Ennio Morricone: il maestro per eccellenza

In questi giorni il mondo del cinema vive un lutto enormemente spiacevole : Ennio Morricone, uno dei più grandi compositori della storia, si è spento a Roma all’età di 91 anni.

Noi di UniVersoMe siamo rattristati dalla scomparsa del maestro e vogliamo rendere omaggio alla sua memoria analizzando cinque delle sue migliori – e celebri – colonne sonore.

Ennio Morricone ai Nastri d’argento del 2010 – Fonte: archivio di ©Paolo Barbera

Trilogia del dollaro

Una delle collaborazioni più proficue di Ennio Morricone fu quella con il regista Sergio Leone.

I due, conoscenti sin dalla  5º elementare, si ritrovarono a lavorare insieme nel 1964; Morricone infatti, scrisse la colonna sonora per i film che compongono la Trilogia del dollaro: Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) ed Il buono, il brutto, il cattivo (1966).

Sergio Leone ed Ennio Morricone – Fonte: incursionicinemaniache.blogspot.com

Queste pellicole, diventate dei veri e propri cult, devono il loro successo anche al lavoro di Ennio; infatti, il maestro, mediante le note musicali è riuscito a donare ad ogni film dei tratti distintivi, che anche a distanza di anni permettono di ricordare perfettamente le varie scene.

C’era una volta in America (1984)

La collaborazione tra Morricone e Leone termina nel 1984 con l’ultimo film del regista: C’era una volta in America, che rappresenta una delle migliori opere cinematografiche della storia.

Locandina del film C’era una volta in America – Fonte: eaglepictures.com

Il contributo musicale del compositore incrementa esponenzialmente la qualità del film; infatti la malinconia, che è uno dei temi principali della pellicola,  è percepibile – oltre che dalle inquadrature scelte dal regista – grazie alla colonna sonora, che riesce a trasmettere i sentimenti a tal punto da farceli provare sulla pelle.

Morricone ha compreso perfettamente la visione narrativa di Leone; ciò che il regista ha comunicato tramite le scene, lui lo ha comunicato tramite la musica.

Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Questo, uno dei film più belli della storia del cinema italiano, non sarebbe stato lo stesso senza la partecipazione del maestro Morricone.

Locandina del film Nuovo Cinema Paradiso – Fonte: sumavincenzo2009.blogspot.com

La pellicola si basa fortemente sul peso che la nostalgia ha sulle nostre vite e ci fa vedere come la musica la fa riaffiorare. Ascoltando la colonna sonora del film, è impossibile non pensare a ricordi passati; le note di Nuovo Cinema Paradiso sono in grado di narrare gran parte delle scene del film, e lo fanno in maniera del tutto autonoma.

The Untouchables – Gli intoccabili (1987)

Un gangster movie di altissimo livello diretto da Brian De Palma, con un cast che prevede attori del calibro di Robert De Niro, Sean Connery, Kevin Costner e Andy Garcia.

Le musiche di accompagnamento di Morricone riescono ad enfatizzare i momenti clou della pellicola.

Locandina del film The Untouchables – Gli Intoccabili – Fonte: pinterest.it

Anche in questa occasione, il maestro lascia la sua impronta indelebile arricchendo qualitativamente un’opera già meravigliosa.

Per questo film Ennio Morricone è stato candidato ai premi Oscar del 1988 per la miglior colonna sonora.

The Hateful Eight (2015)

Quentin Tarantino, da fan sfegatato di Sergio Leone, ha sempre desiderato di poter lavorare con Ennio Morricone e il suo sogno si è realizzato nel 2015 con il film The Hateful Eight.

In fase di pre-produzione l’unica direttiva data dal regista al compositore era «il film si svolge tutto in mezzo alla neve».

Morricone perciò ha composto una colonna sonora fortemente caratterizzata da tonalità cupe e sinistre, capace di trasmettere un senso di forte ansia e di imprevedibilità: proprio come se ci si trovasse nel bel mezzo di una tempesta di neve, dove può accadere qualsiasi cosa.

Quentin Tarantino ed Ennio Morricone – Fonte: repubblica.it

In fase di montaggio, Tarantino ha magistralmente connesso le musiche con le scene girate, riuscendo così ad esaltare profondamente i crescendo dei momenti più importanti del film.

Per The Hateful Eight Morricone è stato premiato con l’Oscar nel 2016.

 

Che dispiacere aver perso un grandissimo artista come Ennio Morricone, l’eredità lasciataci dal maestro è un tesoro dal valore inestimabile.

Saremo sempre grati ad Ennio per quello che ha fatto e vogliamo salutarlo con le parole di Tarantino: “Il Re è morto, lunga vita al Re!”.

Vincenzo Barbera

 

 

Le caratteristiche di cinque tra i più grandi “caratteristi”

Quello di attore caratterista è  – nonostante non esista un unico modo per definirlo – un termine riferito a tutti gli interpreti di personaggi singolari, che devono avere la capacità di rimanere impressi nella mente di chi guarda, anche se comparsi per poco tempo sulla scena.

Importantissimi per la riuscita di un buon film, gli attori caratteristi hanno sicuramente contribuito, sin dagli inizio, all’evoluzione del cinema.

Noi di UniVersoMe vogliamo farveli conoscere, e lo faremo analizzando l’operato dei cinque tra i più grandi attori caratteristi degli ultimi anni. Dalla top five è stato escluso Harvey Keitel, uno dei maggiori esponenti, ma solo perché ne abbiamo già parlato (giusto qualche articolo fa).

1) Steve Buscemi

Lo strambo per eccellenza.

Fonte: memecult.it – Steve Buscemi nel film Il grande Lebowski 

Generalmente, Steve Buscemi interpreta soggetti esuberanti e dalla battuta sempre pronta che conquistano immediatamente la simpatia del pubblico.

Ha dimostrato di essere un attore talentuoso e tecnicamente eccellente in diversi capolavori come Le Iene (1992), Armageddon (1998), Fargo (1996). Una delle sue migliori performance però, è sicuramente quella ne Il grande Lebowski (1998) dei fratelli Coen.

Nel film interpreta Donny, uno dei due più cari amici di Jeffrey Lebowski: personaggio fuori dagli schemi tipici di Steve, ma che ci dimostra quanto sia importante essere un bravo attore per fare il caratterista. Donny è taciturno e timido, eppure Buscemi riesce a donargli una presenza scenica mastodontica,  grazie alle sue doti attoriali.

In quanti altri film abbiamo visto personaggi simili a Donny, che magari parlano raramente o sono particolarmente introversi? Moltissimi, ma non abbiamo nessun ricordo di loro. Il personaggio di Buscemi invece lascia il segno e questo significa essere caratterista.

2) Cristopher Lloyd

Chi non conosce il Doc di Ritorno al futuro?

Fonte: ilpost.it – Christopher Lloyd, Doc

Christopher Lloyd è entrato nell’immaginario collettivo come l’eccentrico scienziato della famosissima saga di Robert Zemeckis. Non ha bisogno di presentazioni: con quegli occhi costantemente aperti e vispi  ed il suo consueto “Grande Giove” è certamente uno dei personaggi più apprezzati dal pubblico di ogni età e nazione.

Ma non finisce qui: è stato anche “autore” della profonda e celebre interpretazione in Qualcuno volò sul nido del cuculo (1975), dove, al fianco di Jack Nicholson,  ha ricoperto il ruolo di un uomo affetto da seri disturbi mentali.  Quindi, lo ritroviamo in un contesto drammatico e ben diverso dal clima di Ritorno al futuro, ed è questo il modo con cui  Chistopher  dimostra la sua versatilità, mettendo a segno una performance di altissimo livello.

3) Rowan Atkinson

Sì, non si chiama Mr Bean nella vita reale.

Fonte: indianaexpress.com – Rowan Atkinson nei panni di Mr Bean 

Genio assoluto della comicità inglese, Rowan Atkinson non è solo un grande caratterista, ma è anche inventore di uno stile recitativo del tutto innovativo.

Infatti, i film o i mediometraggi in cui appare non seguono gli schemi dei film tradizionali: le scene che si susseguono, rappresentano momenti di vita quotidiana nei quali l’attore interagisce goffamente con gli oggetti o con altri individui, farfugliando parole poco chiare e accentuando buffe espressioni facciali.

Risultato? Uno dei comici inglesi più famosi del mondo che è riuscito a lavorare – ed in pochi ce l’hanno fatta – anche con l’irraggiungibile gruppo comico Monty Python.

