L’amore al cinema: i 5(+1) film da non perdere a San Valentino

Rose rosse e cioccolatini? Pellicole sdolcinate e immancabili happy ending con fiori d’arancio?

Quando si tratta d’amore qualsiasi cineasta ha qualcosa da dire e il romanticismo in tutte le sue forme si insinua nelle trame più disparate … persino in un film horror!

Insomma, ce n’è di materiale per stilare una lista lunga 10 km, ma noi di Universome ci siamo calati nella difficile impresa di scegliere per voi solo 5 film che parlano d’amore anche in modo profondo e inaspettato.

1) One day (Lone Scherfig, 2011)

«Qualsiasi cosa accada domani, viviamo oggi… non lo dimenticare mai.»

Emma (Anne Hathaway) e Dexter ( Jim Sturgess)
Fonte: mymovies.it

Iniziamo con un film relativamente recente, ma che ormai può considerarsi un classico: One day vanta due protagonisti del calibro di Jim Sturgess e Anne Hathaway e non racconta una storia d’amore, ma quella di un incontro che si ripete nel tempo.

Emma e Dexter sono due giovani appena laureati che il 15 luglio del 1988 passano una notte indimenticabile insieme senza finire a letto. Le loro strade da qui si dividono – lei diventa una precisa insegnante e lui uno showman dalla vita sregolata – per incrociarsi però ogni 15 luglio. Diventeranno grandi amici o qualcos’altro era rimasto in sospeso?

 

2) William Shakespeare’s Romeo + Juliet (Baz Luhrmann, 1996)

 «Il mio unico amore spunta dal mio unico odio…»

Leonardo Di Caprio e Clare Danes nella celebre scena dell’incontro
Fonte: paroleacolori.com

Eros e thanatos, la passione fulminea che non lascia scampo, Cupido che si fa beffe mirando sul nemico: quella di Romeo e Giulietta, i due amanti uniti anche nella morte, è una storia che non stanca mai! Bellissima e piena di pathos questa rilettura di Luhrmann in chiave moderna che riporta quasi per intero i dialoghi shakespeariani e vi trasporta in un’improbabile Verona beach teatro di sparatorie da gangster movie. Notevoli gli sguardi di Leonardo Di Caprio e Claire Danes nella scena dell’incontro dietro l’acquario. E pensare che i due bravissimi attori nella realtà si odiavano!

3) Se mi lasci ti cancello (Michel Gondry, 2004)

«Almeno torna indietro e inventati un addio. Facciamo finta che ci sia stato.»

Clementine ( Kate Winslet) e Joel (Jim Carrey) in un “ricordo surreale”
Fonte: repubblica.it

Di un bel po’ d’anni fa, ma mai come ora attuale, Se mi lasci ti cancello è un film per niente banale. A partire dal titolo originale tradotto ingiustamente in Italia che in inglese è in realtà: Eternal Sunshine of the spotless mind (L’infinita letizia della mente candida). A metà strada tra film di fantascienza e melodramma, piena di poesia soprattutto nella scelta delle ambientazioni, ma mai sdolcinata, la pellicola racconta la storia di Clementine (Kate Winslet) e Joel (Jim Carrey) che si rivolgono alla scienza per cancellare dalla mente i ricordi di una relazione finita.

Perché vederlo? Forse perché Clementine e Joel sono un po’ come tutti noi che cerchiamo di dare finali diversi e non sappiamo lasciar fare alla vita, mettendo spesso a tacere la voce del cuore. Ma … chi avrà l’ultima parola?

 4) Notting Hill (Roger Michell, 1999)

   «E’ stato bello conoscerla. Surreale, ma bello!»

Anna ( Julia Roberts) e William ( Hugh Grant)
Fonte: cinematographe.it

Se siete invece per la leggerezza e preferite che a raccontarvi l’amore sia una commedia non perdetevi allora questo cult degli anni ’90. Il fascino tutto inglese di Hugh Grant nei panni di un timido e impacciato libraio di Londra e quello accattivante della Roberts nella parte di un’attrice americana di successo sono gli ingredienti principali di una favola moderna, in cui a far da contorno sono scenari pittoreschi del quartiere londinese, ma anche dialoghi divertenti e personaggi bizzarri. Insomma, se avete voglia di romanticismo condito da risate Notting Hill la sera di San Valentino è proprio quel che ci vuole!

5) Colazione da Tiffany (Blake Edwards, 1961)

Paul: «Io ti amo e tu mi appartieni!»

Holly: «Oh no! Nessuno appartiene a un altro.»

Holly ( Audrey Hepburn) e Paul ( George Peppard) in un negozio di New York
Fonte: culturaeculture.it

 

Sempre per gli amanti della commedia e per quelli che hanno voglia di rispolverare gli scaffali della storia del cinema, Colazione da Tiffany è sicuramente il must dei must. Il breve romanzo di Truman Capote si presta alla riscrittura cinematografica di Edwards che lo trasforma in una delle storie d’amore più belle ed esemplari di tutti i tempi: quella di Holly Golightly (un’indimenticabile Audrey Hepburn), eccentrica e ribelle e del suo vicino e  “amico”, l’introverso scrittore Paul Borjack (George Peppard).

A far da sottofondo le note della dolcissima Moon River: non potrete fare a meno di commuovervi!

5+1) Mine vaganti (Ferzan Ozpetek, 2010)

«Gli amori impossibili non finiscono mai, sono quelli che durano per sempre.»

Il bacio tra Tommaso (Riccardo Scamarcio) e Marco ( Carmine Recano)
Fonte: tumblr.png

Ultimo, ma non meno importante, Mine Vaganti non è un classico film d’amore, piuttosto un dramma corale. Allora perché ve lo proponiamo?

La vicenda di Tommaso ( Riccardo Scamarcio) e Antonio ( Alessandro Preziosi) , due fratelli gay che tentano di ribellarsi alla propria famiglia borghese è in realtà il pretesto per far raccontare al regista italo-turco tutti i tipi d’amore: quello omosessuale, quello non corrisposto, quello extraconiugale, quello irrealizzabile che però dura tutta la vita e, non ultimo, quello familiare.

