Ad una settimana dal voto: cosa succede adesso?

Ad appena una settimana dai risultati delle Parlamentari che hanno visto trionfare il partito della leader Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, vi proponiamo alcune considerazioni a caldo su quello che potrà essere – o non essere – il futuro del nuovo governo.

FdI a capo della coalizione

Con il 26% dei voti espressi, il partito della coalizione di centrodestra da solo ha riscosso più di quanto sia riuscito ad ottenere la coalizione di centrosinistra intera. Nessun dubbio sulla vittoria della Meloni sin da subito, nonostante i sondaggi avessero previsto una percentuale di voti nettamente inferiore. Tuttavia, si è anche trattato delle elezioni con la più bassa affluenza nella storia italiana, con poco meno del 64% degli aventi il diritto.

Adesso la leader si prepara a governare come prima Presidente del Consiglio donna, avendo già chiarito – la stessa notte degli spogli elettorali – di voler prendere la guida del futuro esecutivo, accompagnata da Matteo Salvini (Lega) e Silvio Berlusconi (Forza Italia).

Se dovesse riuscire a formare il governo, ha detto, la priorità sarebbe quella dell’energia: fermare la speculazione sul gas. E farlo non senza un aperto dialogo col Premier uscente, Mario Draghi, che si starebbe occupando di una relazione sul Piano Nazionale al fine di garantire una transizione chiara e ordinata, senza lavori incompiuti.

Sulla linea da seguire per la scelta dei suoi ministri, la Meloni si mantiene comunque cauta: le prime ipotesi sarebbero quelle di un governo formato anche da esperti non parlamentari, ma non sono ancora usciti i nomi per Economia, Esteri e Interno, ossia tre dei più importanti ministeri. Certo è che, nel trambusto generale creatosi con queste elezioni, la linea del silenzio scelta dalla leader di FdI risulta saggia, soprattutto adesso che la scena non solo nazionale, ma anche internazionale, guarda al futuro del Paese con non poca perplessità.

E sono molti i timori che, non infondatamente, si sollevano in questi giorni. Al di là delle accuse di fascismo, che vanno sempre e comunque affrontate nella sede adeguata, ci si chiede seriamente se un governo guidato da Fratelli d’Italia possa rappresentare il pettine destinato a sciogliere alcuni dei nodi principali dell’Italia. C’è chi ne dubita fortemente, ma anche chi ripone immensa fiducia in una formazione scelta, dopo molti anni, dal popolo.

Se non per altro, appunto perché l’ha voluto il popolo. Non resta che vedere se la coalizione riuscirà a mantenere quanto promesso nei recentissimi anni oppure se, secondo la normale tendenza del nostro sistema politico, sarà destinato ad aver vita breve. A quel punto, quante sarebbero le possibilità di trovare una nuova formazione governativa che metta d’accordo tutti?

In Parlamento sempre meno donne

Una cosa è certa: la rappresentanza formata da donne in Parlamento è nettamente calata rispetto alle elezioni del 2018, scendendo da un 35% al 31%. Non stupisce il dato: infatti, i due partiti che hanno riscontrato più voti (FdI e Partito Democratico) sono anche quelli che hanno presentato le percentuali minori di capolista donne a questo giro di elezioni, rispettivamente col 32,3% e il 36,6%. (Pagella Politica).

Molto male per un partito come il PD, che della parità di genere ha fatto un bastione della propria campagna elettorale.

Tempo di riflessione per il centrosinistra

Dopo la schiacciante sconfitta, per la coalizione di centrosinistra è arrivato il momento di riflettere: lo spiega Stefano Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna e membro del Partito Democratico.

Il problema del Pd non sta nel nome o nel simbolo, ma nella capacità di rappresentare le persone e costruire un progetto coerente e credibile per gli obiettivi per cui è nato: dare diritti a chi ne ha di meno, realizzare una transizione ecologica che tenga insieme le ragioni dell’ambiente con quelle del lavoro, costruire un’Italia più moderna, più forte e più giusta.

Anche il segretario di Azione, Carlo Calenda, ha commentato i risultati elettorali: «Nel dibattito surreale su cosa debba fare la sinistra per rappresentare i più deboli si dimenticano le basi: la ricostruzione del welfare, a partire da istruzione e sanità».

Intanto, il segretario del PD Enrico Letta ha espresso negli ultimi giorni l’intenzione di non ricandidarsi a segretario del partito, pur volendolo in una certa misura “rifondare”. Infatti, in una lettera inviata a tutti i militanti, ha annunciato le quattro tappe del percorso necessario alla rifondazione del partito, che partirebbe dalla ridefinizione di aspetti quali «l’identità, il profilo programmatico, il nome, il simbolo, le alleanze, l’organizzazione». In sostanza, alcuni ritengono che Letta sia sulla strada per mettersi alla guida di un nuovo partito.

