Il morbo di Parkinson: l’impatto della malattia sulla qualità di vita

Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa a carattere lentamente progressivo che colpisce particolari aree del cervello deputate al controllo dei movimenti e dell’equilibrio. 

1. Epidemiologia
2. Eziologia e fattori di rischio
3. Fisiopatologia
4. Sintomi e segni clinici
5. Diagnosi 
6. Terapia e qualità di vita

Epidemiologia

Principali sintomi motori e neuropsichiatrici della malattia. Fonte

La malattia di Parkinson è diffusa in tutto il mondo, colpisce diversi gruppi etnici ed entrambi i sessi, con una lieve prevalenza per quello maschile. Esordisce tipicamente intorno ai 60 anni, ma nel 5-10% dei casi è stato osservato un esordio più precoce, ovvero tra i 20 e i 50 anni di età. La sua prevalenza nei paesi industrializzati, nei quali la speranza di vita media è più elevata, si attesta intorno allo 0,3%. Rientra all’interno di un gruppo più ampio di patologie, note come “Disordini del Movimento” ed è seconda solo all’Alzheimer tra le malattie neurodegenerative più comuni.

Eziologia e fattori di rischio

L’eziologia della malattia di Parkinson viene definita multifattoriale, poiché legata all’interazione di diverse componenti. Inizialmente si riteneva che la malattia colpisse i pazienti in modo sporadico, ma una serie di osservazioni ha portato ad affermare che almeno un 10-25% dei casi sia associato ad una componente genetica.  Anche l’ereditarietà rappresenta un fattore di rischio, in quanto una certa quota di pazienti presenta almeno un parente affetto dalla malattia. Altri possibili  fattori eziologici sono rappresentati dall’età avanzata, dalle infezioni (encefaliti), dalle lesioni cerebrali (traumi ed emorragie). L’assunzione di caffeina, il fumo e l’attività fisica sono associati ad un rischio più basso, così come il consumo di legumi e cibi ricchi di vitamina D e antiossidanti. Al contrario, l’esposizione durante l’attività professionale a insetticidi, erbicidi o metalli comporterebbe un aumentato rischio di sviluppare la malattia, così come la residenza in ambienti rurali.

Fisiopatologia

La malattia di Parkinson è una conseguenza della ridotta produzione di dopamina, causata dalla morte dei neuroni presenti nella substantia nigra. Quest’ultima è una struttura dei nuclei del tronco encefalico e appartiene ad una serie di circuiti definiti “gangli della base“. Essi sono fondamentali per consentire alla corteccia cerebrale di sviluppare delle strategie di controllo dei movimenti, dell’equilibrio e della coordinazione. Quando si decide volontariamente di compiere un’azione, è necessario che la dopamina riduca l’inibizione di quel determinato compito: livelli bassi di questo fondamentale neurotrasmettitore rendono più complesso l’avvio del movimento. I meccanismi responsabili della morte cellulare dei neuroni dipendono da fattori genetici e ambientali. Alcune mutazioni genetiche sarebbero in grado di determinare l’accumulo di proteine e la formazione di corpi inclusi all’interno dei neuroni, i “corpi di Lewy“. Il danno, inoltre, potrebbe essere correlato anche allo stress ossidativo, all’aggregazione di proteine e alla disfunzione di organelli citoplasmatici.

Il danno a carico della substantia nigra riduce il rilascio di dopamina. Fonte

Sintomi e segni clinici

I principali sintomi motori del morbo di Parkinson includono il tremore a riposo, la rigidità, la bradicinesia, il mancato controllo della postura e dell’equilibrio. Spesso il tremore inizia in modo subdolo presentandosi in modo asimmetrico e incostante. Il paziente avrà difficoltà a camminare, procede a piccoli passi per mantenere il baricentro (festinazione) e presenterà un maggiore sforzo nell’avviare i compiti motori. Al quadro clinico appena descritto si aggiunge la possibilità di sviluppare demenza e disturbi del sonno, mentre il coinvolgimento del sistema nervoso autonomo e periferico sarà responsabile di una serie di aspetti. Tra questi ricordiamo dismotilità intestinale, incontinenza urinaria, anosmia, disfagia e ipotensione ortostatica. Due segni clinici associati al Parkinson includono la facies ipomimica e la micrografia, causati da una riduzione del controllo dei muscoli. Possono presentarsi anche disturbi neuropsichiatrici che colpiscono l’umore, il linguaggio, la cognizione, comportando talvolta allucinazioni e deliri.

Diagnosi

La diagnosi della malattia si esegue prevalentemente attraverso la clinica e l’esame obiettivo, è possibile sottoporre il paziente a test neurologici che dimostreranno una certa difficoltà nell’eseguire movimenti rapidi e in successione, riduzione dei riflessi, tremore e rigidità delle articolazioni. Infine, è possibile eseguire TC o RMI per dimostrare la presenza di danni cerebrali correlati alla malattia o escludere altre cause di ipocinesia e tremori legate ad altre patologie o all’utilizzo di particolari farmaci. Negli ultimi decenni si sono diffusi anche dei sistemi diagnostici più precisi, in grado di iniettare dei traccianti radioattivi e misurare il metabolismo di particolari distretti, soprattutto per quanto riguarda i livelli di dopamina.

La risonanza magnetica evidenzia una riduzione dell’attività della substantia nigra nel paziente affetto dalla malattia. Fonte

Terapia e qualità di vita

Il morbo di Parkinson non ha una cura, per cui le terapie somministrate hanno come scopo quello di ridurre i sintomi e la progressione della malattia. Il farmaco più utilizzato è la Levodopa, in quanto contiene un principio attivo che i neuroni trasformeranno in dopamina, allo scopo di ridurre i sintomi motori; altri farmaci includono agonisti della dopamina. Quando il trattamento farmacologico non è più sufficiente a controllare la malattia, è possibile ricorrere a interventi chirurgici, tecniche di stimolazione cerebrale profonda e soprattutto cure palliative per migliorare la qualità di vita del paziente. La disabilità della malattia è legata anche ai sintomi non motori, come la difficoltà nell’alimentazione e nella deglutizione, il rischio di polmonite ab ingestis. Bisogna considerare, infine, l’impatto che i sintomi neuropsichiatrici comporteranno sulla vita del paziente, del partner, dei familiari, così come i costi molto elevati per il sistema sanitario. Le lunghe aspettative di vita del paziente e la moltitudine dei sintomi impongono la necessità di pianificare delle cure palliative che rispettino le volontà del paziente, come la terapia del dolore, proponendo dei mezzi diagnostici e assistenziali rivolti al malato e al suo nucleo familiare.

Fonte

                                                                                                                                                                                                                             Alessandra Napoli

Bibliografia:

Istituto Superiore di Sanità: Malattia di Parkinson

Manuale MSD: Morbo di Parkinson

Parkinson.it: La Malattia di Parkinson

Wikipedia: Malattia di Parkinson

Falso ma Bello o Vero ma Brutto?

La diffusione delle notizie false è ormai diventata una piaga diffusa nella società contemporanea. Spesso queste notizie sono veicolate attraverso i social media e altri mezzi di comunicazione raggiungendo un vasto pubblico e influenzando opinioni e decisioni. Questo fenomeno non è casuale bensì è il risultato di complessi meccanismi psicologici e sociali che influenzano il modo in cui percepiamo e valutiamo le informazioni ed in particolar modo la narrazione gioca un ruolo cruciale nella trasformazione della realtà apparente o del parere soggettivo in verità incontestabile ma nei fatti, spesso, quantomeno dubbia.

Lo storytelling, quindi, può plasmare la nostra percezione della realtà e renderci in grado di credere a qualsiasi cosa, dai complotti sui Rettiliani fino alla credenza che i piccioni in realtà non esistano e siano robot governativi passando magari per Terra Piatta e Vaccini. E’ perciò fondamentale, per non farsi ingannare, imparare a riconoscere le notizie false e a distinguerle dai dati di fatto e dalle opinioni.

Speriamo che il seguente articolo possa arricchire lo spirito critico di chiunque lo leggerà.

  1. Partiamo dal Cervello: Come si elabora un pensiero?
  2. Notizie false: Sogno o Incubo?
  3. Come valutare criticamente una informazione?
Un “mondo” nella scatola cranica , CNSC Centro di Neuroscienze Comportamentali. Fonte

Partiamo dal Cervello: Come si elabora un pensiero?