Con questa rassegna, quindi, auguriamo buon San Valentino non solo ai fidanzati, ma a tutti gli amanti… anche del cinema!

              Angelica Rocca

Alla scoperta degli Oscar: i 5 (+1) grandi favoriti

La notte più attesa per gli amanti del cinema è arrivata.

L’edizione degli Academy Award del 2020 è probabilmente la più competitiva dell’ultimo decennio, data la presenza di molteplici capolavori e di interpreti eccezionali. Dinnanzi alle liste dei nominati c’è da restare senza fiato ed è molto complesso poter effettuare previsioni sui possibili vincitori. Vediamo chi, secondo UniVersoMe, ha maggiori opportunità di portarsi a casa le varie statuette.

 

Il Dolby Theatre di Los Angeles dove vengono assegnati i premi Oscar – Fonte: evxlimos.com

1.Miglior attore protagonista

Il più papabile tra gli attori candidati al premio è Joaquin Phoenix.

Di certo l’elenco dei nominati è ricco di artisti superlativi, infatti in gara troviamo: Leonardo Di Caprio, Adam Driver, Antonio Banderas, Jonathan Pryce e – appunto – Joaquin Phoenix.

Il 36enne Adam Driver ha stupito tutti con la sua interpretazione in Storia di un matrimonio (2019) per la carica emotiva che è riuscito a trasmettere al suo personaggio, tirando fuori tutta la disperazione e la rabbia necessaria nei momenti clou del film.

Leonardo Di Caprio in C’era una volta a… Hollywood ha dato prova di poter recitare anche con una pistola puntata alla tempia. Nella scena in cui Rick Dalton si trova su un set per girare un film western ad un certo punto dimentica la battuta ed esce dal proprio personaggio. Ovviamente Di Caprio resta in quello di Rick continuando a recitare dimostrando di avere un livello di concentrazione al di fuori del normale.

Quello che più di tutti meriterebbe il premio comunque resta Joaquin Phoenix (per i dettagli sulla sua interpretazione vedi questo articolo). La sua prova attoriale ci fa immedesimare talmente tanto che per l’intero film possiamo quasi sentire ciò che il personaggio prova sulla sua pelle.

Joaquin Phoenix nel film Joker – Fonte: mondofox.it

Quando subisce un’ingiustizia ci arrabbiamo, quando cerca aiuto in ogni dove ci fa intenerire e soprattutto quando reagisce ci sentiamo redenti, non perché siamo dei potenziali omicidi, ma semplicemente perché l’attore ci ha coinvolto così tanto da “comprendere” le sue azioni (vedi la scena della metropolitana).

2. Miglior attore non protagonista

Qui la scelta dell’Academy sarà molto dura, visto che in lista tra i candidati ci sono: Tom Hanks, Anthony Hopkins, Al Pacino, Joe Pesci e Brad Pitt.

La candidatura di cinque attori di questo calibro, tutti insieme in una singola categoria e nella stessa edizione, probabilmente costituisce reato per eccesso di qualità attoriale, ma coloro che hanno le maggiori chances di vincere sono Joe Pesci e Brad Pitt.

Il primo grazie a Scorsese è riuscito a rivestire egregiamente i panni di un capomafia come già ha fatto in passato per Goodfellas (1990) e Casinò (1995); mentre il secondo ha interpretato alla perfezione il ruolo di un sociopatico caratterizzato da un muto carisma che viene trasmesso con un semplice sorrisetto. Ci sbilanciamo: l’Oscar andrà a Brad.

Brad Pitt nei panni di Cliff Booth in C’era una volta a… Hollywood – Fonte: mymovies.it

3. Miglior sceneggiatura originale

Altissime probabilità che Quentin Tarantino vinca in questa categoria. In passato il regista si è aggiudicato il premio per la miglior sceneggiatura originale, rispettivamente con Pulp Fiction (1994) e Django Unchained (2012). In C’era una volta a… Hollywood, Tarantino, è riuscito a scrivere una sceneggiatura in cui racconta la crisi di una stella hollywoodiana, mettendo in risalto le problematiche della vecchia Hollywood e nel contempo ne ha approfittato per rendere omaggio ai grandi cineasti del passato. Il tutto ovviamente è circondato da un costante stato di tensione, per quello a cui andrà incontro la compianta Sharon Tate.

4. Miglior regia

Grandissimi i nomi dei candidati anche in questa categoria: Martin Scorsese, Quentin Tarantino, Todd Phillips, Sam Mendes e Bong Joon-ho.

Riteniamo che – in linea generale – quando Scorsese fa un film di mafia parta due passi avanti a tutti.

The Irishman non sarà uno dei suoi più grandi film, ma a livello tecnico resta un capolavoro di regia.

Robert De Niro e Martin Scorsese sul set del film The Irishman – Fonte: empireonline.it

5. Miglior film

Qua c’è l’imbarazzo della scelta: C’era una volta a… Hollywood, 1917, Jojo Rabbit, Joker, Le Mans ’66 – La grande sfida, Parasite, The Irishman e Storia di un matrimonio.

Il film 1917 sembra essere il grande favorito (qui la nostra recensione), ma facciamo il tifo per Jojo Rabbit, del quale abbiamo parlato precedentemente in questo articolo. Probabilmente è il miglior film ironico sul nazismo degli ultimi anni e non è certo semplice trattare in tal modo tematiche così cupe, come la suddetta pellicola è riuscita a fare.

5+1. Miglior attrice protagonista e migliore attrice non protagonista

Abbiamo lasciato volutamente alla fine questa categoria, perché quest’anno potrebbe accadere qualcosa senza precedenti nella storia degli Oscar. È già successo in passato (anche se raramente) che attori e attrici fossero in lizza per due categorie contemporaneamente, ma mai sono riusciti a portare a casa entrambe le statuette alla fine.

