Cinefilia per idioti: il musical

Tutti canticchiamo.
Chi appena sveglio, chi sotto la doccia, chi in macchina, chi mentre si fa il bidet.
Tutti abbiamo sempre sognato di poterlo fare, magari sul tram, sull’autobus, sul treno accompagnati da un’ipotetica colonna sonora della nostra vita. Ed esistono solo due tipi di persone, chi lo ammette e chi mente.
Il lapalissiano successo di La la land mi obbliga a farvi dono di questo articolo per questo mese speciale che è Marzo (pazzerello esci con il sole e prendi l’ombrello).
Il genere che ho deciso di analizzare in modo sempre totalmente professionale e mai soggettivo, è proprio quel genere di film che o lo ami o lo odi (un po’ come i tuoi genitori): il MUSICAL. Genere che fin dalla culla ha accompagnato ognuno di noi, che ci piacesse o meno, ha creato delle colonne sonore che ancora oggi tutti conosciamo e qualsiasi serie tv che si rispetti vanta tra le proprie puntate, una versione musical.
Ma più di Sanremo, più del dentifricio che ti macchia i vestiti mentre ti lavi i denti, in modo inspiegabile, e tua madre ti dice ” ma tu perché ti lavi i denti vestita?” più della gente che dice “che vita sarebbe senza nutella”, più di tristi trentenni con la parrucca, che fanno video fingendo di essere delle ragazze, più di tutto questo io odio i musical.
Dopo quest’affermazione così decisa e del tutto inaspettata (non è vero) voi vi chiederete; Ma Elisia sei cresciuta a latte e Nesquik, fiabe sonore e cartoni animati Disney, come puoi dire una cosa del genere? E io vi risponderei come ad ogni domanda che mi viene posta ogni giorno della mia vita da quando sono nata: NON LO SO.
Il mio amico Nicola mi dice sempre di dover essere in grado di argomentare qualcosa, specie se, questo qualcosa, non mi piace.
Io sono dell’idea che non vi sia bisogno di argomentare un genere che agli occhi di un qualsiasi individuo, dotato di buon senso e poca pazienza, appaia odioso; ma per evitare di congedarci precocemente, facciamo un passo indietro.
La fonte certa di cui mi avvalgo sempre (Google) sostiene che il musical nasca negli USA il 12 settembre 1866, dalla fusione fra una compagnia di ballo e canto importata dall’Europa, con una compagnia di prosa, in quanto la prima era rimasta senza un teatro in cui esibirsi mentre, la seconda, era alle prese con una produzione che si stava rivelando più dispendiosa del previsto.
Bastano questi pochi accenni, a mio avviso, per capire che una cosa nata per caso e per risparmiare non possa generare nulla di buono. Superando quelli che sono i preconcetti , sempreverdi, legati al musical : che sono venerati da qualsiasi americano e dagli omosessuali, notiamo fin da subito che non si adattano proprio ad ogni genere cinematografico o teatrale. Basti pensare ad un contesto horror o drammatico, perché in quei casi credo si abbia altro di cui preoccuparsi anziché cantare.
Questo genere si sposa perfettamente con trame banali e cariche a loro volta di cliché tipiche del loro genere ( come quando una modella sposa un anziano milionario). Ma a noi, l’ovvio misto allo stravagante ci piace e quindi assistiamo a personaggi estremamente caratterizzati che si presentano a noi con canzoni di gruppo esaltando i loro più banali aspetti caratteriali (in viaggio con Pippo docet), tutti estremamente intonati e ballerini professionisti.

La peculiarità che mi lascia sempre esterrefatta (quasi infastidita), è la nonchalance con la quale tutti continuino a fare ciò che stavano facendo, prima che iniziassero a cantare e ballare, appena la musica finisce. E nonostante io abbia apprezzato Gesù e Giuda cantare in Jesus Christ superstar, o aver apprezzato Jessica Fletcher guidare un letto in pomi d’ottone e manici di scopa, e nonostante io mi compiaccia mi ogni volta che riesco a dire correttamente supercalifragilisitchespiralidoso; credere in un cavallo con il corpo da uomo che parla (Bojack horseman) oppure nell’esistenza in un sottosopra (Stranger Things ) lo ritengo più semplice.
Più del vedere uomini, donne, bambini e anziani ballare e cantare improvvisamente (con spunti futili, ad esempio riordinare una stanza) anche da soli in mezzo alla gente o sotto la pioggia.
Ma forse la magia dei musical è proprio questa: possono essere apprezzati solo dai sognatori. Oltre che dagli omosessuali.

