L’ennesima accusa di censura alla Rai : il caso Scurati

Dopo la vicenda sulla par condicio della settimana scorsa, è arrivata l’ennesima accusa di censura alla Rai. Sabato infatti sarebbe dovuto andare in onda su Rai 3 un monologo dello scrittore Antonio Scurati in occasione del 25 Aprile. Tuttavia, nel corso della trasmissione “Chesarà” condotta da Serena Bortone, la presentatrice ne ha annunciato la cancellazione da parte della rete. Il testo è stato comunque letto dalla Bortone e in questi giorni è diventato un argomento di dibattito molto acceso nell’opinione pubblica.

Scurati è uno scrittore e giornalista, vincitore del premio Strega 2019 per il libro “M. Il figlio del secolo”, primo capitolo di una trilogia su Benito Mussolini. Nel corso di quello che sarebbe dovuto essere il suo intervento, ha definito il governo «gruppo dirigente post-fascista». Ha poi accusato la premier Meloni di voler «riscrivere la storia» e di non aver mai preso esplicitamente le distanze dall’esperienza neofascista.

Fonte : Flickr

Le motivazioni della Rai accusata di censura

La Rai si è difesa sostenendo che il motivo della cancellazione risiederebbe in alcune divergenze sul cachet di Scurati. Secondo i dirigenti Rai, lo scrittore avrebbe chiesto 1800 euro, ritenuti dalla rete (e dalla stessa Meloni, che ne ha parlato sui social) eccessivi. In realtà, secondo la versione di Scurati e Bortone lo scrittore aveva trovato un accordo sul compenso. Questo lascerebbe quindi spazio alla sola tesi dei «motivi editoriali», peraltro corroborata dalla pubblicazione da parte di Repubblica di una comunicazione interna alla Rai: viene infatti riportata la suddetta formula per motivare l’annullamento dell’intervento di Scurati.

Dal canto suo Bortone ha affermato in diretta di aver «inviato messaggi ed email senza ricevere spiegazioni» per cui alla fine si sarebbe rivolta allo stesso Scurati. Lo scrittore, confermato l’annullamento, ha così deciso di dare il testo alla presentatrice affinché lo leggesse, senza ricevere quindi alcun cachet.

(Wikimedia)

Le vaghe posizioni della maggioranza

Fratelli d’Italia, con cui Meloni ha vinto le elezioni e di cui è presidente e fondatrice, deriva dall’esperienza di Alleanza Nazionale. In quest’ultimo è a sua volta confluito l’MSI, il Movimento Sociale Italiano, ritenuto da alcune ali della politica l’erede diretto del Partito Fascista.

Inoltre, secondo i critici dell’attuale governo, i suoi membri – compresa la Premier Meloni – si sarebbero ben guardati dal dichiararsi “anti-fascisti”, ricorrendo ad altre definizioni più vaghe. Nella sua lettera per il 25 Aprile 2023, affidata al Corriere della Sera, la premier scriveva:

Da molti anni infatti, e come ogni osservatore onesto riconosce, i partiti che rappresentano la destra in Parlamento hanno dichiarato la loro incompatibilità con qualsiasi nostalgia del fascismo.

Secondo molti commentatori gli esponenti dell’attuale maggioranza avrebbero quindi difficoltà a porsi in una posizione di netto contrasto all’ideologia fascista, utilizzando il termine “anti-fascista”. Tra i più restii vi è il presidente del Senato La Russa. Durante un evento commemorativo della Shoah a Milano aveva evitato di definirsi “antifascista” alla richiesta di un giornalista. Inoltre, dopo le commemorazioni del 25 Aprile 2023 si era recato a Praga per ricordare il martirio di Jan Palach, studente cecoslovacco datosi fuoco per protesta contro il regime sovietico. Questo gesto fu ritenuto una provocazione basata sulla frequente equiparazione, fatta da parte della maggioranza, fra regimi nazifascisti e comunista. Il presidente della Camera Fontana, del partito Lega, aveva invece dichiarato di essere antifascista e di dispiacersi che questo concetto «non sia stato pienamente metabolizzato».

La risposta di Meloni

Meloni ha definito la polemica un caso montato dalla sinistra e per smarcarsi dalle accuse ha pubblicato il testo integrale di Scurati su Facebook. Ha inoltre specificato che la sua cancellazione da Rai 3 non sarebbe dovuta a censura, aggiungendo:

Chi è sempre stato ostracizzato e censurato dal servizio pubblico non chiederà mai la censura di nessuno.