Scarlett Johansson in Storia di un matrimonio (sinistra) e Jojo Rabbit (destra) – Fonte:quotidiano.net

Motivo aggiuntivo per il quale – chiaramente oltre alle eccellenti performance – facciamo il tifo per la bellissima e bravissima Scarlett Johansson. In Jojo Rabbit l’attrice ha svolto un lavoro impeccabile, con il quale ha trasmesso al pubblico tutta la dolcezza e l’amore che una madre può donare al figlio, anche in uno dei periodi più bui di sempre, guadagnandosi la nomination come migliore attrice non protagonista. In Storia di un matrimonio, il suo personaggio è una donna dal carattere forte e dalle grandi ambizioni, che vedrà scoppiare un conflitto tra vita lavorativa e vita sentimentale. Grazie al pathos che arricchisce molti dialoghi del film, abbiamo così visto due lati profondamente diversi di un’attrice completa e matura. Sarà sufficiente per fare la storia degli Oscar?

 

Il 2019 è stato un anno davvero ricco per il cinema e questa edizione degli Oscar ne è la prova tangibile.

Avere nella stessa competizione tutti questi film, alcuni dei quali possono già essere definiti delle opere d’arte, è davvero un privilegio enorme.

Speriamo che il 2020 non sia da meno!

Vincenzo Barbera, Emanuele Chiara

Alla scoperta degli Oscar: i 5 grandi esclusi

Se in Italia scoppiano polemiche per il festival di Sanremo, nel mondo intero le polemiche più accese scoppiano per gli Oscar.

Anche per quest’edizione sono state mosse diverse critiche nei confronti dell’Academy per una serie di esclusioni che hanno suscitato la disapprovazione di molti.

Mettiamo da parte il polverone per l’assenza di Greta Gerwig nella lista dei candidati per il miglior regista ed altri disordini che si sono creati andando a toccare temi ben più seri, come il razzismo o la parità dei sessi, e andiamo ad analizzare quelli che secondo me sono i 5 grandi esclusi dagli Oscar 2020, da un punto di vista puramente tecnico.

Fonte: Ciakclub.it

1.Robert De Niro

Robert De Niro a 76 anni è ancora tra i migliori attori in circolazione. Le sue performance in The Irishman e Joker hanno contribuito enormemente al successo delle due pellicole. Nel film di Scorsese, De Niro può essere considerato una sorta di Atlante, in quanto sostiene l’intero peso della narrativa fungendo da centro di collegamento tra eventi e personaggi in modo tale da ammaliare lo spettatore per 210 minuti.

Prima di iniziare le riprese di The Irishman, l’attore ha voluto rigirare insieme al regista delle scene di Quei bravi ragazzi (1990) così da entrare meglio nel ruolo del malavitoso e su quella base poi De Niro ha lavorato per costruire un nuovo personaggio, che incarna la perfetta evoluzione di quello precedente.

Robert De Niro in una scena di The Irishman – Fonte: meteoweek.com

In Joker la prova d’attore di De Niro è essenziale, innanzitutto ai fini della trama: l’attore recita nei panni di un personaggio di primaria importanza (il conduttore Murray Franklin). Inoltre, Joaquin Phoenix ha potuto tirare fuori il meglio di se proprio grazie alla sintonia creatasi con De Niro. Si può anche essere il Marlon Brando o il Jack Nicholson della situazione ma se il proprio partner non dà le battute correttamente, non entra nel personaggio o non vi è chimica tra i due, l’interpretazione logicamente ne risentirà e di conseguenza le scene non verranno mai alla perfezione.

Credo che Robert avrebbe meritato almeno una candidatura non tanto per la sua carriera – perché per assegnare un Oscar bisognerebbe sempre osservare le interpretazioni degli attori nell’ultimo anno –  ma proprio per il modo in cui ha creato i personaggi e per il lavoro svolto sui set.

2.Taika Waititi

Il regista Taika Waititi ha fatto un film dove è riuscito a spiegare cosa sia realmente il nazismo sbeffeggiandolo con esilarante ironia. Già in passato con Vita da vampiro- What We Do in the Shadows ha mostrato al grande pubblico di saper raccontare una storia in maniera diversa dagli standard cinematografici ai quali siamo abituati. Con Jojo Rabbit si è confermato come regista-innovatore e avrebbe di certo meritato una nomination come miglior regista per il magnifico lavoro svolto.

3.Il traditore

Rabbia, davvero tanta rabbia. La pellicola di Marco Bellocchio è andata vicinissimo alla nomination finale per aggiudicarsi il premio come miglior film straniero. L’interpretazione di Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta è magistrale e la regia di Bellocchio celeberrima. Sinceramente credevo fortemente che questo film potesse riportare la statuetta in Italia, ma ahimè non sarà così. Mi sollevo perché, grazie a pellicole come Il traditore, so che il cinema italiano non è definitivamente morto ma ha ancora qualcosa da trasmettere.

Pierfrancesco Favino nei panni di Tommaso Buscetta nel film Il Traditore – Fonte: internazionale.it

4.Lupita Nyong’o

L’attrice messicana è la protagonista e l’antagonista del film Noi di Jordan Peele. Personalmente la pellicola non mi ha entusiasmato, ma l’interpretazione della Nyong’o si. La carriera dell’attrice è appena decollata e già vanta una serie di grandi film a cui ha preso parte (12 anni schiavo, due film di Star Wars, Blackpanther), i quali provano a conti fatti che vi sia del talento nella ragazza. La prova d’attrice in Noi le avrebbe dovuto concedere la possibilità di poter concorrere alla statuetta come miglior attrice protagonista per l’enfasi e l’intensità della sua interpretazione.

