Ingannare i tumori è possibile?

<< […] O chiusi in questo legno si tengono nascosti Achei, o questa macchina è fabbricata a danno delle nostre mura, per spiare le case e sorprendere dall’alto la città, o cela un’altra insidia: Troiani, non credete al cavallo. Di qualunque cosa si tratti, ho timore dei Danai anche se recano doni.>> Così diceva il sacerdote Laocoonte nell’Eneide prima che la città di Troia venisse rasa al suolo e proprio “cavallo di Troia” è l’appellativo che merita questa nuova scoperta dei ricercatori della Northwestern University di Evanston, Illinois.

Il professore Gianneschi ed il suo team hanno trovato un modo per somministrare chemioterapici in maniera mirata con un aumento della dose di attacco ed in modo assolutamente sicuro.

È da sempre oggetto di ricerche la scoperta di una via per colpire in maniera selettiva le cellule mutate risparmiando il tessuto sano, principale preoccupazione di tutte le terapie chemioterapiche. Inoltre è interesse comune scoprire un metodo per abbreviare la durata delle terapie aumentandone l’efficacia, che presenta una componente dose-dipendente non indifferente. È chiaro che però, non essendo scevra da rischi, la terapia deve essere eseguita con criteri specifici ed a misura del paziente e della malattia che lo affligge.

In questo studio pubblicato sulla rivista Journal of American Chemical Society (JACS) si affrontano proprio alcuni di questi temi con spunti interessantissimi per un riarrangiamento nella modalità di somministrazione di questi farmaci, il cui riconoscimento da parte di neoplasie un po’ più maligne, ne invalida l’efficacia.

L’inganno che subiscono le cellule tumorali è dovuto al mascheramento del farmaco, che perde le sue sembianze ed assomiglia ad un acido grasso a catena lunga (18 atomi di carbonio).

Complesso acido grasso-farmaco, si noti il mascheramento di quest’ultimo.

Gli acidi grassi sono componenti fondamentali dei lipidi e rappresentano, insieme a glucidi, proteine ed acidi nucleici, una delle quattro principali classi di composti organici di interesse biologico. Essi sono inoltre tra i principali e più redditizi substrati fonte di energia.

Soprattutto le neoplasie infatti, essendo costituite da cellule in attiva proliferazione, hanno necessità di avere introiti energetici quantitativamente maggiori. Questa particolarità viene ad essere sfruttata a nostro vantaggio: legando il farmaco all’acido grasso, una volta somministrato, questo viene ad essere veicolato nel circolo sanguigno da una proteina della famiglia delle albumine. Queste funzionano come delle navette che si fermano a seconda della destinazione che il loro contenuto ha. In questo caso, l’acido grasso viene riconosciuto da specifici recettori presenti sulle cellule tumorali che lo inglobano al loro interno, lasciando l’albumina libera in circolo per i prossimi passeggeri. In tutto questo le povere cellule mutate sono ignare di avere internalizzato non soltanto energia, ma anche ciò che di lì a poco le eliminerà.

Struttura del complesso acido grasso-farmaco e legame con albumina.

Una volta all’interno il complesso acido grasso-farmaco, viene ad essere metabolizzato dalla cellula neoplastica con attivazione dell’azione antitumorale ed uccisione della cellula stessa. Maggiore è il grado di aggressività, maggiore sarà la crescita della neoplasia e maggiore sarà la ricerca di materiale nutritivo con un aumento esponenziale di accumulo di farmaco all’interno del citoplasma.

Nello studio, eseguito in fase sperimentale sui topi, i ricercatori hanno utilizzato il sistema accompagnato dal farmaco chemioterapico Paclitaxel. Questo ha avuto notevole effetto nei tumori di pancreas, colon ed osso, tra i più frequenti e spesso a prognosi più infausta.

E se questo non bastasse, la ricerca condotta da Gianneschi e collaboratori ha dimostrato come le dosi del farmaco somministrato (Paclitaxel) potessero essere aumentate anche di 20 volte, senza che la sicurezza diminuisse o aumentassero gli effetti collaterali.

È chiaro dunque come determinati meccanismi propri del cancro possano essere un’arma a doppio taglio per lo stesso. E se la città di Troia è caduta, che non si riesca anche ad abbattere definitivamente i tumori?

 

Claudia Di Mento

Immunoterapia: la nuova frontiera contro il cancro

Cosa si intende per tumore? Se cerchiamo in un qualsiasi dizionario troveremo la classica definizione: processo morboso di un organo caratterizzato da un aumento del suo volume. Ma questo non ci basta; infatti, una neoplasia è caratterizzata dall’aberrante ed eccessiva crescita delle cellule che compongono un tessuto e può avere una natura benigna o maligna. In quest’ultimo caso viene anche definita cancro, proprio per le sue proprietà infiltrative ed invasive dei tessuti limitrofi ma anche distanti, ed in questo caso parliamo di metastasi.

Le patologie neoplastiche sono tristemente note per la loro aggressività e soprattutto per le difficoltà che incontra la terapia nel combatterle. Chemioterapia e radioterapia, insieme all’approccio chirurgico sono le metodiche utilizzate nella maggior parte dei casi, ma non sono scevre di effetti collaterali.