4) Mario Brega

Anche il cinema italiano, vanta una lunga lista di attori caratteristi degni di nota e Mario Brega è sicuramente uno dei più apprezzati dal pubblico.

Mario, “lanciato” da Sergio Leone come attore nei suoi western – in cui interpretava  lo scagnozzo dell’antagonista – verrà poi “rimodellato” da Carlo Verdone che lo ripropone come il tipico romano d’estrazione popolare.

Passano alla storia alcune sue battute come “Arzate a cornuto arzateee” in Borotalco (1982) o “So comunista così!” in Un sacco bello (1980).

Fonte: ilmattino.it – Mario Brega nel film Borotalco 

A livello tecnico però, Mario Brega non era un interprete di alto calibro.

Il punto di forza, che lo rende uno dei migliori caratteristi di sempre, risiede nella sua “spontaneitàdurante le riprese: la battuta di Un sacco bello (precedentemente citata) è frutto di un’improvvisazione dell’attore durante un ciak. Verdone ha deciso di lasciarla nel film, proprio perché rappresenta il personaggio: un uomo rude ma bonaccione, che, allargando le braccia, pronuncia quelle parole; trasmetterà così tutta la sensibilità e la bonaria ignoranza del personaggio.

5) Franco “Bombolo” Lechner

Franco Lechner, in arte Bombolo, è stato uno dei migliori caratteristi di sempre.

Fonte: spettacolo.periodicodaily.com – Franco “Bombolo” Lechner

Lo ricordiamo insieme a Tomas Milian nei panni di er Monnezza, con il quale ha preso parte a diversi film che li hanno resi celebri come “coppia del cinema” nel panorama italiano.

Solitamente, Bombolo interpreta lo stesso personaggio, le cui caratteristiche sono: la particolare mimica facciale e l’uso del dialetto romanesco. Esorbitante la quantità di schiaffi che il povero Franco ha ricevuto nel corso della sua carriera!

Ma pur di far ridere era pronto a tutto.

 

Quindi, come abbiamo visto, gli attori caratteristi costituiscono una parte fondamentale del cinema. Sono grandi interpreti che, nei pochi minuti a disposizione, devono dare qualcosa di significativo al proprio personaggio così da essere ricordati.

Ad oggi non ne esistono – almeno non più come un tempo – e la loro figura è mutata così come è mutato il cinema stesso; ma ciò che non cambia e che probabilmente non cambierà mai è il concetto di  essere attore e di farlo bene: come Mr Wolf (Harvey Keitel) ci insegna

Just because you are a character doesn’t mean that you have character”.

Vincenzo Barbera

100 anni con Alberto Sordi: un italiano dei nostri tempi

Il 15 giugno di cento anni fa nasceva Alberto Sordi, il nostro Albertone, una delle immortali maschere del cinema comico italiano.

Nasceva a Roma, quella Roma che meglio di chiunque altro ha saputo portare sul grande schermo. La Roma della corruzione, del pressappochismo, della rassegnazione, del qualunquismo e del servilismo. Ma anche la Roma degli imperatori, dei Fori e di Cinecittà, la Roma del “chissenefrega”, della gioia di vivere e di far ridere. Se la città eterna ha due facce – proprio come la luna – possiamo dire che Sordi ha saputo indossare a piacimento entrambe le maschere e velare di sorrisi e leggerezza difetti e contraddizioni della sua città … e di tutta l’Italia!

Esordi di un mito

Gli esordi di Albertone parlano da sé: nato in una famiglia in cui si respira aria d’arte (il padre è maestro di musica), non vuole proprio saperne di diventare ragioniere e tenta invece il grande salto nella carriera drammaturgica all’Accademia dei filodrammatici a Milano. Colmo dei colmi, qui verrà espulso per l’ inflessione troppo romanesca, quell’inflessione che darà un’impronta caratteristica e memorabile ai suoi personaggi. Cosa sarebbe l’americano di Steno senza il “mo me te magno!” con cui fa fuori un intero piatto di “maccaroni”?  Il fante Jacovacci senza il suo “Booni”? O il celebre marchese del Grillo senza il suo “Io so’ io e voi non siete un ca**o” simbolo di presunzione aristocratica?

Sordi ne ” Il marchese del grillo” di Monicelli, 1981. Fonte: wikipedia.org

Scartato dall’Accademia, Sordi tenta una scorciatoia per diventare attore: la carriera di doppiatore. Dal 1937 sarà infatti la voce italiana di Oliver Hardy (per intenderci: l’Ollio compagno di Stanlio). La sua caratteristica voce nasale gli darà modo di primeggiare anche a Radio Rai: qui creerà personaggi e macchiette trasposte poi in film di altrettanto successo.

 Albertone al cinema: la maschera dell’italiano medio

Talentuoso doppiatore, attore radiofonico e di teatro, ma anche compositore di memorabili canzoni, Albertone come mito nasce però al cinema e la sua fama è irrimediabilmente legata agli innumerevoli personaggi che ha saputo interpretare con realismo e comicità innata. Se pensiamo al cinema degli anni ’50  e ‘60 ci verranno in mente gli occhi di ghiaccio di Paul Newman, il fascino ribelle di James Dean o- per restare nei confini nazionali- la bellezza composta di un Mastroianni o l’imponenza di Gassman.

Alberto Sordi non era niente di tutto questo! Il faccione largo, il nasone adunco e il sorriso beffardo non rientravano certo nei canoni estetici dell’epoca, ma saranno tratti essenziali di quella maschera dell’italiano medio, signore assoluto della commedia all’italiana. Dopo l’esordio nei film dell’amico Fellini Lo sceicco bianco (1952), poco apprezzato dalla critica e il ben più fortunato I vitelloni  ( qui la nostra recensione in un articolo su Fellini), Albertone, diretto dai più grandi registi italiani, darà corpo e fiato a personaggi che si prendono gioco dei difetti dell’Italia del tempo grazie a una parlata tutta sua: ora piagnucolona e assillante, ora menefreghista e ipocrita nonché a un modo di camminare esemplare (si pensi al celebre saltello con cui entrava in scena anche negli spettacoli televisivi).

La celebre pernacchia ai lavoratori ne “I vitelloni”. Fonte: open. online

Tra i tanti, sarà nullafacente con la passione per l’America  in Un americano a Roma di Steno (1954), scapolo incallito ne Lo scapolo di Antonio Pietrangeli (1955) e poi marito di una tirannica Franca Valeri ne Il vedovo di Risi (1959), medico spregiudicato ne Il medico della mutua (1968) di Luigi Zampa e nel sequel del ’69 diretto da Salce.

Sordi che mangia i maccheroni nella celebre scena di “Un americano a Roma”. Fonte: wikipedia.org

Dalla fine degli anni ’60, affiancherà alla carriera d’attore quella di regista. Sordi regista porterà dietro la macchina da presa quel gusto tutto italiano di far ridere non rinunciando a rappresentare in maniera satirica luci e ombre della realtà sociale. Pellicole come “Fumo di Londra” e “Un italiano in America” (quest’ultima a fianco del grande De Sica) rappresentano realtà estere quali l’Inghilterra e gli States spesso troppo idealizzate dal Bel Paese.

A narrarle lo sguardo di un provinciale come tutti noi: incantato e stordito dalle insegne luminose e dal caos delle cities, scoprirà presto che Londra non è più capitale di gentleman in bombetta e il sogno americano di gloria e ricchezza è in realtà un incubo da cui ti svegli presto, pieno di debiti fino al collo e con gli strozzini alle calcagna.

Un italiano in America, locandina. Fonte: raiplay.it

L’eroe di Monicelli

È però la collaborazione con Mario Monicelli a rappresentare in maniera esemplare la splendente parabola comico-drammatica di Sordi. Soffermiamoci su due film celebri.

In  Un eroe dei nostri tempi  (1955) Alberto Sordi è tutt’altro che un eroe, anzi un classico antieroe proprio come lo è il Paperino dei fumetti. Adulatore dei superiori, infantile e petulante, Alberto Menichetti è un impiegato d’azienda che si dimostra vile in qualsiasi situazione quotidiana: sfugge alle botte dei più forti, non prende mai parte agli scioperi e per di più ha la fobia di rimanere incastrato nei fatti di cronaca più gravi.

