degli Oscar dall’attrice Francis McDormand, è stato facile prevedere la forte ondata di polemiche e manifestazioni che sta colpendo giorno dopo giorno l’evento di punta della stupenda città della Costa Azzurra. È stata, infatti, assordante la marcia silenziosa portata avanti sul red carpet del Palais des Festivals et des Congrès, da parte di 82 donne del cinema tra cui registe, attrici, produttrici, manager che hanno sfilato per manifestare contro le violenze sessuali e spingere verso una più netta e concreta equiparazione dei sessi all’interno dell’industria cinematografica e non solo. In testa al corteo la presidente della giuria, Cate Blanchett, e la regista belga, neo-vincitrice di un Oscar alla carriera, Agnés Varda, hanno sottolineato l’importanza di questo gesto con la lettura di un significativo discorso sulle scale d’ingresso del Grand théâtre Lumière:

“Le donne non sono una minoranza nel mondo, ma la rappresentanza che abbiamo nell’industria sembra dire ancora altro… affrontiamo ovunque ognuna le proprie sfide, ma oggi siamo qui insieme per dare un segnale della nostra determinazione e del nostro impegno al progresso. Queste scale devono essere accessibili a tutte. Scaliamole!”

Ad organizzare la marcia è stato il nuovo movimento femminile francese 5050×2020” che, insieme ai già noti Time’s up , Dissenso comune e MeToo, si sta impegnando in questa dura battaglia.

E, se da un lato spiccano in senso positivo questi gesti di ribellione e invito al progresso, dall’altro destano scalpore e danno adito ad altre polemiche, le decisioni prese dal delegato generale del Festival di Cannes 2018, Thierry Fremaux.

Il cinquantottenne critico cinematografico francese e direttore dell’Istituto Lumière di Lione, si è fatto notare proprio per le restrizioni a cui ha sottoposto questa 71esima edizione della kermesse, negando, in primis, la partecipazione alla corsa alla Palma d’oro, dei film prodotti dal colosso statunitense Netflix, denunciando l’incompatibilità dei metodi di distribuzione delle pellicole da parte della piattaforma web, con le regole del Festival:

“Il loro modello (di Netflix, ndr) è incompatibile con quello francese, a Venezia non hanno lo stesso problema (…) Noi per questa edizione avremmo voluto il film di Cuarón, Roma, in Concorso, e il film inedito e restaurato di Orson Welles, The Other Side of the Wind, fuori concorso. Per il primo non c’era possibilità di accordo, perché il Concorso comporta il passaggio in sala, ma per il secondo non ci sarebbero stati problemi, è una loro scelta”

Risultati immagini per Thierry Fremaux

A queste polemiche si sono accompagnate quelle relative alla cancellazione delle anticipate stampa (le proiezioni in anteprima dei film destinate ai soli giornalisti che permettevano loro di scrivere gli articoli per tempo), decisione che ha completamente stravolto il piano di copertura informativa di Tv e carta stampata, scatenando le ire dei giornalisti. Le motivazioni espresse da Fremaux sono da ricollegare alla volontà di evitare spoiler ed anticipazioni sui social network o sulle testate online:

Volevamo che la proiezione di gala fosse una vera première, un vero evento, il primo passaggio in assoluto del film. Non è un provvedimento contro la stampa.”

Infine, l’ultima e forse più bizzarra presa di posizione del delegato generale, è stata quella di negare la possibilità a tutti di fare selfie sul red carpet, scelta che giustifica con la questione della sicurezza :

Siamo l’unico grande festival che consente l’accesso sul red carpet a tutti. Capitava che la gente cadesse sulle scale per fare una foto.”

Ciò ha fatto molto arrabbiare i fan che aspettavano con ansia di immortalare il loro volto accanto a quello dei loro attori e registi preferiti e che invece potranno solo guardare da lontano.

Sarà, dunque, un Festival dai pochi likes sui social e dalle molte facce serie quello del 2018, in cui le polemiche stanno avendo un ruolo di punta. Ma ciò che ci auguriamo è che si riesca a mantenere tutto questo lontano da quello che realmente conta: la bellezza dei film in concorso e le storie che questi vogliono raccontare al pubblico.

Che vinca il migliore!

Giorgio Muzzupappa

Il favoloso mondo di Amelie: una favola stravagante su sfondo impressionista.

Film del 2001 del regista francese Jean Pierre Jeunet, Il favoloso mondo di Amelie è considerato un cult del nuovo millennio. La pellicola ha riscosso un gran successo non solo in Francia, ma anche in tutta Europa e negli USA. 

Amelie cresce in una famiglia fredda, composta da un padre anaffettivo e da una madre nevrotica. A causa di una malattia fittizia (legata alla mancanza di affetto che prova Amelie), la bambina viene educata in casa e non ha alcun rapporto con i bambini della sua età. Per sopperire alla solitudine, sviluppa una fervida immaginazione e sogna ad occhi aperti le cose più impensabili. Una volta cresciuta, la ragazza si trasferisce a Parigi, dove lavora come cameriera in un bistrot. La sua esistenza viene sconvolta dal ritrovamento in casa propria di una scatola dei ricordi nascosta lì da un bambino negli anni ’50. Dopo aver restituito la scatola al legittimo proprietario, Amelie viene colpita così intensamente dalla reazione dell’uomo, da decidere di dedicare la sua vita ad aiutare il prossimo. Basterà questo a renderla felice?

È interessante vedere come, al di là della trama principale, il film faccia entrare lo spettatore nella vita dei personaggi più disparati, che vengono presentati da una voce fuori campo con uno stile quasi documentaristico. Sebbene non sia subito evidente, ben presto ci si accorge che tutti i personaggi sono accomunati dalla solitudine.