I passi successivi

La prossima data importante sarà il 13 ottobre, quando Camera e Senato si riuniranno per decidere i primi atti importanti: i rispettivi presidenti. Dopodiché, da lì alla formazione del nuovo governo potrebbe passare una relativa quantità di tempo, forse anche mesi. Dopotutto, a fronte delle precedenti elezioni tenutesi nel marzo 2018, il governo Conte I si insediò solamente nel giugno dello stesso anno.

La parola spetterà al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che avvierà le consultazioni e dovrà affidare l’incarico (probabilmente a Giorgia Meloni) per la formazione del nuovo esecutivo. Se l’incarico dovesse essere affidato con riserva, il presidente incaricato dovrà a sua volta svolgere delle consultazioni che lo porteranno a definire la lista dei propri ministri; in assenza, sarà costretto a rinunciare.

Se ciò dovesse verificarsi, il Capo dello Stato potrà affidare un incarico esplorativo a una personalità terza per vedere se si potrà dar vita ad una nuova maggioranza.

Da ultimo, entro 10 giorni dalla formazione, il nuovo Governo dovrà chiedere e ottenere la fiducia dai due rami del Parlamento. Se l’incarico dovesse spettare alla Meloni non vi sono molti dubbi sui numeri per raggiungere la fiducia – ma ancora, si parla di un futuro ipotetico ancora tutto da vedere e che potrebbe riservare altre sorprese. Ottenuta la fiducia, l’Esecutivo entrerà nel pieno dei propri poteri e potrà cominciare a definire l’indirizzo politico del Paese.

Valeria Bonaccorso

Il piano di una misteriosa lobby per insinuarsi nella politica italiana

Per ben tre anni un giornalista del team “Blackstair” di Fanpage.it, Salvatore Garzillo, si è calato nelle vesti di un personaggio appositamente inventato come copertura, per far venire a galla una storia che, purtroppo, di fantasioso pare non aver niente. Ciò che se ne è ricavato da questa difficile impresa è un’inchiesta, che ha scatenato un forte tumulto nella politica italiana. Vi sono stati anche dei risvolti impensabili, subiti dalla stessa redazione, in seguito alla pubblicazione del primo compromettente video.

 

I tre volti della politica nel primo video dell’inchiesta: ( da sinistra verso destra) Fidanza, Valcepina e Jonghi. Fonte: Fanpage.it

 

La pubblicazione del primo video dell’inchiesta

La sera del 30 settembre scorso, su Fanpage.it, viene pubblicato un primo video dell’inchiesta intitolata “Lobby nera”. Al centro del mirino esponenti delle fila del partito di Giorgia Meloni, Fratelli d’Italia, e la rivelazione di quello che sembra essere un presunto sistema di finanziamenti in nero per le elezioni amministrative a Milano, del 3 e 4 ottobre, parte di un piano ben più grande, con obiettivi ancora più ambiziosi.

Nella prima puntata della video inchiesta, le primissime immagini vedono Carlo Fidanza, europarlamentare e capo delegazione di Fratelli d’Italia, e il candidato sindaco della sua coalizione Luca Bernardo, l’avvocato Chiara Valcepina.

Con lo scorrere delle immagini, si inizia a sentir parlare dell’esistenza di un gruppo dinostalgici del fascismo” – così definiti da Fanpage – massoni ed ex militari. Successivamente il giornalista infiltrato, incontra Roberto Jonghi Lavarini, esponente di estrema destra conosciuto anche con il soprannome “Barone Nero“.

Quest’ultimo, candidato alla Camera, con Fratelli d’Italia nel 2018, e condannato con l’accusa di apologia del fascismo nel 2020, sarebbe la figura chiave per la misteriosa lobby.

L’indefinito gruppo eterogeneo – alla quale apparterrebbero anche esponenti del clero e sostenitori della Russia di Putin – punterebbe alla creazione di una nuova classe dirigente da far infiltrare nel centrodestra.

Il Barone Nero sarebbe il tramite, capace di metter mano ovunque. Così è stato, appunto, anche per le amministrative di Milano, tramite l’organizzazione della campagna elettorale della Valpicena, la quale, nel video, appare a suo agio nel lasciarsi andare a frasi razziste e saluto fascista.

La misteriosa lobby, dunque, si impegnerebbe a portare voti a determinati politici, con l’intento di influenzare pian piano la politica italiana in generale, muovendosi attraverso il centrodestra.

Questo meccanismo sembrerebbe esser stato messo in moto in almeno due occasioni: prima per il sostegno alle elezioni europee del 2019 di un candidato della Lega, l’eurodeputato Angelo Ciocca, e poi, in vista delle amministrative del 2021, appoggiando un gruppo di candidati di Fratelli d’Italia della corrente di Carlo Fidanza, capodelegazione a Strasburgo.