Sordi che si dà per malato col proprio capo in “Un eroe dei nostri tempi”. Fonte: cristaldifilm.com

Insomma uno che in guerra se la svignerebbe sempre dalla trincea.

Sembra su questa linea un altro grande personaggio interpretato da Albertone, il fante romano Oreste Jacovacci ne La grande Guerra (1959). Il conflitto gli permetterà alla fine di sfoggiare doti di buon cuore e coraggio inaspettate che faranno di lui un vero eroe. È per Sordi la svolta: la sua prova d’attore regge anche in un contesto drammatico. Al suo fianco Vittorio Gassman nei panni del fante Giovanni Busacca, milanese anarchico sprezzante dell’amor patrio, degli ideali bellici e dei suoi commilitoni “da Roma in giù”. Insomma due realtà italiane che Monicelli mette a confronto con pregi e difetti senza far sconti a nessuno.

I due commilitoni Sordi e Gassman ne “La grande guerra”. Fonte: pinterest.it

Perché Sordi rappresenta ancora ognuno di noi?

C’è una comicità d’evasione in cui ci rifuggiamo per sfuggire ai conflitti e alle contraddizioni del quotidiano e c’è una comicità- specchio, che questi conflitti li mette in mostra senza paura. Ognuno di noi si riconosce in una sorta di ritratto buffo e satirico davanti al quale può ridere, ma anche prendere coscienza.

E questa è la comicità di Sordi, attuale come non mai.

Si pensi a Guido Tersilli, il medico della mutua, esempio di una sanità sempre più rivolta al lucro che alla salute dei pazienti. Sanità che – intendiamoci – non esiste soltanto nelle città da Roma in giù! Si pensi poi a Il boom, pellicola del 1963 diretta da De Sica, in cui Sordi interpreta un marito sommerso dai debiti  a causa del tenore di vita da alto-borghese.

Il boom, locandina. Fonte: raicultura.it

“Lei venderebbe un occhio?” si sente rivolgere il protagonista allibito. E’ una domanda che dovremmo trovare in tanti copioni odierni che si vantano di trattare temi politici e impegnati con la stessa franchezza e dove la parola “crisi economica” fa da padrone. Ma sono cambiati i tempi: manca quella disinvoltura, quella fantasia, quello sguardo attento al reale privo di buonismo, mancano i grandi registi della commedia all’italiana. Manca una maschera dalla risata amara. Manca un comico come Alberto Sordi!

 

Angelica Rocca

Studio Ghibli: 5(+1) film per entrare nella magia di Hayao Miyazaki

Quando si parla di animazione è veramente difficile superare i Giapponesi: ne sa qualcosa lo Studio Ghibli, fondato nel 1985 a Tokyo. Il suo nome si è fatto largo in Occidente e nel grande cinema grazie ad Hayao Miyazaki, cofondatore dello studio e suo regista di punta. Nelle sue creazioni il maestro affronta tematiche di grande spessore attraverso gli occhi dei protagonisti, spesso bambini. Questo fa sì che i film dello Studio Ghibli siano godibili sia da un pubblico giovanissimo sia da quello più avanti con l’età.

In occasione della loro recente aggiunta al catalogo di Netflix, vi proponiamo 5(+1) opere che meglio rappresentano il regista giapponese.

1) Il mio vicino Totoro (1988)

Giappone anni ‘50, Setsuki e la sorellina Mei si stanno trasferendo insieme al padre in un piccolo villaggio di campagna per meglio assistere la madre ricoverata in un ospedale lì vicino. La nuova casa è di fianco a un bosco dove le due sorelline faranno la conoscenza di Totoro, spirito buono della natura e custode della foresta. Quest’ultimo accompagnerà le fortunate bambine alla scoperta di una natura affascinante e viva. Si dimostrerà anche essere un amico fedele e pronto ad aiutarle nel momento del bisogno, quando ogni speranza sembrava persa. Il personaggio di Totoro ha riscosso così tanto successo da essere stato scelto come logo dello studio.

Setsuki, Mei e Totoro alla fermata del bus. Fonte: mamamo.it

2) Porco Rosso (1992)

Marco è un ex pilota dell’aeronautica italiana che, dopo aver rischiato la morte durante la prima guerra mondiale, si ritrova trasformato in un maiale. Dopo l’avvenimento decide di ritirarsi a vita privata e diventare un cacciatore di pirati, lasciandosi alle spalle il suo passato. Il film è rappresentativo dello smisurato amore del regista per gli aerei (viene anche citato il bimotore Ghibli, velivolo che ha ispirato Miyazaki per il nome dello studio). Spiccano anche altri temi cari al regista come il rifiuto della guerra e la forza delle donne, che saranno di fondamentale aiuto al protagonista, trattati con la leggerezza e l’ironia che contraddistinguono le opere dello studio.

Marco sul suo aereo. Fonte: anime.everyeye.it

3) Principessa Mononoke (1997)

Il giovane principe Ashitaka è costretto a uccidere uno spirito-cinghiale maledetto che aveva attaccato il suo villaggio. Durante lo scontro, però, si ferisce a un braccio e viene contagiato dalla maledizione dello spirito. Partito alla ricerca di una cura per il male che altrimenti lo porterebbe alla morte, il principe si imbatte in San, una ragazza cresciuta dai lupi ed educata al rispetto della natura e all’odio verso gli umani. Superate le iniziali tensioni, i due collaboreranno per contrastare la Città del Ferro che minaccia la foresta dove vivono San e il Dio-Cervo, l’unico a poter sciogliere la maledizione. Spettatori dell’eterno scontro tra l’uomo e la natura, la pellicola ci lascia con un interrogativo: è davvero impossibile una convivenza tra queste due parti?

Ashitaka e San. Fonte: mardeisargassi.com

4) La città incantata (2001)

Opera in assoluto più famosa di Miyazaki, è stato anche il primo e unico anime ad aggiudicarsi un Oscar. Chihiro e i suoi genitori si imbattono in una città apparentemente deserta composta solo da locali e ristoranti, in cui i genitori della bambina iniziano a servirsi da mangiare. Chihiro, allontanatasi un momento, scopre al suo ritorno che i genitori si sono trasformati in maiali e, come se non bastasse, che di notte la città si popola di spiriti di ogni genere. Sarà un ragazzo di nome Haku a soccorrerla e a svelarle l’unico modo per sopravvivere in quel luogo: trovare un impiego presso la strega Yubaba che controlla la città. Chihiro intraprenderà dunque un percorso interiore che la trasformerà da timida e impaurita a forte e risoluta: basterà per salvare se stessa e i suoi genitori?

Chihiro e Haku. Fonte: nospoiler.it

5) Il castello errante di Howl (2004)

Liberamente ispirato all’omonimo romanzo di Diana Wynne Jones, narra le vicende di Sophie Hatter, una giovane cappellaia che, dopo essere stata tramutata in vecchia dalla Strega delle Lande, incontra il misterioso mago Howl e inizia a vivere nel suo castello. Per sdebitarsi dell’ospitalità ricevuta offrirà i suoi servizi come donna delle pulizie e la convivenza le permetterà di venire a conoscenza dell’oscuro passato del mago e del perché conduca una vita da eremita. Il suo aiuto però andrà ben oltre le pulizie e Howl inizierà ad assumersi le proprie responsabilità. Smetterà infatti di scappare dai doveri che lo vedrebbero impegnato nella guerra che incombe sul regno in cui vive e inizierà a combattere per le persone che vuole proteggere.

Sophie e Howl. Fonte: anipponnight.wordpress.com

5+1) Nausicaä della Valle del vento (1984)

Sebbene prodotto un anno prima della fondazione dello studio, il film è perfettamente in linea per stile e tematiche con le altre opere di Miyazaki targate Ghibli. Tratto dall’omonimo manga del regista, il film ci mostra la Terra devastata da una guerra termonucleare avvenuta millenni prima della storia che vediamo. Nausicaä è la principessa di uno degli ultimi insediamenti di umani che vivono liberi dai miasmi emanati dal Mar Marcio, una foresta in continua espansione abitata da insetti mutanti. Andando contro il pensiero di tutti, la ragazza dimostrerà che anche una natura apparentemente così inospitale, se capita e rispettata, può nascondere un cuore sano e capace di accogliere gli umani.