C’è ad esempio l’uomo di vetro, affetto da osteogenesi imperfecta, che rappresenta la fragilità umana.

Oppure c’è Georgette, che cerca di attirare l’attenzione con mille malattie immaginarie.

Abbiamo poi Raphael, il padre di Amelie, che non riuscendo ad affrontare la morte della moglie, si impegna in modo quasi maniacale nella costruzione di un mausoleo per le ceneri della consorte.

Vi è poi Nino che colleziona le fototessere cestinate, forse per riuscire a trovare la propria identità.

Infine c’è Amelie, una ragazza introversa e sensibile, attenta agli altri. Incapace di comunicare, per imbarazzo o paura di essere rifiutata, si chiude in un “favoloso” mondo immaginario. In psichiatria si parlerebbe di disturbo di personalità evitante. Il processo per superare la paura del rifiuto è lungo e per sapere se la protagonista ce la farà bisogna vedere il film.

Sicuramente la resa dei personaggi è legata in buona parte alla prova recitativa degli attori. Semplicemente meravigliosa è Audrey Tatou (nel film Amelie) che grazie al successo del film è stata lanciata sulla scena internazionale e che ha reso Amelie un personaggio ormai iconico. Degna di nota anche la recitazione del simpaticissimo Mathieu Kassovitz (Nino) e di un eccezionale Serge Merlin (l’uomo di vetro).

Non si può non parlare della fotografia, che sembra portare lo spettatore in un quadro impressionista di Renoir, uno di quelli che l’uomo di vetro ama dipingere per hobby. La scelta dei colori è spesso lo specchio dell’umore della protagonista: si vedano ad esempio la preponderanza dei colori rosso e verde nelle scene più allegre e la presenza della pioggia nei momenti più tristi.

Menzione a parte merita la colonna sonora composta Yann Tiersen, che può essere considerato sia come elemento cardine del film, ma anche come capolavoro a sé stante. Nell’ambito del film lo si può definire come ponte tra lo sfondo, una Parigi dal sapore malinconico impregnata di colori e odori, e il mondo interno dei personaggi, su cui il regista pone sempre l’attenzione.

Il favoloso mondo di Amelie è una favola stravagante, a volte troppo buonista, ma in grado di sciogliere anche i cuori più gelidi, insomma indimenticabile.

Renata Cuzzola

Recensione in anteprima “Tuo, Simon” (Senza Spoiler)

Simon Spier (Nick Robinson) è un normalissimo adolescente di 17 anni, che come tutti i ragazzi della sua età  frequenta il liceo. Ha anche una vita sociale attiva, grazie al suo gruppo di amici composto da Leah Burke (Katherine Langford), sua amica d’infanzia, Nick Eisner (Jorge Lendeborg Jr.), un ragazzo afroamericano con la passione per Cristiano Ronaldo e Abby Suso (Alexandra Shipp), ragazza appena trasferitasi in città integrata nel gruppo con estrema facilità. Inoltre, segue un corso di teatro dopo le lezioni e proviene da una famiglia benestante e “da sogno”. Sembra una vita piena e meravigliosa, tuttavia nasconde un grande segreto: la sua omosessualità. Nonostante il contesto familiare favorevole e amici comprensivi, Simon non riesce a rivelare ciò che realmente è, a causa di quella che ritiene possa essere paura per le conseguenze che il suo coming out possa provocare e l’insicurezza di rivelarsi “altro dal normale”, pur riconoscendo che il suo orientamento sessuale non è anormalità e non vi è vergogna nell’essere tale. Oppresso da questa sua situazione dalla quale non sembra trovare una via d’uscita, improvvisamente la vita gli pone davanti un’opportunità. Sulla piattaforma social inerente all’istituto da lui frequentato, viene pubblicato un messaggio anonimo di un ragazzo che dichiara la sua omosessualità, ammettendo che nella realtà non potrebbe mai fare una cosa simile. Ispirato dalle parole del ragazzo sconosciuto, il giovane protagonista decide di rispondere al messaggio in maniera anonima, allo stesso modo del mittente, rivelando anch’egli la sua omosessualità e l’impossibilità di uscire allo scoperto…

Tuo, Simon” diretto da Greg Berlanti, è un film adattamento del romanzo “Non so chi sei, ma io sono qui (Simon vs. the Homo Sapiens Agenda)”, in uscita il 31 maggio nelle sale italiane.
Il film si rivela essere esattamente quello che ci si aspetta: un prodotto rivolto al pubblico adolescenziale – “teen movie” per i più – trattante tematiche tipiche dei ragazzi di quell’insieme di età, oscurando problemi gravi e pesanti, se non anche troppo stereotipati, quali droga e sesso.
Ed è probabilmente questa la chiave che rende la pellicola spensierata e per nulla dura all’occhio dello spettatore, poiché riesce a concentrarsi su un’unica problematica, ovvero l’accettazione dell’omosessualità soprattutto in contesti scolastici, senza neanche gravare troppo su di essa e, per certi versi, dimenticandosene facendo risaltare la normalità di un adolescenze che “se proprio è necessario saperlo”, è anche omosessuale.

Nonostante quanto detto finora, il film non si distacca mai dalla sua identità, rimanendo stereotipato -anche se in maniera positiva ed, in fondo, accettabile – prevedibile e quasi scontato, soprattutto creando un distacco dallo spettatore che quell’età l’ha ormai superata (risultato comprensibile, ma non per questo conseguenza necessaria).
Nella totalità “Tuo, Simon” è un buon modo per lanciare un messaggio importante di accettazione sociale, senza eccessi né grosse pretese, servito in maniera leggera e fruibile a tutti, rendendolo un film piacevole e ottimo per una serata dedicata alla visione con amici, soprattutto se vorrete tornare adolescenti nuovamente per quasi due ore.

Giuseppe Maimone