Sindrome del tunnel carpale: sintomi e approccio chirurgico

La sindrome del tunnel carpale è una neuropatia assai frequente, dovuta alla compressione del nervo mediano nel suo passaggio attraverso il tunnel carpale (o canale carpale), situato a livello del polso.

  1. Epidemiologia ed eziopatogenesi
  2. Caratteristiche cliniche
  3. Diagnosi e valutazione
  4. Terapia conservativa
  5. Terapia chirurgica

Epidemiologia ed eziopatogenesi

La prevalenza della malattia nella popolazione varia tra 1’1-5%, con un tasso d’incidenza più alto nelle donne a partire dalla III o IV decade di vita.

Il tunnel carpale è un canale inestensibile delimitato da un “tetto”, rappresentato da un legamento denominato legamento trasverso del carpo, teso tra le ossa carpali. Questo canale contiene nove tendini flessori (flessore lungo del pollice, flessori superficiali delle dita e flessori profondi delle dita) e più superficialmente il nervo mediano. Inoltre ognuno dei tendini flessori è avvolto da una guaina, chiamata sinovia, che consente lo scorrimento senza attrito dei vari tendini.

L’aumento di pressione sul nervo mediano o il suo schiacciamento sono all’origine di questa sindrome. Si pensa che l’aumento di pressione sia dovuto alla tenosinovite, ovvero l’infiammazione della guaina che riveste i tendini flessori con conseguente ipertrofia.

Esiste una predisposizione, sebbene il più delle volte l’origine sia da ricondurre ad un eccessivo uso del polso (attività manuali o uso prolungato di una tastiera mal posizionata). Altre possibili cause possono essere fratture, patologie autoimmuni, patologie di natura endocrina, amiloidosi, ecc. In conclusione la genesi è multifattoriale, cioè tale sindrome nasce per diverse possibili cause spesso contemporanee.

tunnel carpale
Anatomia del tunnel carpale. Fonte:

Caratteristiche cliniche

I sintomi classici includono il dolore e le parestesie (intese come intorpidimento e/o formicolio) estesi al territorio d’innervazione del nervo mediano alla mano, con il coinvolgimento delle prime 3 dita e della metà del quarto dito della faccia palmare (metà più interna). Dell’innervazione della porzione dorsale della mano se ne occupa il nervo radiale e per questo motivo è importante fare le giuste domande al paziente. L’insorgenza dei sintomi durante la notte è abbastanza caratteristico e, non di rado, provoca il risveglio del paziente. I fastidi possono presentarsi a intermittenza, ma possono anche diventare costanti. Nei casi più avanzati può comparire anche un deficit motorio, ovvero una riduzione della capacità di afferrare saldamente gli oggetti. Nel tempo, i muscoli della mano sul lato del pollice possono indebolirsi e diminuire di volume per il mancato uso (atrofia dell’eminenza tenar, cioè la porzione della mano da cui nascono i muscoli del pollice). Infine si riporta che nella maggior parte dei casi la patologia è sintomatica su un lato e subclinica sull’altro.

Appianamento tenare. Fonte:

Diagnosi e valutazione

Gli esami utili nel formulare una diagnosi di sindrome del tunnel carpale sono: test di laboratorio, elettromiografia e elettroneurografia.

Il test di Tinel viene praticato applicando una ripetuta percussione digitale (con il dito indice “a martello”) sul polso; il test è considerato positivo quando viene evocato formicolio sul territorio della mano di pertinenza del nervo mediano.

Test di Tinel. Fonte:

La manovra di Phalen può essere fatta mettendo la mano in flessione: questo mette sotto stress il nervo mediano e, se il polso viene mantenuto in questa posizione per un minuto, il paziente potrebbe sentire l’addormentamento delle dita.

tunnel carpale
Test di Phalen. Fonte:

Il test di Durkan, invece, è simile a quello di Tinel, ma invece di percuotere diverse volte il nervo mediano, qui si applica una forza compressoria costante direttamente sul nervo che viene mantenuta per 30″, scatenando formicolio e intorpidimento.

tunnel carpale
Test di Durkan. Fonte:

L’elettromiografia referterà l’assenza o la diminuzione dell’impulso elettrico sul muscolo, quindi indirettamente ci permette di capire che lo stimolo che parte dal nervo non arriva al muscolo; in più l’elettroneurografia ci dirà a che livello nervoso è presente l’alterazione. Quindi facendo questo studio elettrofisiologico sulle velocità di conduzione motoria e sensitiva del nervo mediano saremo in grado di oggettivare l’eventuale presenza di una sindrome del tunnel carpale.

Elettromiografia. Fonte:

Terapia conservativa

Per le forme lievi si può applicare un trattamento conservativo, mettendo per esempio dei tutori di supporto che tengano il polso in posizione neutra (specialmente durante le ore notturne). Altre soluzioni per alleggerire il processo infiammatorio sono rappresentate dai FANS (antinfiammatori non steroidei) o dalle infiltrazioni di cortisone nel canale carpale. Recentemente, sono stati proposti anche esercizi fisioterapici di nerve gliding, cioè di “scorrimento” nervoso, in modo da alleggerire la costrizione nervosa e alleviare i sintomi. Tuttavia, esercizi di scorrimento inappropriati peggiorerebbero le condizioni. Il fine ultimo è evitare un eccessivo allungamento del nervo mediano nei movimenti di estensione del polso e delle dita.

Terapia chirurgica

La chirurgia è raccomandata quando le strategie conservative non riescono più a controllare i sintomi del paziente o dinanzi a casi moderati/severi. Il target è la decompressione chirurgica del nervo mediano. Inoltre è importante liberare il nervo da eventuali aderenze infiammatorie.

Fondamentalmente esistono 3 diverse tipologie di intervento, tutte di brevissima durata e finalizzate alla sezione del legamento trasverso:

  • Tecnica Open o “a cielo aperto”: prevede la sezione del legamento attraverso un’incisione che va dalla base del polso fino a 3-4 cm sopra al polso. Questa tecnica ormai è destinata solo alle recidive.
  • Tecnica mini-open: prevede la sezione attraverso un’incisione di circa 3 cm in corrispondenza del palmo della mano.
  • Tecnica endoscopica o “a cielo chiuso”: prevede la sezione del legamento attraverso l’introduzione di una apposita sonda, tramite un’incisione alla base dal palmo di circa 1 cm.
tunnel carpale
Decompressione del nervo mediano tramite tecnica “a cielo aperto”. Fonte:

La medicazione andrà mantenuta per due settimane, ma nonostante ciò la mano può essere utilizzata da subito, per movimenti semplici o complessi. Nelle settimane o nei mesi successivi all’intervento il paziente potrebbe avvertire indolenzimento nella zona della cicatrice. L’intorpidimento e il formicolio possono scomparire rapidamente oppure in maniera più graduale. Possono essere necessari alcuni mesi affinché la forza della mano e del polso torni alla normalità, ma nei casi più gravi e avanzati è possibile che i sintomi non scompaiano completamente dopo l’intervento chirurgico. Pertanto è bene rivolgersi subito allo specialista appena si avvertono questi sintomi.