Nausicaä in una scena del film. Fonte: cinema.fanpage.it

A tutti coloro che sono in trepida attesa della prossima uscita firmata Hayao Miyazaki, dobbiamo dire di pazientare ancora un po’. In una recente intervista Toshio Suzuki, produttore dello Studio Ghibli, ha infatti affermato che per l’uscita del suo prossimo film dovremo aspettare almeno tre anni. Pensate un po’, è necessario un mese di lavoro per disegnare i fotogrammi che compongono un solo minuto di film! È bello come, in un mondo che si avvia sempre più verso la digitalizzazione, c’è chi ancora valorizza le abilità manuali e le tradizioni.

Davide Attardo

Le 5 meraviglie di Johnny Depp

Johnny Depp è sicuramente una delle star hollywoodiane più amate dal pubblico internazionale.

Con i suoi 57 anni appena compiuti e nonostante le ultime vicende relative alla sua vita privata, Johnny Depp continua a mostrare interpretazioni eccelse, tra incassi plurimilionari ed alcuni veri e propri cult-movie.

Andiamo ad analizzare cinque film che ci fanno comprendere l’estro e l’intelligenza di questo formidabile attore.

Johnny Depp 

Edward mani di forbice (1990), Tim Burton

La pellicola è una sorta di rivisitazione del romanzo Frankenstein di Mary Shelley ambientata in un borgo americano degli anni ’80.

La scrupolosa regia di Tim Burton e le scenografie gotiche sono ciò che rendono questa pellicola uno dei capisaldi della filmografia burtoniana.

Edward (Johnny Depp) è un “ragazzo artificiale” che al posto delle mani possiede delle forbici. Questa sua connotazione fisica lo fa sentire inevitabilmente diverso dagli altri, ragion per cui vive isolato in una villa. Nel corso della storia conoscerà Peggy (Dianne West), la quale lo convincerà a mostrarsi in pubblico e ad inserirsi in società.

Johnny Depp in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

Johnny Depp è riuscito a trasmettere ad Edward un costante stato di timore ed un’innocua timidezza, che traspaiono dallo sguardo e dalla gestualità del personaggio.

Nel film pronuncia solo 169 parole, quindi l’attore ha dovuto fare ricorso ad altri strumenti per esternare ciò che Edward provava dentro se stesso e lo ha fatto meravigliosamente.

Buon compleanno Mr Grape (1993), Lasse Hallstrom

Uno dei film più toccanti che esistono.

Dopo la visione se ne esce fragorosamente frastornati ma con qualcosa che arricchisce dentro.

La pellicola narra la storia di Arnie (Leonardo Di Caprio), un ragazzino con problemi mentali, e della sua famiglia in seguito ad una terribile tragedia: il suicidio del padre.

Gilbert (Johnny Depp) è il figlio maggiore che ha il compito di mandare avanti la famiglia e di badare alla madre impossibilitata a muoversi a causa dello spropositato stato di obesità in cui si trova.

Leonardo Di Caprio e Johnny Depp in una scena del film – Fonte: quinlan.it

La prova d’attore che spicca fra tutte è sicuramente quella di un giovanissimo Leonardo Di Caprio, al quale ovviamente vanno riconosciuti tutti i meriti; ma senza Johnny Depp forse non avrebbe raggiunto gli stessi risultati.

La chimica instauratasi tra i due attori nasce originariamente dalla volontà di Johnny di voler ricoprire un ruolo che, anche se non offriva al suo interprete la possibilità di mettersi in mostra, risultava essere fondamentale per la realizzazione della pellicola e per far recitare Di Caprio nel modo migliore.

Martin Scorsese ha raccontato che un pomeriggio – mentre faceva zapping in TV – vide parte del film; rimase colpito dalla performance di Leo e chiamò Robert De Niro invitandolo a sintonizzarsi su quel canale per osservarlo.

Johnny Depp ha quindi messo in atto un’ottima interpretazione ed allo stesso tempo è riuscito a far emergere tutto il talento di Di Caprio, aprendogli di fatto le strade di Hollywood.

Paura e delirio a Las Vegas (1998), Terry Gilliam

Il film più cult dei film cult.

La storia narra il viaggio del giornalista Raoul Durke (Johnny Depp) e del suo avvocato il Dottor Gonzo (Benicio del Toro), i quali nel 1971 si recano a Las Vegas per scrivere la cronaca di una gara motociclistica.

Nel corso del racconto vedremo i nostri protagonisti perennemente strafatti di qualsiasi droga immaginabile, che affronteranno situazioni del tutto normali in maniera estremamente comica, ma mai demenziale.

Benicio del Toro e Johnny Depp completamente strafatti in una scena del film – Fonte: nuovocinemalocatelli.com

Il personaggio di Raoul è ispirato ad Hunter Stockton Thompson, lo scrittore di Paura e disgusto a Las Vegas, il libro autobiografico dal quale è tratto il film.

Johnny Depp ha deciso di approcciarsi al ruolo con il metodo Stanislavskij ed ha vissuto per quattro mesi con Thompson così da studiarne le movenze. L’attore si è immerso completamente nel personaggio riuscendo a porre in essere una delle sue migliori interpretazioni; performance resa celebre anche per l’uso della mimica facciale mediante cui l’attore è riuscito a rappresentare tutta la paranoia del giornalista in modo buffo.

Un plauso anche a Benicio del Toro, ingrassato per il ruolo di 25 kg, che ha messo a segno un’interpretazione brillante.

La maledizione della prima luna (2003), Gore Verbinski

Il film segna l’inizio di una delle più celebri e splendide saghe cinematografiche della storia.

Johnny Depp nei panni del pirata rappresenta la perfezione assoluta nel mondo attoriale. L’interprete è fortemente calato nella parte, è circondato da un cast di attori di fama internazionale in grado di reggere il suo passo, ha ideato un modo di camminare e di muoversi del tutto innovativo che si sposa perfettamente con il personaggio.

Johnny Depp nei panni di Jack Sparrow – Fonte: cinema.everyeye.it

Jack Sparrow grazie al talento ed alla tecnica di Johnny Depp è diventato uno dei personaggi più iconici della storia. Per questo ruolo l’attore ha ricevuto la candidatura ai premi Oscar del 2004 come miglior attore protagonista.

Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street (2007), Tim Burton

Un capolavoro assoluto. Ne abbiamo già parlato in un articolo precedente.

Johnny Depp è un maestro nell’utilizzo della mimica facciale per creare quelle micro espressioni che arricchiscono notevolmente una performance attoriale (come ha fatto in Paura e delirio a Las Vegas).

Johnny Depp mentre interpreta Sweeney Todd – Fonte: ravepad.com

In questa pellicola invece, nei panni del barbiere non traspare la benché minima espressione dal suo pallido volto, ma solo ira e malvagità dal suo sguardo. Nel corso del film infatti lo vediamo sempre con una faccia seria e impassibile, tranne quando accenna una risata in un momento cruciale del racconto; dove proprio quel sogghigno esalta esponenzialmente l’enfasi di quell’attimo.

Per questo film ha vinto il Golden Globe nel 2008 come miglior attore in un film commedia o musicale.

 

Johnny Depp ultimamente ha ricevuto molteplici critiche, sia per le vicende accadute con l’ex compagna Amber Heard, che per l’eccessivo abuso di alcol. Non è né la prima né l’ultima star a finire nell’occhio del ciclone per vicende controverse; non è nostro compito giudicare la persona in questa sede, ma l’attore: pertanto, godetevi tutte le meraviglie cinematografiche che quest’uomo ha prodotto.

Vincenzo Barbera

 

 

 

3 film di Troisi per vivere meglio

In questi tempi sicuramente non tranquilli per quello che sta accadendo nel mondo, ci manca qualcosa o qualcuno capace di tirarci su.

In Italia abbiamo avuto la fortuna di avere chi è in grado di risollevarci il morale, ma che purtroppo ci ha salutato troppo presto.

Il 4 giugno del 1994 Massimo Troisi moriva alla sola età di 41 anni: l’attore e regista è riuscito comunque ad arricchirci immensamente lasciandoci in eredità tutta la sua arte.

Massimo Troisi – Fonte: peopleforplanet.it

Ricomincio da tre (1981)

Il film segna il debutto sul grande schermo di Troisi sia come attore che regista.

Massimo Troisi e Lello Arena nel film Ricomincio da tre – Fonte: vesuviolive.it

La pellicola narra la storia di Gaetano, un giovane napoletano che vuole andarsene dalla sua città natale per estendere i suoi orizzonti. Più volte nel corso del film viene identificato come “emigrante” ma lui stesso afferma che vuole solamente viaggiare per fare nuove esperienze, senza comunque distaccarsi dalle sue radici partenopee.