La strategia sembrerebbe, dunque, sempre la stessa: Jonghi farebbe in modo di “trovare” voti, chiedendo in cambio  “collaborazione”.

Nel caso dell’intesa con Ciocca, ad esempio, Jonghi, portando 5mila dei 90mila voti europei ottenuti dal gruppo di quest’ultimo, pretese in cambio “spazio” nella Lega nazionalpopolare di Matteo Salvini.  L’obiettivo era quello di abbordare il Carroccio nel momento della sua maggiore crescita elettorale, per far valere le proprie idee. Il Barone Nero decise di inserirsi nel solco tracciato da Gianluca Savoini e Mario Borghezio, stratega della corrente di estrema destra all’interno della Lega. Con quest’ultimo, in effetti, condivide sia ideali fascisti che l’aspirazione a lavorare dal dietro le quinte per raggiungere gli obiettivi.

Il progetto di Borghezio è chiaro da subito: “Salvini è un debole, questa situazione lo spinge nelle braccia della Meloni e questa cosa apre alla nostra area un’autostrada – disse l’ex deputato – È l’autostrada per la terza Lega, è una situazione che io attendevo da decenni. Dobbiamo cominciare a formare i quadri da inserire in questa Terza Lega.”.

Però, Jonghi, da questo momento continuò ad agire su due fronti: si spostò tra l’ala più moderata della Lega di Salvini e continuò a tessere rapporti con Fidanza, storico compare di militanza, che negli anni si è costruito l’immagine del conservatore moderato, ma che, in realtà, ben si è trovato a pronunciare, in determinati contesti, come quelli registrati nei video dell’inchiesta, commenti improbabili oltre che a prendere in giro il Paolo Berizzi, giornalista sotto scorta per le minacce ricevute dai neonazisti.

 

Le prime reazioni dopo la pubblicazione e l’oscuramento del video

In seguito alla pubblicazione dell’inchiesta, il tumulto scatenatosi è stato fortissimo.

Fidanza si è autosospeso da capo delegazione al Parlamento europeo, ma ha insinuato che Fanpage abbia strumentalizzato le immagini registrate dal suo giornalista.

Giorgia Meloni, leader del partito a cui appartengono i soggetti coinvolti nel “sistema” di Jonghi, ha deciso di non prendere subito le distanze. Prima, ha chiesto a Fanpage di visionare tutte le 100 ore di girato, “per sapere esattamente cose siano andate le cose e come si siano comportate le persone coinvolte per agire di competenza”. Poi, il contrattacco:

“Per quanto si possa fingere di non vederlo, era tutto studiato. Scientificamente, a tavolino. A due giorni dalle elezioni. Non da Fanpage, ma da un intero circuito, o circo, se vogliamo.”.

Jonghi con Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Fonte: open.online.it

Il direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, si è rifiutato di acconsentire alla richiesta del leader di FdI e intanto la procura di Milano ha aperto un’inchiesta ipotizzando reati di finanziamento illecito ai partiti e riciclaggio.

Intanto, l’inchiesta era stata momentaneamente oscurata dal sito di Fanpage.it, suscitando una fortissima reazione anche nel direttore  che pubblicamente ha replicato con un video in cui definiva gravissimo l’accaduto.

Gli ultimi aggiornamenti

Tutto questo, fino ad arrivare a ieri sera, quando, anche in diretta tv, su La7, nel programma “Piazza Pulita”, oltre che sul sito di Fanpage, è stato pubblicato il secondo video dell’inchiesta, nel quale si vede: il giornalista Garzillo, insieme a Jonghi, incontra l’ex eurodeputato Borghezio, che ha in mente un piano per creare unaterza Lega“, formando una nuova corrente nel partito con elementi di estrema destra. Nel video vengono ripresi anche i militanti di Lealtà Azione e il consigliere regionale leghista Massimiliano Bastoni, che con il gruppo ha rapporti strettissimi. L’eurodeputato Angelo Ciocca, che sembra coinvolto nel progetto, secondo quanto dice il Barone nero può ambire a diventare il capo della Lega post Salvini.”.

Contemporaneamente, ieri sera, la Meloni è stata ospite nel programma “Dritto e rovescio”, su Rete 4. Nonostante continui a richiedere di visionare tutto di girato prima di esporsi definitivamente, ha comunque dichiarato che nel partito “non c’è spazio né per la disonestà eventuale, né per atteggiamenti che non siano chiari su temi come razzismo, antisemitismo, nostalgismo, folkrorismo”.

