Omaggio a Sean Connery, 90 anni da James Bond (e non solo)

Ci ha lasciato ieri a 90 anni il James Bond più famoso: Sean Connery. Scozzese doc e fiero indipendentista, l’attore, nato a Edimburgo nel 1930, aveva già dai primi anni 2000 abbandonato il mondo di Hollywood e dintorni, non senza lasciare prima una traccia inconfondibile e personaggi indimenticabili nella storia del cinema.

Il primo amore non si scorda mai: inimitabile 007

Il mio nome è Bond, James Bond

Celebre frase con la quale 007 si presenta per la prima volta

Se chi tardi arriva male alloggia, sicuramente chi arriva per primo si riserva la migliore “fetta di torta”. Forse sarà stata questa la fortuna di Connery: arrivare per primo nel 1962 a ricoprire il ruolo dell’agente segreto più famoso del mondo. O forse sarà stata la sua bravura,  il suo fascino deciso e allo stesso tempo raffinato, il suo essere mascolino senza essere rozzo, ad averlo reso il James Bond per antonomasia.

James Bond (Sean Connery) si presenta per la prima volta nel film “Agente 007 -Licenza di uccidere” – Fonte: wikipedia

Sean Connery ricoprirà questo ruolo in tutti i successivi capitoli della saga dal 1962 al 1967 e il vero e proprio fiasco del suo successore  George Lazenby (Agente 007- Al servizio segreto di sua Maestà, 1969) lo porterà- seppur controvoglia – a tornare ancora una volta, nel 1971, nei panni dell’agente segreto a servizio di sua maestà in Agente 007 – Una cascata di diamanti. Insomma, Connery si sarebbe potuto fermare al ruolo del sex-simbol con licenza da uccidere già dopo Dr. No (titolo originale del primo capitolo della saga), a quella battuta pronunciata con la sigaretta tra i denti e lo sguardo ironico e distaccato ai tavoli del casinò e sarebbe comunque già passato alla storia.

Ma la serietà professionale di Connery lo spinse a vestire altri panni oltre a quelli della spia a bordo dell’Aston Martin.

Tra i tanti, quelli dell’inflessibile poliziotto Jimmy Malone ne Gli intoccabili (1987) di Brian De Palma ( ruolo che gli frutterà il suo unico Oscar in un’immensa carriera), ma anche quelli di personaggi medievali come Robin Hood accanto ad Audrey Hepburn in Robin e Marian (1976), Riccardo cuor di Leone in Robin Hood- Principe dei ladri (1991) al fianco di Kevin Costner e un meno noto re Artù ne Il primo cavaliere (1995).

Un indimenticabile frate intellettuale ne “Il nome della Rosa”

“Addio Guglielmo, sei un pazzo e un arrogante, ma ti voglio bene e non cesserò mai di pregare per te.”

Il saluto di Ubertino da Casale a Guglielmo da Baskerville

Ma il ruolo medievale che forse è rimasto più impresso nei cuori di noi italiani è sicuramente quello di Guglielmo da Baskerville ne Il Nome della Rosa, coproduzione italo-franco-tedesca del 1986, per la regia di Jean-Jacques Annaud.

Il nome della Rosa: locandina. Fonte: amazon.it

Il film è tratto dall’omonimo successo editoriale senza precedenti di Umberto Eco e, pur presentando alcune differenze con la trama del libro, rende con efficacia quell’atmosfera tardo-medievale intrisa di mistero che l’autore ha dipinto nel suo giallo storico. Siamo nel burrascoso inverno del 1327: in un’abbazia benedettina sulle Alpi arrivano il frate francescano Guglielmo da Baskerville e il suo discepolo ancora novizio, Adso da Melk. Tra monaci oscuri e talvolta stravaganti, inquisitori bigotti e personaggi a metà strada “tra il santo e l’eretico”, i nostri protagonisti dovranno sbrogliare la matassa dei delitti che stanno sconvolgendo da qualche tempo la pace del monastero.

Si tratta davvero dell’opera del maligno? Cosa c’entrano queste misteriose morti col filosofo Aristotele? E perché è proibito ridere in questo monastero?

A queste domande cercherà di rispondere Guglielmo da Baskerville con l’aiuto di Adso e di strumenti all’avanguardia – si fa per dire – come un paio di occhiali e la forza dell’intelletto.

Frate Guglielmo da Baskerville con i primi occhiali. Fonte: festivaldelmedioevo.it

In un’età in cui i religiosi preferivano affidarsi al cieco misticismo e mettere a tacere la razionale sete di sapere, Guglielmo da Baskerville è a tutti gli effetti un outsider, un religioso illuminato, un progressista ante-litteram; è lui il vero “visionario”, dalla mente proiettata in avanti rispetto all’oscurantismo dei suoi tempi.

Con il suo freddo charme scozzese – che traspare anche sotto il saio -, i gesti misurati e lo sguardo acuto e intrigante, Sean Connery si rivela perfetto nel dare voce e corpo all’arguto detective francescano partorito dalla penna di Eco: sfido chiunque inizi a leggere oggi il nome della Rosa a non raffigurarsi frate Guglielmo da Baskerville con il volto di Connery.

Il suo è un personaggio affascinante che desta simpatia, ma a volte anche rabbia per l’eccessiva freddezza intellettuale: Guglielmo – come gli rimprovera Adso – «sembra avere pietà più per i libri che per le persone». Tuttavia non possiamo non gioire con lui quando si infiamma davanti alla biblioteca dei benedettini, «un vero tesoro di sapienza e conoscenza».

Adso ( Christian Slater) e Guglielmo nella biblioteca. Fonte: huffingtonpost.it

Pare che l’interpretazione di Guglielmo da Baskerville stesse molto a cuore anche allo stesso Connery, che studiò molto per questo ruolo. Il suo impegno e il suo talento furono infatti premiati con un meritatissimo premio BAFTA.

Versatilità e stile senza pari

Il prof Henry Jones (Sean Connery) che mette in fuga gli uccelli in “Indiana Jones e l’ultima crociata” Fonte: movieworldmap.com

Con Sean Connery se ne va un attore molto versatile, capace di vestire e svestire panni diversi passando dal più classico degli action movies a ruoli da “intellettuale” (si veda anche il simpatico archeologo padre di Harrison Ford in Indiana Jones e l’ultima crociata, 1989), ma anche l’ultimo esempio di virilità forte e allo stesso tempo elegante.

Ha affermato Gina Lollobigida:

“Un uomo semplice, ma elegantissimo, uno stile inconfondibile il suo.”

Uno stile che sicuramente rimpiangeremo.

Angelica Rocca

Consigli per Halloween: film e serie TV per sopravvivere alla notte delle streghe

La notte delle streghe è arrivata.

Questo 2020 fa molta paura già di suo, ma inevitabilmente anche quest’anno ci tocca affrontare la notte di Halloween.

Abbiamo scelto pertanto di non parlare dei più spaventosi film horror della storia, come li ha definiti uno studio pubblicato da poco. Andremo invece ad analizzare film e serie TV che rendono giustizia a questa festa anche se non suscitano vero e proprio terrore durante la visione.