Così facendo Troisi crea un personaggio del tutto nuovo rispetto al passato. Fin lì i napoletani venivano rappresentati come appunto degli emigranti in cerca di lavoro, membri di famiglie assai numerose e un po’ furbacchioni. Gaetano invece è un timido ragazzo, desideroso di mettersi in viaggio solo ed esclusivamente per confrontarsi con realtà diverse.

La sua mentalità è profondamente segnata dal passato, ma egli non si tira indietro quando gli si presenta una novità; anzi la affronta con tutta la simpatia e l’innocenza che appartengono alla sua forma mentis napoletana.

Troisi infatti, mediante la napoletanità, ironizza su tutto ciò che lo circonda, riuscendo ad analizzare tematiche di primaria importanza (come l’emancipazione delle donne o l’instabilità mentale) ed allo stesso tempo far ridere a crepapelle lo spettatore.

Non ci resta che piangere (1984)

La pellicola narra la storia di Mario (Massimo Troisi) e Saverio (Roberto Benigni).

I due amici lavorano nella stessa scuola e durante un viaggio in macchina discutono sulle problematiche amorose della sorella di Saverio, la quale è stata lasciata dal fidanzato americano. Ad un certo punto la macchina va in panne e i due sono costretti a passare la notte in una locanda.

Al risveglio vedono un uomo intento ad urinare dalla finestra, ma quest’ultimo viene trafitto da un lancia. Chiedendo spiegazioni alla gente che si trova al piano di sotto, comprendono di essersi ritrovati negli anni del Rinascimento.

Mario e Saverio alla dogana nel film Non ci resta che piangere – Fonte: altrapsicologia.it

Il film è un agglomerato di sketch comici in cui Troisi e Benigni danno il meglio di loro stessi.

Mario è costantemente spaventato dai numerosi pericoli di quell’epoca storica e pone in essere comportamenti assai buffi; allo stesso tempo corteggia una ragazza di nome Pia cantandole Yesterday, l’inno di Mameli ed altre canzoni decisamente fuori luogo con quegli anni.

Saverio vuole a tutti i costi impedire a Cristoforo Colombo di scoprire l’America così che il fidanzato di sua sorella non la possa far soffrire.

Memorabile la scena della dogana dove i due protagonisti non riuscivano a smettere di ridere durante le riprese (la scena era improvvisata), emblema di un cinema che fa divertire non solo gli spettatori, ma in primis gli attori stessi.

Il postino (1994)

Il postino racconta la storia di Mario Ruoppolo (Massimo Troisi), un disoccupato che abita su un’isola del Sud Italia.

Mario per vivere potrebbe seguire la tradizione di famiglia diventando un pescatore, ma l’idea non lo aggrada.

Un giorno viene condotto in esilio sull’isola il celebre scrittore cileno Pablo Neruda e Mario viene assunto come postino per consegnargli la posta; piano piano tra i due si instaurerà un rapporto ancor più intenso di una solida amicizia.

Lo scrittore infatti accenderà l’amore per la poesia nell’animo del postino, il quale a sua volta riconoscerà in Pablo una sorta di mentore e gli chiederà consigli per conquistare la bella Beatrice.

Massimo Troisi e Philippe Noiret nel film Il postino – Fonte: mam-e.it

L’interpretazione di Troisi è fuori dagli schemi: sublime e profonda. È completamente immerso nel personaggio ma non rinuncia a donare a Mario i caratteri distintivi della propria personalità.

Philippe Noiret ancora una volta è autore di una prova d’attore magistrale e non è un caso che sia presente in diversi capolavori del cinema italiano (lo troviamo anche in Amici miei del 1975 e Nuovo Cinema Paradiso del 1988).

Il postino inoltre lancia la carriera di una giovane e favolosa Maria Grazia Cucinotta che nel film ha dato prova di essere tranquillamente all’altezza di una qualsiasi diva hollywoodiana.

Il film ha ottenuto 5 nomination ai premi Oscar del 1996 tra le quali quella a miglior attore protagonista per Massimo Troisi ed ha vinto la statuetta per la miglior colonna sonora.

 

Massimo Troisi ha dato sé stesso al cinema nel vero senso della parola. I suoi personaggi, se pur con sfumature diverse, presentano molti aspetti del suo carattere che vengono enfatizzati esponenzialmente nei vari film. La dote principale di Troisi è quella di creare spensieratezza dinnanzi ad una qualsiasi problematica, anche la più grave, approcciandola di petto ma ridendoci e scherzandoci su. Noi abbiamo bisogno di un Massimo Troisi, soprattutto ora, ma non può essercene un altro. Non ci resta che ricominciare da tre.

Vincenzo Barbera

Fellini realista visionario: l’uomo che rubò le scene ai nostri sogni

Su Fellini si è detto e scritto tanto, si è cercato di scandagliare scena per scena i suoi film alla ricerca di significati allegorici, si è tentato anche all’estero di copiarlo – ora con successo, ora con esiti incerti – tentando di ricreare quell’universo grottesco e sublime ricco di simboli meravigliosi, ma anche di donne giunoniche e affascinanti latin lovers che per anni hanno incarnato la dolce vita italiana.

A cent’anni dalla sua nascita e a 60 dalla  Palma d’Oro a La dolce vita, Rai Movie sta trasmettendo dal 20 maggio, ogni mercoledì in prima serata, il ciclo di film e documentari intitolato “Fellini realista visionario”. Un ossimoro sta ad indicare uno dei più celebri registi, una definizione che possiamo spiegare allacciandoci a un altro grande genio italiano: Dante Alighieri.

Il realismo non sta in cosa si racconta, ma in come lo si racconta. Lo sapeva bene il poeta della Divina Commedia quando utilizzò le parole più crude per far parlare le creature dell’Inferno. Lo sapeva Fellini, fumettista prestato al cinema, che faceva dialogare i personaggi dei suoi film ciascuno con il proprio dialetto e insieme al sogno portava in scena vizi e ipocrisie della società italiana del tempo.

Se è abitudine consolidata studiare Dante al liceo, perché allora non far conoscere alle giovani generazioni anche Fellini?

La scelta di Rai Movie  si rivela perciò azzeccata e noi di UniVersoMe non possiamo fare a meno di segnalarvela con i dovuti approfondimenti.

 Ad inaugurare la rassegna è stata La dolce Vita (1960)

Uno dei primi capolavori del grande maestro, la pellicola che l’ha consacrato alla fama internazionale capace di imprimersi con scene celebri, modi di dire (ma anche di vestire) nella memoria collettiva italiana e del mondo intero.

La celebre scena della fontana di Trevi ne La dolce vita. Fonte: turismo.it

La fontana di Trevi con Anita Ekberg, archetipo della donna divina che grida “Marcello come here ” a un avvenente Mastroianni, “Paparazzo”, il fotoreporter che affianca il protagonista e che è diventato per antonomasia il nome di qualsiasi “avvoltoio” che vive di scatti scandalosi delle star, il maglioncino a collo alto indossato dai personaggi chiamato da allora in poi “dolce vita”: sono tutte immagini in miniatura dell’Italia mondana del boom economico.

È l’Italia di Via Veneto, crocevia di stelle del cinema, borghesi, intellettuali, artisti e giornalisti in cerca di scoop. Fellini rappresenta con spiccato realismo questo mondo di luci abbaglianti e flash fotografici attraverso la storia del giornalista Marcello Anselmi (Marcello Mastroianni), provinciale dalle aspirazioni letterarie emigrato a Roma per far fortuna.

Il 27 maggio è stata la volta di 8 ½ (1963)

Vincitore di 2 premi Oscar e ben 6 nastri d’argento, 8 ½  è la trasposizione in cellulosa di ciò che in letteratura hanno fatto geni come Joyce e Pirandello. Abbiamo sempre Marcello Mastroianni nei panni di Guido Anselmi, regista in preda a una crisi creativa ed esistenziale che gli impedisce di portare a termine il suo ultimo film. Memorie, allucinazioni e sogni (celebre la scena in cui il protagonista si alza in volo) si fondono assieme alla realtà in un flusso di coscienza continuo in cui lo spettatore può ammirare la realizzazione di un film in fieri.