Partiamo dal Cervello: Come si elabora un pensiero?

L’analisi neurofisiologica dell’elaborazione del pensiero e del pensiero critico coinvolge diverse aree del cervello che interagiscono per integrare, interpretare e valutare le informazioni.
Una delle regioni chiave coinvolte in questo processo è la corteccia prefrontale, situata nella parte anteriore del cervello, in quanto è coinvolta in molte funzioni cognitive superiori. Tra queste sono incluse: l’integrazione di informazioni provenienti da varie fonti, la pianificazione, il ragionamento e il controllo delle emozioni.

In particolare pensiamo all’area dorsolaterale e a quella orbitofrontale.

L’area dorsolaterale è associata al pensiero critico e alla valutazione delle informazioni mentre quella orbitofrontale è coinvolta nella regolazione delle emozioni, nella valutazione delle ricompense e dei rischi e a creare risposte empatiche e socialmente accettate.

Altre strutture coinvolte nel processo di elaborazione del pensiero includono:

  • sistema limbico (che regola le emozioni e il coinvolgimento affettivo nella presa di decisioni)
  • amigdala (che svolge un ruolo chiave nella risposta emotiva e nell’apprendimento associativo)
  • sistema dopaminergico (coinvolto nella motivazione, nella gratificazione e nel mantenimento dell’attenzione).

Nel contesto delle notizie false l’elaborazione delle informazioni avviene attraverso complesse reti neurali che integrano input sensoriali, memorie passate e valutazioni emotive. Le fake news spesso attivano le stesse aree cerebrali coinvolte nella risposta emotiva e nell’apprendimento, suscitando una risposta affettiva che può influenzare il giudizio e la percezione della veridicità delle informazioni fino a modificare l’attività cerebrale e alterare la percezione della realtà. Ad esempio il sistema dopaminergico può giocare un ruolo nella suscettibilità alle fake news poiché l’elaborazione delle informazioni gratificanti può influenzare la percezione della loro veridicità e la volontà di condividerle con gli altri auto-alimentando ed estendendo alla massa un certo concetto.

In sintesi, l’analisi neurofisiologica dell’elaborazione del pensiero rivela una complessa interazione di regioni cerebrali e reti neuronali coinvolte nella valutazione delle informazioni, nelle emozioni e nel giudizio critico. Comprendere come e perchè un’informazione ci coinvolga emotivamente è ciò che ci permette di contrastare la disinformazione col pensiero critico.

 

Narrazione nella psicologia | Profumo di storie | Marina di Marco. Fonte

Notizie false: Sogno o Incubo?

Uno dei meccanismi che favorisce la diffusione di una notizia falsa è l’effetto del falso consenso, un noto errore cognitivo che ci porta a proiettare sugli altri il nostro modo di pensare, convincendoci che tutti la pensino come noi. Questo processo è particolarmente diffuso nei gruppi di individui, dove crea una presunta omogeneità di idee che, statisticamente, è infondata. Tuttavia, questa presunta omogeneità, è alimentata da un pregiudizio del consenso che ci fa credere che le nostre opinioni siano più diffuse di quanto non siano realmente.

Parallelamente esiste il cosiddetto “Effetto Dunning-Kruger”, che è un famoso fenomeno psicologico che si manifesta quando individui poco esperti in un certo campo sovrastimano le proprie capacità. Spesso si arriva persino a considerarsi superiori alla media per il cosiddetto “Pregiudizio della Superiorità Illusoria”. Ciò si manifesta quando le persone non sono in grado di riconoscere la propria mancanza di competenza in qualcosa e in assenza di consapevolezza delle proprie capacità queste non possono essere valutate correttamente.
Tutti questi fenomeni, uniti a una narrazione intrigante e spesso arbitraria (se non del tutto falsa) di un fatto e alla sua semplificazione portano alla romanticizzazione di un mondo che nella realtà appare ben poco fiabesco ma senza dubbio più emotivamente intrigante e apparentemente “appagante” per il proprio intelletto anche se in negativo.

 

Pensiero lento e veloce: due sistemi, una sola mente / Filippo Frisina. Fonte

Come valutare criticamente una informazione?

In conclusione l’ascesa delle notizie false costituisce una delle sfide più pressanti della nostra epoca, minando profondamente la fiducia nelle istituzioni democratiche e nella scienza e alimentando l’eccessiva polarizzazione politica. Affrontare questa sfida richiede un approccio sinergico di piattaforme digitali, media, organizzazioni civili e governative, le quali dovrebbero puntare all’istruzione e alla formazione non solo per fornire competenze di base nella valutazione delle fonti ma anche a coltivare un pensiero critico e riflessivo riguardo alle informazioni che riceviamo.

Le principali Red Flag a cui fare attenzione quando si legge una notizia sono:

  • Titoli altisonanti e particolarmente provocatori
  • Narrazione di un fatto che mira a coinvolgere emotivamente chi legge ad esempio usando Titoli in Maiuscolo con molti punti esclamativi volti ad attirare l’attenzione
  • Conflitti d’interesse o coinvolgimento emotivo in chi narra un fatto
  • Mancanza di prove o prove facilmente evidenziabili come false

Visto quanto detto prima si consiglia di fare sempre, in particolar modo quando abbiamo a che fare con notizie particolarmente polarizzanti ed emotivamente conturbanti, il fact checking delle notizie (in tal senso ci auguriamo che possiate trovare utili i consigli detti prima) e di affidarsi a Mezzi di Informazione indipendenti e con fonti verificabili, complete ed attendibili. 

Questo ci permetterà di distinguere tra ciò che è vero e ciò che è falso adottando comportamenti informati e responsabili e creando opinioni più funzionali e adeguate.

                                                                                          Simone Garretto

Bibliografia:
https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fninf.2020.607853/full https://www.neurowebcopywriting.com/come-il-cervello-valuta-attendibilita-informazioni/?cn-reloaded=1 https://unikore.it/wp-content/uploads/2024/03/20-lobo_frontale23.pdf
Psicologia delle fake news | Psicologia Contemporanea
Fake news, i meccanismi cognitivi che ci fanno cascare (tutti) nelle bufale – Agenda Digitale
Le fake news influenzano i nostri comportamenti? | Recenti Progressi in Medicina
FAKE NEWS: cosa sono e come difendersi – Cittadinanzattiva una organizzazione, fondata nel 1978
Inganni mentali e causalità apparente. La teoria di Daniel Wegner | DPU | Diritto Penale e Uomo
Attendibilità delle informazioni: il ruolo delle emozioni
cervello, struttura e funzione del in “Dizionario di Medicina” – Treccani – Treccani
Effetto Dunning-Kruger: l’importanza di sapere di non sapere
https://www.pnas.org/doi/full/10.1073/pnas.1517441113
https://www.neuroscienzecomportamentali.it/blog/conoscere-il-cervello/
https://www.skuola.net/news/fun/parole-ostili-festival-comunicazione.html

Neuroestetica: la scienza dietro l’arte

La disciplina che concilia le neuroscienze e l’estetica, intesa come sfera del sensibile in riferimento all’arte, e che si promette di studiare con metodo scientifico i processi neurofisiologici coinvolti nel godimento dell’opera d’arte.

Origini della Neuroestetica

Si tratta di un ambito di ricerca relativamente nuovo, proposto dal neurobiologo Semir Zeki nei primi anni del Duemila e formalmente definita come “studio scientifico delle basi neurali per la contemplazione e creazione di un’opera d’arte” in occasione della fondazione dell’Istituto di Neuroestetica (2002).
Il significato della disciplina è sostenuto dal suo fondatore con l’argomentazione che non può esistere una teoria estetica completa senza la totale comprensione dei fondamenti neuronali.
Zeki inoltre sostiene che vi sia un percorso parallelo per artisti e neuroscienziati della vista e un fine comune di scoprire le distinzioni del mondo visivo e, simultaneamente, i meccanismi cerebrali coinvolti.