In attesa degli ulteriori sviluppi di questa triste vicenda, sicuramente, il ritorno online dei contenuti dell’inchiesta e la possibilità di poter esser visti da chiunque, ci solleva, perché la libertà di stampa è alla base di un Paese civile come l’Italia.

Rita Bonaccurso

 

 

Ddl Zan: la destra propone modifiche. Ecco le nuove proposte

Una nuova riunione per la Commissione Giustizia del Senato è stata stabilita per oggi, giovedì 6 maggio. Sebbene si temi l’ostruzionismo dei partiti di destra, è in arrivo il testo alternativo di Lega e Forza Italia.

Ddl Zan –Fonte:dinamopress.it

Il Ddl Zan contro discriminazioni e violenze per orientamento sessuale, di genere, di identità di genere e abilismo, a seguito dell’approvazione alla Camera dei Deputati, deve passare al vaglio della Commissione Giustizia del Senato, affinchè il disegno superi l’assenso dell’aula. Nonostante la maggioranza abbia presentato due testi alternativi con l’obiettivo di far affondare l’approdo in seconda camera, il Movimento 5 stelle, come asso nella manica, ha detenuto un numero sufficiente di firme che aggirerebbero l’iceberg della destra, senza che la proposta passi tra le mani del relatore Andrea Ostellari (Lega) Presidente della Commissione (qui il nostro articolo Ddl Zan sull’omotransfobia: ecco cosa prevede e perché non è stata approvata. Dura mobilizzazione mediatica promossa da Elodie e Fedez ).

Gli sviluppi del Ddl Zan: la calendarizzazione in Commissione di Giustizia

Il disegno di legge promosso dal deputato del Partito Democratico Alessandro Zan, si è ispirato a 5 proposte precedenti e aveva visto la discussione in Camera dei Deputati nell’agosto dello scorso anno. Non sono mancati, di certo, numerosissimi emendamenti, ben 800, provenienti dai partiti di destra Lega e Fratelli d’Italia, volti a creare un velo di ostruzionismo incitando l’anomalia di costituzionalità che questo presentava.

A seguito di svariate posticipazioni, l’approvazione tardiva in prima lettura è sopraggiunta il 4 novembre 2020. Lo scrutinio segreto della votazione ha riportato 265 voti favorevoli, 193 contrari e un solo astenuto. Nonostante i parlamentari del centrodestra hanno difeso a spada tratta il dubbio sull’opportunità di occuparsi di suddetta legge in tempi di pandemia, si ponevano in una posizione di svantaggio rispetto alla maggioranza.

Omofobia: audizione in Commissione Giustizia –Fonte:centrostudivatino.it

Il boicottaggio iniziale, ha incrementato la corsa dei partiti di opposizione a far tardare sempre più la calendarizzazione della Commissione Giustizia del Senato, sulla decisione dei lavori da analizzare. Altresì il Presidente leghista Andrea Ostellari ha annullato la seduta programmata a marzo, prospettandone il rinvio.

L’avvio formale per inaugurare la discussione e il voto del Ddl Zan in seconda lettura, sembra essere arrivato agli sgoccioli dello scorso mese. A seguito della discussione, delle audizione e del dibattito sulle proposte di modifica, la Commissione ha impernato i sui cardini con 13 voti favorevoli e 11 contrari provenienti dalle frange del centrodestra.

I sostenitori del disegno hanno come obiettivo per la difesa del testo, il divieto di proposte di modifica, che indurrebbero necessariamente ad un ritorno di lettura alla prima Camera.

Sebbene la riunione in seduta plenaria della Commissione Giustizia del Senato, si terrà in giornata odierna, Ostellari ha preannunciato di voler assicurare la sua posizione da relatore, che si pone come una figura di registra politico del dibattito, esprimendo il proprio parere sugli emendamenti presentati e coordinando la mediazione della pratica dell’amministrazione statale sul provvedimento. Si situa cosi in una posizione che gli permette di “garantire chi è favorevole al ddl e chi non lo è”.

Cirrinà (Pd) –Fonte:giuliettochiesa.globalist.it

L’ordine del giorno indicato, come ha dichiarato una componente della Commissione, la senatrice del Partito Democratico Monica Cirrinà

“Dimostra la volontà di non volerlo discutere. È difficile, infatti, che si arrivi all’ultimo punto.”

Non mancano altresì strategie promosse da Forza Italia e Lega, volte a plasmare il disegno di legge preesistente adattandolo a due nuove proposte alternative.