Elisia Lo Schiavo

 

Cinefilia per idioti: Il Cinepanettone

natale-sul-niloPiù dello svegliarsi a causa dei gorgheggi dell’inquilina del primo piano (è una cantante lirica), più dello svegliarsi di soprassalto con il faccione di tua madre appiccicato al tuo perchè “un bacio prima di andare a lavoro no?” Più di tutto questo, odio le commedie all’italiana a tema natalizio. In breve? I Cinepanettoni

Di recente, nel mio quotidiano zapping su Youtube, resto come sempre soddisfatta dell’ultimo video di Yotobi (che se non conoscete ancora vi consiglio assolutamente di rimediare a questo errore) in cui ironicamente ci consiglia degli insoliti film sul natale, specie di animali che salvano il natale.
Consapevole dell’arduo compito che mi spettava, ovvero dover scrivere quest’attesissimo articolo di cinefilia per idioti a tema natalizio, qui, mi ritrovai difronte a un dilemma esistenziale; odio di più i film sugli animali (solitamente cani) che salvano il natale o odio di più Christian De Sica e Massimo Boldi e qualche napoletano a caso nel cast di un loro film?
La risposta mi sembra pressoché lapalissiana.
Ricordo ancora con esagerata vergogna quando non sapendo cosa fare, a casa dei miei nonni, un pomeriggio, misi nel video registratore una cassetta registrata con scritto sopra “Natale sul Nilo”.
Molti dei miei traumi credo siano dovuti alla visione di questo film. S
e ancora dovessi ridere, quando qualche anziano fa una flatulenza e tutti sono costretti a stare in silenzio, io do la colpa a questo film. Con estremo stupore, ed una certa tristezza, anche, mi rendo conto grazie a fonti certe (google) si sia passati dall’ era dei Cinepanettoni a quella dei Cinezelig. 

Mi spiego meglio; l’Italia a Natale non viene più rappresentata da Boldi e De Sica (ma anche Jerri Calà, Ezio Greggio, Enzo Salvi, Massimo Ghini, e una gnocca a caso) ma da “veri” attori comici provenienti dalla famiglia di Zelig quali Bisio, Abatantuono, De Luigi, che nonostante abbassino di livello la loro reputazione, con questi film ci donano un sorriso più ragionato e una morale, seppur banale.
Ma se foste dei nostalgici e stesse cercando nudo semi integrale non vietato ai minori, battute di infimo livello, gente con un quoziente intellettivo inesistente e scoregge a volontà, questo è il genere di film che fa per voi!
Non credo ci voglia un esperto per analizzare questo genere ( ed ecco perché mi sono assunta quest’arduo compito) :“ visto uno, visti tutti” è il motto che più si addice a questi film; le avventure “ spassosissime” dei nostri cari protagonisti, che solitamente sembrano personaggi di una barzelletta estremamente caricaturati e portatori di stereotipi rappresentativi di città diverse (solitamente una del sud e una del nord),  s’imperniano attorno a scene di tradimenti, seni, luoghi comuni, sederi, doppi sensi, gag trash, volgarità a caso, e come ci tenni a precisare prima,flatulenza. 

I peti sono vitali per la trama che chiaramente è banale e non ha alcun fine se non quello di far ridere un bambino di tre anni. E neanche. 
Perciò tra un “mamma mia come sto” a caso e un “anvedi quella” ripetuto ogni cinque secondi , quest’anno smetti di giocare a carte (che tanto perdi) alza il sedere dalla sedia e mettilo sul divano! Non accontentarti dei soliti film cult natalizi, fai un tuffo nel passato e regalati insieme alla tua famiglia, un Natale indimenticabile e un danno cerebrale permanente! 