Meccanismi cerebrali

Si può quindi comprendere per quale ragione molte volte i dipinti violano le leggi della fisica del mondo reale nell’ambito di ombre, colori e contorni: l’obiettivo dell’artista non sarebbe tanto la rappresentazione fedele al mondo esterno, quanto ricreare le scorciatoie percettive usate dal cervello.

La “manipolazione” cerebrale sfruttata dagli artisti risiede nel percorso compiuto dall’informazione visiva. Tutto inizia a livello della corteccia visiva primaria, dove i neuroni registrano informazioni come linee e curve del campo visivo.

L’informazione poi procede secondo due percorsi, distinti ma collegati, verso l’area ventrale e dorsale del cervello, coinvolte nell’elaborazione visiva: la corrente ventrale, o “via del Cosa”, si estende dalla corteccia visiva primaria alla corteccia temporale inferiore ed è associata al riconoscimento di forme, colori e in generale della rappresentazione degli oggetti.

La seconda è la corrente dorsale, anche detta “via del Dove” o “via del Come”, e ha inizio nella corteccia primaria visiva (V1) con termine nella corteccia parietale posteriore. La sua funzione è di localizzare l’oggetto all’interno del campo visivo grazie anche ad informazioni complementari come luce e movimento, oltre ad essere un’importante componente per afferrare oggetti.

Da cosa è costituita l’opera d’arte?

Gli elementi che compongo l’opera d’arte sono colore, forma, texture e disegno, ma ancora più semplicemente distinguiamo colore e luce: il primo esprime emozioni e simboli, la seconda descrive le forme, il tratto e la texture.

Mentre il colore è un aspetto dell’opera costantemente analizzato e approfondito, la luce, nonostante possieda un ruolo chiave nella composizione artistica, è ancora poco sfruttata dagli artisti stessi.
Un perfetto esempio di ciò è rappresentato dalla corrente impressionista; si affaccia sul mondo dell’arte figurativa verso la fine del XIX secolo a seguito della diffusione del neoclassicismo, avvenuta qualche decennio prima, da cui prende le distanze, facendo dell’uso sperimentale di luce e colore un manifesto.

Un esempio di studio

Si prenda in esame il quadro di Claude Monet “Impressione, levar del sole” (1872), da cui derivò il nome della corrente.
Lo si confronti con una versione monocroma della stessa opera e si rimuova uno dei due elementi chiave, il colore. E’ possibile così soffermarsi maggiormente sulla luce del dipinto e in particolare su come il sole e le nuvole siano stati rappresentati con la stessa luce dall’artista e volutamente.

Se, infatti, Monet fosse rimasto fedele alla realtà raffigurando quindi un sole più chiaro e luminoso dello sfondo su cui si staglia, paradossalmente sarebbe risultato meno brillante rispetto alla versione definitiva.

Tre versioni del dipinto di Monet “Impressione, levar del sole”: originale (in alto), monocromatico (centro), con la luminosità del sole resa realistica (in basso). Fonte: Light Vision

Il fenomeno pittorico appena illustrato si può spiegare a livello cerebrale prendendo in esame l’elaborazione separata dell’informazione visiva convogliata dalle due correnti.

Laddove la via del Cosa trasmette informazioni riguardo al colore, la via del Dove è insensibile al colore.
La seconda è tra i due il sistema più antico e in grado di rilevare con maggiore precisione la luce e le sue variazioni. Come conseguenza, registra anche il movimento e la profondità degli oggetti rispetto allo sfondo.

L’opera impressionista riesce dunque ad ingannare la via del Dove. Davanti agli oggetti isoluminanti (come il sole e il mare, con intensità luminosa uniforme), non potendo contare sull’aspetto cromatico, non riesce a registrarne la posizione o la profondità.  Il risultato di questo fenomeno è quella sensazione di apparente movimento delle onde e dello scintillio del sole riflesso sull’acqua.

Rafforza l’illusione la tecnica pittorica scelta da Monet: tante pennellature brevi sulla tela, che richiedono all’osservatore di essere unite in tratti unici.

L’antitesi classicista

Una controprova della teoria si ha osservando un’opera che rappresenta una scena d’azione, ottenuta facendo uso di luce a diverse intensità: ne “Il ratto delle Sabine” di Nicolas Poussin (1638), l’eccesso di movimento e dettagli raffigurati dall’autore finiscono per avere un effetto paralizzante. 
Il cervello dell’osservatore si sofferma a studiare il maggior numero possibile di particolari. Esso, però, ontemporaneamente fissa le figure sullo sfondo, perdendo così la sensazione di slancio delle figure.

La Neuroestetica non si ferma qui

la Neuroestetica si dimostra promettente verso future applicazioni, specie nella comprensione dell’impatto dell’opera sull’osservatore nel campo dell’arte visiva; ma anche nel mondo architettonico per la costruzione di edifici abitativi e in ambito clinico riguardo gli effetti di malattie neurodegenerative sulla percezione artistica.

Eleonora Calleri

FONTI:

Neurobiology of sensation and reward, Chapter 18, A. Chatterjee: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK92788/#ch18_r52
Light vision, M. Livingstone: https://switkes.chemistry.ucsc.edu/teaching/CROWN85/literature/lightvision.pdf
Neuroaesthetics: an introduction to visual art, T.S. McClure, J.A. Siegel: https://journals.sagepub.com/doi/10.1177/1745691615621274
The neuroaesthetics of architectural spaces, A. Chatterjee, A. Couburn, A. Weinberger: https://doi.org/10.1007/s10339-021-01043-4
Art produced by a patient with Parkinson’s disease, A. Chatterjee, R.H. Hamilton, P.X. Amorapanth: https://doi.org/10.1155/2006/901832

Neuroni specchio: un nuovo modo di comprendere gli altri

Il linguaggio verbale, l’empatia, la capacità di imparare velocemente mediante imitazioni, sono tutte peculiarità che rendono l’uomo un essere “speciale”.

https://www.genteditalia.org

Una nuova scoperta

I neuroni specchio forniscono un semplice meccanismo neurale per comprendere le azioni degli altri.
Infatti, la loro scoperta ha portato a un nuovo modo di pensare a come generiamo le nostre azioni e come monitoriamo e interpretiamo quelle degli altri.
Inoltre, permette di comprendere l’empatia come partecipazione immediata e compassionevole ad una risposta, consentendo la comprensione dei sentimenti delle altre persone.

Una nuova scoperta

Cosa sono?

Prove sperimentali

Immedesimarsi senza sforzo

Un vantaggio evolutivo

Neuroni specchio in alcuni disturbi neurologici

Il campo dell’Autismo

Conclusione

Cosa sono?

I neuroni specchio sono una classe di neuroni che modulano la loro attività sia quando un individuo esegue uno specifico atto motorio, come afferrare un oggetto, sia quando osserva passivamente lo stesso o un simile atto compiuto da un altro individuo.
Sono stati segnalati per la prima volta circa 20 anni fa nell’area premotoria ventrale del macaco F5.
Oggi alcuni studi affermano che siano presenti anche nel cervello umano, in tutto il sistema motorio: cortecce premotoria ventrale e dorsale e la corteccia motoria primaria, oltre ad essere presenti in diverse regioni della corteccia parietale. Questo sistema è alla base dei meccanismi di apprendimento per imitazione.

https://www.stateofmind.it

Prove sperimentali

La prova dell’esistenza di un sistema specchio nell’uomo, proviene da studi di neuroimaging e indagini neurofisiologiche non invasive (elettroencefalografia, magnetoencefalografia e stimolazione magnetica transcranica). Il neuroimaging ha dimostrato l’esistenza di 2 reti principali con proprietà specchio.
Una rete risiede nel lobo parietale e nella corteccia premotoria più la parte caudale del giro frontale inferiore (sistema specchio parietofrontale) coinvolto nel riconoscimento del comportamento volontario.
L’altra è formata dall’insula e la corteccia frontale mesiale anteriore (sistema specchio limbico), dedicato al riconoscimento del comportamento affettivo.
È opinione diffusa che i neuroni specchio siano un adattamento genetico per la comprensione dell’azione. Si pensa infatti che siano stati progettati dall’evoluzione per svolgere una specifica funzione socio-cognitiva.