Le novità sui suggerimenti dell’opposizione

Licia Ronzulli presenta un Ddl al Senato –Fonte:liberoquotidiano.it

Una tra le novità presentate martedì 4 maggio dalla senatrice Licia Ronzulli (Forza Italia), è volta a modificare l’articolo 61 del Codice Penale, che mira ad occuparsi delle circostanze aggravanti comuni di un reato, cioè quegli elementi accessori dell’illecito che determinano un aumento della pena prevista per atto antigiuridico base o per l’applicazione di una pena di specie diversa. Il Codice penale attualmente ne predispone 18, tra queste ad esempio vi sono:

  • l’avere agito per motivi abietti o futili, quelli in base ad impulsi riprovevoli o chiaramente esagerati rispetto alla situazione;
  • l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto, il profitto, il prezzo ovvero la impunità di un altro reato nella connessione tra reati considerata dalla norma rileva lo scopo perseguito;
  • l’avere, nei delitti colposi, agito nonostante la previsione dell’evento, si tratta di colpa cosciente in cui l’agente non persegue il verificarsi dell’evento;
  • l’avere adoperato sevizie, o l’aver agito con crudeltà verso le persone;
  • l’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa si tratta, di casi di minorata difesa.
Codice penale –Fonte:studiolegalelucino.it

La proposta del disegno di legge da parte della senatrice, presenta come obiettivo la necessità di introdurre gli atti discriminatori e violenti per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità, direttamente dentro il Codice. La formulazione del testo presenterà un unico articolo, che a detta della Ronzulli, risulterebbe approvato primamente dalla Commissione senza previo coinvolgimento dell’aula.

Ostellari –Fonte:open.online

Lo stesso Ostellari aveva annunciato che anche la Lega aveva dato luce ad un Ddl simile, che “mira a tutelare tutte le persone più vulnerabili, ampliando la sfera rispetto al ddl Zan”.

Dal documento si prevede altresì la necessità di porre un inasprimento delle pene per tutti gli illeciti commessi verso i più deboli, ponendolo in una posizione di contributo tecnico, che migliorerebbe le parti in cui il disegno di legge era oggetto di critica. Tali proposte colpiscono gli articoli 604 bis e ter, del Codice penale estendendone il loro ambito applicativo, punendone non solo la propaganda e l’istigazione a delinquere per ragioni discriminatorie, bensì includendo nella sua disciplina anche la Legge Mancino, contro l’incitazione all’odio e alla violenza avente come oggetto la disparità.

Necessario ancora risulta l’analisi sui metodi e le tempistiche che queste modifiche avrebbero sul testo già esistente, che indurrebbero necessariamente a dover iniziare l’iter di approvazione del testo da capo. Non è mancato perciò l’intervento del deputato Alessandro Zan, il quale sostiene che

 “La Lega è incoerente: prima dicevano che le priorità erano altre, ora presentano una legge alternativa a quella approvata alla Camera. Vedo una grande trappola.”

L’iniziativa del Movimento 5 stelle

Appellandosi all’articolo 77 della Costituzione riguardante il regolamento del Senato, secondo cui

“Quando per un disegno di legge o in generale per un affare che deve essere discusso dall’assemblea sia stata chiesta dal proponente, dal presidente della commissione competente o da otto senatori la dichiarazione d’urgenza, il Senato delibera per alzata di mano. La discussione sulla domanda, alla quale può partecipare non più di un oratore per ciascun gruppo parlamentare, e la votazione hanno luogo nella prima seduta successiva alla presentazione della richiesta stessa. L’approvazione della dichiarazione d’urgenza comporta la riduzione di tutti i termini alla metà.”

Ddl Zan, il M5S raccoglie le firme per portare il testo in Aula –Fonte:ilfattoquotidiano.it

Il partito, così, è riuscito a raccogliere le firme necessarie per chiedere la calendarizzazione di urgenza in aula del Ddl Zan, baipassando l’interlocuzione con il relatore e procedendo direttamente alla lettura del testo in seconda Camera. Se ciò accadesse, si velocizzerebbero i tempi di approvazione, ma resterebbe sempre fondamentale l’assenso del disegno di base dalla Commissione Giustizia.

Giovanna Sgarlata

Ddl Zan sull’omotransfobia: ecco cosa prevede e perché non è stata approvata. Dura mobilizzazione mediatica promossa da Elodie e Fedez

Il centrodestra blocca la legge contro l’omotransfobia in Senato. Il rinvio alla discussione del Disegno di Legge Zan ha visto coinvolti diversi personaggi della musica italiana, come Fedez ed Elodie che hanno alimentato la protesta sul mondo dei social, diffondendo il loro pensiero a macchia d’olio.

La Lega contro il ddl Zan sull’omofobia –Fonte:zazoom.it

La Commissione Giustizia del Senato non ha ancora calendarizzato la discussione dell’esame del ddl contro l’omotransfobia e misoginia, approvato già alla Camera il novembre scorso. Più comunemente viene conosciuta con il nome di ddl Zan, dal deputato Alessandro Zan appartenente al Partito Democratico che l’ha presentata.

