Perchè dopo 101 anni parliamo ancora di José Saramago?

101 anni fa, il 16 novembre 1922, nasceva José Saramago. Numerosi sono i capolavori che ha prodotto, dal celebre Cecità alla monumentale opera de Il Vangelo secondo Gesù Cristo passando però anche per opere minori che si rivelano veri e propri gioielli. Ma perché ancora lo leggiamo e perché con buona probabilità potrebbe finire tra qualche tempo nei libri di letteratura?

1998: storia di un premio Nobel

Nato in Portogallo da una famiglia umile, è costretto sin da subito a rimboccarsi le maniche per poter contribuire alla vita familiare. Scrive il suo primo romanzo nel 1947, Terra del peccato, ma ne sarà dopo poco insoddisfatto. Nonostante ciò, non si arrende e continua a scrivere, riuscendo a farsi strada anche nel mondo della critica letteraria e lavorando come traduttore.

“Con parabole, sostenute dall’immaginazione, dalla compassione e dall’ironia ci permette continuamente di conoscere realtà difficili da interpretare

Con queste parole nel 1998 viene insignito del Premio Nobel per la Letteratura. Sebbene l’autore già godesse di un discreto successo, trovò il riconoscimento internazionale solo negli anni Novanta, con la pubblicazione in primis dei suoi due capolavori, Cecità Il Vangelo secondo Gesù Cristo, ma anche di Storia dell’assedio di Lisbona (che, al contrario di come pare far intendere il titolo, non ha l’intento di fare cronaca quanto più di raccontare il meccanismo che sta dietro la scrittura).

José Saramago il 10 dicembre 1998 dopo avere ricevuto il Premio Nobel. Fonte: eremodicelestino.home.blog

Sono degne di nota anche altre opere canonicamente definibili minori: è il caso de Il racconto dell’isola sconosciuta, che con appena 43 pagine riesce a restituire delle atmosfere al confine tra realtà e tradizione favolistica. I personaggi non vengono presentati con i loro nomi, ma soltanto con il loro “ruolo” nella storia: sembra quasi che lo scrittore voglia chiedere al lettore di scegliere il proprio posto, quello che ritiene più comodo, e indossare i panni di quei personaggi di cui sta leggendo.

“Tutte le isole, anche quelle conosciute, sono sconosciute finché non vi si sbarca” (Il racconto dell’isola sconosciuta, Feltrinelli, 2015)

Saramago al tempo dei social

Chi l’avrebbe mai potuto dire che il racconto di un’epidemia di cecità bianca avrebbe potuto restituire emozioni e sensazioni quanto più attuali? Successe più o meno questo nel 2020, quando, allo scoppiare della pandemia di Covid-19, molti lettori riscoprirono romanzi come La peste scarlatta di Jack LondonLa Peste di Albert Camus o proprio Cecità di Saramago.

Pubblicato nel 1995, il romanzo parte con un evento al limite tra il realistico e l’assurdo: un automobilista fermo al semaforo non riesce a proseguire perché si accorge di essere diventato improvvisamente cieco. Un protagonista senza nome in una città senza nome soccorso da paladini senza nome in un periodo fuori dal tempo. Sebbene il racconto possa sembrare surreale, lo stile unico di Saramago – che ha un modo tutto suo di utilizzare la punteggiatura – e la storia catastrofica riescono ad attrarre ancora oggi lettori.

“La cecità stava dilagando, non come una marea repentina che tutto inondasse e spingesse avanti, ma come un’infiltrazione insidiosa di mille e uno rigagnoli inquietanti che, dopo aver inzuppato lentamente la terra, all’improvviso la sommergono completamente.” (Cecità, Feltrinelli, 2013)

Cecità, edizione speciale realizzata per il centenario dalla nascita dello scrittore.

Il mondo dagli occhi di Saramago

José Saramago crea i suoi protagonisti con un gioco di luci e ombre che porta il lettore a non patteggiare nè per una parte nè per l’altra, bensì a osservare semplicemente il dramma esistenziale della vita. In un’intervista del 2001 per Rainews dichiara:

“Credo che sebbene qualche volta nei miei romanzi ci sia la preoccupazione di vedere, rendersi conto, osservare, in fondo, sebbene a volte ci sia una relazione diretta con la vista, c’è sempre un aspetto oggettivo. Quando dico “vedere” intendo “comprendere”, ma per comprendere non basta vedere, è solo un mezzo. Quando mi chiedono perchè scrivo, oggi mi limito a dire che lo faccio per comprendere” (Intervista di Luciano Minerva per Rainews, marzo 2001)

Lo continuiamo ancora a leggere dopo decenni per la grandezza delle sue opere e per la trasversalità delle sue storie. Ed è nella stessa intervista sopracitata che Saramago parla della sete di conoscenza, che prescinde da qualsiasi tipo di sovrastruttura sociale. Come disse lui stesso riferendosi al nonno, “l’uomo più saggio ch’io abbia mai conosciuto non era in grado né di leggere né di scrivere”.