Halloween – La notte delle streghe (1978) di John Carpenter

Un film che all’epoca in cui uscì scatenò una paura frenetica negli spettatori. Ad oggi difficilmente potrebbe terrorizzare qualcuno, tuttavia resta il capostipite assoluto dei cosiddetti slasher movies (genere di film in cui un uomo mascherato uccide solitamente un gruppo di adolescenti).

Il film è ambientato nella città di Haddonfield, divenuta una vera e propria icona di questa festa.

Laurie Strode (Jamie Lee Curtis) conduce una vita abbastanza tranquilla fino a quanto uno strano uomo mascherato non comincerà a perseguitarla. Si tratta proprio del crudele Michael Myers (Nick Castle); il criminale che, 15 anni prima, proprio nella notte di Halloween, aveva ucciso la sorella maggiore Judith.

Viene quindi arrestato e trasferito in un ospedale psichiatrico dove è sottoposto alle cure del dottor Sam Loomis (Donald Pleasence). Il medico tuttavia dopo qualche anno decide di non curare più il paziente in quanto ritiene che sia il male fatto persona.

Quest’anno però Michael è riuscito a scappare dal manicomio ed è pronto ad effettuare una carneficina.

Michael Myers leggermente arrabbiato – Fonte: noidegli8090.com

Il film con un budget di 300.000 dollari, in soli 20 giorni ne incassò 70 milioni.

Oltre la trama, ciò che rende questa pellicola un capolavoro dell’orrore è sicuramente la celebre ed inquietante colonna sonora ideata dallo stesso John Carpenter. Straordinarie anche le tecniche di ripresa messe in pratica dal regista, mediante le quali riesce ad alimentare una forte tensione (utilizzate ancora oggi nei più famosi film horror).

Halloween – La notte delle streghe conta la bellezza di 9 sequel e di un prequel, ha dato perciò origine ad una vera e propria saga.

Nightmare before Christmas (1993), Henry Selick

Film realizzato in stop-motion diretto da Henry Selick, ideato e prodotto da Tim Burton. Per i bambini, ma non solo, si tratta di una delle pellicole migliori da vedere nella notte di Halloween (volendo anche a Natale).

Il film narra la storia di Jack Skeletron: uno scheletro molto amato nel Paese di Halloween (il mondo cui vive) dove riveste il ruolo del re delle zucche.

Jack Skeletron in una scena del film – Fonte: ohmy.disney.com

Dopo i festeggiamenti del 31 Ottobre, questa volta Jack è infelice. Si ritrova immerso in uno stato di insoddisfazione personale e comincia a camminare nel bosco per meditare. Ad un certo punto si ritrova davanti ad una serie di alberi di cui ognuno ha disegnato rispettivamente il simbolo di una festa. Jack decide di aprire quella che lo catapulterà nel regno del Natale. Attratto dalle luci, dai regali e dalla figura di Babbo Nachele si innamora perdutamente di questa festa.

Tornato infatti nel suo regno natio è deciso a voler festeggiare il Natale, anche se in un modo del tutto suo, incontrando non poche avversità.

Il film (considerando il periodo in cui uscì) era molto all’avanguardia nell’utilizzo degli effetti speciali. Venne infatti candidato agli Oscar del 1994 nella rispettiva categoria; la scenografia e le musiche sono altri punti di forza.

Le gotiche e tenebrose ambientazioni creano una perfetta atmosfera burtoniana ed enfatizzano esponenzialmente lo stile orrido della pellicola; mentre le canzoni orecchiabili vengono adoperate perfettamente per narrare il racconto ed introdurre nuovi personaggi.

The Hauntig of Hill House/Bly Manor (2018, 2020), Mike Flanagan

La serie tv che vi consigliamo è in realtà un “doppio titolo”: dopo la prima stagione di successo, la serie antologica The Haunting fa il bis con l’attesissima seconda stagione. Pur avendo alcuni punti in comune, tra cast e il topos classico della casa, le due stagioni presentano trame completamente differenti.

Hill House è la casa infestata più famosa degli USA: i fratelli Steve, Shirley, Theo, Nell e Luke Crain si troveranno ad affrontare nuovamente i fantasmi del passato, dopo essere cresciuti nella villa fino a un tragico avvenimento che li ha fatti disperdere in giro per il paese. Di nuovo riuniti (e sempre in occasione di un evento grave) i ricordi d’infanzia si mescoleranno con il presente, in 10 puntate da guardare tutte d’un fiato.

Da sinistra a destra: Theo (Kate Siegel), Steve (Michiel Huisman). Nell (Victoria Pedretti), Luke (Oliver-Jackson Coen) e Shirley (Elizabeth Reasel) di fronte ad Hill House- Fonte: netflix.it

Nella seconda stagione, un lungo flashback dell’educatrice americana Dannielle “Dani” Clayton ci porta nell’Inghilterra di fine anni ’80: la giovane viene assunta da Lord Henry Wingrave per fare da istitutrice ai due nipoti, residenti a Bly Manor. I bambini hanno infatti vissuto una duplice esperienza traumatica, legata alla grande villa in campagna, che ha influito pesantemente sui delicati anni dell’infanzia. La strada per convivere con i bambini e con Bly Manor si rivelerà piena di ostacoli per Dani, che però non si arrenderà facilmente.

Da sinistra a destra: Flora Wingrave (Amelia Bea Smith), Dani (Victoria Pedretti), Miles Wingrave (Benjamin Evan Ainsworth) – Fonte: universalmovies.com

Pur suscitando paura in alcune scene, la vera forza di questa serie risiede nella trama, nei dialoghi e nella caratterizzazione dei personaggi, che avvolgono completamente lo spettatore nelle difficili vite dei protagonisti, facendoli sentire realmente parte dei fatti narrati. Tutte rarità nel panorama horror ordinario.

Non vi resta che mettervi comodi e seguire i nostri consigli per questa notte di Halloween: spesso è difficile trovare qualità nel genere horror, ma siamo certi che l’enorme mole di pellicole e serie tv prodotte saprà tenervi la giusta compagnia.

 

Vincenzo Barbera, Emanuele Chiara

 

Immagine in evidenza: casalenews.it

Il musicale dell’Ainis in protesta. L’intervista: “Vogliamo quel 25%. La videocamera uccide la musica.”

(fonte: gazzettadelsud.it)

Arrivano nuove reazioni alle misure restrittive imposte, a partire dal 24 ottobre, dall’ultimo DPCM e dalle ordinanze dei vari consigli regionali. Avevamo già parlato qui delle proteste dei lavoratori; oggi sono le scuole a prendere la parola.

In particolare, gli studenti dell’indirizzo musicale del Liceo Emilio Ainis di Messina si sono assentati per due giorni, 26 e 27 ottobre, dalle lezioni in via telematica in segno di protesta contro la D.A.D. (Didattica a Distanza). Hanno inoltre emesso un comunicato, firmato da 87 degli studenti in questione, che è stato pubblicato da diverse testate giornalistiche.

Per approfondire meglio la questione, abbiamo deciso di ascoltare i pareri di alcuni dei diretti interessati.