I maggiori ostacoli per la sua approvazione vengono imposti, secondo il PD, dalla Lega ma anche da altre forze del centrodestra come Forza Italia e Fratelli d’Italia, che lo hanno definito come un provvedimento non prioritario, compromettendone l’avvio della discussione in Seconda Camera.

Cos’è la discriminazione

Discriminazioni in UE –Fonte:egalite.org

La discriminazione è il trattamento ineguale consistente per lo più nella violazione dei diritti a danno di individui o gruppi inferiorizzati o considerati a vario titolo marginali o addirittura estranei alla comunità. L’articolo 1 della Convenzione Internazionale, si sofferma proprio sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale definendola come

“una qualsiasi distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata su razza, colore, discendenza od origine nazionale o etnica che abbia lo scopo o l’effetto di annullare o pregiudicare il riconoscimento, godimento o esercizio, su un piano di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale o di qualsiasi altro tipo della vita pubblica”

Essa può essere:

  • Positiva: quando la disparità di trattamento è volta a favorire un gruppo o categoria di persone da lungo tempo discriminate. Ad esempio l’attuazione delle quote rosa o le facilitazioni all’inserimento lavorativo di persone con disabilità;
  • Negativa: quando la disparità del trattamento sia volta a sfavorire e/o ad escludere una persona o un gruppo di persone, in quanto socialmente e legalmente rilevante.

Il ddl Zan: ecco cosa prevede

Il provvedimento, se fosse approvato, instituirebbe misure di detenzione per coloro i quali compiano atti di discriminazione fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità.

I primi due articoli sono volti ad introdurre l’orientamento, il genere sessuale e l’abilismo, cioè quella forma di discriminazione che generalmente si crea sul presupporre che tutti abbiano un corpo abile. Questi, secondo quanto sancito dal Codice Penale agli articoli 604 bis e ter, puniscono la propaganda e l’istigazione a delinquere per ragioni discriminatorie.

Alessandro Zan , il papà della legge contro l’omotransfobia –Fonte:open.online

Il più importante, però, risulta essere il terzo articolo che modifica il decreto legge 122 del 1993, conosciuto come la Legge Mancino. Essa è un atto legislativo della Repubblica italiana che sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Venne proposta dall’allora Ministro dell’Interno Nicola Mancino e mira reprimere i crimini d’odio e punisce l’uso di simbologie connesse ai movimenti politici suddetti.

Modifica della legge Mancino

Nell’articolo 1 del testo modificato dal disegno di legge Zan viene ad essere specificato che

“Per sesso si intende il sesso biolo­gico o anagrafico; per genere si intende qualunque ma­nifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso; per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi; per identità di genere si intende l’i­dentificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corri­spondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.”

Il Disegno di legge “Zan” –Fonte:poterealpopolo.org

La disposizione come misura innovativa prevede, per chi commette atti di discriminazione sopraindicati, la reclusione fino a 18 mesi o una multa che può toccare quota di 6000 euro. Si prevede, altresì, l’istituto di pena:

  • Da 6 mesi a 4 anni per chi istiga a commettere o commette violenza per gli stessi motivi
  • Da 6 mesi a 4 anni per chi partecipa o aiuta organizzazioni aventi tra i propri intenti l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per gli stessi motivi
  • Per qualsiasi reato commesse per le finalità di discriminazione o di odio la pena viene aumentata fino alla metà.

La sospensione condizionale della pena, trattata dall’articolo 163 e seguenti del Codice Penale, stabilisce che al reo la cui condanna non supera i due anni di reclusione, può essere sospesa l’esecuzione della stessa. Inoltre se il condannato, durante la suddetta interruzione, non commette nuovi reati e adempie agli eventuali obblighi imposti dal giudice, si determina l’effetto estintivo delle pene principali e accessorie. In questo caso il detenuto per ottenerla dovrà prestare lavoro in favore delle associazioni di tutela delle vittime dei reati.

Giornata nazionale contro l’omofobia e i centri anti-violenza

Il provvedimento Zan avrebbe anche predisposto l’istituzione della “Giornata Nazionale contro l’omofobia” che si sarebbe celebrata il 17 maggio. Essa mira anche ad abbracciare la promozione della cultura del rispetto, dell’inclusione nonché a contrastare i pregiudizi e le discriminazioni. Sarà perciò fondamentale, al momento della sua approvazione, che le scuole di ogni ordine e grado inseriscano nei propri programmi, dei piani che puntino a far acquisire fin dalla tenera età, una maggiore sensibilizzazione verso queste tematiche.