Giulia Cavallaro

Cecità: la necessità di una guida nel pieno di una pandemia

Voto UVM: 5/5 libro; 4/5 film

“Ciechi che, pur vedendo, non vedono”

Nel 1995 José Saramago, Nobel per la Letteratura, scrisse un romanzo che poi fu reso anche film: il titolo originale “Ensaio sobre a Cegueira” non sembrava poi così accattivante, così si è scelto di ridurlo a Cecità (in inglese Blindess).

Josè Saramago

 

Ambientato in una città senza nome e in un periodo senza data, l’autore ci rende spettatori e partecipanti, di uno scenario complesso.

Il tutto comincia all’improvviso, in pieno traffico cittadino, coinvolgendo un uomo qualunque: questo viene colpito da una cecità particolare che non lascia segno; “Non le riscontro alcuna lesione, i suoi occhi sono perfetti” sentiremo dire al medico, ma questo mal bianco si dimostrerà essere una malattia molto contagiosa, dalla causa sconosciuta che colpirà a ciel sereno una società impreparata (non era il COVID-19, ma si, è perfetto per l’attuale pandemia).

Non abbiamo nomi, solo dei “titoli” per descrivere i personaggi: scelta curiosa, ma sicuramente abile; la consideriamo come un espediente per dare spazio al lettore, per riproporsi in chi vuole.  Attraverso i personaggi, viene espressa la criticità della risposta umana all’incertezza e alla paura: c’è chi vorrebbe trarre vantaggio dalla sventura altrui come il ladro di automobili, che deruberà il primo cieco non appena ne avrà la possibilità, e chi come la moglie del medico deve tenere le redini della situazione.

Ma poco importa, finiranno tutti nello stesso posto e saranno queste “etichette” a stabilirne atteggiamenti e movimenti.

In tutto ciò, le forze dell’ordine, che al caro José non dovevano andare molto a genio, vengono condannate, descritte come prive di intelligenza ma piene di paura. Talmente tanta da decidere di portare i malati in un ex manicomio.

Ex Manicomio

Lo scenario si sposta in una struttura dismessa, priva dei beni essenziali e soprattutto priva di umanità.

Prime persone messe in quarantena, fonte: cinematographe.it

Lo descrive perfettamente, in maniera cruda e attraverso gli occhi dell’unica donna che ci vede, la moglie del medico: “Se non siamo capaci di vivere globalmente come persone, almeno facciamo di tutto per non vivere globalmente come animali”.

Il film le ha dato un volto: bionda e candida, sicuramente non una scelta casuale; man mano che la situazione peggiora e che l’umanità si mostra sempre più fragile , lei deve resistere, ma inevitabilmente la sua immagine ne risente.

Nessuno la vede, ma noi si. Come se ci aspettassimo che l’unica donna non cieca, non possa avere i piedi sporchi. Invece lei li ha, si deteriorerà fuori pur di non perdere quella luce che ha dentro. Come a voler dimostrare quanto siano inutili bellezza ed eleganza se si è vuoti dentro. Banale penserete, invece no.

Julianne Moore, fonte: cinematographe.it

All’interno del manicomio si ricreerà una società rudimentale, in cui il più forte prende l’unica cosa che può: il cibo. E si fa pagare con le uniche cose che gli altri hanno: beni materiali (per quanto sia possibile in quella situazione). E quando questi non bastano, vorrà di più: “dateci le donne”, così da prendere anche quello che “di materiale” non è.

Ecco che l’equilibrio si rompe, Saramago non si risparmia e sottolinea l’indifferenza che soffoca la speranza: dalle continue richieste di aiuto e di umanità non si ottiene nessuna risposta.

Né dalle autorità, né da quelli che possiamo considerare “pari” dei nostri protagonisti. Grida che nascondono il silenzio e un candore, che coprendo gli occhi nasconde la brutalità della scena. Brutalità che si vedrà anche fuori, la città diventa il nuovo scenario.

Città

“E’ una vecchia abitudine dell’umanità, passare accanto ai morti e non vederli”: nonostante sembri un post scritto adesso su un social, evidenzia le crepe della società orfana di nome e di epoca descritta nel romanzo.