Bibliografia

CHIRURGIA Plastica Ricostruttiva ed Estetica di Valerio Cervelli e Benedetto Longo – Pagine 241-244

Sindrome del tunnel carpale – Humanitas

Sindrome del tunnel carpale – MSD Manuals

Tunnel carpale – Sintomi, Cause e Rimedi – Sebastian Guzzetti

Sindrome del tunnel carpale – Wikipedia

 

Pietro Minissale

 

Dagli studenti per gli studenti: Placenta, cos’è e a cosa serve

L’intera gestazione spesso viene scambiata da molti per un miracolo. Questa in realtà viene resa possibile, dalla fecondazione al parto, grazie a dei processi chimico-fisici e biologici. In particolare, lo studio della medicina e della scienza divulgativa ci fanno capire l’importanza e la bellezza del corpo umano femminile, in particolare di un organo strettamente correlato alla linea femminile umana: la placenta.

  1. Che cos’è e da cosa deriva?
  2. Da cosa è formata? 
  3. Posizioni della placenta
  4. A cosa serve?
  5. Funzione endocrina della placenta
  6. Secondamento

Che cos’è e da cosa deriva?

La placenta è un organo vascolare temporaneo, nonché uno dei numerosi annessi embrio-fetali (i restanti sono sacco vitellino, amnios, cordone ombelicale, allantoide e corion). Questa dopo il parto, insieme a tutti gli altri annessi, verranno espulsi grazie al fenomeno detto “secondamento”.

Immagine illustrativa del feto con il cordone ombelicale e la placenta, lateralmente. Fonte

La placenta deriva da una struttura embrionale detta blastocisti che prende il nome di sinciziotrofoblasto. Con l’impianto della blastocisti, l’endometrio uterino potrà diventare decidua. Prima di questa fase, che prende il nome di decidualizzazione, noi avremo un altro periodo facente parte strettamente del ciclo uterino che prende il nome di predecidualizzazione, fase in cui lo strato funzionale dell’utero (endometrio) si prepara per divenire decidua. Infatti, in questa fase, l’endometrio assume e trattiene molto glicogeno e lipidi che saranno di fondamentale importanza per la nutrizione embrionale. Il sinciziotrofoblasto, una volta penetrato all’interno della decidua, potrà emettere delle propaggini digitiformi che prendono il nome di villi coriali i quali, evolvendo, daranno vita ad un forte sistema vascolare capace di poter permettere l’afflusso di sangue all’interno di cavità, dette lacune, presenti nella placenta ormai formata.

Da cosa è formata?

La placenta è formata da due facce:

  • La faccia fetale (o corionica): presenta un aspetto traslucido (dato dall’epitelio amniotico), l’inserzione del cordone ombelicale e alcuni vasi placentari;
  • La faccia materna (o basale): qui notiamo un aspetto del tutto diverso. Vediamo che essa appare opaca e ruvida e avrà un aspetto molto particolare dato da strutture “irregolarmente poligonali”, detti cotiledoni.

I cotiledoni saranno divisi tra di loro esternamente da dei solchi intercotiledonali, internamente da dei setti intercotiledonali. Le due facce non si scolleranno tra di loro grazie a dei villi aderenti. L’altra tipologia di villi, presenti nelle lacune tra i villi aderenti, prendono il nome di “villi fluttuanti”. La differenza tra i due sono i punti di partenza e di arrivo: quelli aderenti nascono dalla faccia corionica e si fermano a quella basale, mentre quelli fluttuanti partono dalla corionica senza immettersi nel piatto basale.

Villi immersi nelle lacune della placenta. Fonte

Posizioni della placenta

La posizione dipende dal punto in cui si impianta l’embrione durante la “finestra d’impianto” (ottimale per un concepimento tra la 19esima e la 24esima giornata del ciclo uterino). Fisiologicamente la placenta potrà formarsi adesa alla parete posteriore o anteriore dell’utero, laterale destra o sinistra, fundica (cioè alla porzione apicale dell’utero, il fondo). Se la placenta dovesse coprire parzialmente o completamente l’orifizio uterino interno si chiamerà placenta previa. Questa si forma dopo il corpo dell’utero, all’altezza del collo di questo, ed è presente nel 3% delle gravidanze singole. Questa può indurre mortalità materna, emorragia antepartum, intrapartum o postpartum (prima, durante o dopo il parto), isterectomia e sepsi. La diagnosi viene effettuata grazie ad una ecografia transvaginale dopo la 32esima settimana di gestazione. Visivamente è riconoscibile, se la donna è sintomatica, a causa di un sanguinamento di color rosso acceso e non doloroso.

Immagine illustrativa di una Placenta previa. Fonte

A cosa serve?

Siamo abituati a vedere la madre come uno dei nostri punti di riferimento, e questo possiamo confermarlo già in “vita intrauterina”; la placenta infatti potrà:

  • mediare il passaggio di molte sostanze nutritive presenti nel sangue della madre e di fondamentale importanza energetica per il feto, come: glucosio, trigliceridi, acqua, proteine, ormoni, Sali minerali, vitamine;
  • sostituire alcuni organi che non sono momentaneamente attivi, come il polmone e i reni. Infatti, la placenta potrà favorire uno scambio di gas e quindi avvicinare l’ossigeno e allontanare l’anidride carbonica; inoltre, potrà garantire la depurazione e l’omeostasi, ovvero la tendenza dell’organismo di autoregolare l’ambiente interno nonostante le variazioni di quello esterno, solitamente data dal rene;
  • consentire la formazione di un sistema immunitario con il passaggio di anticorpi; sfortunatamente, però, a causa della stessa placenta potremmo favorire il passaggio anche di strutture dannose per il feto stesso come alcol, droga, nicotina e sostanze cancerogene (presenti nella sigaretta), virus e batteri;
  • fornire una funzione endocrina, di cui parleremo adesso.
La placenta estratta. Fonte

Funzione endocrina della placenta

Tra i vari ruoli svolti dalla placenta, uno dei più affascinanti è la regolazione ormonale che ci viene data da questo formidabile annesso. Infatti, questa sarà capace di secernere ormoni come:

  • hCG (gonadotropina corionica umana), ormone molto simile all’LH (altra gonadotropina secreta dall’ipofisi, in questo caso). Questo ormone serve per non far regredire il corpo luteo, presente a livello ovarico, il quale secernerà progesterone fino alla settima settimana circa. Inoltre, il dosaggio della hCG nel sangue serve per il test di gravidanza;
  • progesterone, secreto dalla settima settimana in poi.; questo ormone serve per evitare la fase mestruale del ciclo uterino con la quale inevitabilmente provocheremmo il rigetto della blastocisti (e del feto, in un secondo momento);
  • hPL (lattogeno placentare umano), il quale incide sul metabolismo materno; infatti, questo diminuisce la sensibilità all’insulina e, di conseguenza, favoriremo un innalzamento della glicemia e quindi garantiremo una maggior apporto energetico per il feto stesso; infine, questo ormone può indurre processi metabolici con i quali poter ottenere più precursori utili per la formazione di glucosio stesso (processi come la lipolisi, chetogenesi ecc.);
  • estrogeni, con i quali si eviterà la formazione di altri follicoli; questi ormoni sono fondamentali per garantire la fase estrogenica, prima fase del ciclo ovarico con la quale appunto si otterrà la maturazione di un follicolo secondario pre-antrale a follicolo pre-ovulatorio.