Come nasce l’iniziativa

“Tengo a sottolineare che è un iniziativa degli studenti del musicale e non sono stati affatto indirizzati dai docenti. Dal punto di vista logistico, ci sono delle discipline che presuppongo il contatto diretto con lo strumento, della presenza dell’insegnante che fa strumento o musica d’insieme, forme laboratoriali per cui hanno delle difficoltà in più.”

Afferma il professore Cesare Natoli, insegnante di storia e filosofia presso l’indirizzo musicale del Liceo Ainis.

“Noi viviamo di musica e fare una lezione di strumento in D.A.D. non è la stessa cosa. In primo luogo perché sarebbe necessaria una strumentazione costosissima, dal momento che le classiche attrezzature tendono a ‘tagliare’ frequenze, sia alte che basse, per comprimere il suono. Dunque, non si sentirebbe allo stesso modo. Le materie che più ne risentono, oltre Strumento, nell’ambito musicale sono – ad esempio – tecnologie musicali. Anche Teoria di analisi e composizione è una materia che necessita di un approccio di presenza.”

Aggiunge lo studente Emanuele Arena, rappresentante degli studenti del Liceo Emilio Ainis.

Le richieste degli studenti

Quando gli abbiamo chiesto a cosa mirasse la loro iniziativa, la risposta è stata secca:

“Noi puntiamo tutto su quel 25%. Uno schermo, una videocamera uccidono la musica.”

Ed in effetti, il 25% è la percentuale che il DPCM aveva concesso per le lezioni in presenza. Gli istituti superiori siciliani si sono tuttavia dovuti conformare all’ordinanza regionale del presidente Musumeci che prevede un 100% di D.A.D. fino al 13 novembre. La richiesta è proprio quella di adeguarsi alla normativa nazionale. D’altro canto, una recente comunicazione del Presidente Regionale prevede che, per motivi logistici di particolare esigenza (e potrebbe rientrarvi il caso del liceo musicale) e per gli studenti con gravi disabilità sia possibile svolgere la didattica in presenza. Sarebbe per loro un risultato già significativo.

Alla protesta dei ragazzi si sono uniti anche molti genitori e professori, che continuano ad accompagnarli in questa situazione di criticità. A tal proposito, il professor Natoli, portavoce del gruppo ‘Scuola in presenza’, assieme ai colleghi intende organizzare una manifestazione di protesta che si svolgerà – nel rispetto delle misure anti-covid – giorno 7 novembre presso Piazza Unione Europea (Municipio). I dettagli sono reperibili sull’omonimo gruppo Facebook. Essa intende coinvolgere il mondo della scuola (docenti, studenti, personale ATA, genitori), dell’università e gli operatori culturali del teatro e della musica (ricordiamo le associazioni concertistiche messinesi come l’Accademia Filarmonica, la Filarmonica Laudamo e l’Associazione Bellini. Questi ultimi settori, colpiti dall’ultimo DPCM, sono stati costretti a chiudere dopo aver compiuto molti sacrifici per adattarsi alle misure anti-virali promosse negli ultimi mesi dal Ministero della Salute e dal comitato tecnico scientifico.

“Il fatto che siano stati minati i centri di cultura come i teatri, per noi che amiamo la musica e lo spettacolo e tutto ciò che è annesso, è stato un colpo. Noi rendiamo di questo, dopotutto.”

Continua Emanuele, tenendo in considerazione anche i risvolti che tali misure potrebbero avere sul futuro lavorativo di questi studenti.

(fonte: tg24.sky.it)

Il futuro della società e l’importanza dell’arte

Il professore si abbandona poi ad una riflessione: “Quale umanità stiamo difendendo?”, si domanda, prendendo spunto dalla riflessione di uno dei maggiori filosofi italiani, Giorgio Agamben.

“Il bios, il restare in vita, è senza dubbio sacrosanto. Tuttavia, non possiamo limitarci solo a questo poiché l’umano eccede il bios, va oltre il semplice restare in vita. Se tutto il resto viene trascurato, allora ci stiamo degradando. Il covid, probabilmente, ha semplicemente scoperchiato la questione. Ma si tratta di un processo che affonda le proprie radici lontano nel tempo.”

(fonte: stateofmind.it)

Nell’esprimere la propria preoccupazione per il futuro della cultura e dell’uomo come animale sociale, il professore ha offerto anche una propria visione di quelli che potranno essere i possibili scenari di una società post-covid. Ad una visione (considerata ‘idilliaca’) del ritorno alla normalità si accosta la possibilità che, da scelte così drastiche e necessarie, derivino conseguenze altrettanto importanti anche per la vita in società.

“Bisogna fare in modo che l’emergenza rimanga emergenza”

Ossia che non si trasformi in normalità. Fondamentale è ben soppesare i rischi derivanti da un non adeguato controllo dell’epidemia ai rischi derivanti da altre cose, come le questioni legate allo sviluppo relazionale dell’individuo.

Ed in tal senso, si sa, l’arte ha la straordinaria capacità di unire oltre ogni barriera.

“L’arte è libertà d’espressione.”

Afferma, infine, Emanuele alla domanda su cosa essa rappresenti per un qualsiasi ragazzo.

Guai a dimenticare il valore dell’arte, linguaggio universale capace di unire i popoli laddove l’incomprensione li divide.

 

Valeria Bonaccorso

Viggo Mortensen: il dettaglio fa la differenza

Quanto può essere determinate per un attore esaminare tutte le sfumature di un personaggio?

Viggo Mortensen può fornirci la risposta.

In occasione del suo 62esimo compleanno, appena trascorso, andremo ad esaminare alcune delle sue interpretazioni più convincenti.

Viggo Mortensen – Fonte: cinema.everyeye.it

Il Signore Degli Anelli (2001-2003) di Peter Jackson

L’avventura fantasy per eccellenza, l’epopea tolkieniana che ha definito e consacrato il genere. All’interno della storia Viggo Mortensen ricopre il ruolo di Aragorn, ramingo del Nord (ciò che rimane dell’antica stirpe reale degli uomini).

Aragorn, attraverso il viaggio che  intraprenderà con gli altri personaggi – al fine di distruggere l’anello del potere – vivrà un percorso di crescita e redenzione del nome degli uomini, infangato da Isildur (uno dei re degli uomini). Isildur, nel momento di porre fine all’esistenza del male distruggendo il suddetto anello, cede alla tentazione di appropriarsene e porterà così al declino la stirpe degli uomini.

Close Up Poster Il Signore degli Anelli - Il Ritorno del Re (68cm x 98cm): Amazon.it: Casa e cucina
La locandina del terzo film – Fonte: Amazon.it

Viggo Mortensen incarna perfettamente il personaggio in ogni suo aspetto, rendendolo così il ruolo che lo eleverà come attore di altissima fascia.

Riesce a far suo il ruolo a tal punto da improvvisare alcune scene e creandole dagli errori di altri attori: è famosa la scena dove riesce a deviare con la spada – per puro istinto – un pugnale lanciatogli troppo vicino e che lo avrebbe altrimenti ferito.

Viggo Mortensen non interpreta Aragorn, lui è Aragorn.