Immedesimarsi senza sforzo

I neuroni specchio interagiscono anche con le aree emotive del cervello, come l’insula e l’amigdala che sono i motori fisiologici dell’empatia.
Una scienziata inglese, Tania Singer, ha per esempio utilizzato la risonanza magnetica funzionale per esaminare l’attività cerebrale di un gruppo di giovani donne.
Ha scoperto così che aree del cervello che si attivano quando percepiamo un dolore sono le stesse che reagiscono quando una persona alla quale siamo legate riceve lo stesso trattamento.
La scoperta dei neuroni specchio dimostra così che immedesimarsi negli altri non comporta nessuno sforzo particolare: è un meccanismo che l’evoluzione ha selezionato perché vantaggioso.

https://lh3.googleusercontent.com

Un vantaggio evolutivo

Comprendere il potenziale vantaggio evolutivo del meccanismo dei neuroni specchio ha permesso di spiegare una serie di competenze precoci, una sorta di programma innato parziale come lo è il pianto o la sensibilità alla voce umana.
Questo permette di spiegare come mai un neonato già dopo poche ore dalla nascita è in grado di riprodurre movimenti della bocca e del volto della mamma.

Neuroni specchio in alcuni disturbi neurologici

Il fenomeno dei neuroni specchio sta acquisendo rilevanza clinica nel campo dei disturbi dello spettro autistico e dell’apoplessia celebrale (ictus), ovvero l’arresto improvviso delle funzioni cerebrali provocato da un’emorragia. Infatti un aspetto di possibile rilevanza clinica del sistema specchio è la riabilitazione degli arti superiori dopo ictus.

Esistono inoltre evidenze, sebbene ancora preliminari, di un possibile sottosviluppo o menomazione del sistema specchio nell’autismo e in quei disturbi psichiatrici in cui la competenza sociale è compromessa.

https://culturaemotiva.it

Il campo dell’Autismo

Clinicamente, alcuni deficit funzionali tipici del disturbo dello spettro autistico, come l’isolamento sociale e i deficit nell’imitazione, nell’empatia emotiva e nell’attribuire intenzioni ad altri, potrebbero dipendere anche da un cattivo funzionamento dei neuroni specchio.
Il neurofisiologo Vilayanur Ramachandran è arrivato a queste conclusioni attraverso un particolare esperimento. Lo studioso ha misurato tramite elettroencefalogramma (EEG) nel cervello dei bambini una particolare onda cerebrale chiamata “onda Mu“.
Questa si blocca ogni volta che una persona compie un movimento volontario, ma anche quando si osserva qualcuno compiere la stessa operazione.
L’EEG dei bimbi autistici esaminati ha dimostrato che essi presentavano l’interruzione dell’onda Mu quando si muovevano (non avevano infatti problemi motori) ma non quando osservavano gli altri compiere gli stessi movimenti.
Ramachandran ha quindi dedotto che nelle persone autistiche il sistema dei neuroni specchio possa essere deficitario.

Conclusione

In conclusione ciò che accomuna la capacità di commuoversi davanti a un film, di intuire al volo il significato di un gesto, di apprezzare un’opera d’arte, sono i neuroni specchio.
Essi sono chiamati così perché, proprio come uno specchio, hanno la particolarità di riflettere all’interno di ognuno di noi il mondo esterno.
Sono loro a consentirci di interpretare molto rapidamente le azioni degli altri, a farci sapere se la persona che abbiamo di fronte sta prendendo una tazzina per bere un caffè o invece per sparecchiare, se sta sollevando una mano per colpirci o per accarezzarci.

        “ L’unico modo per capire le persone è sentirle dentro di te”

                                                John Ernest Steinbeck

 

Ludovica Dibennardo

Bibliografia:

https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3898692/

https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rstb.2013.0169?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rstb.2013.0169?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://elibrary.de/doi/10.13109/prkk.2012.61.5.322?url_ver=Z39.88-2003&rfr_id=ori:rid:crossref.org&rfr_dat=cr_pub%20%200pubmed

https://jamanetwork.com/journals/jamaneurology/fullarticle/796996

Tra psiche e intestino: la Sindrome dell’Intestino Irritabile

Negli ultimi decenni si sta rivolgendo una maggiore attenzione nei confronti del rapporto tra intestino e cervello. Proprio questa comunicazione potrebbe, in parte, spiegare la SII, ovvero la Sindrome dell’Intestino Irritabile.

https://www.cure-naturali.it

  1. Cosa è?
  2. Come si sviluppa?
  3. Come curarla? Gli approcci
  4. Conclusioni

 

Cosa è?

La SII ( Sindrome dell’intestino irritabile), è un disordine intestinale di tipo funzionale.  Tale condizione è caratterizzata da dolore addominale e l’alternarsi di stipsi (mancata evacuazione) e diarrea.

La prevalenza mondiale è di circa il 10%. I soggetti interessati appartengono alla fascia compresa tra i 20 e i 40 anni, principalmente di sesso femminile (rapporto F:M di 2:1). Dunque, è una condizione abbastanza frequente e rappresenta una delle più comuni malattie gastrointestinali oggi diagnosticate.

Per la sua diagnosi si utilizzano i criteri di Roma IV:

  1. Dolori addominali intensi, acuti, a localizzazione periombelicale, della durata di un’ora o più;
  2. Intervallo di settimane o mesi tra gli episodi;
  3. Dolore invalidante e interferente con le normali attività;
  4. Dolore associato a 2 o più dei seguenti disturbi: anoressia, nausea, vomito, cefalea, fotofobia, pallore;
  5. I  sintomi non possono essere spiegati da altra condizione medica.

Va sottolineato che ad oggi la diagnosi è ancora di esclusione. Il ritardo che ne deriva ha delle conseguenze sia sul soggetto, in quanto questa sindrome impatta negativamente sulla qualità di vita, che sul Sistema Sanitario, poiché vengono eseguiti diversi esami e quindi un costo sociale elevato.

Come si sviluppa?

La SII è una sindrome multifattoriale in cui intervengono tre principali fattori: ipersensibilità viscerale, alterazioni dell’attività motoria gastrointestinale e disturbi della sfera psicologica.
Recenti studi hanno dato importanza anche alla composizione del microbiota intestinale, la cui alterazione potrebbe essere un fattore scatenante in soggetti predisposti.

A livello intestinale, il Sistema Nervoso si organizza in maniera peculiare e viene definito Sistema Nervoso Enterico.
Presenta diversi tipi di neuroni: alcuni deputati alla percezione del dolore (neuroni sensitivi), altri alla motilità intestinale (motoneuroni).
I soggetti affetti presentano l’alterazione di un tipo di neuroni sensitivi, i quali normalmente si attivano solo in caso di stimoli pericolosi. In questo caso invece, essi si attivano anche per stimoli innocui generando dolore. L’alterazione dei motoneuroni, invece, spiega la presenza di stipsi e diarrea.

https://www.royalqueenseeds.it

Una componente fondamentale nella fisiopatologia di questa sindrome è l’aspetto psicologico del paziente. Diversi disturbi di natura psicologica possono presentarsi in questi quadri clinici: ansia, ostilità, fobia, paranoia, somatizzazione e abuso di sostanze.
E’ stato osservato che in questi soggetti si ha maggiore tendenza a sviluppare sintomi in seguito ad eventi stressanti; pertanto i cosiddetti fattori ambientali (lavoro, studio, ecc) assumono un importante ruolo. Spesso i classici dolori crampiformi compaiono durante la giornata (per esempio al risveglio) in relazione a ciò che circonda la persona, mentre sono assenti durante il sonno o possono scomparire durante periodi di vacanza.
Soggetti stressati inoltre, possono sviluppare sintomi extraintestinali come disturbi del sonno, alterazioni del tono, lombosciatalgia o cistiti.

Come curarla? Gli approcci

Esistono due tipi di gestione: farmacologica e non farmacologica. La scelta viene effettuata sulla base della severità clinica.

Approccio non farmacologico
Molti pazienti traggono giovamento da una modifica della dieta: diete povere in glutine, ridotto consumo di fruttosio, lattosio o altri tipi di carboidrati. Tuttavia non esistono delle linee guida ufficiali, poiché la sensibilità a tali alimenti è del tutto soggettiva.
Un altro approccio non farmacologico è la terapia cognitivo comportamentale (TCC). Lo scopo è educare il paziente sulla sindrome e sulla gestione dello stress attraverso delle tecniche di rilassamento come la respirazione diaframmatica o il rilassamento muscolare progressivo.