Secondamento

Questo fenomeno rappresenta l’ultima fase del parto. Circa 15-30 minuti dopo la nascita del bambino, si hanno delle contrazioni uterine fisiologiche che favoriscono l’espulsione della placenta insieme a tutti gli altri annessi embrio-fetali. Qualora il parto dovesse perdurare per più di 1 ora, il medico effettuerà una manovra manuale detta Manovra di Brandt-Andrews o ricorrerà all’utilizzo di farmaci.

Dario Gallo

 

Bibliografia:

https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/problemi-di-salute-delle-donne/travaglio-e-parto-fisiologici/parto

https://www.my-personaltrainer.it/salute/placenta.html

https://www.nurse24.it/ostetrica/placenta-previa-anomalie-posizione-placenta.html

https://it.wikipedia.org/wiki/Secondamento

https://it.wikipedia.org/wiki/Ormone_lattogeno_placentare

https://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/omeostasi.html

Autotrapianto cellulare: una nuova tecnica di chirurgia pancreatica

Recentemente, un gruppo di ricercatori del San Raffaele Diabetes Research Institute e di chirurghi del Pancreas Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Rozzano ha elaborato un metodo innovativo che permette di ridurre le complicanze che possono svilupparsi a seguito di interventi chirurgici al pancreas, consentendo di migliorare le condizioni di vita dei pazienti in fase post-operatoria e favorire la gestione del diabete.
Secondo questo studio, si riescono ad attenuare le complicanze che seguitano interventi complessi, con una tecnica che prevede l’asportazione completa del pancreas insieme all’autotrapianto di isole pancreatiche del paziente stesso. Ciò permette di preservare, in parte, la produzione di ormoni pancreatici, specialmente insulina e glucagone.

  1. Pancreas: Anatomia e Fisiologia
  2. Pancreas esocrino
  3. Pancreas endocrino
  4. Che cos’è il diabete?
  5. Tumore del pancreas
  6. Tipi di interventi chirurgici
  7. Complicanze post-operatorie
  8. In cosa consiste l’autotrapianto cellulare?

Pancreas: Anatomia e Fisiologia

Il pancreas è la più grande ghiandola extramurale annessa al canale alimentare dopo il fegato. È lungo circa 17-20 cm, pesa 70-80 g ed è di consistenza friabile. Si trova nello spazio retroperitoneale della cavità addominale, all’altezza delle prime due vertebre lombari, ed è formato da tre parti: testa, corpo e coda. Nella zona di passaggio tra testa e corpo, il pancreas si restringe, andando a formare una regione che prende il nome di istmo. E’ una ghiandola anficrina: presenta, infatti, una componente esocrina, gli adenomeri o acini pancreatici, e una più ridotta componente endocrina, le isole pancreatiche o di Langerhans.
Le funzioni del pancreas sono, dunque, prevalentemente due: la secrezione esocrina e la secrezione endocrina.
La secrezione endocrina è quel processo tramite il quale il secreto viene immesso direttamente nel circolo sanguigno; in quella esocrina, invece, il secreto viene immesso in una cavità naturale dell’organismo o rilasciato all’esterno.

Fonte: it.wikipedia.org

Pancreas esocrino

La componente esocrina del pancreas è indispensabile per l’ultimazione dei processi digestivi intestinali. Essa elabora e secerne un particolare succo digestivo ricco di acqua, elettroliti ed enzimi proteolitici, glicolitici e lipolitici: il succo pancreatico. Esso presenta un notevole grado di alcalinità che favorisce la neutralizzazione del pH del chimo gastrico quando questo giunge nel duodeno. Il pancreas riversa il prodotto della sua secrezione esterna nel duodeno, per mezzo di due condotti escretori, il dotto pancreatico principale o maggiore (di Wirsung) e il dotto pancreatico accessorio (di Santorini).

Pancreas endocrino

All’interno del pancreas sono presenti, inoltre, gli isolotti pancreatici, strutture che producono e secernono diversi ormoni, tra cui insulina e glucagone, essenziali per il controllo dei livelli di glucosio nel sangue.

Le isole classiche sono formate prevalentemente da tre tipi di cellule.

  • Le cellule A, o cellule α, che rappresentano il 15 – 20% della popolazione cellulare di un’isola, producono il glucagone, un ormone ad azione iperglicemizzante, che apporta glucosio in circolo facilitando la scissione del glicogeno epatico.
  • Le cellule B, o cellule β, che rappresentano il 75 – 80% della popolazione di un’isola, secernono l’insulina, un ormone ipoglicemizzante. L’insulina non ha un organo bersaglio specifico: essa trova i suoi recettori su quasi tutte le cellule dell’organismo su cui agisce promuovendo la penetrazione del glucosio all’interno delle cellule. E’ possibile “trasformare” le cellule α in β: questo argomento è stato trattato in un articolo precedente.
  • Le cellule D, o cellule δ, che rappresentano il 5% della popolazione insulare, secernono la somatostatina, un ormone che svolge azione paracrina, ovvero locale, di tipo inibitorio, modulando l’immissione in circolo di insulina e glucagone.

Nel pancreas si trova un altro tipo di isolotto pancreatico che si discosta da quello classico, in quanto, al posto delle cellule A, contiene un altro tipo cellulare che produce il polipeptide pancreatico (PP) contestualmente all’assunzione di certi tipi di cibo in cui prevale la componente proteica. Queste cellule costituiscono il 15 – 20% della popolazione di questo tipo di isola e sono note come cellule F o cellule PP.
Tutte le situazioni patologiche in cui si ha una ridotta disponibilità di insulina provocano il cosiddetto diabete mellito.

Che cos’è il diabete?

Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da un aumento anomalo della concentrazione di glucosio nel sangue, la cosiddetta iperglicemia.
Esistono due forme principali di diabete: il diabete di tipo 1 ed il diabete di tipo 2.

  • Il diabete di tipo 1 è caratterizzato dall’assoluta assenza di secrezione insulinica, a seguito alla distruzione delle cellule β che producono questo ormone. Riguarda circa il 10% delle persone affette da diabete e solitamente si manifesta nell’infanzia o nell’adolescenza. Il diabete di tipo 1 è incluso nella categoria delle malattie autoimmuni, patologie in cui è presente una disfunzione del sistema immunitario che induce l’organismo ad attaccare i propri tessuti.
  • Il diabete di tipo 2 è caratterizzato da una minore sensibilità dell’organismo all’insulina e/o da una ridotta secrezione di insulina da parte delle cellule β del pancreas. È la forma più comune di diabete e ne soffre circa il 90% dei soggetti interessati da questa patologia. La malattia insorge generalmente dopo i 30-40 anni e si instaura sulla base di una condizione preesistente di insulino-resistenza. La diagnosi avviene per lo più casualmente o a seguito di circostanze che arrecano stress fisico, come infezioni o interventi chirurgici.
  • Esistono, inoltre, altre forme di diabete. Queste possono essere legate a difetti genetici delle cellule β o dell’azione insulinica, a malattie del pancreas esocrino, indotte da farmaci o sostanze chimiche, o presentarsi per la prima volta proprio durante la gravidanza, dando origine al cosiddetto diabete gestazionale.
Fonte: it.dreamstime.com