Capitan Fantastic (2016) di Matt Ross

Capitan Fantastic narra la storia di una famiglia che decide di vivere in una foresta, opponendosi allo stile di vita di un qualunque americano medio.

Ben (Viggo Mortensen) sottopone i suoi figli ad allenamenti altamente pericolosi per abituarli alle insidie di madre Natura. Oltre a questa sorta di educazione siberiana, il padre li interroga quotidianamente sui libri che gli ha incaricato di leggere: sono testi particolarmente complessi per la loro età, tuttavia nessuno si farà trovare mai impreparato.

Un fatto molto grave costringerà l’intera famiglia ad interrompere questa routine e li costringerà ad intraprendere un viaggio verso la civiltà; per cui alla fine i ragazzi e Ben stesso, dovranno trovare il giusto compromesso tra il loro stile di vita e quello a cui noi tutti siamo abituati.

Ben Cash (Viggo Mortensen) e i suoi figli nel film Capitan Fantastic – Fonte: kumparan.com

Viggo Mortensen è autore di un’interpretazione magistrale: completamente immerso nel ruolo, riesce in più occasioni a manifestare il proprio stato d’animo mediante delle microespressioni facciali che solo un grande attore è in grado di poter effettuare.

Viggo ha compreso perfettamente il proprio personaggio. Ben è un individuo estremamente complesso, per tutto il film pretende che i figli sviluppino una forte coscienza critica verso qualsiasi cosa; ma nel momento in cui comprende di non poterli tenere per tutta la vita lontano dalla civiltà, si sentirà letteralmente sconfitto.

Solo quando i suoi figli metteranno in discussione perfino i suoi insegnamenti, realizzerà di essere riuscito nei suoi intenti.

Tutto ciò ci viene mostrato soltanto tramite i silenzi e gli sguardi di Viggo stesso. Per questa pellicola l’attore ha ricevuto la nomination agli Oscar del 2017 come miglior attore protagonista.

Green Book (2018) di Peter Farrelly

La pellicola narra la storia di Tony “Lip” Vallelonga, un italoamericano che fa il buttafuori in un nightclub del Bronx. Quando il locale viene chiuso per un periodo, Tony inizia a cercare un lavoro momentaneo.

Gli giungono varie offerte, tra cui alcune direttamente dalla mafia, ma lui decide di accettare quella del musicista di colore Don Shirley (interpretato da Mahershala Ali). Vallelonga dovrà fargli da autista e da guardia del copro in un tour nel sud degli Stati Uniti dove aleggia ancora lo spietato segregazionismo.

I due, visceralmente diversi, nel corso del viaggio instaureranno una profonda amicizia.

Viggo Mortensen e Mahershala Ali in Green Book – Fonte: stanzedicinema.com

Il film, basato su una storia vera, è un capolavoro di regia. Impostato con gli schemi classici della commedia, denuncia gli orribili effetti del più becero razzismo.

Le interpretazioni di Mortensen ed Ali sono meravigliosamente complementari: da un lato Viggo ricopre il ruolo di uomo burbero, ignorante ma comunque dal cuore tenero; e dall’altro Mahershala interpreta un personaggio colto, sofisticato ma a tratti eccessivamente maniaco del bon ton.

In alcuni momenti della pellicola i due formano una coppia comica perfetta.

Mortensen è ingrassato di 20 kg per questo ruolo ed ha studiato profondamente per imparare a gesticolare durante un discorso proprio come un italiano (come abbiamo visto in The Irishman con Joe Pesci).

Green Book ha ottenuto varie nomination agli Oscar 2019 trionfando come miglior film, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista con Mahershala Ali; mentre Viggo si è dovuto accontentare ancora una volta solo della nomination come miglior attore protagonista.

Possiamo dire che Viggo Mortensen rientra di diritto in quella cerchia di attori d’elitè, le cui abilità permettono di interpretare ruoli decisi ed introspettivi in pellicole dall’indiscusso pregio.

La sua carriera sfortunatamente non è sempre stata così brillante e al centro dei riflettori, avendo preso parte anche a pellicole dalle dimensioni più contenute e modeste. Tuttavia ciò non ha inficiato alla sua scalata verso quei ruoli che lo hanno reso ciò che è oggi: uno degli attori più acclamati del panorama hollywoodiano.

 

Vincenzo Barbera e Giuseppe Catanzaro

“Il Dams in sala”: dal 6 ottobre il cinema restaurato alla Multisala Iris

Da martedì 6 ottobre arriva la IV edizione de “Il Dams in sala” rassegna  cinematografica curata dal prof. Federico Vitella, docente di Storia del Cinema al Dipartimento di Scienze Cognitive, in collaborazione con la Multisala Iris di Messina e la prestigiosa Cineteca di Bologna, che ogni anno distribuisce alcuni tra i capolavori cinematografici in versione restaurata.

In programma 8 lungometraggi, tra i più importanti della storia del cinema, da Pier Paolo Pasolini a Godard. Ad aprire la rassegna “The Elephant Man” di David Lynch.

Le proiezioni de “Il Dams in sala” si terranno alla Multisala Iris con doppio turno:

  • alle 18:00 e alle 21:00

Il Dams in Sala all’Iris

Una rassegna cinematografica pensata per gli studenti e presentata dagli studenti. I ragazzi del Dams, infatti, salgono in cattedra per confrontarsi sui capolavori cinematografici in programma. Dal nuovo cinema italiano alla Nouvelle vague, dal Cinema classico hollywoodiano al Cinema d’autore americano ed europeo.

La rassegna:

  • 6 e 7 ottobre: The Elephant Man di David Lynch (1980)
  • 20 e 21 ottobre: Caro Diario di Nanni Moretti (1993)
  • 24 e 25 novembre: Fino all’ultimo respiro di Jean-Luc Godard (1960)
  • 12 e 13 gennaio: Quando eravamo re di leon Gast (1976)
  • 9 e 10 febbraio: Gli spostati di John Huston (1961)
  • 2 e 3 marzo: Accattone di Pier Paolo Pasolini
  • 13 e 14 aprile: Serpico di Sidney Lumet (1973)

(Il calendario potrebbe subire delle variazioni)

Informazioni Utili

  • Le proiezioni sono aperte a tutti;
  • Gli studenti universitari avranno delle agevolazioni: singolo biglietto a 3,50 euro, abbonamento per tutta la rassegna a 20 euro. L’abbonamento darà diritto anche alla sottoscrizione gratuita della University Card, che permette di avere sconti sia sui biglietti sia al bar tutti i giorni.

 

La rassegna ha il suo destinatario ideale negli stessi studenti dell’Università di Messina, di qualsiasi corso di laurea essi siano, ma è aperta pure alla cittadinanza, nella convinzione che sia quantomai urgente riannodare il filo con la grande cultura cinematografica del Novecento. Al tempo dello streaming di massa, nella congiuntura complicata in cui ci troviamo, vedere un film al cinema rischia di essere un’esperienza inattuale. Ma la sala cinematografica non è il museo del cinema, quanto il luogo deputato al consumo naturale del film. Questo, per i più giovani, non è più scontato.