Il sogno di Guido con cui si apre il film. Fonte: 180 gradi.org

8 ½ è stato salutato non a caso come l’esempio più brillante di metacinema: arte e vita si mescolano e il protagonista cerca come tutti noi l’ordine e la pulizia nel caos della vita. Guido non sa scegliere: conteso tra l’amore coniugale di Luisa (Anouk Aimée) e la passione  carnale per l’amante Carla (Sandra Milo), vagheggia un harem in cui può far convivere pacificamente tutte le donne della sua vita, coccolato e vezzeggiato come un bimbo, ma desidera essere salvato dalla tipica donna-angelo: qui entra in scena Claudia Cardinale che sembra condannarlo: “un tipo così non fa mica tanta pena”, “non sa voler bene”.

Mastroianni e Cardinale a confronto in uno dei più bei dialoghi del film. Fonte:pinterest.com

Fellini che invece vede in Guido il suo alter ego non condanna, ma racconta come pochi sanno fare!

Stasera alle 21: 10 non perdetevi I Vitelloni (1953).

Ambientazione nella natia Rimini per questo film di stampo neorealista del primo Fellini, in cui il suo stile magico è meno riconoscibile. I Vitelloni è la storia di cinque giovani perdigiorno restii ad assumersi le responsabilità della vita: a fare da sfondo una provincia stagnante e arretrata, in cui l’unico dinamismo è dato dal vento (elemento onnipresente nei film di Fellini) che soffia con forza in diverse scene.

Fausto (Franco Fabrizi), costretto a sposare la giovane Sandra ( Leonora Ruffo) perché rimasta incinta, rimane ancora un playboy; Riccardo (Riccardo Fellini, fratello del regista) si diletta a fare il tenore; Leopoldo (Leopoldo Trieste), l’intellettuale, tenta di sfondare come commediografo e Alberto (il grande Sordi che vinse il Nastro d’Argento), il più ridanciano, trova il proprio lato più maturo ergendosi a figura morale della sorella, che col suo lavoro in realtà sostiene madre e fratello nullafacente.

In questo spaccato si riscontra il maschilismo dell’epoca cui Fellini accenna senza tanta insistenza. Nel gruppo spicca però Moraldo (Franco Interlenghi), il più taciturno. Sarà lui l’unico capace di quella scelta drastica in grado di far decollare la propria vita.

Come continuerà il ciclo su Fellini

Il ciclo di Rai Movie proseguirà con La città delle donne (mercoledì 10 giugno in prima serata) e poi tutte le mattine alle 10: 30, da domenica 14  a sabato 20 con altri capolavori, tra cui Lo sceicco bianco e Ginger e Fred. Dal 24 si sposterà invece in seconda e terza serata. Scelta piuttosto discutibile: solo i “notturni” potranno assistere a capolavori come La voce della luna (con Benigni e Villaggio) o il meno conosciuto Prova d’Orchestra (1979).

Fonte: mymovies. com

È quest’ultima un’opera minore del maestro, modesta anche nella durata (70 min), che inscena la rivolta di un’orchestra nei confronti del proprio direttore autoritario. Che fosse il tentativo di Fellini di dire la sua sugli anni di Piombo?

Stupisce però in questa rassegna Rai l’assenza di titoli come Amarcord (1970).

 Fonte: amazon.it

Affresco magico della Rimini dell’infanzia in cui hanno trovato posto personaggi esemplari: la tabaccaia (Maria Antonietta Beluzzi), la sensuale Gradisca ( Magali Noel), lo zio matto interpretato da un grande Ciccio Ingrassia, il giovane protagonista Titta (Bruno Zanin) in preda ai primi risvegli sessuali e ai sensi di colpa dettati dalla cultura cattolica e arretrata in cui è immerso e dall’imperante mentalità fascista. Se amate i racconti corali alla Nuovo Cinema Paradiso, i ritratti dei borghi che non esistono più con i loro personaggi bizzarri, rimediate guardando questo degno antecedente.

Perché guardare ancora oggi Fellini?

Sicuramente la fine del lock- down sarà un’ottima scusa per uscire di casa e andare a gustarvi quella dolce vita che Fellini amava “sentire e non capire” e lasciar perdere la rassegna di RaiMovie. Ma quando avete un po’ di tempo, correte a recuperare questi film. Scoprirete forse che Fellini è un ladro: le sue immagini sembrano arraffate dai nostri sogni più stravaganti . Ma forse sta proprio in questo la grandezza di un genio: trovare il modo di dire ciò che ognuno di noi ha dentro di sé e non sa narrare.

L’apparizione di un pavone in mezzo alla neve in Amarcord. Fonte: movietravel.org

 

Angelica Rocca

5 film di Tornatore: il regista che ci rende fieri di essere siciliani (e italiani)

Il 27 maggio del 1956 nasce a Bagheria Giuseppe Tornatore, regista, sceneggiatore e produttore cinematografico. Se la grandezza di un artista è quella di creare opere universali capaci di parlare in ogni tempo e luogo, Tornatore ci è sicuramente riuscito; la sua ultima fatica cinematografica (La corrispondenza – 2016) ruota attorno a un tema più che attuale: è possibile continuare a stare vicini a chi amiamo grazie alla tecnologia?

Nel consigliarvi cinque tra i suoi film più belli –  compito arduo in mezzo a una carriera così straordinaria- noi di UniVersoMe partiamo però dalla sua Sicilia, che ha saputo raccontare come pochi altri, da Baarìa (Bagheria) che non è solo un paesino, ma anche “un suono antico, una parola magica, una chiave”.

1) Baarìa (2009)

Una sontuosa produzione che fruttò diversi riconoscimenti (2 premi su 14 nomination ai David di Donatello, 1 nomination al Golden Globe come miglior film straniero, e 1 Nastro d’Argento) ma costò molte critiche e proteste.  I costi di produzione sono stati troppo dispendiosi a fronte dei guadagni al botteghino? E la scelta di girare la scena d’uccisione di un toro per dissanguamento in Tunisia è stato un tentativo di aggirare le leggi italiane per la protezione animale? Al di là di queste perplesstià, che causarono qualche grana giuridica al nostro Tornatore, Baaria è una di quelle grandi narrazioni alla C’era una volta in America, ormai rare nel cinema odierno.

Baaria: locandina. Fonte: aforismi-meglio.it

La pellicola si snoda senza linearità temporale attorno alla storia di emancipazione di Peppino Torrenuova (Francesco Scianna), partendo da un’infanzia di stenti durante l’epoca fascista, passando per l’incontro con la bella Mannina (Margaret Madè) fino ad arrivare alla sua affermazione come segretario di sezione del Partito Comunista Italiano.

La vita di Peppino è però solo lo spioncino attraverso cui Tornatore getta lo sguardo su quella civiltà contadina che non esiste più e che ama raccontare tra magia e realismo, epica e narrazione popolare. Paesani che posano per farsi ritrarre sulla volta della chiesetta nelle vesti di apostoli, mostri di pietra così deformi da non poterli guardare (pena il parto di figli storpi), mosche intrappolate dentro trottole di legno, sembrano quadretti tinteggiati nelle leggende raccontate dai nostri nonni attorno al braciere.

La villa di Palagonia con i suoi “mostri”. Fonte:cinematographe.it

Azzeccata e in sintonia con la trama la scelta di attori siculi d’eccezione. Oltre a Madè e Scianna, Beppe Fiorello, Lo Cascio e altri: chi si aspettava di trovare in un film prevalentemente drammatico talenti comici come Nino Frassica, Ficarra e Picone o ancora Aldo Baglio?

2) La leggenda del pianista sull’oceano (1998)

Stavolta Tornatore si serve di un cast internazionale e delle musiche di Morricone per trasformare in pellicola il monologo teatrale Novecento di Alessandro Baricco. Il 1 gennaio 1900 il macchinista Danny Boodman (Bill Nunn) scova un neonato abbandonato sul transatlantico Virginian, cui darà il nome di Novecento.

Il bambino crescerà sulla nave allietando l’intero equipaggio grazie a una dote particolare: suonare il piano divinamente.

Novecento al piano. Fonte: popcorntv.it

 

La storia di Novecento (Tim Roth), narrata magistralmente da Tornatore, non è altro che l’esempio surreale di tutte quelle vite che non sanno camminare al passo con gli uomini normali e allora tentano di volare!  Musicisti affermati, uomini in cerca di fortuna, belle ragazze, famiglie disperate e soldati salgono e scendono dal Virginian dimenticandosi dell’oceano come fosse solo un effimero ponte di passaggio, proprio come ci si dimentica dell’infanzia.