Tumore del Pancreas

Le patologie del distretto duodeno-pancreatico, composto da pancreas, duodeno e  vie biliari extraepatiche, rappresentano la quarta causa di mortalità per cancro in Europa; si stima che diverrà la seconda entro il 2030.
Il tumore del pancreas insorge quando alcune cellule, principalmente le cellule di tipo duttale, si replicano in maniera incontrollata. La neoplasia del pancreas a maggiore incidenza è l’adenocarcinoma duttale. Circa il 70% dei tumori del pancreas, infatti, interessa la testa dell’organo e origina nei dotti che trasportano gli enzimi digestivi. Il 10% dei tumori pancreatici è, invece, rappresentato dai tumori neuroendocrini, neoplasie che hanno origine dalle cellule delle isole di Langerhans, ma possono insorgere anche a livello del duodeno.
Sfortunatamente, il tumore del pancreas in stadio precoce è asintomatico o provoca sintomi aspecifici: la diagnosi viene spesso effettuata quando il tumore ha raggiunto dimensioni notevoli, ha iniziato ad estendersi agli organi vicini, causando sintomi organo-specifici, o ha ostruito i dotti biliari e vasi importanti. Le cellule tumorali pancreatiche, infatti, si diffondono molto rapidamente ai linfonodi vicini e ad altri organi come fegato e polmoni; possono, inoltre, proliferare nell’addome dando origine ad una carcinosi peritoneale.
Soltanto il 20% dei pazienti attualmente ottiene la diagnosi quando il tumore non ha ancora dato metastasi e può essere quindi sottoposto ad asportazione chirurgica. Purtroppo, per questo tipo di interventi la mortalità può raggiungere il 10%; peraltro, non sono sempre praticabili, considerata la rapidità di diffusione.

Fonte: www.ihy-ihealthyou.com

Tipi di interventi chirurgici

Esistono diversi tipi di interventi chirurgici in base alla localizzazione del tumore.
Nei tumori di corpo e coda, vengono asportate unicamente queste porzioni, talvolta insieme alla milza, così da non compromettere altri organi dell’apparato digerente.
Nel caso dei tumori della testa, viene effettuato l’intervento di duodenocefalopancreasectomia, che comprende l’asportazione del duodeno, dell’ultima porzione dello stomaco e delle vie biliari, oltre che della testa del pancreas. Esso è, infatti, uno degli interventi più difficili e a più elevato rischio di complicanze di tutta la chirurgia addominale. Tra queste, la più ricorrente, è la fistola pancreatica, cioè la fuoriuscita di succhi pancreatici che può compromettere i tessuti circostanti e provocare infezioni ed emorragie.

Fonte: medicinaonline.co

Complicanze post-operatorie

L’asportazione totale o parziale del pancreas può provocare, nel post-operatorio, un’insufficienza endocrina, caratterizzata da disfunzioni nel metabolismo del glucosio, fino alla comparsa di diabete mellito conclamato; ciò è dovuto all’assenza di una porzione più o meno rilevante delle isole di Langerhans. Il diabete può dare origine a varie complicanze di tipo acuto o cronico.
Le complicanze acute, più frequenti nel diabete tipo 1, dipendono dalla carenza pressoché totale di insulina. La complicanza più comune in questo caso è il coma chetoacidosico, in cui si ha l’accumulo di alcuni prodotti del metabolismo, i chetoni, che provocano perdita di coscienza, disidratazione e importanti alterazioni ematiche.
Nel diabete tipo 2 sono molto più ricorrenti le complicanze croniche a carico di diversi organi e tessuti, come occhi, reni, cuore, vasi sanguigni e nervi periferici.
A seguito di resezioni pancreatiche parziali, è verosimile che nel primo post-operatorio si abbia una fase di scompenso glicemico. Si tratta, in genere, situazioni transitorie che prevedono un semplice monitoraggio della glicemia o una blanda terapia antidiabetica. Il diabete può insorgere anche diversi anni dopo l’intervento, per eventi infiammatori cronici di natura ostruttiva che inducono una sostituzione fibrosa del normale tessuto.
Al contrario, dopo pancreasectomia totale, l’insufficienza endocrina con insorgenza di diabete mellito è immediata e inevitabile; per di più, si verifica anche una mancata secrezione di glucagone e di polipeptide pancreatico.

In cosa consiste l’autotrapianto cellulare?

Tramite il trapianto delle isole pancreatiche del paziente è possibile ridurre la gravità del diabete che deriva dall’asportazione parziale o totale del pancreas. La ricerca, infatti, dimostra come la pancreasectomia totale con l’autotrapianto di isole, in alternativa al tipico intervento di duodenocefalopancreasectomia, è in grado di salvaguardare parzialmente la produzione di ormoni pancreatici.

«Nel caso in cui il pancreas sia molto fragile, il chirurgo è cosciente del fatto che in seguito all’intervento è possibile che insorga una fistola pancreatica; ciononostante non asporta del tutto il pancreas, poiché si preoccupa delle conseguenze metaboliche che ne scaturirebbero. Tramite questo studio, si è stati in grado di dimostrare, per la primissima volta, che le nuove tecniche di trapianto cellulare costituiscono una valida alternativa e che l’autotrapianto di isole pancreatiche consente di avvalersi della pancreasectomia totale senza così peggiorare la qualità di vita del paziente», afferma il dottor Gianpaolo Balzano, chirurgo del Pancreas Center dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

L’autotrapianto delle isole pancreatiche prevede la rimozione del tessuto endocrino dal pancreas asportato e la sua incorporazione nella vena porta, in modo tale da ingegnerizzare il fegato affinché produca insulina senza che sia necessaria la somministrazione di una terapia immunosoppressiva.

«Nel tempo, l’autotrapianto è stato applicato prettamente in pazienti affetti da pancreatite cronica sottoposti ad asportazione pancreatica, quando questa non può essere gestita con procedure mediche e chirurgiche ordinarie. Questo studio mostra come il trapianto di isole possa essere impiegato, in modo sicuro, anche per altre patologie come, ad esempio, il tumore del pancreas», precisa il professor Alessandro Zerbi, responsabile Chirurgia Pancreatica dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas.

«Attraverso questo studio, è stato possibile sviluppare sicure ed efficienti alternative per pazienti che possiedono caratteristiche e rischi chirurgici differenti. Si tratta di un tipico esempio di medicina di precisione, in cui ci si avvale di una terapia cellulare personalizzata, volta a realizzare il miglior risultato per ciascun paziente», aggiunge, infine, il professor Lorenzo Piemonti, direttore del San Raffaele Diabetes Research Institute dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.

Fonte: it.dreamstime.com


Erica D’Arrigo

 

 

Bibliografia

https://www.hsr.it/news/2022/ottobre/autotrapianto-isole-pancreatiche-nuove-scoperte

https://www.epicentro.iss.it/diabete/

https://www.airc.it/cancro/informazioni-tumori/guida-ai-tumori/tumore-del-pancreas

https://www.humanitas.it/enciclopedia/anatomia/apparato-digerente/pancreas/

Immagine in evidenza: Tumore al pancreas: cause, sintomi, diagnosi e terapia | MEDICITALIA.it

Robot in corsia: come la tecnologia aiuta la medicina

La medicina si avvicina sempre di più al suo obiettivo principale: comprendere ‘’la macchina’’ quasi perfetta qual è il corpο umano e scoprire nuovi modi per poterla riparare. Nel ventunesimo secolo, i robot aiutano medici e chirurghi a compiere tale passo. Messina è l’esempio di come si possa effettivamente arrivare dove l’uomo non può.