Approccio farmacologico
 Il metodo farmacologico interviene soprattutto sulla sintomatologia. Principalmente vengono somministrati agenti antispastici per il dolore addominale e lassativi o antidiarroici per le variazioni dell’alvo. Nel caso di importante interessamento della sfera psicologica, utile è l’applicazione di antidepressivi.

https://www.news-medical.net

Infine, l’indicazione all’utilizzo di probiotici e il ricorso al FMT si spiegano in virtù delle evidenze di correlazione tra gastroenteriti infettive e SII. Un recente articolo di Pimentel M. e Lembo A., riporta le conseguenze osservate su modelli animali dopo un infezione enterica: alterazione della consistenza delle feci, aumentata presenza di cellule infiammatorie, alterazione della componente muscolare e della flora batterica.
Molti soggetti si nota una
variazione della composizione del microbiota dopo l’evento infettivo e, probabilmente, ciò potrebbe essere uno dei momenti chiave per lo sviluppo della sindrome.

Conclusioni

Da anni l’intestino viene soprannominato “secondo cervello” e, alla luce di quanto detto, si può comprendere il perché. Come del resto sosteneva il filosofo Feuerbache: “Noi siamo quello che mangiamo”.

Gaetano Giusino

Bibliografia:

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/32026278/

https://www.unigastro.it

 

Lo Spirito del Natale: questione di cuore o di cervello anche in pandemia?

Il mese di dicembre, da tutti, viene inevitabilmente associato al Natale: si inizia a percepire un’atmosfera magica, di festa, di gioia, si incontrano i familiari e gli amici e si riscoprono valori importanti quali la solidarietà, la famiglia, la bontà. Se l’atmosfera natalizia di gioia mista a nostalgia è nota, ciò che potrebbe non esserlo è la localizzazione del famoso “Spirito del Natale” nel cervello umano.

Secondo Hougaar (ricercatore in neuroscienze), Lo Spirito del Natale si è diffuso, di generazione in generazione, sotto forma di un “fenomeno” noto da un punto di vista religioso e commerciale, ma non noto da un punto di vista neuro-biologico. A tale scopo, nel 2015, il ricercatore ed i suoi collaboratori condussero uno studio a Copenaghen in cui vennero coinvolti due gruppi:

  • Il primo conteneva 10 soggetti sani residenti a Copenaghen, che festeggiavano ogni anno il Natale,
  • Il secondo 10 soggetti sani, residenti nella stessa zona, che non celebravano le tradizioni natalizie.

L’obiettivo dello studio era l’esatta localizzazione dello Spirito Del Natale a livello corticale e dei meccanismi neuro-biologici coinvolti, motivo per il quale i due gruppi furono sottoposti alla metodica diagnostica della risonanza magnetica funzionale (Functional Magnetic Resonance Imaging, fMRI) mentre osservavano una serie continua di 84 immagini, mostrate per due secondi ciascuna. La serie era strutturata in modo tale da mostrare ad ogni singolo soggetto sei immagini consecutive aventi un tema natalizio, seguite da sei immagini consecutive non aventi un tema natalizio. Ciascun soggetto, inoltre, dopo essere stato sottoposto alla fMRI, veniva sottoposto ad un questionario contente una serie di domande per indagare sulle credenze, sulle tradizioni rispettate e sulle sensazioni avvertite durante il periodo natalizio.

LO SPIRITO DEL NATALE ESISTE DAVVERO NEL CERVELLO?

Lo studio dimostrò che nel gruppo dei soggetti amanti del Natale, secondariamente all’osservazione delle immagini natalizie, si attivavano delle aree cerebrali in modo molto più significativo rispetto al gruppo dei non amanti del Natale. Grazie a questi risultati, il gruppo di Hougaar identificò un network cerebrale del Natale, che corrispondeva a diverse aree cerebrali, quali:

  • Corteccia motoria primaria;
  • Corteccia premotoria sinistra;
  • Lobo destro inferiore;
  • Lobo parietale superiore;
  • Corteccia somatosensoriale primaria.

PERCHÉ QUESTE AREE CEREBRALI SONO COSI’ IMPORTANTI?

Studi precedenti hanno associato tali aree cerebrali alla spiritualità e al riconoscimento facciale delle emozioni.
Urgesi, noto psicologo e ricercatore in neuroscienze, nel 2000 aveva già dimostrato come i lobi parietali destri e sinistri giochino un ruolo fondamentale nell’autotrascendenza, ovvero il tratto di personalità che determina la propensione individuale alla spiritualità; mentre Balconi dimostrò nel 2013 come la corteccia premotoria esplichi un ruolo chiave per esperire emozioni condivise con altri individui, mettendo in atto gli atteggiamenti altrui e riflettendo lo stato emotivo altrui. Infine, Adolphs nel 2000 dimostrò che la corteccia somatosensoriale è indispensabile non solo per il riconoscimento facciale delle emozioni, ma anche per ricavare informazioni sociali in rapporto alle espressioni e ai volti altrui.

IL NATALE E ALTRE RISPOSTE NEURO-ENDOCRINE

Il Natale, se da un lato è la festa gioiosa per eccellenza, dall’altro riflette le abitudini stressanti della società moderna: le attività pre-natalizie innescano una risposta fisiologica nell’organismo con rilascio di adrenalina e cortisolo. Il secondo, l’ormone dello stress, esercita una profonda attività sull‘ippocampo, con successivo decremento della capacità di apprendere e ricordare nuove informazioni. Tuttavia, al di là dell’aspetto prettamente materialistico che potrebbe condurre il soggetto ad eventi stressanti, il Natale è per eccellenza il simbolo della famiglia: la sensazione di “calore” associata a questi momenti è dovuta in parte all’ossitocina, definita da molti studiosi l’ormone dell’istinto materno e dei legami umani.

LA PANDEMIA CI RUBERÀ’ IL NATALE?

il Natale è ormai alle porte, anche se i festeggiamenti saranno differenti rispetto a quelli degli anni passati. Se da un lato è indispensabile evitare un aumento dei contagi, dall’altro bisogna considerare le conseguenze devastati a livello psichiatrico: l’isolamento esacerberà i disturbi di ansia e i disturbi depressivi maggiori, tanto da considerare questo periodo una vera e propria “emergenza psichiatrica“.

Come dimostrato in uno studio condotto su 402 pazienti al San Raffaele di Milano nei mesi scorsi, i pazienti con una precedente diagnosi di patologia psichiatrica sono peggiorati ed il 56% dei partecipanti allo studio ha manifestato almeno uno di questi disturbiin proporzione alla gravità dell’infiammazione durante la patologia:

  • disturbo post-traumatico da stress nel 28% dei casi;
  • depressione nel 31%;
  • ansia nel 42%;
  • insonnia nel 40%;
  • sintomatologia ossessivo-compulsiva nel 20%.

Sono state riscontrate ripercussioni psichiatriche meno gravi nei pazienti ricoverati in ospedale rispetto ai pazienti ambulatoriali. In generale, infatti, le conseguenze psichiatriche da COVID-19 possono essere causate sia dalla risposta immunitaria al virus stesso, sia da fattori di stress psicologico come l’isolamento sociale, la preoccupazione di infettare gli altri e lo stigma.

 COSA CONSIGLIANO GLI ESPERTI?

Secondo molti psichiatri, i festeggiamenti (nel limite delle norme imposte dal governo) sono un fattore prognostico positivo nel contesto della cosiddetta “ansia da pandemia”; anche la programmazione delle vacanze natalizie rappresenta un ponte tangibile tra il presente, incerto ed angosciante, ed il futuro.