5.Spider-Man: Far from Home

Escluso dalla candidatura ai miglior effetti speciali. Non sono un grande fan dei film della Marvel, ma alcuni li guardo con piacere ed in Spider-man: Far from Home ci sono scene d’azione che mi hanno fatto divertire come un bambino a Disneyland. In particolare vi è una sequenza dove il protagonista combatte contro il supercattivo nel caos più totale e tali scene sono caratterizzate da una serie di effetti speciali realizzati in maniera impeccabile, che coinvolgono lo spettatore come se fosse sulle montagne russe.

Spider-Man: Far from Home – Fonte:cinematographe.it

Nel momento in cui si viene esclusi dal premio cinematografico più importante dell’anno ovviamente la delusione è tanta, ma alla fine l’obiettivo principale di tutti i membri del settore è quello di creare arte.

Il cinema è eterno, non può morire. Se non si portano a casa i premi poco importa. La cosa rilevante è far emozionare le persone, di farle quindi ridere, piangere, anche impazzire è lecito, e questi film o attori che non sono stati candidati lo hanno fatto egregiamente, dunque: chapeau.

 

Vincenzo Barbera

 

Alla scoperta degli Oscar: 1917, la prima guerra mondiale come non l’avete mai vista

Voto UVM: 4/5

1917, locandina del film – Fonte: comingsoon.it

1917, ultimo lavoro cinematografico del noto regista britannico Sam Mendes, è un film all’insegna dell’eccedenza – e dell’eccellenza – sotto vari aspetti.

Distribuito su scala limitata negli USA dalla Universal Pictures a partire dal 25 dicembre e poi a gennaio nelle sale di tutto il mondo, ha già incassato ben 202 milioni di dollari e si è – a buon merito – conquistato 10 candidature all’Oscar (miglior film, miglior regista, migliore sceneggiatura originale, migliore fotografia, migliore scenografia, migliore colonna sonora, miglior sonoro, miglior montaggio sonoro, migliori effetti speciali, miglior trucco e acconciatura). Ma non solo: ha già vinto 2 Golden Globe come migliore film drammatico e migliore regia e 7 BAFTA ( miglior film, miglior film britannico, miglior regista, migliore fotografia, migliore scenografia, miglior sonoro e migliori effetti speciali).

Cosa ci aspettiamo da una simile tempesta di riconoscimenti per un film di guerra?

Sicuramente un kolossal moderno ricco di scene d’azione, grandi dispiegamenti di truppe, battaglie epiche e trionfali, che si vedono anche in numerose pellicole fantasy. Il nuovo capolavoro di Sam Mendes invece non è niente di tutto questo!

Il regista, che si è ispirato ai racconti del nonno Alfred Hubert Mendes, il quale combattè per due anni sul fronte francese, ci fa invece notare che quando si tratta di guerre, soprattutto guerre di movimento come il primo conflitto mondiale, c’è ben poco da celebrare, ma solo da raccontare con sguardo realista e disincantato, scegliendo un punto di vista “minore”, quello di un semplice soldato.

Il protagonista William Schofield (George MacKay), caporale dell’esercito britannico sul fronte francese, ha una precisa missione: attraversare le linee nemiche e consegnare un messaggio al colonnello Mackenzie del 2° battaglione del Devonshire Regiment ,per impedire l’attacco ai tedeschi previsto per l’indomani ed evitare così la morte quasi certa di 1600 uomini. Nella sua corsa contro il tempo attraverso desolate terre di nessuno, trincee labirintiche e paesi fantasma devastati dalle bombe, è accompagnato dall’amico e commilitone Tom Blake (Dean-Charles Chapman), coinvolto in prima persona perché fratello di Joseph (Richard Madden), combattente nel 2° Devon.

George MacKay e Dean-Charles Chapman vicino a una trincea nemica – Fonte: fortemertein.com

Riusciranno i due ad avvisare il battaglione in tempo e salvare i compagni dal disastro?

Al di là del finale e dell’intreccio, quello che importa di più a Mendes è far piombare lo spettatore dentro un’atmosfera ben precisa: quella di una guerra atroce che, come afferma il colonnello Mackenzie, interpretato da un magistrale Benedict Cumberbacht, “la vince chi sopravvive”. Il suo occhio non risparmia particolari macabri: mosche e avvoltoi che sorvolano cadaveri, resti umani intrappolati nel fango, né esita a raccontare gli stenti dei protagonisti, la voglia di tornare a casa, i loro ricordi, la fame e la sete per cui si baratta volentieri una medaglia che alla fine “è solo un inutile pezzo di latta”. Una narrazione priva di retorica che si avvale di dialoghi ben scritti (e in questo si vedono le radici teatrali di Mendes) e di un realismo sconcertante.

A creare ancor di più quest’atmosfera sono le scenografie di Dennis Gassner che ricostruiscono un paesaggio quasi post-apocalittico e la fotografia di Roger Deakins che strizzano l’occhio all’arte pittorica. I ruderi del paesino illuminati dalla sola luce dei bombardamenti non sembrano usciti direttamente da un dipinto del romantico Friedrich?!

Fonte: screenWEEKblog

Ma la trovata tecnica più azzeccata è sicuramente l’unico piano sequenza che travolge lo spettatore in un crescendo di forte tensione: scena dopo scena sembra di correre accanto al protagonista, sentire gli spari dei nemici, le trappole tese, le bombe, il fiato che manca, il suo cuore che salta in gola in una corsa infinita in cui non c’è tempo di fermarsi e ricucire le ferite del corpo e dell’animo: bisogna correre, lottare per la sopravvivenza. Ci sono solo pochi momenti di pausa in tutto il film e uno di questi è il canto mattutino che raccoglie i soldati prima della battaglia: un canto privo di speranza, una preghiera di chi sa che va in marcia per morire.

Le premesse per trionfare nella notte degli Oscar ci sono tutte!

Se siete militaristi incalliti con qualche nostalgia per le imprese dei nostri nonni, non andate a guardare 1917: vi racconterà una verità sulla guerra che non volete sentire. Anzi, se lo siete, e soprattutto se siete giovani, andate a vederlo perché per conoscere la storia purtroppo non sempre bastano i libri e quello di Mendes è uno dei film bellici più onesti dell’ultimo decennio!