  1. La macchina intelligente
  2. Dove si trova?
  3. Come funziona?
  4. Dove possiamo utilizzarlo?
  5. Benefici per i pazienti
  6. Vantaggi per medici e ospedale
  7. Le parole speranzose del DG Mario Paino
  8. Tecnologia Medica
  9. Conclusioni

La macchina intelligente

L’ingegneria medica caratterizza questo campo già dalla seconda metà del ventesimo secolo, rivelando quanto fondamentale sia la sua impronta. Lo dimostra un braccio robotico, presente anche nella nostra città, il quale guida la mano del chirurgo permettendo una precisione del 98,9% negli interventi più delicati, tra cui quelli alla colonna vertebrale.  

Dove si trova?

Questo braccio robotico si trova solo in 4 città in Italia, di cui 3 al Nord Italia: Bologna, Venezia e Torino. Anche l’Azienda Ospedaliera Papardo gode di questa brillante opera ingegneristica. Messina è l’unica città a poter usufruire di questa tecnologia, la quale rende il Papardo un Centro sanitario di eccellenza del Centro-Sud Italia.

infobreast.it

Come funziona?

Il braccio robotico è una delle invenzioni tecnologiche in campo medico più fruttuosa e intelligente mai realizzato. Inoltre, semplifica enormemente interventi che per le capacità e conoscenze limitate del chirurgo sono molto complesse. Il medico segue alcuni step prima di eseguire l’intervento, tra cui l’analisi delle immagini tridimensionali ottenute dalla TAC e l’utilizzo del Gps. La macchina robotica, grazie alle immagini ottenute e alla localizzazione data dal Gps, sa con precisione millimetrica dove operare e posizionare le viti.

Dove possiamo utilizzarlo?

La patologia traumatica, così come quelle neoplastiche vengono interessate dal suo utilizzo. Queste ultime sono trattate, in particolar modo, a livello del sacro e dell’anello pelvico. Il braccio permette di trattare sfaldature dell’osso causate da traumi di una certa intensità e tumori particolarmente aggressivi. Infine, può essere d’aiuto anche nelle malattie degenerative della colonna vertebrale.

Benefici per i pazienti

Questa innovazione rende meno invasivo l’intervento. Il medico spesso deve ricorrere a tagli lunghi e cicatrici che rovinano in alcuni casi l’aspetto estetico del paziente, prolungando notevolmente l’ospedalizzazione. Il robot esegue dei tagli di qualche centimetro, senza sfigurare la pelle e permettendo un recupero veloce. Infatti, può essere dimesso entro 72h dall’intervento.

Vantaggi per medici e ospedale

Il robot costituisce lo strumento ideale per permettere ai giovani medici, soprattutto specializzandi, a familiarizzare con la chirurgia spinale. È possibile ottenere le immagini in 3D da una TAC intraoperatoria molto particolare, un’altra invenzione tecnologica di cui dispone lo stesso Papardo: O-Arm. La macchina ha delle funzioni molto simili a quelle di una TAC, ma emana minori radiazioni, evitando di sottoporre alle stesse gli operatori sanitari. Anche l’ospedale trova numerosi vantaggi, tra cui i costi ridotti. Qualora l’intervento umano non dovesse andare bene, l’ospedale viene sottoposto ad un lungo e tortuoso processo legale. Con il braccio robotico si hanno meno errori e quindi la percentuale di costi riparativi viene diminuita sensibilmente.

Le parole speranzose del DG Mario Paino

Il Direttore Sanitario dell’Azienza Ospedaliera Papardo, Mario Paino, commenta questa innovazione tecnologica:

Gli investimenti in tecnologie come queste, rappresentano l’argine migliore contro la migrazione sanitaria. Ancora troppe persone del Centro-Sud Italia, ogni giorno, salgono su treni ed aerei diretti al Nord per andare a curarsi. Noi invece, pensiamo che trattamenti sicuri e di qualità siano un diritto per tutti e in tutto il Paese. Il Papardo rafforza la propria vocazione all’eccellenza. Personale medico-sanitario altamente formato assieme alle tecnologie mondiali più innovative sono la formula per garantire le cure migliori ai pazienti”.

Tecnologia Medica

Le innovazioni tecnologiche non interessano il solo campo chirurgico. Anche durante la pandemia da COVID-19, i supporti robotici sono stati fondamentali per fornire assistenza a medici e pazienti. Ad esempio, i robot hanno aiutato a pulire e mantenere sterili le stanze, riducendo così la possibilità di entrare a contatto con agenti patogeni. I robot possono aiutare anche nello spostamento di letti, diminuendo notevolmente gli sforzi richiesti dal personale sanitario. Esistono, inoltre, tecnologie disposte di una particolare telecamera: il medico la sfrutta per poter vedere all’interno del corpo del paziente. I macchinari robotici possono anche sostituire parti del corpo.

smartworld.it

Conclusioni

I riscontri positivi vengono confermati anche dai trenta mila interventi eseguiti fino ad ora su scala mondiale, i quali risultati sottolineano l’importanza degli avanzamenti tecnologici in campo medico. L’avvento della Tecnologia e delle Biotecnologie, ci ha consentito di rivoluzionare il mondo medico, permettendo di staccarci dalla medicina classica così come noi la conosciamo.

Con la tecnica gli uomini possono ottenere da sè quello che un tempo chiedevano agli dei. Umberto Galimberti

 Dario Gallo

Per approfondire:

Robotica nel settore sanitario: il futuro dell’assistenza medica –… (intel.it)

Chirurgia vertebrale, al Papardo un sistema robotico rivoluzionario (insanitas.it)

Il braccio robotico del DARPA controllato con il pensiero (video) | SmartWorld

Paralizzati: tornano a camminare grazie ad elettrodi nel midollo spinale

La scienza vince nuovamente: dall’impresa di Barnard all’affascinante xenotrapianto

La scienza con i suoi passi da gigante, ci apre la vista a nuove frontiere. Dal 1967 ad oggi abbiamo assistito, grazie all’intraprendenza ed alla passione degli specialisti, ad un susseguirsi di eventi che hanno portato nel 2021 al primo trapianto di rene da maiale ad uomo e il 7 gennaio 2022 al primo xenotrapianto di cuore.

  1. Cenni storici: Christiaan Barnard
  2. Fu eticamente accettabile?
  3. Conseguenze dell’intervento
  4. Il primo xenotrapianto di cuore
  5. Ostacoli
  6. Intervento della Bioetica
  7. Cosa è successo al paziente dopo l’intervento chirurgico?
  8. Conclusioni 

Cenni storici: Christiaan Barnard

Il 3 Dicembre 1967 è una data che ancora oggi viene ricordata ed ampiamente discussa a seguito di un miracoloso intervento chirurgico, reso possibile da un coraggioso medico sudafricano: Christiaan Barnard.  Egli è stato ricordato da colleghi e collaboratori come medico tecnicamente superiore a molti altri, saccente e pronto a sapere la verità, senza porsi alcuno scrupolo. Il trapianto ha riscosso innumerevoli lodi internazionali, ma non mancarono le critiche.