Caterina Andaloro

Bibliografia

  • Adolphs, R., Damasio, H., Tranel, D., Cooper, G., Damasio, A.R. (2000). A role for somatosensory cortices in the visual recognition of emotion as revealed by three-dimensional lesion mapping. Journal of Neuroscience, 20 (7), 2683-2690
  • Balconi, M., Bortolotti, A. (2013). The “simulation” of the facial expression of emotions in case of short and long stimulus duration. The effect of pre-motor cortex inhibition by rTMS. Brain and Cognition, 83, 114-120.
  • Hougaard, A., Lindberg, U., Arngrim, N., Larsson, H.B.W., Olesen, J., Amin, F.M., Ashina, M., Haddock, B.T.  (2015). Evidence of a Christmas spirit network in the brain: functional MRI study. TheBMJ, 351:h6266.
  • Urgesi, C., Aglioti, S.M., Skrap, M., Fabbro, F. (2010). The spiritual brain: selective cortical lesions modulate human self-transcendence. Neuron, 65 (3), 309-319

 

Neuralink, l’interfaccia uomo-macchina sempre più vicina

  • Sembra di parlare di qualcosa di futuristico o di fantascienza

Ma in realtà il 28 agosto 2020 è stata presentata la demo di Neuralink, con dati scientifici alla mano. 

Il prodotto è stato testato su 3 simpatici maialini, umoristicamente chiamati “Cypork”, i quali godono tutti e 3 di perfetta salute. 

In un maialino usato come controllo non è stato installato Neuralink, in un altro è stato installato e rimosso dopo 2 mesi, dimostrando che è possibile rimuovere il dispositivo dal cervello senza alcun danno, nel terzo maialino Neuralink è ancora in funzione, mostrando le potenzialità di cui dispone. 

Ma cos’è Neuralink?

Neuralink è un dispositivo dotato di microchip ed elettrodi, in grado di far comunicare ed interagire un cervello con un computer, ideato e finanziato dall’imprenditore Elon Musk, CEO di Tesla e Space X, che sta facendo molto parlare si sè ultimamente.

Cosa propone di trattare Elon Musk con Neuralink? 

  • Danni cerebrali, dati da ictus, incidenti ecc 
  • Danni alla spina dorsale
  • Deficit sensoriali (cecità, sordità ecc)
  • Malattie neuro degenerative parkinson
  • Perdite di memoria
  • Malattie psichiatriche come ansia e depressione

 

Dati alla mano, cosa abbiamo? 

Il Neuralink attuale è un impianto invisibile intracranico, con 1024 elettrodi (gli attuali dispositivi arrivano ad una ventina di elettrodi) talmente fini che la loro installazione non produce sanguinamento. 

È installabile in day hospital, senza bisogno di anestesia generale e in una sola ora, traguardo grande rispetto gli attuali dispositivi medici di elettrostimolazione intracranica. 

 Inoltre è stato creato un robot chirurgico ad hoc per l’installazione del dispositivo, per aiutare i chirurghi consentendo pure meno eventuali errori.  

Permette contemporaneamente di “leggere” gli Spikes (la scarica elettrica ndr) dei neuroni, e di “scrivere” ovvero mandare Spikes ai neuroni a propria volta. 

 Grazie ai software odierni è possibile modulare gli spikes affinché si attivi solamente il gruppo  di neuroni che si desidera attivare. 

Attualmente è installabile solo nella corteccia cerebrale e nel midollo, ma presto sarà installabile pure in profondità, consentendo una migliore gestione del sistema limbico. 

Nei maialini c’è la dimostrazione pratica di cosa è in grado di fare, come per esempio andare a predire gli Spikes corretti da mandare al midollo perché si esegua una camminata su tapis roulant, con differenze minime rispetto agli spikes fisiologici. 

Elon, ha dichiarato che sarà possibile installare pure più di un dispositivo nella stessa persona. 

Il dispositivo si ricarica wireless la notte, avendo una durata di una intera giornata con una carica. 

 Attualmente è stata fatta la richiesta formale alla FDA (Food and Drugs Amministration) per i test sull’uomo, necessita ancora di qualche test animale e poi verrà approvato. 

L’azienda cerca altro personale (attualmente sono in cento) per sviluppare più velocemente l’uso sull’uomo e in larga scala. 

In conclusione, che dire? 

Che siamo davvero nel terzo millennio e si vede. 

Con questo dispositivo, qualora funzionasse pure sull’uomo (le premesse sono ottime), sarà possibile riportare ad una vita normale milioni di persone con varie disabilità, dai paraplegici ai non vedenti. 

Sarà possibile comunicare, qualora lo si “acconsenta” con altre persone i nostri veri pensieri in tempo reale, con un linguaggio non più verbale ma neurale, riuscendo ad esprimere davvero agli altri le nostre idee, le nostre emozioni. 

Si potranno vivere nuove esperienze in campo di gaming, musica, films e altre attività video ludiche. 

Potremo addirittura implementare i normali sensi arrivando ad avere una “super vista” o altro ancora. 

E, ancora più importante secondo il CEO Elon Musk, potremmo competere con le AI (Artificial Intelligence) che rischiano ben presto di superarci.  

Ovviamente non dimentichiamo che uno strumento del genere aprirà nuovi ed importanti dibattiti d’Etica:

Saremo noi o sarà il computer a pensare quello che stiamo pensando?

Non si rischia forse di oltrepassare il confine di ciò che significa “essere umani”?

Fortunatamente prima di provare a dare una risposta a queste domande, dovremo aspettare qalche altro anno, ma c’è da dire che stiamo vivendo in un’era meravigliosa, le differenze tra il futuro che immaginavamo e la realtà sono sempre più sottili. 

Siamo gli stessi artefici, consapevoli, della nostra evoluzione. 

What a beautiful time to be alive  

Roberto Palazzolo

Fonte: https://www.youtube.com/watch?v=sr8hzF3j2fo&feature=youtu.be&fbclid=IwAR0efnGp4slqkxVwwddrwlUe9-5Wcfh-q5WjUUtnWJd1xHVLQJMTetwJzEs  

Conferenza di Elon Musk del 28/08/2020 

 

Neuralink: l’ultima visione di Elon Musk è un’interfaccia cervello-computer

Tutto ciò che pensiamo, ogni nostra azione, ogni sensazione o emozione, non è nient’altro che il tradursi dell’attività elettrica dei nostri neuroni. E tale attività, caratterizzata da una serie di spikes, di potenziali elettrici, può essere captata da semplici elettrodi, impiegati da oltre 60 anni per studiare l’attività nervosa. I problemi sono catturare ed interpretare efficacemente e soprattutto utilizzare in tempo reale le informazioni raccolte. 

Elon Musk, visionario fondatore di TeslaSpaceXHyperloop ed altre imprese a dir poco innovative, ha lanciato due anni fa Neuralink, un’azienda specializzata in neurotecnologia, ovvero quell’insieme di metodi e strumenti che consentono una connessione diretta di componenti tecnici (elettrodi, computer o protesi intelligenti) con il sistema nervoso. E in soli due anni, grazie ad oltre 150 milioni di dollari di investimento, non sono mancati risultati sorprendenti. Qui la presentazione ufficiale. 

Elon Musk durante la presentazione di Neuralink a San Francisco

L’idea di sviluppare BMIs (brain-machine interfaces) non è nuova. Ricercatori in tutto il mondo hanno già dimostrato come sia possibile controllare il cursore di un computer, arti robotici o sintetizzatori vocali registrando l’attività elettrica del cervello tramite elettrodi. 
Ma l’idea di Musk è molto più ambiziosa: creare uninterfaccia cervello-computer che permetta una vera simbiosi tra il cervello umano e l’intelligenza artificiale. Infatti, ragionando in termini informatici, se la velocità di input del cervello umano è abbastanza elevata, potendo raccogliere enormi quantità di informazioni soprattutto tramite la vista, la velocità di output è un ostacolo enorme: siamo limitati dal dover digitare con i polpastrelli su una tastiera.

Le metodiche attuali per realizzare una BMI efficiente sono molto limitate per una serie di motivi: 

  • La registrazione dell’attività neuronale si limita a un basso numero di cellule nervose. 
  • Il posizionamento degli elettrodi sulla cute, in modo non invasivo, o anche sulla corteccia cerebrale, in modo invasivo, permette di captare segnali spesso aggregati, distorti e poco specifici, e impedisce di registrare segnali dalle strutture profonde del cervello. 
  • Gli elettrodi utilizzati sono particolarmente adatti ai fini di ricerca, ma non sono sufficientemente biocompatibili e longevi in ottica di un impiego a lungo termine. 

Il progetto Neuralink è riuscito in breve tempo a compiere enormi passi avanti. 