Novecento nella cabina del Virginian. Fonte: tumblr

 

Novecento sembra guardarli tutti dallo scudo dei suoi “fancul*”, dall’oblò della sua ingenua genialità, quell’oblò dorato messo così bene a fuoco dalla fotografia di Lajos Koltai (vinse non a caso un David di Donatello e uno European Films Awards).

 L’uomo delle stelle (1995)

Se pensiamo all’amore per il cinema messo in scena da Tornatore, ci viene in mente Nuovo cinema paradiso. C’è pero un’altra perla  che racconta l’illusione magica della settima arte: questo film ha per protagonista Sergio Castellitto nei panni di Joe Morelli, agente del cinema in cerca di nuovi talenti. Morelli vaga a bordo del suo furgone per i paesini della Sicilia, “girando” provini a destra e a manca in cambio di 1500 lire a chiunque sogni di diventare una stella.

Davanti alla sua cinepresa accorrono in tanti a raccontarsi: il parrucchiere (Leo Gullotta) stanco delle derisioni per il suo essere “jarrusu” (gay), il brigadiere dei carabinieri (Franco Scaldati) che declama la Divina Commedia in siciliano, l’orfana Beata (Tiziana Lodato) che ha perso il conto dei suoi anni, il pastore (Vincent Navarra) che “talia” le stelle e con esse ci ragiona, proprio come in una lirica di Leopardi.

Il filosofo Walter Benjamin – a proposito del cinema- affermava: “ogni uomo contemporaneo avanza la pretesa di venire filmato”. E guardando L’uomo delle stelle possiamo dire che aveva ragione.

4) Nuovo Cinema Paradiso (1988)

Nuovo Cinema Paradiso è il secondo film di un giovanissimo Giuseppe Tornatore, il quale nonostante non avesse ancora molta esperienza, è comunque riuscito a creare un’opera d’arte cinematografica.

Tramite questa pellicola il regista omaggia la storia ed esalta l’essenza stessa del cinema; ci fa comprendere che dinnanzi alla proiezione di un film siamo tutti uguali e non possiamo fare altro goderci lo spettacolo offertoci.

La regia di Tornatore è magistrale: egli riesce perfettamente ad alternare il dramma alla commedia, scombussolando di continuo lo stato emotivo dello spettatore mantenendosi comunque entro certi limiti, riuscendo così ad esaltare in toto ogni aspetto della storia.

Alfredo e Salvatore mentre lavorano con il proiettore – Fonte: ciakclub.it

Da lodare sicuramente anche il lavoro svolto dal maestro Ennio Morricone, autore della colonna sonora che ci accompagna per l’intero film. La musica esalta i momenti cruciali del racconto e quella vena malinconica, udibile dalle sue note, rafforza esponenzialmente il concetto dell’importanza della memoria, uno dei principali temi del film. Non a caso la scena in cui Totò vede la sequenza dei baci precedentemente tagliati dal parroco,  rappresenta il fulcro dell’intera opera: ci fa comprendere l’immortalità e l’impossibilità di fermare il cinema.

Tutti gli attori presenti nel film mettono in atto delle interpretazioni convincenti e realistiche, soprattutto Marco Leonardi, nei panni di Salvatore da adolescente, e Philippe Noiret, nel ruolo di Alfredo, che hanno incantato ed emozionato il pubblico.

Osannato dalla critica internazionale, il film è stato premiato con l’Oscar ed il Golden Globe per il miglior film straniero nel 1990.

Una pura formalità (1994)

È impossibile analizzare il punto cardine di questo film perché inevitabilmente si cadrebbe in uno spoiler gigantesco. La regia anche stavolta è sublime, tant’è che ancora oggi in molte scuole di regia europee vengono studiate nel dettaglio le tecniche utilizzate in Una pura formalità.

Gérard Depardieu e Roman Polanski in una scena del film – Fonte: it.wikipedia.org

Ambientato in un’atmosfera onirica, il film presenta una serie di scenografie prettamente teatrali, dentro le quali si svolgono dialoghi sofisticati e pieni di metafore, funzionali per lo scorrimento del racconto.

Inoltre, le fenomenali interpretazioni di Gérard Depardieu e di Roman Polanski e l’attenzione maniacale del regista per i dettagli elevano questo film allo stato di capolavoro.

 

Giuseppe Tornatore appartiene ad una serie di registi che purtroppo segnano la fine di un’era del cinema italiano.

La sua capacità di saper narrare una semplice storia come se fosse una poesia è una caratteristica distintiva del suo genio.

Non ha mai rinnegato la sua terra d’origine, anzi ha esaltato le meraviglie, gli usi e i costumi della nostra splendida Sicilia. Quando guardiamo un suo film, oltre che gustarcelo, dentro di noi dovremmo essere fieri di essere siciliani.

Angelica Rocca, Vincenzo Barbera

 

L’esperimento carcerario di Stanford

La mente umana è piena di lati oscuri e di misteri ai quali forse non daremo mai una spiegazione razionale in toto.

Tuttavia gli studi condotti fino ad oggi risultano essere indispensabili al fine di comprendere, seppur in minima parte, quali possano essere i determinanti di uno specifico comportamento e se questi siano influenzati o meno da vari fattori.

L’esperimento carcerario di Stanford offre una nuova chiave di lettura sull’importanza che hanno i fattori esterni circa il comportamento umano in determinate situazioni. Ciò può offrire degli spunti rilevanti per la psicologia e per la sociologia, ma ha fornito materiale anche per svariati film dei quali vogliamo parlarvi oggi.

Gli studenti durante l’esperimento – Fonte: simplypsychology.org

I fatti

Venne condotto nel 1971 nell’Università di Stanford a Palo Alto dal professor Philip Zimbardo.

Il professore pose alla base dell’intero esperimento la teoria della deindividuazione. Secondo Zimbardo, soggetti facenti parte di un gruppo coeso, in determinate situazioni, tendono a perdere l’identità personale ed il senso di responsabilità per mettere in atto comportamenti aggressivi e violenti, che in altri contesti non porrebbero mai in essere a causa di questioni morali o vincoli personali.

Egli selezionò 24 studenti che avrebbero dovuto trascorrere 14 giorni all’interno del seminterrato dell’Università adibito a carcere. Infatti, l’esperimento prevedeva una simulazione vera e propria di vita carceraria per studiare i comportamenti dei giovani, i quali vennero quindi suddivisi casualmente in due gruppi da 12 fra detenuti e guardie.

I prigionieri erano obbligati a indossare divise tutte uguali tra loro e dovevano sottostare alle regole imposte dalle guardie.

I carcerieri avevano in dotazione anch’essi una divisa con l’aggiunta di un paio di occhiali da sole, che non permettevano ai detenuti di guardarli negli occhi. Erano inoltre provvisti di manganello, manette e fischietto e soprattutto erano liberi di stabilire i metodi da attuare per mantenere l’ordine.

Il professor Zimbardo con alcuni studenti che interpretano i detenuti poco prima di iniziare l’esperimento – Fonte: science.howstuffworks.com

Inizialmente fu preso come una sorta di gioco da ambedue le parti.

Il secondo giorno i detenuti decisero per divertimento di attuare una ribellione. Si strapparono i vestiti e si barricarono tutti insieme in alcune celle mentre insultavano i carcerieri. Le guardie sedarono la rivolta e decisero di spezzare il legame di solidarietà tra i detenuti. Di lì in poi il clima all’interno del carcere non fu più lo stesso. Gli agenti infatti iniziarono a punirli con percosse e li costrinsero a cantare canzoni oscene, a defecare in dei secchi che non venivano poi lavati, a pulire le latrine a mani nude. Insomma, in pochissimo tempo le guardie si trasformarono in degli autentici aguzzini ed i prigionieri diventarono vittime passive delle loro angherie.

Due detenuti dopo solo 3 giorni vennero rilasciati in quanto manifestarono preoccupanti segni di crisi. Un detenuto ebbe un’eruzione cutanea di origine psicosomatica quando gli fu rifiutata la richiesta di essere rilasciato. Alcuni prigionieri, fortemente spaventati, decisero di obbedire meticolosamente a qualsiasi ordine impartito dalle guardie.