Fu eticamente accettabile?

Barnard eseguì l’operazione segretamente, utilizzando il cuore di una giovane ragazza in coma irreversibile dopo un incidente d’auto. Circa 5 ore dopo dal suo arrivo in ospedale, chiamò il direttore dell’ospedale, il Groote-Schuur di Città del Capo, per comunicargli l’esito positivo dell’intervento chirurgico. Barnard non fu considerato un omicida, nonostante avesse trapiantato il cuore ancora battente di una ragazza in uno stato particolare, definito “Coma depassè”. Mollaret e Goulon nel 1959 coniarono questo termine per poter parlare di “morte cerebrale”, con il quale si identificano in chiave insiemistica tutte quelle persone che, nonostante le loro gravi condizioni, sono tecnicamente vive per molti medici e critici della Bioetica. A lungo sono stati discussi quali fossero i termini entro i quali poter definire una persona deceduta, fino ad arrivare alla conclusione, accettata quasi a livello internazionale, che la morte sopraggiunge con la cessazione irreversibile delle normali funzioni cardiache.

Conseguenze dell’intervento

Dopo l’operazione del medico sudafricano, molti chirurghi si cimentarono nei trapianti d’organo fino a toccare lo “xenotrapianto”, ovvero l’intervento chirurgico eseguito utilizzando organi o tessuti di una specie diversa dalla nostra, e la società promosse quest’idea della donazione di organi. Si arrivò ad una sorta di regolamentazione bioetica solo nel 1968 con l’Harvard Medical School, il quale promosse una serie di linee guida accettate, quasi a livello internazionale, per permettere tali interventi.

https://lindro.it

Il primo xenotrapianto di cuore

7 Gennaio 2022. Ricorderemo anche questa data per molto tempo, poiché per la prima volta nella storia della medicina il chirurgo Bartley Griffith, insieme alla sua equipe medica all’ospedale dell’Università del Maryland negli USA, ha effettuato uno xenotrapianto a dir poco sensazionale, permettendo al 57enne David Bennett di ricevere il cuore di un maiale geneticamente modificato. In passato altri medici hanno provato un intervento simile con un cuore di babbuino, ma il paziente morì dopo appena 21 giorni. Nonostante la pericolosità della complessa operazione chirurgica, la Food And Drug Administration ha dato il concesso per poter effettuare l’intervento dopo aver ottenuto il concesso informato del 57enne. L’uomo era costretto a dover combattere tra vita e morte con pochissime possibilità di farcela senza la mano medica e, per questo motivo, avava deciso di sottoporsi comunque allo xenotrapianto.

Ostacoli

Sorgevano quattro grandi avversità: la possibilità che dopo l’intervento il cuore potesse continuare a crescere progressivamente e far contrarre numerose infezioni virali, il complicato adattamento dell’organo nella cavità toracica e, soprattutto, l’alta probabilità di rigetto dell’organo da parte del suo organismo.
La manipolazione genetica e la farmacologia hanno permesso di superare brillantemente questi problemi: l’azienda Biotech Revivicor di Blacksburg ha fornito il cuore ed è stato utilizzato un farmaco sperimentale. In questo modo, l’equipe medica ha potuto risolvere tutte le difficoltà.

Intervento della Bioetica

L’intervento fu un gran successo ed ha riscosso numerosi apprezzamenti, poiché potrebbe ufficialmente iniziare una nuova era medica, quella degli xenotrapianti. Tale operazione, però, ha smosso le acque della sfera Bioetica: sfruttare gli animali per poter ricavare componenti anatomici vorrebbe dire privarli di un qualsiasi status morale, andando a sottolineare la diversità di specie. In questo modo, il ventunesimo secolo sarebbe nuovamente caratterizzato dall’antropocentrismo. Promuovendo questo nuovo espediente, il numero di allevamenti di animali crescerebbe esponenzialmente sino ad arrivare ad uno sfruttamento più totale degli stessi; lo specismo renderebbe l’uomo caput mundi un’ulteriore volta.

Cosa è successo al paziente dopo l’intervento chirurgico?

Il coraggioso paziente, dopo quasi 2 mesi dall’intervento, ha avuto rapidi peggioramenti fino a morire l’8 Marzo. Le cause della sua morte sono ancora da scoprire: probabilmente le sue condizioni avverse hanno contribuito alla cessazione delle funzioni cardiache. Nonostante ciò, il suo ammirevole sforzo consentirà al mondo scientifico di poter trovare nuovamente una soluzione anche a questo ostacolo.

https://www.today.it

Conclusioni

In media, un paziente deve attendere circa 3 anni e 8 mesi per poter ricevere l’organo cardiaco. Se utilizzassimo organi e tessuti di specie diverse dalla nostra, potremo ridurre sensibilmente la lunga lista d’attesa o, in futuro, eliminarla quasi del tutto.
L’intervento chirurgico di Barnard e quello di Griffith hanno rivoluzionato il campo medico, permettendo alla scienza di compiere dei grandi passi in avanti. Il gesto del 57enne Bennett è stato lodevole. Era un uomo forte e coraggioso, pronto a sfidare la morte e a combatterla con ogni arma a sua disposizione, ma dalla sua parte aveva quella più forte: la scienza.

Dario Gallo

Per approfondire:

 

 

Le nuove frontiere della chirurgia: il disco intervertebrale bio-ingegnerizzato

Il dolore alla schiena e al collo è una delle più frequenti patologie nella popolazione generale e colpisce i due terzi degli adulti.
Il dolore cronico è inoltre tra i fattori che contribuiscono ad aumentare gli anni vissuti con disabilità e le spese mediche per curarlo sono esorbitanti rispetto ai risultati esigui.
Nonostante le cause effettive siano sconosciute, la degenerazione del disco intervertebrale è senza dubbio una delle principali.
Tale degenerazione è dovuta a una combinazione tra morte cellulare, disorganizzazione del tessuto fibroso e perdita di proteoglicani nel nucleo polposo.
Il collasso del disco, infine, ne compromette del tutto la funzione, provocando una vasta gamma di disturbi, tra cui appunto il dolore.

Le attuali conoscenze

Considerando l’incidenza di tale patologia e la mancanza di terapie efficaci c’è un grande bisogno di condurre studi in questo campo.
L’ingegneria tissutale sembra offrire ottime prospettive: sostituire il disco degenerato con uno bio-ingegnerizzato potrebbe essere la risposta al problema.
Ad oggi un buon numero di dischi bio-ingegnerizzati sono stati realizzati e testati in vitro, ma non abbastanza in vivo.
Comprendere il funzionamento a lungo termine di questi dispositivi, su modelli animali, è essenziale per poterli poi traslare in studi clinici su esseri umani.
Per fare questo gli scienziati hanno realizzato una struttura simile a un disco, per mimare perfettamente l’anatomia del segmento spinale e l’hanno poi impiantata nei ratti da laboratorio.
I materiali scelti sono acido ialuronico seminato con cellule o gel di agarosio e poli-ε caprolactone, i primi per la loro alta idratazione, mentre il secondo per la natura robusta e resistente alla trazione. 