Innanzitutto, tramite l’utilizzo di polimeri, sono stati sviluppati elettrodi microscopici non rigidi ma flessibili, che garantiscono elevata biocompatibilità evitando l’attivazione della risposta immunitaria dell’ospite. 

Per facilitarne l’impianto, più elettrodi sono assemblati a formare delle sonde, a loro volta connesse da fili spessi da 4 a 6 micron, 10 volte più sottili di un capello umano. 
Trattandosi di dimensioni microscopiche, per garantire un impianto sicuro è stato anche sviluppato appositamente un robot, capace di installare le sonde autonomamente.  

Il robot è capace di inserire fino a 6 fili al minuto, ed ogni filo comprende ben 32 elettrodi. Il controllo del robot da parte di un software permette di stabilire a priori tutte le aree cerebrali sia superficiali che profonde in cui inserire gli elettrodi e di minimizzare gli incroci e la tensione sui fili, con estrema attenzione ad evitare i vasi sanguigni cerebrali. L’intero processo avviene comunque sotto la supervisione di un neurochirurgo, che all’occorrenza può intervenire manualmente. 

Infine, tutti i segnali captati dagli elettrodi vengono convogliati in un microchip, detto N1 sensor, e da qui trasmessi tramite connessione usb-c, presto sostituita da tecnologia wireless, ed elaborati in tempo reale da un mini pc che sarà posto dietro l’orecchio. Ciò permetterà un’interazione immediata tra uomo e macchina e il tutto potrà essere controllato tramite una semplice app per smartphone. 

Tutto questo sistema ha già permesso di collegare il cervello di un topo e di una scimmia ad un computer, utilizzando ben 3072 elettrodi distribuiti in 96 fili. E la scimmia è stata in grado di controllare il computer.  

Il prossimo obiettivo del progetto è ottenere entro il 2020 dalla U.S. Food and Drug Administration il permesso di sperimentare la tecnologia sull’uomo. Da qui, le prime applicazioni saranno in campo medico. Restituire il tatto, l’uso di un arto, la vista, l’udito, curare malattie neurodegenerative e migliorare dispositivi già sperimentati (come nel caso del Parkinson) sono le priorità 

A lungo termineMusk si lascia andare a visioni per molti utopiche: utilizzare le BMIs non solo a scopo terapeutico, ma per creare delle superintelligenze che in futuro possano competere con l’Intelligenza Artificiale, così che l’uomo non si trovi dietro i computer nella scala evolutiva. Scenario, questo, che fino a un decennio fa si limitava a film di fantascienza come Terminator, ma che oggi, data la crescita esponenziale della tecnologia, sembra poter essere sempre più reale. 

“Prestate attenzione alle mie parole, il pericolo dell’Intelligenza Artificiale è più grande del pericolo di conflitti nucleari, e di molto… Dobbiamo assicurarci che l’avvento della superintelligenza digitale si verifichi in simbiosi con l’umanità. Ritengo che sia la più grande crisi esistenziale da affrontare.” – Elon Musk 

 Davide Arrigo

Fonti: 

https://www.biorxiv.org/content/10.1101/703801v3
https://www.youtube.com/watch?v=r-vbh3t7WVI&feature=youtu.be
https://www.neuralink.com/
 

Pareidolia: ecco perché vediamo volti ed oggetti nelle nuvole

Vi sarà già capitato che, osservando il cielo, vi siate imbattuti in figure che vi ricordano oggetti, animali o addirittura dei volti. Questo fenomeno prende il nome di pareidolia (dal greco para, “vicino”, ed èidōlon, “immagine”), ovvero la tendenza ad interpretare uno stimolo vago come qualcosa di già noto a chi osserva.

Gli esempi sono molteplici: dai volti su formazioni rocciose a messaggi estrapolati da brani musicali ascoltati lentamente o al contrario (pareidolia acustica), fino a figure rilevate da immagini della superficie della Luna o di Marte:

Qualsiasi coppia di oggetti può potenzialmente assumere una disposizione tale da “ingannare” il nostro cervello, risultandoci a prima vista parte di un volto o un’immagine alternativa più familiare. Uno studio del 2009, infatti, utilizzando una metodica chiamata magnetoencefalografia, che permette di quantificare l’attività cerebrale mediante la misurazione dei campi magnetici, conferma come il cervello risulti effettivamente “ingannato”. Mostrando a un gruppo di soggetti delle immagini vagamente simili a delle facce reali, si è notata l’attivazione delle stesse aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti (e probabilmente anche di altri oggetti), a livello del lobo temporale, nell’area fusiforme facciale.

Questa tipologia di immagini “ambigue” ma dotate di un significato sembrerebbero lasciare una traccia duratura nel nostro cervello. Come dimostrato in uno studio pubblicato nel 2013, in seguito a ripetuti stimoli, il cervello interpreterebbe le immagini dandogli un significato e le archivierebbe mostrando quindi una forma di apprendimento, similmente a quanto avviene per immagini reali.

Il fenomeno sembrerebbe quindi fondamentale nell’apprendimento del significato di specifiche immagini, così da rendere possibile ad alcune persone di essere più veloci e abili di altre in specifici compiti. Basti pensare che i giocatori di scacchi professionisti attivano l’area in questione per riconoscere alcune situazioni di gioco ed essere più rapidi nell’elaborare una strategia; analogamente anche i radiologi esperti, al contrario degli studenti, nell’analizzare le immagini fanno uso delle potenzialità di questa regione del cervello.

Tutto ciò avrebbe anche un collegamento con una patologia del neurosviluppo, ovvero l’autismo. Infatti, nei soggetti affetti da questa condizione, è stata rilevata un’attivazione più debole dell’area in maniera proporzionale alla gravità della malattia stessa. Inoltre un danno a quest’area comporta l’assoluta incapacità nel riconoscere i volti. Questa condizione è chiamata prosopagnosia.

Anche se, durante la colazione, vedere che il caffè sorride ci possa sembrare una cosa divertente, è interessante pensare come dietro a questo fenomeno siano coinvolti dei meccanismi che stanno alla base delle nostre capacità di apprendimento e di relazione. La tendenza di vedere volti e in generale di dare un significato alle immagini, nasce dalla necessità di analizzare lo spazio intorno a noi e di identificare rapidamente la presenza di altri soggetti, di animali o di oggetti potenzialmente utili.

La pareidolia è quindi la dimostrazione pratica delle capacità di elaborazione e schematizzazione del nostro cervello che, seppur con finalità diverse, ci offre tutte le sue potenzialità sia in una situazione di pericolo sia nel caso in cui stessimo giocando una partita a scacchi, o anche quando osserviamo il cielo.

Antonino Micari

Stiamo diventando più stupidi?

Evitiamo per una volta i soliti preamboli del caso e andiamo dritti al punto: la risposta alla domanda posta come titolo di questo articolo sembrerebbe essere.

Almeno questo è quanto emerge da vari studi svolti recentemente.

Tra questi spicca uno studio norvegese pubblicato sulla rivista PNAS nel 2018 da Ole Rogeberg, effettuato su un campione di 730.000 ragazzi norvegesi di 18/19 anni sottoposti al test del QI per la leva militare obbligatoria tra il 1970 e il 2009. I risultati evidenziano un calo medio di 6-7 punti del QI nei nati tra il 1975 e il 1991. Considerazioni simili sono emerse da rilevazioni effettuate in Inghilterra su soggetti di una fascia di età sovrapponibile.

Un’altro dato interessante deriva dall’analisi del tempo medio di reazione ad alcuni stimoli, che secondo alcune ricerche sarebbe in aumento. I soggetti vengono invitati a premere un pulsante in seguito alla comparsa di suoni o stimoli luminosi. Essenzialmente, possiamo affermare che il tempo di reazione (tempo intercorso tra stimolo e pressione sul pulsante) in soggetti sani dipende dall’efficienza delle connessioni neuronali che vengono attivate dallo stimolo e dalla successiva elaborazione del segnale in specifiche aree del cervello per produrre una risposta motoria. Dunque, un aumento dei tempi medi di reazione sarebbe correlato a una minore efficienza nei processi di elaborazione e alla produzione di una risposta adeguata.