Numerosi studi, però, stanno rivoluzionando la prognosi delle malattie neoplastiche. È stato dimostrato che i tumori hanno uno stretto rapporto con il sistema immunitario, il quale è in grado di condizionare la crescita e la malignità delle neoplasie.

Purtroppo, le cellule tumorali sono in grado di sopprimere la risposta immunitaria, causando lo “spegnimento” dei linfociti, fondamentali difensori del corpo umano.

I linfociti sono cellule del sistema immunitario in grado, attraverso vari meccanismi, di sconfiggere patogeni e garantire un corretto equilibrio tra tutte le cellule del nostro organismo. Essi hanno anche il compito di riconoscere ed eliminare cellule che hanno subito delle alterazioni, evitando la nascita di un tumore. Questo sistema di vigilanza, però, può essere eluso ed è uno dei tanti meccanismi che utilizzano le cellule neoplastiche per la loro sopravvivenza.


Abbiamo detto, quindi, che le cellule tumorali sono in grado di sp
egnere il sistema immunitario, evitando che quest’ultimo le attacchi. È possibile evitare ciò?

Proprio quest’anno il premio Nobel per la medicina è stato assegnato a due ricercatori impegnati nello studio dell’immunoterapia anticancro: James P. Allison e Tasuku Honjo. Entrambi hanno cercato di chiarire quali fossero i freni del sistema immunitario attivati dal cancro. Ci sono riusciti, individuando numerose proteine espresse sia dalle cellule tumorali che dai linfociti T che, se attivate, possono rendere anergiche le cellule immunitarie. Dette proteine vengono definitecheckpoint immunitari”, ovvero tappe fondamentali della regolazione della tolleranza immunologica. In poche parole servono per distinguere una cellula propria (self) da una estranea (non self).

Alcune delle proteine “freno” implicate nella inibizione della risposta immunitaria.

Andando avanti si sono chiesti se fosse possibile inattivare queste proteine, facilitando l’azione dei linfociti. Cio è possibile grazie all’uso degli anticorpi monoclonali.

Ma cosa sono gli anticorpi? Sono proteine adibite a varie funzioni di difesa, capaci di legare degli antigeni, cioè determinate porzioni di un agente estraneo presente nell’ospite.

Rappresentazione schematica della struttura di un anticorpo.

Se gli anticorpi vengono prodotti naturalmente dal nostro organismo, invece, gli anticorpi monoclonali vengono sintetizzati in laboratorio grazie all’ingegneria genetica, in particolare sfruttando la tecnica dell’ibridoma.

Utilizzando degli anticorpi monoclonali diretti contro le proteine “freno” la loro azione viene annullata, causando l’eliminazione da parte dei linfociti T delle cellule neoplastiche.

Ed è questo lo scopo dell’immunoterapia: potenziare il sistema immunitario dell’ospite affinché possa combattere il tumore in maniera mirata e precisa.

I risultati sono notevoli; nella maggior parte degli studi clinici i pazienti vedono un miglioramento della loro patologia, con effetti positivi maggiori soprattutto in soggetti affetti da tumori immunogenici, ovvero quelli che più facilmente evocano una risposta immunitaria. Tra questi possiamo citare il melanoma, una neoplasia molto aggressiva che origina dalla cute.

Ma l’immunoterapia offre altre opzioni; gli anticorpi monoclonali possono essere utilizzati per veicolare farmaci, tossine o isotopi radioattivi capaci sconfiggere le cellule neoplastiche. In questo modo, la molecola trasportata dall’anticorpo riesce ad uccidere in maniera specifica le cellule tumorali alle quali si lega.

Un’altra applicazione dell’immunoterapia anticancro è quella della immunizzazione attiva. Essa consiste nel somministrare al paziente degli antigeni tumorali, in modo da sensibilizzare il sistema immunitario verso determinate caratteristiche del tumore. Ciò porterebbe alla regressione del cancro, in quanto i linfociti T, riconoscendo le cellule tumorali sarebbero in grado di ucciderle.

Se tali intuizioni fossero corrette si assisterebbe alla nascita di veri e proprio vaccini anticancro.

Uno studio ha dimostrato che solo il 20% dei pazienti affetti da melanoma maligno presenta una regressione del tumore. I motivi ancora non si conoscono ma numerosi ricercatori si muovono in questa direzione.

Per quanto riguarda i nuovi farmaci antitumorali ne esistono vari, ed ognuno è specifico nella sua funzione. Si tratta di anticorpi monoclonali diretti verso precisi bersagli proteici (tra i quali i già citati “freni del sistema immunitario“). Trastuzumab, ad esempio, viene utilizzato nel cancro della mammella; Nivolumab, anticorpo monoclonale che inibisce il checkpoint immunitario PD1, viene usato nel trattamento del melanoma maligno.

Meccanismo d’azione di Trastuzumab

Se da un lato, però, l’immunoterapia presenta una notevole quantità di aspetti positivi (bassa tossicità dei farmaci, maggiore efficacia…) dall’altro i costi elevati sono un vero e proprio peso che grava sulla sanità pubblica. 

Di certo viviamo in un epoca in cui la ricerca e la medicina stanno facendo passi da gigante; ma riusciremo mai a parlare del cancro come una malattia rara? Se consideriamo i recenti studi e quelli in corso abbiamo ottime possibilità.

Carlo Giuffrida