I risultati

I dati dello studio sui ratti mostrano che questi dischi risultavano avere delle caratteristiche molto simili a quelle reali a 20 settimane.
L‘integrazione funzionale di un disco ingegnerizzato in vivo non è stata dimostrata in precedenza, ma questo è un punto di riferimento critico per la traduzione clinica.
Poiché la funzione del disco nativo è principalmente di natura meccanica, i carichi di pressione sulla colonna vertebrale sono supportati attraverso lo sviluppo della pressione idrostatica all’interno del nucleo polposo che mette in tensione le fibre di collagene dell’anello fibroso.
Inoltre le interfacce del disco nativo con quello adiacente sono fondamentali per la corretta funzione meccanica e sono essenziali.
Viene dimostrato anche che il disco può essere fabbricato con successo da cellule derivate dal midollo osseo.
Una fonte cellulare più clinicamente rilevante per l’ingegneria dei tessuti del disco rispetto alle cellule della colonna.
Dallo studio emerge anche che la colonna cervicale di capra è un modello preclinico particolarmente attendibile per la sua statura semi-eretta e l’altezza e la larghezza dello spazio del disco simile alla colonna cervicale umana.
Dispositivi dimensionati per il disco cervicale di capra potrebbero essere utilizzati in una sostituzione totale del disco nell’uomo, usando lo stesso approccio chirurgico e la stessa strumentazione.

Cosa ci prospetta il futuro

L’ingegneria dei tessuti è promettente come strategia di trattamento per i pazienti con degenerazione del disco allo stadio terminale che richiedono un intervento chirurgico.
Dopo l’impianto in vivo, una sostituzione del disco ingegnerizzata con successo nel tessuto ripristinerebbe l’altezza dello spazio del disco nativo, si integrerebbe con i dischi adiacenti, riprodurrebbe la funzione meccanica del disco sotto carico fisiologico e conserverebbe una popolazione cellulare vitale per mantenere la composizione e la distribuzione della matrice simili a il disco nativo e sano.
Per progredire verso la traduzione clinica, i dischi ingegnerizzati dovrebbero essere infine valutati utilizzando modelli animali di grandi dimensioni con geometria, anatomia e meccanica comparabili alla colonna vertebrale umana.
Si spera dunque che in un futuro prossimo possano essere fatti passi avanti nella ricerca e che con i nuovi strumenti medici si possa restituire una vita dignitosa a coloro che soffrono di dolore cronico.

 

Maria Elisa Nasso

 

Malasanità, Errore Umano o Presunzione?

‘’Bimbo muore per otite’’

‘’Omeopatia uccide: bambino di 7 anni muore per otite’’

 

‘’Medico ammette: è stata colpa mia’’

‘’Muore a palermo per un intervento banale’’

Questi sono solo alcuni dei titoli che hanno invaso le testate giornalistiche e i media di tutta Italia. I due pazienti italiani non sono accomunati da niente, se non dalla stessa giornata che, purtroppo, segna la fine prematura della loro vita. E nemmeno i medici presi in causa hanno niente in comune se non, per il resto della loro vita, la domanda: ‘’potevo fare meglio?’’

Filippo Chiariello, 38 anni, era entrato in sala operatoria già timoroso. I familiari raccontano che in particolare aveva paura degli aghi. Il paziente era arrivato all’ospedale di Villa Sofia (Palermo) in emergenza, con dolori lancinanti allo stomaco. Dopo essersi sottoposto alla TC, il verdetto: calcoli alla colecisti, necessita un intervento in laparoscopia.

Il chirurgo ha alle spalle una carriera ventennale, nessuna ombra sul suo percorso, sa che questo tipo di intervento, senza complicanze, non dura più di 45 minuti. L’intervento inizia alle 17,30, introdotto il primo strumento chirurgico, il Trocar, viene erroneamente recisa l’aorta addominale e contemporaneamente perforato l’intestino. L’intervento viene convertito in un’operazione standard con il taglio chirurgico, il paziente ha però perso tantissimo sangue.

In tutta la città non è reperibile sangue del suo gruppo. Il paziente va in arresto cardiaco per tre volte, l’ultima volta per 40 minuti, c’è danno cerebrale. Sono passate più di otto ore. La mattina dopo alle 10.45 i medici dichiarano la morte cerebrale.

Francesco, 7 anni, ricoverato dal 24 maggio nella rianimazione dell’Ospedale Salesi (Ancona) a causa di un’otite curata con l’omeopatia invece che con gli antibiotici. Seguito da tre anni da un medico omeopata, a lui la madre e il padre si sono rivolti quando circa 15 giorni fa il figlio si è ammalato di otite bilaterale. Il bambino però peggiora, è sempre più debole, con la febbre che va e viene.

Fino alla notte del 23 maggio quando perde conoscenza. I genitori si precipitano all’ospedale di Urbino, dove una TC ha rivelato gravi danni al cervello. Viene tentato un intervento chirurgico per la rimozione dell’ascesso cerebrale, insieme a terapia antibiotica d’urto, ma le condizioni cliniche del bimbo non lasciano più speranze. Prima il coma, poi la morte cerebrale.

Sul piatto della bilancia, come già detto, ci sono due casi diversi, due medicine diverse.  Medicina tradizionale e medicina omeopatica.

Ci sono due medici. Uno che ha errato usando la medicina tradizionale, l’altro che ha errato usato la medicina omeopatica. Da questo punto in poi, il dibattito che si è susseguito in questi giorni è inarrestabile.

C’è chi si è schierato a spada tratta contro l’omeopatia, chi ha portato avanti le proprie idee a favore di essa. Chi non si è esposto, chi ha dato ragione ad un medico piuttosto che all’altro, chi ha urlato a gran voce la parola ‘’Malasanità’’.

La letteratura medica è un oceano infinito, che ogni giorno progredisce e si accresce. Nel campo medico non c’è qualcosa di completamente giusto o di completamente sbagliato. Non tutto funziona nello stesso modo per tutti, le stesse patologie non si presentano nello stesso identico modo in ogni essere umano.

Senza perder tempo, quindi, nell’analizzare quanto possa essere sbagliata o giusta una medicina piuttosto che un’altra, una corrente di pensiero piuttosto che un’altra, la vera domanda che bisogna porsi è: dove sta la presunzione e dove sta l’errore umano? A chi bisogna urlare malasanità e a chi no?

Questi due medici, rispettivamente, stanno iniziando un lungo percorso medico legale dove, alla fine, saranno o non saranno più medici.

La presunzione. La presunzione, nell’ambito medico, è un’arma a doppio taglio: può salvare un paziente oppure, insieme all’ego, può essere una trappola mortale. Una cosa è sicura: nessun medico può rischiare la vita di un altro essere umano. Lo giuriamo all’inizio della nostra carriera: ‘’Giuro, di curare ogni paziente con eguale scrupolo e impegno, prescindendo da etnia, religione, nazionalità, condizione sociale e ideologia politica”.