Angelica Rocca

Odio l’estate: grande ritorno del trio comico più magico d’Italia

 

Profondità e leggerezza, la comicità che non stanca mai. Voto UVM: 4/5

Un magnifico ritorno sul grande schermo quello di Aldo, Giovanni e Giacomo nel film Odio l’estate, uscito nelle sale il 30 gennaio.

Perché parlare di ritorno? La penultima fatica cinematografica del trio (Fuga da Reuma Park– 2016) è relativamente recente, ma da un paio d’anni a questa parte in realtà, Baglio e compagni non erano più gli stessi. La comicità semplice ma talora portata all’assurdo, che non cade mai nella volgarità o negli schiamazzi, l’ironia fatta di mimica, gag memorabili, lunghi botta e risposta e battute tutt’altro che scontate non brillavano certo a partire da Il cosmo sul comò (2008), oscurate com’erano da una regia incerta. Tra le altre pecche abbiamo visto trame abbozzate in cui i dialoghi scorrevano a fatica e la risata stentava a decollare.

Con il ritorno alla cinepresa di Massimo Venier, regista dei loro primi lavori fino a Tu la conosci Claudia (2004), è tutt’altra musica!

Fonte: rbcasting.com

Ma parlando appunto di trama,  cosa ha di tanto originale Odio l’estate?

Aldo Baglio, Giacomo Poretti e Giovanni Storti sono tre padri che vogliono trascorrere una serena vacanza con le proprie famiglie in un’isoletta della Puglia. Il caso – o l’errore – vuole che si trovino a prenotare tutti e tre la stessa casa vacanze. Dopo essersi rivolti alle autorità del luogo- un magnifico Michele Placido nei panni di un disincantato maresciallo di provincia, stremato dal caldo estivo- per non ricorrere in lungaggini giuridiche, optano per il compromesso: condividere gli spazi fino alla fine dell’estate. Dapprima scontenti, si ritroveranno come da copione a stringere amicizia.

Cast del film – Fonte:techniprincess,it

A prima vista, insomma, un intreccio scontato di quelli che non mancano certo alla commedia italiana dell’ultimo decennio, ma in realtà un racconto che si rivela originale nei dettagli.
A partire dai personaggi: all’apparenza stereotipati, evolvono nel corso della pellicola rivelandoci lati inaspettati. Abbiamo Aldo tipico meridionale ipocondriaco trapiantato al nord con tanto di famiglia rumorosa a carico, Giacomo, noioso dentista attaccato al guadagno, Giovanni, pignolo proprietario di un negozio di scarpe messo alle strette dalla crisi. E poi le mogli, donne che stavolta sono più che semplice spalla del trio, ruoli ben caratterizzati e affidati a virtuose attrici. Notevole una Lucia Mascino nei panni della nevrotica madre borghese che ha qualche problemino a lasciarsi andare.

Maria di Biase, Lucia Mascino e Carlotta Natoli – Fonte:optimagazine.com

Le differenze di “classe” sono evidenti, ma come in altri film del trio le tematiche sociali sono solo accennate: non si insiste fino allo sfinimento sulle solite dialettiche nord-sud, ricchi-poveri e via dicendo, ma si preferisce puntare piuttosto su ciò che accomuna i personaggi. Giovanni fa cerchi con le mani quando gli mancano le parole, il nostro Giacomino lascia banconote al figlio al posto di un ti voglio bene e Aldo, all’apparenza il più estroverso ed espansivo e voce narrante come in Chiedimi se sono felice, porta con sé un segreto che non può rivelare.

La profondità tipica dei loro primi film viene a galla senza stancare, alleggerita dalle risate e da dialoghi che fluiscono leggeri, affidata anche alle parole dei personaggi minori, per raccontare senza sdolcinatezze di sorta la magia della vita che è come i fuochi d’artificio: “se ci pensi è una minchiata, ma se non ci pensi non è poi così male.

Ma a parlare di magia ci pensano soprattutto le scene che portano la chiara firma di Venier.
Quasi commuovono il cameo di Massimo Ranieri che canta con un Aldo fan incallito “Erba di casa mia”, le sequenze da road movie tipiche del trio e la partita di calcio in spiaggia sulle note di Capossela, chiaro richiamo a Tre uomini e una gamba. Ci viene quasi da dire: “Non ce la faccio, troppi ricordi!

Fonte: lospettacoliere.it

Sottofondo gradevole e azzeccato poi le canzoni di un grande della musica italiana odierna: Brunori Sas!

Lontano dalla grandezza dei vecchi tempi, ma omaggio non meno maturo, Odio l’estate è in definitiva un film che rende giustizia alla bistrattata comicità italiana!

Angelica Rocca

Alla scoperta degli Oscar: The Irishman

The Irishman – voto UVM: 4/5

Martin Scorsese è tornato, questa volta più agguerrito che mai. Dopo il fiasco al botteghino del film Silence (2016) ha deciso di creare un’opera di 210 minuti in cui ha esaltato il suo passato cinematografico ed ha riproposto tematiche, già precedentemente affrontate, in chiave più matura e riflessiva. Scopriamo insieme perché ha già conquistato il favore della critica e, pertanto, potrà ambire a più di una statuetta.

Locandina del film – Fonte: MYmovies.it

Produzione

Per The Irishman il regista ha affermato: “volevo fare un film con i miei amici“; dunque, ha formato un cast stellare che comprende Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci ed Harvey Keitel, riunendo così le colonne portanti del genere gangster in un unico lungometraggio.

Inizialmente, il progetto di The Irishman fu rifiutato da diverse case di produzione, visto l’elevato budget richiesto per girare in CGI (Computer-generated imagery), finché non è intervenuta Netflix, che ha finanziato la pellicola. Diversi utenti della piattaforma streaming si sono lamentati della lunghezza del film, etichettandolo come “noioso, terribile e confusionario” esclusivamente per la durata, senza porre attenzione alla regia ed alle grandissime interpretazioni degli attori. E non è un caso che il film abbia ottenuto ben 10 candidature agli Oscar.