 

Interverranno gli studenti: Alessia Caridi, Alice Soffia, Chiara Longo, Emanuela Licciardelli, Federica Giglia, Francesca Longo, Giorgia Scaltrito, Giovanna Manetto, Greta Olivo, Ilaria Lipari, Ludovica Larocca, Maria Luisa Cucinotta, Marco Castiglia, Martina Foti, Marzia Morale, Samuele Tripodi, Sara Ragusi, Simonetta Pisano, Valeria Barbera.

 

La locandina dell’evento

Mappa per raggiungere il luogo dell’evento:

Immagine in evidenza via: Coming Soon 

Tanti auguri Christoph Waltz: tre ruoli che ce l’hanno fatto amare

Oggi compie 64 anni uno degli attori più talentuosi del panorama internazionale.

Christoph Waltz in poco tempo è riuscito a scalare le gerarchie hollywoodiane e a collaborare con registi di prim’ordine come Quentin Tarantino e Roman Polanski.

Noi di UniVersoMe vogliamo rendergli omaggio andando ad analizzare i suoi più grandi successi.

Christoph Waltz – Fonte: pinterest.it

Inglourious Basterds (2009) di Quentin Tarantino

Un primo ruolo ricoperto da Waltz, che si può considerare il suo biglietto per la ribalta, è quello del colonnello Hans Landa.

Il film, ambientato nella Francia nazista del ‘41, racconta diverse storie indipendenti che, secondo un tipico schema del regista, finiscono per intrecciarsi e contaminarsi a vicenda.

Se non si fosse capito, Waltz interpreta il nazista.

Cristoph Waltz in una scena del film – fonte: sarascrive.com

Tale ruolo, contrapposto a quello di Aldo Raine (Brad Pitt), lo renderà icona del film stesso (forse anche più del bravissimo e già conosciuto Pitt) e gli darà ampio spazio per esibire il proprio talento; basti solo accennare che arriverà a parlare perfettamente quattro lingue: inglese, tedesco (lingua madre dell’attore), francese principalmente e anche un po’ d’italiano, all’interno di una delle scene più famose e spiritose del film.

Ma cosa rende quello di Waltz il ‘Landa’ per eccellenza?

Il  personaggio è un acutissimo investigatore a cui non sfugge letteralmente alcun dettaglio ed il cui compito è quello di rintracciare tutti gli ebrei che si nascondono presso famiglie francesi, da qui deriva il soprannome che gli è stato affibbiato: Cacciatore di ebrei.

Ciò che più cattura è la sua incredibile capacità di tenere l’interlocutore – e lo spettatore – sospeso in uno stato di angoscia; mentre attorno s’innesca un meccanismo d’ansia che condurrà la vittima di turno alla rovina, lui rimane calmo e posato e mai rinuncia alle proprie maniere: questa caratteristica lo rende un predatore a sangue freddo. A sostenere il peso di un tale ruolo giunge l’interpretazione offerta dall’attore che, tramite gesti anche minuscoli (come nella prima sequenza del film in cui sistema minuziosamente i propri oggetti sul tavolo), getta lo spettatore in un tipo di suspense dilaniante.

Altra tipicità del personaggio è l’umorismo: asciutto, cupo, da brividi. Il modo in cui sa mettere a proprio agio chi ha davanti per poi gettarlo nel panico con una semplicissima battuta, facendo appunto scattare quel meccanismo d’ansia prima accennato; le espressioni facciali offerte da Waltz; la totale assenza di umanità, per cui le persone che lo circondano sono solo giocattoli da spremere fino all’osso per poi eliminare.

Sono tutti segni della grandezza di un personaggio incarnata da un attore altrettanto grande.

Ecco perché, peraltro, nel 2010 vinse con questo ruolo anche l’Oscar come migliore attore non protagonista. 

Carnage (2011) di Roman Polanski

Della trama ne abbiamo già parlato qui.

In questa pellicola l’attore interpreta Alan Cowan, un avvocato eccessivamente preso dal suo lavoro e apparentemente incurante di ciò che è accaduto al proprio figlio.

Christoph Waltz e Kate Winslet nel film Carnage – Fonte: scattidigusto.it

Nel film notiamo un Waltz diverso da come siamo abituati.

Per ragioni di sceneggiatura il suo personaggio non deve spiccare sugli altri, ma deve essere inserito all’interno di un sistema in cui gli interpreti devono riuscire a coordinarsi tra loro ma senza prevalere gli uni sugli altri.

Concretamente, l’attore in questo caso deve autoimporsi di non eccellere durante la propria performance; è l’esatto l’opposto di quello che Christopher invece ha fatto – nei film con Tarantino – riuscendo tuttavia a prestare una magnifica interpretazione.

Ciò è la prova della sua versatilità.

Django Unchained (2012) di Quentin Tarantino

Seconda collaborazione tra Tarantino e Waltz.

L’attore ricopre i panni del dottor King Schultz, un ex dentista (forse) divenuto cacciatore di taglie che aiuterà Django (Jamie Foxx) a ritrovare la sua amata.

Christoph Waltz e Jamie Foxx in Django Unchained – Fonte: collider.com

Così come con Landa, lo stesso Schultz cattura l’attenzione del pubblico mediante i sontuosi dialoghi tarantiniani. Mentre udire i discorsi del colonnello nazista creava un un senso di terrore, in questa pellicola la brillante parlantina del dottore suscita ilarità, seppur con il medesimo fine cioè ammaliare l’interlocutore della scena per poi ucciderlo.

Per questo film l’Academy lo ha premiato nuovamente con l’Oscar per il miglior attore non protagonista nel 2013.

Christoph Waltz ancora una volta è riuscito ad interpretare un ruolo in maniera eccellente, sfruttando tutte le sue doti tecniche e lasciando – questa volta – uno spazio più ampio al suo istinto.

 

Vincenzo Barbera e Valeria Bonaccorso

 

Malèna: cronaca di una morte

Malèna (2000), regia di Giuseppe Tornatore, è una pellicola carica di crudezza ed apatia. Un film che grida alla denuncia di una mentalità chiusa e corrotta che, se esisteva nei lontani anni Quaranta del Novecento, non è sicuramente cambiata – almeno in determinati contesti –  ai giorni nostri. Una denuncia, dunque, che risulta più che attuale, specie se proveniente da una donna.

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Monica Bellucci nei panni di Malèna – Fonte: spietati.it

Sinossi

La protagonista è Malèna (Maddalena) Scordia (Monica Bellucci): un nomen loquens, potremmo dire. Co-protagonista e voce narrante è invece il giovane Renato Amoroso (il nostro concittadino Giuseppe Sulfaro), un ragazzino nel pieno della pubertà che inizia a provare una passione struggente per la statuaria Malèna, innamorandosene al primo sguardo.

Tramite le sue parole, ma ancor più i suoi gesti, ci viene raccontata la parabola di una donnada santa a puttan*“:l’ascesa e poi il declino. Guardandola tramite gli occhi languidi del ragazzino, ci accorgiamo che il realismo magico delle scene erotiche non lascia spazio al romanticismo, a tratti inquietando lo spettatore, con l’incredibile effetto di sottoporci continuamente allo stress di quella situazione verosimile.