Giornata mondiale contro l’omofobia –Fonte:repubblica.it

Oltre a ciò il disegno di legge predispone uno stanziamento di 4 milioni di euro annui per sostenere le strutture e i centri che lottano contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e di identità di genere, per offrire assistenza nell’ambito legale, sanitario, psicologico, vitto e alloggio alle vittime di odio.

L’appello degli influencer

Ddl Zan, il centrodestra blocca la legge contro l’omotransfobia –Fonte:ilfattoquotidiano.it

La cantante Elodie, sulla piattaforma Instagram, ha pubblicato una storia che riprendesse le fila della discussione sull’approvazione del ddl Zan, definendo “indegni” i parlamentari che vi si sono opposti.

“Questa gente non dovrebbe essere in Parlamento. Questa gente è omotransfobica”

La risposta non è tardata ad arrivare, è sopraggiunta attraverso un post pubblicato su Facebook dal senatore Simone Pillon, personaggio appartenente al nido leghista e membro attivo nelle lotte dell’integralismo cattolico. Tale battaglia plasma sotto un’unica direttrice ogni aspetto della società civile ai principi della dottrina cristiana. Il parlamentare ha così ribattuto

“le valutazioni sull’incardinamento di leggi ideologiche, inutili e divisive possono aspettare. Con buona pace di Elodie e di tutta la compagnia cantante…”

Pillon si mostra contrario al ddl Zan perché l’approvazione di una legge sull’omotransfobia permetterebbe alle coppie omosessuali di procreare attraverso “l’utero in affitto”, dando perciò il via libera alla maternità surrogata pratica vietata in Italia.  In realtà la legge non fa alcun riferimento alla procreazione assistita, bensì il suo nucleo si impernia nel prevenire e contrastare le discriminazioni e gli atti di violenza.

Fedez contro Pillon –Fonte:today.it

La mobilizzazione dei social non si è fermata,  ha ritrovato voce nella persona di Fedez, che con una serie di storie e dirette pubblicate attraverso il suo profilo Ig, ha lanciato un appello al Parlamento a “far presto” ed ha invitato i suoi followers a scrivere al Presidente della Commissione di Giustizia, Andrea Ostellari (Lega). L’obiettivo del cantante è quello di sbloccare il fermo a Palazzo Madama e di sfatare le fake news che condannerebbero tale legge come una norma volta all’introduzione del reato di opinione.

Fedez in diretta con Alessandro Zan –Fonte:ilfattoquotidiano.it

Durante la diretta sul social, infatti, il “mediatore” Fedez ha coinvolto il deputato Alessandro Zan, il quale afferma

“Noi abbiamo la maggioranza della commissione Giustizia che vuole la calendarizzazione, ma purtroppo è in ostaggio di una minoranza e del suo presidente, che decide sulla calendarizzazione, cioè di farne iniziare o meno l’iter. Quindi alla fine la legge è bloccata perché lui non è d’accordo. E’ assurdo.”

Da tale intervento risulta altresì chiaro come in uno Stato democratico, basti una minoranza all’opposizione, che risiede nella figura del Presidente della Commissione, per bloccare la calendarizzazione di un disegno di legge avente come obiettivi primari tutele, pari opportunità e diritti.

Giovanna Sgarlata

Referendum: Il Sì ha vinto. Cosa succederà adesso

 

Il risultato del referendum costituzionale sul taglio del numero dei parlamentari sancisce la vittoria del SI, con quasi il 70% di preferenze.

La vittoria del SI al Referendum è schiacciante. Il 69,6% degli italiani ha votato a favore della riforma costituzionale con più di 17 milioni di voti. I no si fermano a 7 milioni e 400 mila.

Con il beneplacito del popolo, la legge costituzionale n.240\2019, pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 ottobre, stabilisce che quest’autunno è stagione di riforme.  Gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione saranno modificati. Il numero dei deputati, il numero dei senatori e dei senatori a vita subirà una diminuzione del 36,5% del numero totale dei parlamentari. (Approfondimento qui)

Dalla prossima legislatura, l’assetto istituzionale della Repubblica Italiana muta fisionomia. Il numero complessivo dei parlamentari passerà dall’essere 945 a 600: i deputati saranno 400 piuttosto che 630 e i senatori passeranno da 315 a 200, e il numero massimo dei senatori a vita sarà pari a 5.

Il  vero vincitore è il Movimento 5 Stelle, partito che sostiene l’attuale governo Conte, promotore della riforma.

A favore della riforma si sono espressi quasi tutti i partiti rappresentati in Parlamento. Nelle quattro letture previste per una riforma costituzionale è interessante ricordare che le prime tre letture sono avvenute sotto il governo giallo-verde, mentre la quarta sotto l’attuale.  La Lega e Fratelli d’Italia hanno votato SI in tutte le letture. Il Partito Democratico ha votato per tre letture NO e l’ultima volta SI. Più Europa ha sempre votato NO.