Fonte: Wikimedia Commons

Tuttavia, la premier ha anche sottolineato la responsabilità del compenso ritenuto eccessivo nella rimozione dell’intervento di Scurati da parte della Rai. Lo scrittore dunque ha deciso di affidare la sua risposta a Meloni in un suo articolo su Repubblica. In quest’ultimo accusa  la Presidente di «attaccare personalmente e duramente con dichiarazioni denigratorie un privato cittadino e scrittore suo connazionale tradotto e letto in tutto il mondo».

Francesco D’Anna

Dahl, Walt Disney, Lovecraft: le censure ai libri per bambini che fanno discutere

Eliminare parole come “grasso” e “nano” per non offendere nessuno e insegnare ai più piccoli ad essere inclusivi. Così la casa editrice Puffin Books – appartenente al colosso editoriale Penguin Books – ha giustificato la scelta di censurare i libri per bambini dell’autore di fama mondiale Roald Dahl. La decisione fa parte di una rivisitazione più generale delle opere letterarie di cui detiene i diritti, il cui obiettivo sarebbe far sì che i suoi classici «possano essere fruiti ancora oggi da tutti».

I libri di Roald Dahl. Fonte: Agenzia Dire

Si tratterebbe di uno dei primi casi di cancel culture editoriale che provoca immediato allarme: l’iniziativa, infatti, non è piaciuta a molti, e ha portato persino all’intervento del primo ministro del Regno Unito, Rishi Sunak. A parlare per primo è stato venerdì scorso il Telegraph, che nell’inchiesta “The rewriting of Roald Dahl” ha raccolto un centinaio di modifiche mirate a rendere più inclusivi i testi su tematiche come aspetto fisico, etnia e questioni di genere.

L’inclusività che divide

La riscrittura, come spiega il Guardian, comporterà ampi cambiamenti: Augustus Gloop in Charlie e La Fabbrica di cioccolato, ad esempio, sarà descritto come “enorme”, mentre La Miss Trunchbull di Matilde da «femmina formidabile» è ora «donna formidabile»; i piccoli Umpa-Lumpa operai della Fabbrica di cioccolato non saranno più «piccoli uomini» ma «piccole persone».

Un portavoce della Roald Dahl Story Company ha dichiarato a Variety quanto segue:

«Vogliamo assicurarci che le meravigliose storie e i personaggi di Roald Dahl continuino ad essere apprezzati da tutti i bambini di oggi. Quando si ripubblicano libri scritti anni fa, non è insolito rivedere il linguaggio utilizzato insieme all’aggiornamento di altri dettagli, tra cui la copertina e il layout. Il nostro principio guida è stato quello di mantenere le trame, i personaggi e l’irriverenza e lo spirito tagliente del testo originale. Eventuali modifiche apportate sono state piccole e attentamente considerate».

Ma la reazione è stata critica da parte di molte voci importanti che lanciano l’allarme su questioni di libertà di espressione. L’autore Salman Rushdie sul suo account Twitter ha scritto in merito: «Roald Dahl non era un angelo, ma questa è un’assurda censura. Puffin Books e la Dahl estate dovrebbero vergognarsi».
Sulla revisione delle opere di Dahl si è pronunciata anche Suzanne Nossel, Ceo di Pen America (una comunità di oltre 7.000 scrittori che sostengono la libertà di espressione), che ha twittato dicendo di essere «allarmata» dai cambiamenti segnalati e ha avvertito che il potere di riscrivere i libri potrebbe essere abusato.

Varie polemiche da Zio Paperone a Lovecraft

Il politically correct ha investito anche il colosso americano Disney, che nei giorni scorsi ha deciso di non ristampare due particolari storie della saga di Paperon De Paperoni di Don Rosa che includono un particolare personaggio, per via di una nuova policy più attenta all’inclusività:

«Come parte del suo costante impegno per la diversità e l’inclusione, The Walt Disney Company sta rivedendo la propria libreria di storie», si legge nel messaggio inviato a Don Rosa e da lui prontamente ripubblicato sui social.

Gongoro sarebbe infatti una sorta di mostro rappresentato come lo stereotipico uomo nero popolarizzato dal personaggio di Jim Crow, ormai considerato simbolo del razzismo nei confronti delle persone afrodiscendenti. L’autore dell’Oregon lo pensò come un uomo africano in abiti laceri e con tratti caricaturali, ed è possibile che a posizionare le storie fuori dalla nuova policy Disney sia proprio questa rappresentazione.

Disney censura Zio Paperone. Fonte: Ventenni Paperoni

Il dibattito non ha risparmiato neanche uno degli scrittori fantasy più famosi di tutti i tempi, Howard Phillips Lovecraft, il cui lavoro è ovunque e che è stato più volte accusato di essere razzista (inequivocabile e innegabile). Ampie tracce di ciò si possono vedere nei racconti — The Call of Cthulhu è pieno di considerazioni ostili su «sanguemisti» e umani «di specie bassa» — e il suo epistolario ci consegna molte invettive contro «gli italiani del Sud brachicefali & gli ebrei russi e polacchi mezzi mongoloidi coi musi da ratti & tutta quella feccia maledetta» e altre descrizioni del genere.