 

Elisia Lo Schiavo

Cinefilia per idioti: I film sulla danza

Ne sfornano almeno uno ogni anno. E no, non mi riferisco, ancora, ai film di natale di Massimo Boldi e Christian De Sica, ( che meritano di certo un’accurata analisi a parte).
Parliamo di un genere che attira prevalentemente ragazzine tredicenni al cinema, o ragazzini tredicenni con evidenti problemi di identità sessuale. Mi riferisco a quel tipo di film che alla mia amica Vanessa piace definire “film danzanti”. Per intenderci, “i film dove tutti ballano sempre”, che per darci un “tono semi-serio”, chiameremo film sulla danza. Non saprei come altro definirli. Sono felici? ballano. Sono arrabbiati? ballano. Sono tristi? invece di pensare ad alternative valide come il suicidio, ballano. Si, lo so, tutti direte di amare alla follia (solo per fare gli indie/hipster/retrò) Dirty Dancing, Footloose, Flashdance, oppure La Febbre del Sabato Sera (che mi traumatizzò alla tenera età di 11 anni, a casa di una compagna di classe che non trovavo poi così simpatica), che nonostante la trama bizzarra e le pessime battute (“nessuno mette Baby in un angolo“, così per citarne una) vengono comunque considerati dei cult, poiché, nonostante tutto, possono vantare dei plot distinti e al quanto singolari ( e delle colonne sonore memorabili, aggiungerei). Dopo aver fatto una ricerca approfondita (su Google), posso constatare che dal 2000 in poi siamo stati invasi, come i negozi durante il black friday, da una miriade di film sulla danza dalle trame sempre uguali e banali. Forse perché, da quell’anno, molti ballerini sono rimasti senza un impiego.

step-up-6-is-going-chinese-languageQuindi una sera, quella in cui desideriamo ardentemente un catetere, “perché io non mi alzo dal letto nemmeno per fare pipì“, ci propiniamo un’alta dose di ignoranza e totale assenza di capacità recitativa. “Un film calderone” in cui ritroviamo tutti i temi sociali possibili: amori multirazziali (quando la brava ragazza che studia danza classica, incontra l’afroamericano di turno che viene dal ghetto e ha la passione per l’hip hop, ed è subito amore) e quelli che nascono tra ceti diversi (se i protagonisti sono entrambi “bianchi”, la ragazza sarà sempre e comunque quella sofisticata e ricca che studia danza classica, e lui sarà quello che vive nel ghetto ed ha un amico afroamericano con problemi con la legge); piccoli problemi di cuore, ma anche in famiglia (il padre severo di uno dei due protagonisti, o la morte di un genitore di uno dei due protagonisti. Anche la morte di un amico, solitamente l’afroamericano che ha problemi con la legge).

Quindi ci sono amori, incomprensioni, morti; ma prima, o durante, che tutto questo accada la nostra protagonista il cui sogno è “avere un sogno“, viene ammessa in un accademia prestigiosa in cui incontrerà la sua nemesi (che alla fine del film o verrà umiliata o diverrà sua amica, perché le nostre care protagoniste sono sempre buone e caritatevoli) che cercherà di farla sentire inadeguata. Ma lei con l’aiuto dell’amore (nato dall’incontro e fusione della danza classica e quella di strada) e dall’amicizia nata, in un batter di ciglia, con un gruppo di ragazzi singolari, riuscirà a dimostrare “di che pasta è fatta“, conquistando la giuria con prepotenza e arroganza (perchè dentro di lei adesso c’è un pò di vita vissuta da strada). Ma non finisce qui: i due protagonisti ingaggeranno i tipi più stravaganti, considerati un pò sfigati, ma esageratamente talentuosi, per partecipare all’attesissima Battle finale (un must di questo genere). Prima di questo evento assistiamo a scene ridicole in cui tutti si preparano, fingono di sbagliare i passi o di essere stanchi e affaticati. Fingono anche di aver paura di non poter vincere la gara, come se non lo sapessero già che, essendo loro i protagonisti, vincono sempre.cast-step-up-2-the-streets-772974_1400_933

Per concludere quest’analisi confusa, almeno quanto questo genere di film, io dico: FERMIAMO PER FAVORE LA PRODUZIONE DI QUESTI ABORTI DEL CINEMA (in modo particolare dei sequel, come se il primo non fosse già abbastanza brutto) PERCHE’ DI “FILM DANZANTI” NE BASTA UNO. Che poi almeno imparassi a ballare anche io.

 

Elisia Lo Schiavo