Cosa succederà adesso?

Nell’immediato non cambierà nulla.

Le camere non verranno sciolte e i parlamentari resteranno 945.  Il governo potrà finire il suo mandato che, se portato a fine legislatura, ci chiamerà al voto nel 2023.

Con nuove elezioni, per la prima volta nella storia della Repubblica, i parlamentari che potremo votare saranno 600: 400 Deputati e 200 Senatori. Il numero di rappresentanti per abitanti diminuirà. Con il taglio ci sarà un deputato  per ogni 151 mila e un senatore per ogni 302 mila abitanti. Saranno ridotti anche i parlamentari eletti dagli italiani all’estero: deputati e senatori passeranno da 12 a 8 e da 6 a 4.

Il processo di “normalizzazione” dei risultati appare tutt’altro che semplice. Prima di nuove elezioni c’è un problema cardine che il governo dovrà affrontare: è necessario che venga emanata una nuova legge elettorale.

La Corte Costituzionale ha già stabilito che l’attuale legge Rosato non può essere rappresentativa del volere della popolazione con il nuovo numero di rappresentanti. Nei prossimi mesi è necessario che venga proposta e approvata una nuova legge elettorale che principalmente stabilisca il sistema di voto (proporzionale, maggioritario o misto) e come verranno suddivisi i rappresentati per ogni circoscrizione e regione.

 

La nuova geografia politica delle Regioni.

Contestualmente al voto per il referendum, gli italiani di alcune regioni sono stati chiamati ad esprimere la loro preferenza in merito alle amministrazioni locali e ai governi regionali.

Approfondendo il risultato delle elezioni Regionali del 20-21 settembre, possiamo affermare: il centro-sinistra vittorioso in Toscana, in Puglia e in Campania, il centro-destra in Liguria, in Veneto e nelle Marche.

Nelle sei regioni sono state riconfermate le coalizioni uscenti. Unico cambio di “governance” significativo lo si registra nelle Marche. I confini della geografia politica italiana nell’inseme si compongono di quindici regioni governate dal centro-destra e cinque dal centro-sinistra.

 

Le regioni tra vecchi e nuovi governatori.

In Campania Vincenzo De Luca, governatore uscente, sostenuto dal centro-sinistra ha trionfato con il 69,6 per cento dei consensi, mentre il candidato del centro-destra Stefano Caldoro ha ottenuto il 17,8 per cento.

In Puglia ha vinto Michele Emiliano, governatore uscente, con il 46,9 per cento dei voti contro il 38,6 per cento di Raffaele Fitto. La regione Puglia era stata considerata tra le più a rischio per il centro-sinistra. Emiliano non era sostenuto né dal Movimento 5 stelle né dal movimento Italia Viva. Antonella Laricchia e Ivan Scalfarotto, candidati dei due partiti, hanno ottenuto l’11,11 per cento e 1,6 per cento.

In Toscana il Partito Democratico è il primo con il 34,7 per cento di preferenze. Eugenio Giani, sostenuto dalla coalizione del centro-sinistra, ha vinto con il 48,6 per cento dei voti contro il 40,4 per cento di Susanna Ceccardi, sostenuta dalla Lega.

In Veneto il leghista Luca Zaia ha stravinto, governatore uscente, giunto al terzo mandato ha superato il 75 per cento dei consensi, contro il 15,6 per cento di Arturo Lorenzoni candidato del centro-sinistra. La lista “Zaia Presidente” è il primo partito con il 44,4 per cento dei voti; la Lega il secondo, con il 16,89 per cento.

In Liguria confermato Giovanni Toti del centro-destra con circa il 55 per cento dei voti, contro il 38 per cento di Ferruccio Sansa del centro-sinistra che ha ottenuto 120mila voti in meno.

Nelle Marche ha vinto il candidato di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli. Appoggiato da tutto il centro-destra ha ottenuto il 49,1 per cento dei consensi contro il 37,3 per cento di Maurizio Mangialardi, candidato del centro-sinistra e sindaco di Senigallia.

L’andamento dei partiti conferma le forze di maggioranza nel governo.

Il Partito Democratico è il primo parto italiano in tutte le regioni dove si è votato, escluso il Veneto. Il segretario Nicola Zingaretti ha interpretato il voto locale come un segnale incoraggiante per il governo in carica.

Il Movimento 5 stelle, partito che governa dal 2018 con due diverse coalizioni, si è presentato con una lista autonoma in quasi tutte le regioni. I risultati ottenuti sono stati deludenti. Sia in Toscana che in Puglia i candidati del Movimento hanno ottenuto la metà dei voti rispetto a un anno fa.

Maria Cotugno