Con un’influenza culturale satura come quella di Lovecraft, l’unica soluzione è quella di diffondere la consapevolezza dell’eredità dell’autore insieme all’opera stessa. In altre parole, l’alternativa è educare su ciò che è esistito già per creare qualcosa di nuovo, passando al setaccio sia ciò che si ama da ciò che è oramai obsoleto, che tutti quegli elementi rimandanti invece ad un’universalità dei temi.

La cancel culture deve far riflettere

Il problema di quanto descritto finora è legato al rischio di confondere l’arte, il contesto storico e le peculiarità di un autore con la tutela delle sensibilità contemporanee. Ma il vero pericolo di manomettere l’integrità di un’opera letteraria è forse quello di alimentare un clima di dubbi e incertezze; perché se è vero che oggi siamo capaci di cambiare le opere del passato censurandole e descrivendole in altro modo, cosa impedirà in un futuro prossimo di farlo in altri contesti?
È forse questa la via del ritorno al pensiero unico tanto temuto ai tempi delle dittature novecentesche? Come ci insegna la teoria politologica del ferro di cavallo le due estremità non sono gli opposti, ma si avvicinano quasi a toccarsi.

Fonte: iodonna.it

Ad ogni modo bisogna fare i conti anche con l’altro piatto della bilancia, possibilmente ritenuto responsabile di contenere eccessivo buonismo: da genitori molto spesso ci si ritrova a leggere storie e a modificarne delle parti perché ci si rende conto che, essendo state scritte in altri momenti storici, tendono ad esprimere visioni della società non più condivise e che pertanto non si vuole trasmettere ai propri figli. Si pensi ad esempio al ruolo stereotipato della donna nelle fiabe che hanno accompagnato l’infanzia di quasi ogni bambino e bambina; è indiscutibilmente responsabilità dell’adulto evitare – attraverso una buona dose di consapevolezza – che i più piccoli subiscano certi imprinting. Da non sottovalutare poi la rilevanza della lingua come potente strumento di cambiamento sociale, in grado di vincere stereotipi e pregiudizi che distorcono e alterano la realtà.

Ciononostante, la questione che anima il dibattito rimane perché si continua a modificare pezzi scritti in altre epoche per adattarli ai nostri tempi, e comprensibilmente non tutti son d’accordo. Ma la domanda da porsi è principalmente una: meglio che un’opera sia modificata in modo da rimanere sostanzialmente la stessa ed immortale ma adattata alla nuova forma che vogliamo imprimere alla società o che per non fare un torto ai testi, frutto di persone di altre epoche, in generale ne aboliamo la fruizione, smettendo di stamparli e lasciando che il tempo li cancelli, così come si farà con le storie di Zio Paperone? La risposta più saggia da dare è che non esistono soluzioni univoche alle controverse questioni etiche, così che si deve accettare la convivenza di opinioni diverse e persino opposte, dalle quali comunque emergerà un’azione collettiva.

Gaia Cautela

L’altra faccia del politically correct

Che infanzia sarebbe senza Aristogatti, Dumbo e Peter Pan? Recentemente il colosso Disney, in nome del politically correct ha deciso di inserire all’inizio della proiezione di questi famosi film d’animazione una sorta di “parental advisory”: questo programma include rappresentazioni negative e/o offese di persone e culture. La presenza di personaggi stereotipati nelle pellicole, in seguito a recenti episodi di razzismo, ha portato Disney Plus ad aggiungere questo avvertimento per i più piccoli. Negli Aristogatti è presente un gatto siamese con dei marcati tratti orientali, Peter Pan definisce “pellerossa” i nativi americani e infine i corvi neri di Dumbo ricordano gli schiavi afroamericani nelle piantagioni. Una sorte più drastica è toccata l’anno scorso al celebre Via col Vento addirittura oscurato per mesi dalla piattaforma HBO Max, sull’onda delle proteste del movimento Black Lives Matter, in quanto giustificherebbe lo schiavismo e inciterebbe all’odio razziale.  Sotto accusa finisce di recente anche Grease per una frase della canzone “Summer Nights” che a detta di molti strizzerebbe l’occhio allo stupro e per l’”omofobo” personaggio Vince Fontaine che raccomanda al ballo del liceo di non formare coppie dello stesso sesso.