E si… crepe sempre esistite e adesso più evidenti che mai.

Tutti ciechi ed affamati, tutti impauriti e arrabbiati. Tranne la moglie del medico, lei non può permetterselo. Deve fare tutto ciò che può per la sua nuova famiglia, i cui membri (marito escluso) non l’avevano letteralmente mai vista, ma che si fidavano ciecamente (scusate il gioco di parole) di lei.

fonte: movieplayer.it

Madre, sorella, la loro e la nostra guida. Azzarderei che era l’unica a non avere quel bagliore negli occhi, perché era l’unica ad averlo nel cuore e nella mente. E anche quello – in tal caso fortunatamente era contagioso.

Ma come a voler sottolineare ancora l’indifferenza degli uomini, dei pari soprattutto, l’autore inserisce una figura: quella del cane delle lacrime. Non si infetta, non è contagioso ma ha solo bisogno di amore. Lui supporta la donna, la segue, le fa compagnia, la difende e creerà un legame che non sarà possibile dissolvere.

In cecità non c’è niente che non abbiamo già visto, anzi, è tutto descritto alla perfezione. Ovviamente amplificato, con una sintassi molto particolare, scenari cupi e dettagli raccapriccianti.

Ma con molta verità.

Non si parla di profezie e complotti: anche lì le autorità erano impreparate. Né di eroi, ma di semplici combattenti; non si parla di ricchi e poveri, ma di pari.

Cosa ci insegna questo ? Non lo sappiamo con certezza ma ci dà speranza laddove serve.

La ragazza con gli occhiali scuri (senza occhiali in questa scena)- fonte: lafabricadeisogni.it

La moglie del medico si alzò e andò alla finestra. Guardò giù, guardò la strada coperta di spazzatura, guardò le persone che gridavano e cantavano. Poi alzò il capo verso il cielo e vide tutto bianco, è arrivato il mio turno, pensò. La paura le fece abbassare immediatamente gli occhi. La città era ancora lì.”

Barbara Granata 

Cecità di José Saramago

“… ciechi che pur vedendo, non vedono”

La lettura di “Cecità”, testo di José Saramago, nonché Premio Nobel per la letteratura, può lasciare una certa inquietudine, ma è un romanzo che cerca di metterti alla prova terrorizzandoti e sbattendoti in faccia molte realtà che non vedi. cecità 2
Ci sono mille ragioni per cui il cervello umano si chiuda, si limitò ad allungare le mani fino a toccare il vetro, sapeva che la sua immagine era lì a guardarlo, l’immagine vedeva lui, lui non vedeva l’immagine.”

Il romanzo comincia con un automobilista fermo ad un semaforo, una luce rossa e la fila ad attendere che diventi verde e … e poi tutto diventa bianco, nessuna sfumatura o ombra, solo bianco. Ma questo non è altro che l’inizio di una terribile epidemia che andrà a colpire prima le persone con cui si ha un contatto fino ad arrivare all’intera popolazione. Soltanto una donna resterà immune da questo male. Ma si finisce per chiedersi se sia stato un bene o un male, restare l’unica vedente in un mondo di ciechi, l’unico testimone oculare di un incubo che sembra non finire mai. La paura di essere contagiati porta a chiudere i ciechi in quarantena dove la convivenza i pri
mi giorni scorre senza intoppi, ma col crescere dei malati finisce per degenerare dando  libero sfogo alla disumanità. Non esiste pietà o conforto, neanche ragione.

La “cecità” finisce per non essere tanto quella fisica quanto quella dell’animo, laddove si perde il rispetto e comincia a vigere la regola del più forte,si perde  l’umanità, si finisce per diventare animali, senza regole e senza futuro. È la fine, l’Apocalisse.

Fa male perché senti che in circostanze simili anche tu diventeresti egoista e senza scrupoli, disposto a sacrificare la morale per un tozzo di pane, a perdere la tua umanità in cambio della sopravvivenza. Lo sai che è vero.

La scrittura di Saramago è fluida nonostante la mancanza di punteggiatura nel dialogo, di tempo, di spazio e di nomi propri, ma a che servono dei nomi in un mondo di ciechi?

È un libro che si lascia leggere, è importante prestare particolare attenzione al comportamento dell’uomo che se prima era portato all’aiuto del prossimo, finisce per cadere nell’accidia e nell’egoismo. Ad essere ciechi, troppo spesso, siamo noi e , forse, non ce ne rendiamo conto.

Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che vedono, ciechi che pur vedendo, non vedono.”

Serena Votano