Da un lato, abbiamo un medico che, pur di difendere ad ogni costo le sue idee, il suo ego, il suo onore, ha ecceduto di presunzione e ha sbagliato. Le dinamiche interne non le possiamo sapere. Sappiamo, fin dal primo giorno, che le persone si fidano del camice bianco. Si fidano di quello che il camice bianco dice e consiglia.

I genitori, così tanto giudicati, hanno l’unica colpa di essersi fidati. Ma non di un pazzo medico che usa l’omeopatia, non si parla di questo perché, in alcuni casi, l’omeopatia è una medicina, per l’appunto, riconosciuta e con dei buoni range di applicazione. No. Di essersi fidati di un medico che, senza poterlo prevedere, ha messo se stesso prima di tutto, cercando di dimostrare, a chi o a cosa?, che il suo modus operandi andava bene. Un medico la cui presunzione chissà se e come verrà punita.

E poi c’è l’altro medico. Quel medico, quel chirurgo esperto, che, lui stesso dichiara, è uscito con la testa china, con le braccia basse, sconfitto, ed ha chiesto scusa ai parenti della vittima, sussurrando 3 parole: ‘’è colpa mia’’.

Parenti che, secondo le più grandi testate giornalistiche, hanno giurato fuoco e fiamme. Fuoco e fiamme contro un essere umano che, praticando il suo lavoro, quel lavoro che conosce così bene, ha errato. E, in questo campo, si sa, l’errore umano non è ammesso. Mai.

Che fine farà questo medico che ha ammesso di aver compiuto un errore? Potrà ancora fare il medico? Verrà punito più o meno dell’altro? Non essendo in una corte di giustizia, non è compito nostro rispondere. Rimane però il fatto che il suo errore, se ci si ferma a riflettere, non è del tutto suo.

Introdurre un Trocar, lo strumento che serve per gli interventi di laparoscopia, può portare questo tipo di conseguenze. I testi parlano chiaro: può capitare. E poi: ha funzionato correttamente lo strumento? O si è bloccata la leva cui è attaccato il bisturi? L’errore è umano o è dato da uno strumento difettoso?

E soprattutto: merita davvero tutto questo odio un medico che, fino alla fine, ha combattuto per il suo paziente, rispetto ad un medico che è rimasto seduto sulla sua sedia in collegamento telefonico con i suoi pazienti?

Quel che è certo è che da ora in poi questi due episodi si risolveranno nelle aule di tribunale. Un bambino, un padre di famiglia, coniugi, genitori e figli. Tutte vittime. La morte porta dolore, il dolore porta a riflettere, ma alla fine, esige silenzio.

Elena Anna Andronico

Alessio Gugliotta

Derek, Meredith e Grey’s Anatomy: perché metterlo in play

greys-anatomy

Ci sono serie tv e serie tv: drammatiche, ironiche, comiche, sanguinolente; corte, lunghe, che durano dai 20 ai 120 minuti.

Ma una serie tv, per tenerti davvero incollato alla sedia e farti perdere il senso del tempo e dello spazio, deve avere una trama coinvolgente e sconvolgente, una trama che ti lasci sempre con il fiato sospeso, almeno quel tanto che basta per dirti: ’’ok, dormirò in un altro momento’’ e farti così rimettere play sul tuo sito di streaming.

Una di queste serie è Grey’s Anatomy. Al bando gli scettici che dicono che è solo un’enorme cavolata, più lunga di Beautiful e troppo distante dalla realtà: quando inizi a guardarla non puoi più farne a meno. Io, da fan numero uno, sono riuscita a convertire un sacco di persone e a farle diventare tossicodipendenti da Grey’s Anatomy.

Grey’s Anatomy è una serie televisiva statunitense trasmessa dal 2005. È un medical drama incentrato sulla vita della dottoressa Meredith Grey, una tirocinante di chirurgia nell’immaginario Seattle Grace Hospital di Seattle. Il titolo di Grey’s Anatomy gioca sull’omofonia fra il cognome della protagonista, Meredith Grey, e Henry Gray, autore del celebre manuale medico di anatomia Gray’s Anatomy (Anatomia del Gray). Seattle Grace (poi Seattle Grace Mercy West e, ulteriormente, Grey Sloan Memorial Hospital) è invece il nome dell’ospedale nel quale si svolge la serie. I titoli dei singoli episodi sono spesso presi da una o più canzoni.

Tra personaggi che vanno e vengono, che nascono e muoiono, Grey’s Anatomy riesce a lasciare veramente un segno. Durante la progressione della trama, che si svolge in 12 stagioni per un totale di 268 episodi, ognuno di noi può trovare una citazione, una situazione, un momento in cui riconoscersi. Ed io, da studentessa in Medicina, posso dire che (a parte qualche caso assolutamente irreale) è anche molto vicina alla realtà medica. I gesti, i protocolli, il lessico, infatti, sono assolutamente presi dal campo.

Tutti conosciamo Meredith e Derek, sappiamo la loro storia d’amore e chi come me è da 11 anni che sta appresso a loro e ci ha perso cuore, lacrime e vita, sa che non sono solo ‘’Meredith e Derek’’: sono due personaggi pieni di umanità, che fanno e dicono cose che tutti noi abbiamo fatto e detto, anche e soprattutto le peggiori. È questo il segno che contraddistingue tutti i personaggi della serie, dal più importante al meno: l’umanità. Sono esseri umani a 360°, con i difetti e i pregi, con l’egoismo, i sogni, la cattiveria, la gentilezza, la bontà, la forza e la debolezza, le paure e il coraggio.

Ed, a parte l’intramontabile ‘’prendi me, scegli me, ama me’’, il sesso e la tequila, ci vuole poco a capire che Shonda Rimes (l’autrice) voleva andare oltre a tutto questo e insegnare ad accettare argomenti che ancora sono, per la società, tabù.

È una serie tv che vuole insegnare la speranza, il rischio e la speranza che può derivare dal rischio. Che non tutto è come sembra, che una coppia perfetta può spesso scoppiare ma questo non esclude il fatto che si può andare realmente avanti, a qualsiasi età. Che puoi sempre conoscere una persona, che essa sia maschio o femmina.

Vuole abbattere i muri dell’omofobia. Tra i personaggi principali abbiamo una coppia lesbica costituita da una donna omosessuale ed una bisessuale, vuole far capire alle persone che non c’è niente di strano nella transizione, che i transgender sono persone come noi in corpi nei quali stanno troppo stretti.

Vuole insegnare che non esistono barriere di tipo religioso, che la scienza e la religione possono coesistere e convivere, che essere ateo non è sinonimo di essere vuoto. Insegna il perdono, l’amicizia, la lealtà, la sana competizione e quella che ti porta a impazzire perché parte da basi sbagliate.

Tra gli argomenti principali troviamo anche temi molto attuali quali l’adozione e l’inseminazione artificiale. Viene anche approfondito l’argomento ‘’psicoterapia’’, cercando di trasmettere il messaggio che prendere consapevolezza dei propri problemi e affrontarli con qualcuno che può realmente aiutarti non è una vergogna ma un segno di coraggio.

E che, a prescindere da tutto, negli ospedali si fa tanto sesso e ci sono davvero tantissimi fighi e fighe.

Elena Anna Andronico