Vi fu anche un tentativo di evasione di massa che venne contrastato a fatica dalle guardie e dallo stesso professor Zimbardo.

Dopo soli 5 giorni il professore fu costretto ad interrompere l’esperimento dato che i prigionieri mostrarono segni di disgregazione individuale e la loro percezione della realtà era compromessa da forti disturbi emotivi, mentre le guardie continuavano a comportarsi in modo sadico.

Considerazioni

L’esperimento di Stanford conferma la fondatezza della teoria della deindividuazione dell’individuo.

Quando l’esperimento inizia a dare i suoi frutti – Fonte: angolopsicologia.com

Si è dimostrato che assumere una funzione di controllo su altri soggetti nell’ambito di un’istituzione (in questo caso il carcere) induce a riconoscere le regole di quella determinata istituzione come unico valore al quale adeguarsi.  Ciò comporta un mutamento della psicologia umana. Chi deve far rispettare le regole (guardie) agisce senza vincoli come pietà o sensi di colpa, che in un altro contesto ne frenerebbero le azioni. Chi è obbligato a rispettare le regole (detenuti) invece non è più padrone di un’autonomia personale, ma l’unica cosa che può fare è uniformarsi al volere collettivo del gruppo.

A questo fenomeno il professore diede il nome di effetto Lucifero.

Cinema

Sull’esperimento di Stanford furono girate tre pellicole: The Experiment – Cercarsi cavie umane (2001) di Oliver Hirschbiegel, The Experiment (2010) di Paul Scheuring, Effetto Lucifero (2015) di Kyle Patrick Alvarez.

Il primo è un film di produzione tedesca che si discosta parecchio dalle reali vicende del 1971. Innanzitutto non furono scelti degli studenti per condurre l’esperimento, bensì persone comuni dopo un annuncio pubblicato sul giornale. La trama risulta essere fortemente romanzata, tant’è che il film ad un certo punto si trasforma in un action movie. Risultato: film mediocre.

The Experiment del 2010 presenta nel cast attori di alto calibro come Adrien Brody e Forest Whitaker. Il film è un remake della pellicola tedesca, quindi anche in questo caso non vengono scelti degli studenti per mandare avanti l’esperimento e non viene analizzato approfonditamente il tema della vicenda, ma si trasforma anch’esso in un action (si basa più sulla volontà del personaggio interpretato da Brody di trattenere il suo istinto violento). È un prodotto più elaborato del primo film e gli attori sono autori di eccellenti interpretazioni.

Effetto Lucifero del 2015 è il film maggiormente incentrato sull’esperimento. I ruoli da detenuti e da guardie vengono ripartiti tra studenti.

Scena del film Effetto Lucifero del 2015 – Fonte: programma.sorrisi.com

Nel corso della pellicola si assiste ad una graduale alterazione comportamentale di tutti i soggetti, ma resta un film psicologico, non diventa un film d’azione come gli altri (dove mancava solo Bruce Willis). È l’unica delle tre pellicole che conduce un’attenta analisi sulle varie fasi dell’esperimento stesso e ne approfondisce i contenuti, non utilizza il lavoro di Zimbardo come una scusante per girare una pellicola e guadagnarci. Inoltre la fotografia e le luci del film destano stupore.

 

È giusto condurre un esperimento su giovani menti che magari ancora non sono del tutto mature per scopi scientifici? A voi l’ardua risposta.

Vincenzo Barbera

Harvey Keitel: la qualità non sta nella quantità

Oggi compie 81 anni il grande Harvey Keitel, che con le sue interpretazioni ha deliziato gli spettatori del mondo intero e grazie al suo fiuto è riuscito a far emergere grandi registi come Martin Scorsese, Quentin Tarantino e Ridley Scott.

Noi di UniVersoMe vogliamo omaggiare la sua figura andando ad analizzare la sua filmografia ed i suoi personaggi più rilevanti.

Harvey Keitel al Taormina Film Festival del 2016 – Fonte: archivio Paolo Barbera ©

 

Biografia e sodalizi

Nato a Brookyn nel 1939 da una famiglia ebraica, trascorre un’adolescenza turbolenta. All’età di 16 anni si arruola nei Marines e prende parte ad un intervento militare in Libano.

Tornato a New York inizia a studiare recitazione presso la prestigiosa scuola dell’Actors studio e dopo 10 anni di esperienze teatrali esordisce sul grande schermo con Mean Streets-Domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973), il film che lanciato Martin Scorsese.

Con il regista instaurerà un solido rapporto, sia professionale che d’amicizia, grazie al quale girerà altri film come Alice non abita più qui (1974), Taxi driver (1976), L’ultima tentazione di Cristo (1988) e The Irishman (2019).

Nel 1977 recita ne I duellanti, il film che segna l’inizio della carriera di Ridley Scott con il quale lavorerà anche in Thelma e Louise (1991).

All’inizio degli anni ’90 un collega di Harvey dell’Actors studio gli presentò una sceneggiatura di un film scritta da un ancora sconosciuto Quentin Tarantino (che lavorava ancora in una videoteca come commesso).

Quentin Tarantino, Steve Buscemi e Harvey Keitel sul set del film Le Iene – Fonte: ebay.ie

L’attore rimase estremamente colpito dalla trama, ma non vi era denaro a sufficienza per girare la pellicola. Lo stesso Harvey Keitel quindi decise di raccogliere i fondi necessari per finanziarla ed è così che venne creato uno dei migliori film della storia: Le Iene (1992).

A conti fatti, se non fosse stato per l’intervento dell’attore probabilmente non avremmo mai potuto godere dell’intera arte di Quentin Tarantino. I due collaboreranno anche in Pulp Fiction (1994).

Personaggi

Tra la miriade di personaggi interpretati da Harvey Keitel, ve ne sono alcuni che sono rimasti impressi nella mente di tutti noi in maniera indelebile.

Il primo è Matthew Sport, il protettore di prostitute in Taxi Driver.

L’attore, anche se compare per poco tempo sul grande schermo, è riuscito comunque a creare un personaggio assai intrigante, dotato di una forte aura menefreghista che in realtà cela tutta la sua crudeltà.

Harvey Keitel nei panni di Matthew Sport in Taxi Driver – Fonte: dagospia.com

Grazie alla prova d’attore di Harvey, il personaggio riesce comunque a mettersi in luce nonostante potesse essere oscurato dall’imponente interpretazione di Robert De Niro.

Da ricordare è sicuramente anche il ruolo di Mr White nel film Le Iene.

Harvey Keitel ha interpretato al meglio il ruolo di un criminale ricco d’esperienza e capace di compiere qualsiasi follia per ottenere ciò che vuole, riuscendo appunto a trasmettergli tutta la cattiveria e la maturità necessaria per imporsi come una sorta di capitano durante la rapina.

Harvey Keitel che interpreta Mr White nel film Le iene – Fonte: filmalcinema.com

Possiamo riscontrare la sua prova d’attore d’eccellenza in Pulp Fiction, dove Harvey Keitel interpreta l’indimenticabile Mr Wolf.

Il suo compito – a detta sua- è quello di “risolvere problemi”e ciò che affascina è proprio il modo in cui li risolve.

Appare in scena per una decina di minuti, ma sono sufficienti per ammirarne la maestosità. Durante questo arco temporale, Mr Wolf pianifica un modo per tirare fuori dai guai due uomini del gangster Marsellus Wallace che accidentalmente hanno sparato in testa ad un ragazzo nella loro auto.

Mr Wolf non alza nemmeno un dito, anzi: mentre impartisce ordini su cosa fare, sorseggia beatamente una tazza di caffè (con molta panna e molto zucchero). Harvey Keitel ha dato vita ad un personaggio simpatico, elegantissimo nei modi di fare e soprattutto che conquista lo spettatore per la sua capacità di analizzare perfettamente ogni dettaglio di una qualsiasi problematica e di porvi rimedio in breve tempo.

 

Se nel corso di una carriera un attore prende parte a ben 158 film, obiettivamente ha del talento. Se a ciò si aggiunge il fatto che Harvey Keitel abbia preso parte ai primi lavori di registi del calibro di Scorsese, Tarantino e Ridley Scott, ciò implica che l’attore in questione abbia qualcosa in più degli altri. L’attore passa alla storia in particolare per ruoli che lo vedono sul grande schermo solo per pochi minuti, ma come diceva Stanislavskij: «non esistono piccoli ruoli, ma solo piccoli attori».

Vincenzo Barbera