I personaggi

Seguendo i protagonisti nel loro percorso sentiremo chiaramente ogni sensazione da loro provata (e voluta dal maestro Tornatore): disagio, angoscia, rabbia, rassegnazione. Ed in effetti, la bellissima Maddalena è una donna rassegnata: a non vedere più il volto del marito, ad essere sola nella gabbia dei leoni. Disprezzata e rumoreggiata da tutti, passeggia per le strade della piccola cittadina siciliana quasi senza una meta.

Dopotutto, quale meta dovrebbe avere un personaggio spogliato di ogni dinamismo, cristallizzato nell’essere la valvola di sfogo dell’intero mondo costruitogli attorno?

Se notiamo bene, i personaggi secondari che ci vengono presentati sono della peggiore fattispecie e vili: una popolazione che sconcerta, raccapriccia, ma che descrive con incredibile finezza la mentalità bislacca della Sicilia d’altri tempi; mentalità, peraltro, talvolta ancora radicata nella nostra isola. In mezzo al questa accozzaglia di gente, si elevano le Erinni della donna. Il paragone non è casuale: la giovane viene perseguitata dalle altre signore del suo paese per un motivo semplice quanto banale: l’invidia.

Ma il male è sempre banale.

Fonte: webpage.pace.edu

L’urlo

E allora, dalle prime scene d’innocenti bisbigli, si passa alla scena più dura, intrisa di cattiveria del film: il linciaggio pubblico. Malèna – ormai divenuta la “prostituta del paese” – viene picchiata in pubblica piazza al cospetto di tutti gli uomini. Quegli stessi uomini che le facevano la corte, che facevano a gara per accenderle la sigaretta, che abusavano della sua dignità.

Chiave del film è il momento in cui la donna, malmenata, si rivolge agli omuncoli che erano rimasti a guardarla con ripugnanza. Nessuno di loro si fa avanti per offrire una mano a lei che striscia e cerca aiuto. Anche Renato, profondamente innamorato di lei, rimane a guardare come paralizzato. Ed allora un urlo: tutto il dolore accumulato negli anni, la rabbia, la depressione. Un urlo che mira a risvegliare le coscienze, non solo quelle della folla indisturbata, ma anche degli spettatori.

“Voi che mi avete derisa ed usata per il vostro intrattenimento, vedete come mi avete ridotta? Siete soddisfatti?”: suona così, tradotta in parole, la mia mia interpretazione della scena.

Ed ho capito anche che Tornatore ha svolto un lavoro incredibile nel momento in cui, anche solo per un secondo, mi sono sentita parte di quelle Erinni.

La cruda realtà

Malèna è un film che, nel suo asettico silenzio, parla di una morte spirituale con lucidità e cinismo e ci fa realizzare come siamo tutti aguzzini: lo siamo ogni volta che ignoriamo il grido d’aiuto di una persona bisognosa e lo siamo ancor di più quando giustifichiamo le violenze con la “disinvoltura dei costumi”.

Se da un lato è vero che la donna aveva effettivamente abbracciato la vita che non meritava, dall’altro dobbiamo renderci conto che tale scelta è stata spinta da un climax di sciagure di cui è la vittima inerme, inserita nella scena col solo fine di dimostrare quali livelli paradossali di malvagità si possano raggiungere.  E la strepitosa Bellucci impersona Malèna con preoccupante naturalezza.

Fonte: cineturismo.it

D’altro canto le rimane solo un ragazzino. Un ragazzino un po’ codardo, sì, ma che dal proprio errore (non aver prestato soccorso alla donna che, per due ore di film, ci ha ribadito di amare) ha attraversato un percorso di maturazione, mentre il resto delle grottesche figure tornerà a ricoprire, a fine film, il ruolo che aveva all’inizio, come se la vicenda si svolgesse dentro un carillon destinato a ripartire ogni volta che se ne gira la manovella.

Tutti tornano al loro posto, compresa Malèna (che a quel principio non è poi così estranea), ma non Renato. Lui, sin dal primo momento una voce fuori dal coro, si distinguerà per essere stato l’unico di quel paesello disgraziato ad aver conosciuto gli effetti devastanti della passione amorosa. Una passione che rimarrà impressa a vita, racchiusa in un nome maledetto ed abusato, ma che nei pensieri del ragazzo sarà sempre sinonimo di “amore”: Malèna.

Valeria Bonaccorso

Aspettando Tenet: tutte le volte che Nolan ci ha stupiti

Per tutti gli amanti del cinema il periodo del lockdown è stato estremamente triste, vista l’impossibilità di andare in sala a vedere un buon film. A rincuorare molti era la prospettiva che uno dei primi titoli a uscire dopo la riapertura fosse l’attesissimo Tenet di Christopher Nolan. Purtroppo non tutto è andato come previsto: per via dell’alto numero di contagi in America e della situazione ancora parecchio instabile in tutto il mondo, la data d’uscita del film ha subito una lunga serie di rinvii.

Christopher Nolan – Fonte: indiewire.com

Warner Bros si è tuttavia dimostrata molto ferma nell’intenzione di voler far uscire il film, almeno in Europa, entro la fine dell’estate. Ed è proprio di pochissimi giorni fa la decisione di nuove date ufficiali per l’arrivo in sala di Tenet, che debutterà il 26 agosto in Europa e il 3 settembre negli Stati Uniti.

Che fare nell’attesa di poter finalmente gustare Tenet? Ci pensiamo noi di UniVersoMe: vi consigliamo qualche pellicola dalla filmografia di Nolan per tenervi impegnati fino alla sua prossima opera.

1) Memento (2000)

“Ricordati di non dimenticare”

Dopo aver subito un’aggressione, il protagonista Leonard Shelby (Guy Pearce) riporta un danno della memoria a breve termine che non gli consente di immagazzinare nuovi ricordi. Questo complicherà la ricerca dei suoi aggressori, gli stessi che hanno anche violentato e ucciso la moglie. Per ovviare al suo problema, Leonard inizierà ad appuntare ogni informazione utile su polaroid e post-it che porta sempre con sè e persino sulla sua pelle tramite tatuaggi. Il racconto si districa attraverso due linee temporali opposte che andranno in seguito a confluire in un’unica storia. Questo espediente, insieme alla frammentarietà e alla sconnessione di alcune scene, ci catapulta dentro la testa del protagonista e ci fa vivere gli eventi attraverso i suoi occhi.

Guy Pearce in una scena del film – Fonte: nospoiler.it

2) Batman Begins (2005), Il cavaliere oscuro (2008), Il cavaliere oscuro – Il ritorno (2012)

Dietro l’abito da cinecomic si nasconde una trilogia capace di farci riflettere su noi stessi e sulla nostra società. È probabilmente la più famosa e miglior trasposizione su pellicola del supereroe di casa DC Comics. Il merito di ciò è da attribuire a un ottimo Christian Bale che ha vestito per tutti e tre i film i panni di Bruce Wayne/Batman, ma soprattutto alla qualità dei tre villain che si susseguono nella trilogia. 