Regia: tra introspezione ed evoluzione del cinema di Scorsese

La pellicola, candidata nella categoria miglior film, ha riproposto al grande pubblico quegli aspetti della vita criminale già mostrati dal regista in Goodfellas (1990) e Casinò (1995), rimodellandoli con lunghe scene in cui i personaggi riflettono sul loro passato. Di conseguenza, l’intero film diventa un’evoluzione del cinema stesso di Scorsese, il quale ci fa comprendere lo stato d’animo ed i pensieri di un gangster giunto ormai alla fine dei suoi giorni, dopo aver vissuto in maniera frenetica un’esistenza segnata dai peccati più terribili.

The Irishman potrebbe infatti essere considerato il sequel diretto di Quei bravi ragazzi dove la “bella vita” condotta dai criminali a base di alcol, soldi sporchi, donne favolose e voglia di espandere il proprio potere, alla fine viene annichilita e smembrata semplicemente dallo scorrere inevitabile del tempo, che obbliga i protagonisti a guardare dentro sé stessi ed a tirare le somme.

Quei bravi ragazzi (Goodfellas) – Fonte: thecinematograph.it

Il regista, a 79 anni, decide di raccontarsi all’interno della pellicola, mostrandoci le ansie e le paure della vecchiaia che ormai incombe irrimediabilmente. E lo fa su una solida base, poggiata sul suo modo di fare cinema, che lo ha consacrato negli anni ’90 tra i più grandi registi della storia. La maestria di Martin Scorsese nel dirigere i suoi attori , facendoli immedesimare in modo quasi mistico nei vari personaggi, e nello sperimentare innovative tecniche di ripresa è stata riconosciuta dall’Academy, che gli ha riservato la nona nomination della sua carriera al premio come miglior regista.

Il cast

Joe Pesci dopo 24 anni torna a recitare con De Niro in un film di Scorsese. L’ultima volta fu in Casinò, e non a caso si ritrova nel quintetto dei candidati per il miglior attore non protagonista. La prova d’attore di Pesci dovrebbe essere proiettata in tutte le scuole di recitazione per far comprendere cosa sia realmente un attore e cosa debba fare per poter essere considerato tale. Pesci è stato capace di interpretare alla perfezione il capomafia Russell Bufalino, replicando le movenze tipiche di un siciliano in età avanzata e trasmettendo emozioni proprio per mezzo della gestualità.

Robert De Niro ha suggerito al regista di prendere, per il ruolo di Jimmy Hoffa, il collega Al Pacino, con il quale aveva già recitato in Sfida senza regole (2008) ed in Heat-La sfida (1995).  Il protagonista di Scarface, anche a 79 anni, riesce magistralmente a rivestire il ruolo di uno dei più importanti sindacalisti degli anni ’60, donandogli tutto il suo carisma ed esaltando la simpatia e la genialità di un uomo estremamente potente. Anche per Al Pacino è arrivata la candidatura all’Oscar (migliore attore non protagonista).

Robert De Niro, Al Pacino e Ray Romano in una scena del film – Fonte: The Post

Lo sceneggiatore Steven Zaillian ha ottenuto la nomination per la miglior sceneggiatura non originale: nessuna sorpresa, data la fluidità della narrativa e l’abilità di Zaillian nel raccontare storie realmente accadute. Lo scrittore non è nuovo nell’approcciarsi a storie reali ed è riuscito a riproporne gli eventi più emblematici della vicenda, enfatizzando le emozioni che le persone provano vivendoli, come fece anche per Schindler’s List.

Nessuna candidatura -a malincuore- per Robert De Niro ed Harvey Keitel, che quando recitano insieme (come fu in Taxi Driver) danno vita a momenti indimenticabili di vero cinema, grazie all’armonia che scorre tra i due attori (osservabile nel film solo per pochi minuti).

In conclusione, The Irishman è una pellicola degna di far parte della lunga lista di opere d’arte dirette da Martin Scorsese.

Forse non sarà ai livelli di Taxi Driver, Toro scatenato o Quei bravi ragazzi, ma il regista ci presenta un’opera diversa, più matura e ricercata, ricca di innovazioni e sicuramente di altissimo rango. Con le sue 10 candidature ai premi Oscar del 2020 è, obiettivamente, tra i migliori film dell’anno.

 

Vincenzo Barbera

RiDE – il drammatico leggero della sensibilità di Valerio Mastandrea

 

L’opera prima è sempre un’emozione grande. Molti non sanno descriverla, altri pensano di aver fatto una stronzata – passatemi il termine, bonariamente – e Valerio Mastandrea, uno degli attori di punta della recitazione italiana contemporanea, ha sentimenti ingarbugliati tra loro riguardo la sua opera prima da regista: RiDE (si legge con pronuncia italiana per chi avesse il dubbio). UniVersoMe ha avuto l’ opportunità di incontrarlo al Multisala Iris di Messina, durante una tappa del suo tour per i cinema italiani “Esco in tour”.

 

©LauraLaRosa Chiara Martegiani e Valerio Mastandrea, Multisala Iris – Messina, Aprile 2019

 

Il film è il perfetto equilibrio tra un desiderio di svegliare le coscienze ed alleggerirle con il sarcasmo che contraddistingue il regista nelle proprie performance. La denuncia è quella delle morti bianche sul posto di lavoro: una critica sottile sugli atteggiamenti che socialmente riteniamo obbligatori quando subiamo un lutto, ma che Carolina – interpretata egregiamente da Chiara Martegiani – non riesce a rispettare. Il marito è morto da una settimana, e da una settimana lei non riesce a piangere. Neanche il figlio di 12 anni ci riesce. Lei prova in tutti i modi, fino a quando…
No fino a quando niente, qui non faccio spoiler. Vi consiglio di vederlo!