Capite bene come questo meccanismo, semplice all’apparenza, sia fondamentale dal punto di vista biologico, in quanto ci permette di affrontare una vastissima gamma di situazioni quotidiane. Pensate ad esempio alla rapidità necessaria per scansarsi in strada dalla traiettoria di una macchina dopo aver sentito il suono del clacson.

Curiosamente, fino a quarantanni fa il QI medio aumentava progressivamente (3 punti in media ogni decade con differenze da paese a paese). Questo fenomeno è noto come effetto Flynn.

È possibile correlare questo calo del QI a una o più cause?

Trovare risposta a queste domande è una sfida abbastanza ardua, tenendo presente la notevolissima quantità di fattori in gioco: sociali, culturali, biologici, psicologici, tecnologici, ecc.

Una prima ipotesi potrebbe essere mettere in discussione il metodo con il quale si misura il QI, ovvero il test stesso.

In altre parole: il test utilizzato per la misura del QI dovrebbe essere soggetto a modifiche in base ai cambiamenti socio-culturali delle nuove generazioni?

Potrebbe quindi essere il calo del QI rilevato soltanto dovuto a un errore metodologico, ovvero inerente al metodo con il quale viene misurata l’intelligenza?

Effettivamente potremmo essere di fronte a variazioni così radicali e “nuove” nelle attitudini delle generazioni più recenti, da ricondurre ad esempio all’uso sempre più intenso e precoce della tecnologia, che meriterebbero una rivalutazione dei metodi per misurare il QI.

Inoltre va considerato che dal punto di vista psicologico si suole dividere l’intelligenza in cristallizzata e fluida. La prima è la capacità di utilizzare conoscenze, competenze ed esperienze. La seconda è invece, la capacità di pensare logicamente e risolvere i problemi in situazioni nuove, indipendentemente dalle conoscenze acquisite. L’insieme delle due corrisponde all’intelligenza generale.

Sembrerebbe che oggi le nuove generazioni siano sempre più inclini a sviluppare intelligenza fluida e a immagazzinare un numero di nozioni minore rispetto al passato, quindi a un minor sviluppo dell’intelligenza cristallizzata. Potrebbe dunque essere questa la spiegazione al calo osservato nel QI: ciò imporrebbe una modifica del test stesso per “adeguarlo” alla situazione mutata.

Tuttavia, ad oggi, quanto appena detto rimane soltanto una supposizione. Pertanto i risultati degli studi sopracitati impongono un’ulteriore approfondimento per la ricerca di una possibile causa.

Un’ipotesi interessante, strettamente biologica, è emersa dall’inchiesta svolta dalla giornalista Lisa Iotti per il programma Presadiretta in onda su Rai 3.

La base di questa ipotesi risiede nel possibile ruolo di alcune sostanze esogene nell’influenzare lo sviluppo del nostro sistema nervoso, sia direttamente (agendo sulle cellule nervose stesse), sia indirettamente (agendo su altri organi).

Un esempio di sostanze del secondo tipo sono i cosiddetti interferenti endocrini, ovvero sostanze che interferiscono con il metabolismo (sintesi, secrezione o azione) di ormoni prodotti dalle ghiandole endocrine del nostro corpo, come la tiroide. È ormai noto da diversi anni che gli ormoni tiroidei sono fondamentali nello sviluppo del sistema nervoso dell’embrione. Eventuali sostanze che ne riducono la produzione durante la vita intrauterina o una carenza di iodio (elemento indispensabile per la loro produzione) sono associati a deficit cognitivi anche molto gravi. Quadro estremo del deficit di iodio è il cosiddetto cretinismo, caratterizzato da ritardo mentale, ridotta statura e numerosi atri sintomi e segni.

Soggetto affetto da cretinismo.

Quali sono dunque queste sostanze?

Come entrano in contatto con il nostro organismo?

E soprattutto, perché molte di esse non sono ad oggi regolamentate nonostante esistano studi a supporto della loro pericolosità?

Un esempio di interferente endocrino sono i PCBs (policlorobifenili, presenti in vernici, colle e molti altri prodotti). Queste molecole sono oggi vietate alla luce dei vari studi sulla loro tossicità, ma permangono a lungo nell’ambiente. Caso emblematico è rappresentato da un’azienda di Brescia (unica fabbrica italiana che produceva PCBs): nonostante lo stabilimento sia chiuso dagli anni ’80, i livelli di queste sostanze nel terreno e nell’aria della città sono ancora oggi elevatissimi.

Non una grande notizia considerando che è stata provata la loro interferenza sull’azione degli ormoni tiroidei.

Uno studio condotto dal dottor Thomas Zoeller, effettuato sui ratti, evidenzia come esponendo in gravidanza le madri ai PCBs ci siano evidenti alterazioni dello sviluppo del sistema nervoso. Analoghe considerazioni sono state fatte su piccoli campioni di popolazioni in zone (come Brescia) nelle quali i livelli di PCBs sono particolarmente elevati.

L’endocrinologa Barbara Demeniex ha pubblicato invece uno studio sui girini nel quale sono analizzate tutte le sostanze possibili che interferiscono con la sintesi di ormoni tiroidei. Il dato allarmante è che quantità di queste sostanze uguali a quelle presenti nel liquido amniotico di un campione di donne, sono risultate tossiche per lo sviluppo del sistema nervoso dei girini. Tra queste sostanze meritano menzione il triclosan (antibatterico molto comune presente in dentifrici e disinfettanti), il disfenolo A (barattoli di latta) e il DDT (insetticida utilizzato per limitare la prevalenza della malaria).

Se comunque per i PCBs ci siamo messi al riparo, questo non è accaduto per altre sostanze quali ad esempio i pesticidi. Tra questi spicca il Clorpirifos, il cui uso domestico è stato vietato. Oggi questo pesticida è usato nelle coltivazioni, pertanto contamina non solo i prodotti agricoli ma anche le abitazioni nelle vicinanze di serre e campi. Abbastanza sorprendentemente, il Clorpirifos fa parte di una classe di molecole usate per attentati terroristici (metropolitana di Tokyo 1995) ed è prodotto dalla stessa industria che forniva gas tossici durante la guerra in Vietnam (l’agente arancio, che ha causato numerose malformazioni dei soggetti esposti).

Due studi ci fanno preoccupare particolarmente riguardo questa molecola.

Il primo è stato svolto a New York dalla dottoressa Virginia Rauh su bambini esposti al Clorpirifos: sono state riscontrate differenze volumetriche nella corteccia cerebrale di questi bambini. È abbastanza intuibile come una minore quantità di materia grigia sia correlata a un basso QI.

Il secondo evidenzia una associazione ancora più temibile: parliamo di un disturbo del neurosviluppo importantissimo, l’autismo. La dottoressa Hertz-Picciotto ha osservato che bambini nati da donne residenti nelle vicinanze di campi dove è utilizzato il Clorpirifos hanno un rischio 3 volte maggiore di sviluppare autismo e altri disturbi del neurosviluppo.

Nonostante le chiare evidenze scientifiche il Clorpirifos non è vietato.

Anzi, l’ente per la sicurezza ambientale americano ha respinto come prova per regolamentarne l’uso il secondo studio (che è stato condotto in California). Anche in Europa l’uso del Clorpirifos è permesso e l’Italia è stata una delle nazioni che ha votato in senso favorevole alla proroga del suo utilizzo ancora per un anno.

In conclusione, occorre sottolineare che per moltissime sostanze, oggi regolamentate (come metalli pesanti), i limiti di legge non tengono conto di possibili miscele di più sostanze, e che potrebbero aumentarne il potere dannoso. In altre parole è consentito che nell’ambiente siano presenti mix di sostanze dannose, ma solo a patto che la quantità delle singole sostanze stesse non superino un certo valore soglia (variabile per ciascuna).

Come porre rimedio a questa situazione?

La scienza ci dà sempre indicazioni molto valide: purtroppo, anche chi dovrebbe tutelare l’interesse dei cittadini troppo spesso non le dà ascolto.

Emanuele Chiara

 

Fonti:
https://www.pnas.org/content/115/26/6674
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3958407/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC3356641/
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24954055
https://www.raiplay.it/video/2019/02/Presa-diretta-Attacco-al-cervello-2189c908-3c0b-4dee-8a20-15fd1dc63b7d.html