La domanda che sorge spontanea è se ha un senso scagliarsi oggi contro produzioni cinematografiche di oltre mezzo secolo fa, nate quando vi era una diversa sensibilità verso alcune tematiche e se non sia più utile attaccare invece quei prodotti culturali odierni che rivelano ancora una visione del mondo arretrata e irrispettosa delle differenze.  Certo è che un bambino potrebbe non possedere spirito critico e di conseguenza abituarsi al cliché e allo stereotipo, ma è anche vero che un bambino dovrebbe guardare un film d’animazione libero da pregiudizi e condizionamenti e quindi non cogliere alcun tipo di messaggio dannoso tra le righe. Si spera invece che l’adulto si approcci davanti a qualsiasi rappresentazione artistica senza condizionamenti e contestualizzando l’opera nel tempo e nello spazio senza bisogno di ricorrere a strumenti quali una pseudo-censura in chiave moderna.

Gli Aristogatti sotto accusa per Shun Gon, stereotipo “offensivo” dell’orientale. Fonte. corriere.it

Non si può negare: quello di Via col Vento, sia nel romanzo di Mitchell che nella trasposizione cinematografica del ’39, è un affresco a tinte nostalgiche del Sud schiavista all’alba della Guerra di Secessione. È questa una verità risaputa ancor prima della riscossa della “cancel culture”. Ma lo spettatore che guarda oggi Via col Vento simpatizza più con la capricciosa e ingrata Rossella O’ Hara o con la più umile MamiWalt Disney, matita geniale dell’american dream, non era certo un campione di progressismo e impegno sociale. Ma nell’ultimo film prodotto sotto la sua supervisione- e parliamo proprio degli Aristogatti (1970)- non trapela odio reazionario nei confronti del diverso. Abbiamo una banda di gatti randagi che accorre in aiuto a una famigliola di “aristocats”: due mondi diversi specchio delle disuguaglianze create dall’uomo si trovano a fraternizzare. Dov’è il messaggio diseducativo per le giovani generazioni? Come la nostra mente rischia di rimanere imprigionata nella rappresentazione stereotipata e riduttiva che questi capolavori ci consegnano del diverso?

Rossella O’Hara e Mami-Fonte: Giornale di Sicilia.it

Allora non basta la nobile Duchessa che fa amicizia con Romeo, Scat- Cat e tutta la gang di “pulciosi” gatti randagi. Non basta la Mami dal cuore d’oro e l’Oscar a Hattie Mc Daniel come miglior attrice non protagonista. Rimangono comunque gli occhi a mandorla, gli incisivi sporgenti di Shun- Gon e quelle bacchette dello xilofono che sembrano più posate da sushi. Rimangono i “fianconi” e l’accento poco yankee di Mami.

Come i francesi mangiatori di formaggio, gli scozzesi col kilt e il “braccino corto”, i siciliani lupara e baffi che si trovano in tante barzellette, ma anche classici comici di immenso successo. Il problema è proprio questo: quando si vuole disegnare ciò che è “straniero”, tra ritratto pittoresco e caricatura offensiva il tratto è molto sottile. Altre volte ancora le matite non sono abbastanza appuntite, il nostro sguardo non troppo acuto e si finisce per ricalcare contorni già tracciati dal proprio background culturale senza troppo sforzo o originalità alcuna. Ed ecco lo stereotipo. Allora che fare? Cancellare anni e anni di arte e cultura con un colpo di gomma?

Tiberio Murgia (il siciliano Ferribotte de “I soliti Ignoti”). L’attore, benché sardo, fu scelto da Monicelli perché incarnava il “tipico siciliano”. Fonte: memories.books.it

La cancel culture, oltre a peccare di mancanza di prospettiva storica, non tiene poi conto che l’arte è innanzitutto gioco di fantasia ed evasione. «Se la mia musica è letterale, allora io sono un criminale» dice il “rap godEminem in uno uno dei suoi tanti testi “controversi”. Con la lente di ingrandimento, alla ricerca ossessivo-compulsiva di un capo d’accusa dietro ogni immagine, dietro ogni parola, come il prete di Nuovo Cinema Paradiso che costringeva il buon Alfredo a tagliare parti di pellicola: è questo che si propone esattamente di fare la cultura del moderno revisionismo. E se questa tendenza verrà portata all’estremo, poco resterebbe della produzione culturale pop del Novecento. I giovani in primis si troverebbero privati di un patrimonio immenso da apprezzare ma anche- si spera- conoscere con occhio critico. Tutto questo dovrebbe giocare a favore di una società più libera da visioni retrograde e pregiudizi. Ma possiamo definire veramente libero un mondo in cui la creatività artistica sarà imbrigliata nelle spire del perbenismo e del politically correct? Matite frenate, penne censurate, comici zittiti: questo è lo scenario grigio e poco stimolante al quale potrebbe alla lunga condurci un’ossessione che qualcuno ha giustamente definito “dittatoriale”.

 

          Angelica e Ilenia Rocca