Nel primo film Ra’s al Ghul (Liam Neeson), dapprima mentore di uno smarrito Bruce Wayne, si scopre essere a capo di una setta dagli oscuri propositi. Un gas tossico che si diffonde per le vie, il caos che dilaga nella città. Sarà Batman a dover riportare l’ordine a Gotham.

“Ti sembro davvero il tipo da fare piani? Lo sai cosa sono? Sono un cane che insegue le macchine. Non saprei che farmene se le prendessi!”.

Nel secondo capitolo il compianto Heath Ledger da vita a uno dei più iconici Joker del cinema e sono queste le parole con cui l’agente del caos si descrive. Il pipistrello si troverà dunque a dover combattere contro la follia umana nella sua massima espressione.

Nell’ultimo film troviamo Tom Hardy che interpreta Bane, un terrorista rivoluzionario che attenta alla pace costruita a Gotham. Bruce dovrà quindi indossare nuovamente il mantello per salvare ciò che ha costruito col proprio sacrificio. Gli ideali dell’eroe saranno più forti di quelli di Bane?

Batman ne “Il cavaliere oscuro”. Fonte: movieplayer.it

3) Interstellar (2014)

La Terra sta diventando sempre più inospitale e il genere umano sembra destinato all’estinzione. Joseph Cooper (Matthew McConaughey) è un ex ingegnere e pilota della NASA che un giorno si imbatte, insieme alla figlia, in una base segreta dell’agenzia spaziale. Qui viene a conoscenza dell’esistenza di un wormhole vicino Saturno e della preparazione di alcune missioni spaziali per cercare un pianeta ospitale dove trasferire l’umanità. Deciderà quindi di prendere parte alle missioni nella speranza di poter salvare la sua famiglia e tutto il genere umano. Vivremo la straziante separazione di Joseph dalla figlia e le difficoltà di un viaggio che mette a dura prova i corpi e le menti dei nostri astronauti. Il tutto accompagnato da un’esperienza visiva unica e spettacolare come solo Nolan sa offrirci. Il risultato è un film così emozionante da perdonargli qualche inesattezza scientifica qua e là.

Cooper e la figlia Murph – Fonte: medium.com

Insomma, il materiale lasciatoci da Nolan è di altissima qualità e in sua compagnia di certo non ci si annoia mai. Proprio per questo siamo certi che qualsiasi attesa sarà giustificata da un risultato strabiliante. Non ci resta che aspettare fine agosto, nella speranza che la situazione sanitaria rimanga sotto controllo.

 

Davide Attardo

L’essenza della risata

Le persone durante la propria vita cercano di raggiungere obiettivi diversi. Normalmente, durante questo viaggio si incontrano ostacoli ed avversità, le quali indubbiamente rendono il percorso ben più arduo del previsto. Ciò inevitabilmente destabilizza e crea conflitti tra la gente stessa.

Una delle rare cose capace di accomunare ogni individuo proveniente da qualsiasi parte del mondo è la risata. Questa non appartiene ad alcun colore politico o credo religioso, ma è un elemento grazie al quale chiunque manifesta il proprio divertimento e la propria felicità.

Robin Williams è stato uno degli attori più esilaranti della storia del cinema.

Oggi avrebbe compiuto 69 anni e noi di UniVersoMe vogliamo omaggiarlo andando ad analizzare quelli che – a nostro avviso – sono i suoi 5 più grandi film.

Robin Williams – Fonte: novilunio.net

Good Morning, Vietnam di Barry Levinson (1987)

Robin Williams interpreta Adrian Cronauer, un soldato statunitense durante la guerra del Vietnam. Adrian in passato aveva fatto il dj sull’isola di Creta, quindi gli viene affidata la conduzione della trasmissione mattutina.

Inizia sempre il suo show pronunciando la frase “Goodmorning Vietnam!” e per tutta la durata della messa in onda esprime qualsiasi ragionamento parlando molto velocemente e modificando in maniera buffa la propria voce. Nel corso del suo programma ironizza sulle tematiche più disparate: sulla moda del tempo, sul presidente Nixon, sulla guerra stessa e tante altre. Inoltre decide di trasmettere musica rock, che era stata precedentemente bandita.

Robin Williams in Goodmorning Vietnam -Fonte: nospoiler.it

L’ironia puntigliosa e la scelta delle canzoni non viene ben vista dai superiori, in quanto essi ritenevano che fosse pericoloso per il morale delle truppe mandare in onda uno show così esuberante. Tuttavia Adrian riesce a riscuotere un grande successo tra i soldati.

La prova d’attore di Robin Williams è eccellente e grazie ai lunghi “monologhi” recitati nel film, l’interprete ha avuto modo di mostrare il suo talento e di farsi conoscere tra le grandi produzioni di Hollywood.

L’attimo fuggente di Peter Weir (1989)

L’attore qui interpreta il professore di letteratura John Kesting, un docente appena trasferito al collegio Welton.

L’insegnante si distingue fin dall’inizio per i suoi metodi didattici alquanto singolari. Il fine ultimo del professore è quello di far comprendere ai ragazzi che la poesia è lo strumento uber alles capace di renderli liberi così da poter prendere qualsiasi decisione in maniera del tutto autonoma.

Robin Williams in L’attimo fuggente – Fonte: rollingstone.it

Il personaggio di John Keating è entrato nell’immaginario di tutti per la grande interpretazione di Williams, ma soprattutto per la celebre scena in cui gli alunni, imitando il docente, salgono sui banchi e pronunciano le parole “O capitano, mio capitano” dimostrando di aver compreso pienamente i suoi insegnamenti.

Mrs Doubtfire – Mammo per sempre di Chris Columbus (1993)

Robin Williams ricopre i panni di Daniel Hilland, un doppiatore che ama la sua famiglia. A causa del suo carattere fortemente indisciplinato ed infantile, Daniel divorzia dalla moglie e va a vivere da solo potendo vedere i suoi figli solo poche volte a settimana. Un giorno, l’ex moglie decide di assumere una tata per badare ai bambini.

Daniel ha l’idea geniale di travestirsi da donna fingendo di essere un’anziana tata chiamata Mrs Doubtfire. Riesce ad ottenere il lavoro e così facendo potrà stare accanto ai suoi bambini per crescerli ed aiutarli.

Robin Williams nei panni di Mrs Doubtfire – Fonte: cinematographe.it

Il film essenzialmente è incentrato sugli effetti che un divorzio può scatenare su una famiglia. Tuttavia, anticipa anche altre tematiche come ad esempio quella del travestimento, mostrandosi di fatto una pellicola lungimirante.

Robin Williams è stato autore di un lavoro magistrale. Quando veste i panni di Mrs Doubtfire riesce a modificare la voce, le movenze e le proprie espressioni dando vita ad un’anziana donna in modo perfettamente realistico.

Will Hunting – Genio ribelle di Gus Van Sant (1997)

La pellicola narra la storia di Will (Matt Damon), un ragazzo della periferia di Boston dalla mente brillante. Egli riesce a risolvere problemi estremamente complessi di matematica con molta facilità. Un giorno viene notato dal professor Lambeau, un luminare che crede molto nelle sue potenzialità. Will però conduce una vita allo sbando e dopo l’ennesima rissa il professore decide di farlo seguire da uno psicologo.