©LauraLaRosa, Valerio Mastandrea – Multisala Iris, Messina Aprile 2019

Intanto come avevo anticipato, Mastandrea e Martegiani erano presenti in sala: c’è stato un dibattito interessante tra il pubblico e i due attori. La sala si è perfettamente prestata per le domande, le foto e per la mia occasione di scambiare con loro qualche parola.

Prima ho incrociato Chiara, tra un complimento e l’altro, mi ha spiegato che la recitazione in Italia, specie per le donne, è una carriera molto precaria: le porte in faccia sono tante ma più per un modo di fare che per concreta mancanza di talento. La domanda mi è sorta spontanea:

Cosa consigli ai giovani aspiranti attori?

Eh… è una passione che si doma difficilmente, il lavoro è sempre una scoperta, bella o brutta che sia. Il mio consiglio è di puntate sui progetti, non bisogna smettere di creare, di informarsi e di continuare a crederci. Non è facile, queste cose non le dicono spesso, non sempre è questa realtà che traspare.

E distrutto dalla giornata becco Mastandrea, lo raggiungo con in mano un taccuino minaccioso che a mezzanotte – ammetto – avrebbe terrorizzato chiunque. Ma, come un cavaliere senza macchia e senza paura si è sorbito le mie domande con tanta gentilezza.

©LauraLaRosa Mastandrea e Giulia con il minaccioso taccuino – Multisala Iris, Aprile 2019

Il tuo debutto da regista esplode con un film ricco di ribellione e presa di coscienza, il cinema riesce a comunicare nella nostra società? Cioè quanto può influire, quanto è forte la sua risonanza?

Dovrebbe essere il compito del cinema raccontare la società e non solo, soprattutto le persone, mostrare la realtà attraverso le persone. Questo non significa che debbano essere girati film gravi, “pesanti” , anche una commedia può raccontare un sacco di cose. I generi cinematografici aiutano molto.

Ridere si può definire un inno alla libertà di soffrire? In un’intervista avevi spiegato che questi sono tempi in cui è difficile soffrire…

Certo, forse più al diritto. Ma non proprio di soffrire, persino stare male, non solo essere felici… male visto il bombardamento che subiamo costantemente di modelli di felicità. Ce l’hai Instagram te? Vedi quanto è felice la gente? D’estate, d’inverno. Se uno sta un po’ giù e vede la foto di un posto in cui non potrà andare, come si sente? Potrebbe soffrire, quindi la libertà di stare come ti pare è compromessa, e anche quella di soffrire. Come racconta la storia, la protagonista è una persona non riesce ad avere un rapporto con il proprio dolore, non ce la fa perché sta sotto i riflettori, perchè è tirata da una parte e dall’altra.

 

Foto del backstage di RiDE

 

Da un punto di vista tecnico la fotografia del film appare curata nei dettagli, a volte pecca nell’identità della stessa, ma sfrutta le inquadrature e i movimenti che accompagnano attori in campo. Quando hai iniziato a girare avevi già in mente le scene o si sono sviluppate durante?

Solo i grandi registi hanno in mente il film. Io, infatti, non avevo idea di nulla. Tante scene ed inquadrature sono venute naturali, nel cinema comunque ci sono delle immagini che se vogliono trasmettere un determinato significato, una specifica sensazione, vanno sincronizzate al movimento e all’ambiente in cui vengono girate. Io ho avuto una bella squadra con cui mi sono potuto confrontare, e menomale perché è stato il campo su cui mi sono soffermato di meno e mi dispiace adesso, riguardandolo ogni volta spunta qualcosa che avrei potuto fare diversamente, migliorare ecco. 

 

©LauraLaRosa, Multisala Iris – Messina, Aprile 2019

 

Anche se breve è stata un’intensa e divertente intervista – tra risate e sano sarcasmo non vedo l’ora di vedere cosa sfornerà di nuovo l’attore romano. Ha detto che ci vorrà tempo, si farà desiderare… ma per le domande rimaste in sospeso, caro Valerio, se ribeccamo.

 

 

Giulia Greco

 

 

 

SCIPOG e COSPECS celebrano la notte Europea della geografia!

Venerdì 5 aprile 2019. I Dipartimenti SCIPOG – Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche e COSPECS – Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli Studi sociali sono stati i protagonisti di una serie di eventi nell’ambito della “Notte Europea della Geografia”. Le attività si sono susseguite a partire dalle ore 10.30 sino alla ore 20.00.

L’iniziativa ideata nel 2016 dal Comitato Francese di Geografia che ha ricevuto il supporto, in Italia, del Comitato Italiano dell’Unione Geografica Internazionale, del Coordinamento SOGEIsocietà di Information and Communication Technology del Ministero dell’Economia e delle Finanze , della Rete LabGeoNet – Rete dei Laboratori Geografici Scientifici Italiani e dell’ Associazione Italiana di Geografia fisica e Geomorfologia.

La Notte Europea della Geografia si è prefissata l’obiettivo  di migliorare e accrescere la conoscenza del sistema Terra, dare consapevolezza della ricchezza comune derivante dalla ricerca geografica, sensibilizzare l’uomo verso le discipline geografiche per costruire una spazializzazione sostenibile e percorsi di  cittadinanza attiva, essenziali per una corretta educazione ambientale.

La manifestazione si è svolta in simultanea in quasi tutte le sedi universitarie italiane ed europee, con il fine di aprire alla popolazione i principali Atenei italiani, facendo in modo che i partecipanti potessero scoprire il mondo attraverso gli occhi del geografo. I vari eventi, proprio per questo, erano tutti fruibili a titolo gratuito.

ll programma previsto presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, intitolato Notte Europea della Geografia tra “rema montante e rema scendente” ha avuto lo scopo di presentare la complessità territoriale nei suoi aspetti culturali e di sensibilizzare l’opinione pubblica all’educazione ambientale, presentando la disciplina, i geografi e il loro ‘mestiere’ per coinvolgere cittadine e cittadini di tutte le età nella sperimentazione le diverse forme e metodi di rappresentazione/documentazione del territorio. Dopo i saluti istituzionali del Magnifico Rettore, Prof. Salvatore Cuzzocrea, del Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche e Giuridiche, Prof. Mario Calogero e della Prof.ssa Elena Di Blasi, è stata eseguita la premiazione degli alunni delle scuole superiori che hanno aderito al concorso “GEOSELFIE, la tua idea di Geografia”. A questi alunni è stato richiesto di realizzare un selfie attraverso il quale rappresentare in modo originale la propria idea di Geografia e in particolare il rapporto tra l’uomo e il suo ambiente. Map contest, cartografie, proiezioni, percorsi tematici ed espositivi hanno animato l’intera giornata.