Dopo un primo tentativo fallimentare – dato che sarà proprio Will a psicanalizzare lo psicologo – Lambeau contatta il suo vecchio collega di università Sean (Robin Williams).

Proprio quest’ultimo sarà l’unico in grado di entrare nella mente di Will e di fargli affrontare i lati più oscuro del suo inconscio.

Robin Williams e Matt Damon in Will Hunting – Fonte: cinematographe.it

Nella pellicola vediamo un Robin al di fuori dei suoi schemi classici, in quanto è completamente immerso in un ruolo profondamente triste ma al quale è riuscito a donare una forte umanità. In alcuni momenti comunque riesce a far ridere gli spettatori nonostante la drammaticità del film.

La sua interpretazione in Will Hunting gli è valso un premio Oscar come miglior attore non protagonista nel 1998 .

Patch Adams di Tom Shadyac (1998)

Il film racconta la storia di Hunter “Patch” Adams, un uomo che sceglie di auto-internarsi in un ospedale psichiatrico dopo aver tentato il suicidio. Stando a contatto con gli altri pazienti scopre che tramite l’umorismo le malattie vengono affrontate con meno pesantezza e decide di studiare medicina. Patch non ritiene corretti i metodi operati dai suoi colleghi in quanto trattano i pazienti con troppa indifferenza.

Di nascosto quindi va a trovare i malati terminali facendoli divertire e cercando di alleviare le loro sofferenze.

Robin Williams nel film Patch Adams – Fonte: mam-e.it

La pellicola è una tragicommedia che offre numerosi spunti di riflessione sui rapporti umani tra medico e paziente. L’interpretazione di Robin è ancora una volta incentrata sulla risata, anche in contesti profondamente commoventi.

 

Robin Williams è stato uno di quegli attori capaci di poter mostrare tutto il suo potenziale in teatro, nel cinema e nella televisione.

Oltre alle grandi prove attoriali, lo ricordiamo per la persona che era: in qualsiasi testimonianza pervenutaci di questo interprete, che sia un film o anche una piccola apparizione in un talk show, lo vediamo sempre ridere e soprattutto fare ridere.

Vincenzo Barbera

 

 

L’esempio di Giuseppe Parisi: quando la passione per il cinema incontra i social

Da giovani appassionati di cinema, la nostra rubrica di Recensioni guarda sempre con attenzione a tutti quei progetti che, come quello di cui vi stiamo parlando oggi, portano avanti contenuti che mettono in mostra tutta la bellezza della settima arte.  A tal proposito, abbiamo avuto il piacere di parlare con Giuseppe Parisi, 24enne messinese e studente del corso di laurea di giurisprudenza all’UniMe, che grazie alla propria passione sta portando avanti una pagina Instagram, cinemania_italy, interamente dedicata al cinema; ad oggi vanta già quasi 24.000 follower. Un successo non da poco: la qualità del lavoro, oltre al riscontro del pubblico, rendono giustizia all’impegno profuso da Giuseppe per la realizzazione di una pagina che, al passo con le nuove piattaforme social e strategie comunicative, si pone gli stessi obiettivi della nostra rubrica, ovvero avvicinare sempre più persone al grande schermo, oltre ad aggregare i tanti appassionati del settore. Ecco la nostra intervista.

Logo della pagina

Come è nata l’idea di trasformare la tua passione per il cinema nella gestione di una pagina Instagram?

L’idea è nata nel 2014, nel momento in cui ho iniziato vedere che c’erano tante pagine, Facebook a quel tempo, che trattavano di cinema e dunque ho pensato di aprirne una anche io, ma su Instagram, che fortunatamente poi si è rivelato il social del momento.

La gestisci da solo oppure hai dei collaboratori? È stato difficile farla crescere così tanto?

La gestisco da solo, soltanto l’immagine del profilo è stata realizzata da un mio amico. La crescita è stata abbastanza difficile, ho 24.000 seguaci, che potrebbero sembrare pochi in confronto a tante altre pagine con molti più follower, ma per me sono tanti, considerando la difficoltà con la quale li ho raccolti e il fatto che non mi sia mai affidato a stratagemmi per farli aumentare più velocemente. Tutto questo è stato possibile anche grazie al fatto di cui parlavo prima, cioè grazie all’ottimo tempismo nell’introdurmi in questa nuova piattaforma: la mia è stata una delle prime pagine in Italia a trattare di cinema, su un social che a quel tempo era molto meno utilizzato rispetto ad oggi.

Giuseppe Parisi

So che questa domanda è sempre difficile per un appassionato di cinema, ma quali sono il tuo film e regista preferito?

Per il film preferito sono sicuro di risponderti “C’era una volta in America” di Sergio Leone, perché è il film che ogni volta che rivedo mi emoziona sempre di più e nonostante duri quattro ore il tempo vola. L’ho visto anche di recente e posso confermare nuovamente la mia scelta. Per quanto riguarda il regista, non ne ho solamente uno, tra i miei preferiti ci sono Kubrick, Lynch, Tarantino, Scorsese e ovviamente Sergio Leone.

Quando è nata la passione per il cinema ?

È nata da piccolo, non guardavo i classici film per bambini, ma film più importanti, adatti già a un pubblico più adulto. Anche mio padre ha avuto una grande influenza, da appassionato di cinema; così, crescendo ho iniziato a farmi una cultura sempre più ampia, conoscendo anche nuovi registi.

Cosa ne pensi della situazione che sta vivendo il cinema causa Covid-19?

La situazione non è delle migliori, purtroppo come abbiamo visto anche il cinema, come molte altre industrie, è stato colpito da questo orribile momento, vedendo rimandate tante produzioni a livello di lavorazioni e anche tanti  film già pronti per essere lanciati nelle sale. Spero, anche se qui in Italia qualcuno ha già riaperto, che al più presto si risolva la situazione, anche perché ancora alle case di distribuzione non conviene economicamente distribuire film se i cinema non tornano ad essere riaperti in tutto il mondo, affinché tutti possiamo tornare in sala e i film possano tornare ad essere distribuiti, per aiutare anche i piccoli imprenditori, che hanno cinema più di nicchia, possano tornare a respirare.

Quale è stata l’uscita nelle sale che attendevi di più ma che è stata, giustamente, rimandata?

Principalmente erano due: “007” che amo sempre andare a guardare, soprattutto l’ultima saga di Daniel Craig; questo dovrebbe essere l’ultimo film e sono molto curioso di vederlo. L’uscita era stata programmata ad aprile, ma ovviamente è stata rimandata in autunno, se non erro a novembre, spero non la rinviino nuovamente. L’altro film invece è “Tenent” di Nolan, del quale sono sempre curioso di scoprire cosa ha in serbo, dovrebbe uscire in estate (ad agosto) ma ovviamente non è nemmeno sicuro che uscirà.

Ringraziamo nuovamente il nostro collega Giuseppe per averci parlato del suo progetto: c’è sempre spazio per il cinema, anche in un momento di crisi come questo.

Giuseppe Currenti