Mentre, il programma previsto dal Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli Studi sociali portava il titolo di “Cinema e Paesaggio in Sicilia. Le attività sono state inaugurate alle ore 16.00, anch’esse dai saluti istituzionali, ed hanno annunciato un percorso sul racconto cinematografico del paesaggio siciliano, finalizzato alla sensibilizzazione nei confronti dei beni ambientali e culturali locali e isolani. Mostre fotografiche, proiezioni, recital, tavole rotonde ed incontri tematici sulla trasposizione fotografica della Messina storica, ed infine, la premiazione del Photo Contest hanno costituito l’intero itinerario della ricorrenza.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Viaggio in Italia con la Camerata Musicale Ligure

Giovedì 21 marzo 2019. Aula Magna del Rettorato di Messina. Ospite la “Camerata Musicale Ligure con il loro spettacolo: “Viaggio in Italia”.  Siamo al 7ᵒ appuntamento della stagione concertistica 2019 che comprende una grande varietà di generi musicali. Una brillante idea creata dall’Università per entrare meglio in contatto con la propria città e i propri cittadini. La Camerata Musicale Ligure, costituitasi ad Imperia, nel 1988, presenta oltre 25 anni di sfavillante attività concertistica, invitata da numerose istituzioni italiane ed estere, ha all’attivo centinaia di concerti e decine di brani in programma con un vasto repertorio, dal barocco alla musica leggera.

©LauraLaRosa, (Concerto d’Ateneo), Aula Magna Rettorato, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Un tour tutto all’italiana. Tutti i brani eseguiti riportavano in vita L’Opera, Il Cinema e la Canzone d’autore.

Ouverture da “il barbiere di Siviglia” – G. Rossini, Il valzer del Gattopardo – N. Rota; Il Padrino – N. Rota; Felliniana – N. Rota; Pinocchio – F. Carpi; La vita è bella – N. Piovani; Spaghetti Western Story – E. Morricone; Gente di Mare – F. De André; Medley di Canzoni napoletano – Medley di Canzoni napoletane.

©LauraLaRosa, (Concerto d’Ateneo), Aula Magna Rettorato, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

©LauraLaRosa, (Concerto d’Ateneo), Aula Magna Rettorato, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

©LauraLaRosa, (Concerto d’Ateneo), Aula Magna Rettorato, Messina 2019

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sala gremita. Tutto esaurito. Pubblico attento. Si registra così, con gran successo, il sold-out per la 31^ stagione dei concerti dell’ateneo. Sentito l’omaggio a De André, richiesto il bis dalla platea, complice anche il fatto che ricorresse il ventennale della scomparsa.

L’Università vi aspetta per il prossimo appuntamento: giovedì 28 marzo ore 21.00 , Aula Magna del Rettorato. Ospiti: Silvia Martinelli – soprano, Andrea Trovato – pianoforte. Programma previsto: “Da Napoli a Broadway”.

Gabriella Parasiliti Collazzo

Momenti di trascurabile felicità

Noie, contrattempi e fastidi. Voto Uvm: 3/5

 

 

 

 

 

Tratto dall’omonimo libro “Momenti di trascurabile infelicità” è un diario delle noie, dei contrattempi e dei fastidi.

L’opera di Francesco Piccolo è il libro che tutti vorrebbero scrivere perché l’arte comunicativa dello sceneggiatore casertano è rendere la normalità, che talvolta diviene banalità, straordinaria attraverso una scrittura semplice ma arguta e soprattutto intrisa di leggiadra ironia, un’impresa letteraria notevole.

 

 

 

Daniele Luchetti e lo stesso Piccolo sono riusciti a rendere il film una creatura altra rispetto ai pensieri sparsi pubblicati nel libro del 2010, perché c’è un protagonista di nome Paolo che non ha sempre la stessa prospettiva di Piccolo, visto che è più indolente, un po’ mediocre, decisamente anaffettivo e più pigro, sebbene risulti simpatico e l’identificazione nel personaggio, a sua volta, immediata.

È un atto di coraggio che si rivela premiante, perché l’autore campano ha saputo estrarre l’anima e lo spirito dai suoi scritti, costruendo una storia leggera e profonda, elegante nella forma e sensibile nei contenuti.

In più il personaggio di Paolo (e l’interpretazione di Pif) aggiungono una nota di tenerezza e di bonaria indolenza “siciliana” che conquistano il pubblico.

 

 

Il resto del cast aggiunge freschezza (Thony nel ruolo delizioso della moglie, Angelica Alleruzzo e Francesco Giammanco in quelli dei figli) e proprietà tecnica (l’imprescindibile Renato Carpentieri, angelo custode di Paolo).

Una commedia semplice e spensierata che gioca ironicamente con la morte per far prendere coscienza delle cose realmente importanti della vita, troppo spesso non adeguatamente comprese e date per scontato.

L’autore premio Strega fotografa magistralmente “quei piaceri intensi e fuggevoli che punteggiano le nostre giornate, mettendo a nudo con spietato umorismo i lampi gioia, le emozione improvvise ed incontrollate con le quali prima o poi tutti dobbiamo fare i conti.

Comprendere la trasposizione cinematografica di Piccolo significa sapersi riconoscere ed accettare poichè si possiede il codice di se stessi, anche attraverso debolezze ed imperfezioni.

Antonio Mulone